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La Zwi Migdal: la tratta delle bianche

1. La tratta delle bianche

Le ricerche condotte da Julio Alsogaray1 nel 1930 sull’organizzazione della Zwi Migdal segnalarono il 1890 come data di inizio del commercio delle schiave bianche su grande scale in Argentina2.

Nel suo libro dedicato a questo tema, Ernesto Goldar cercava di studiare i vincoli tra l’immigrazione, l’aumento demografico e il disadattamento sessuale; la relazione tra le prostitute «criollas»3 e importate dall’Europa a causa della mancanza di donne al seguito dei nuovi immigrati; la regolamentazione della prostituzione legalizzata, il funzionamento delle case chiuse e i tre gruppi etnici che crearono le diverse organizzazioni di protettori, polacchi, francesi e creoli.

La mancanza di dati precisi si giustificava comprendendo che in questi anni questo tema era un tabù nei circoli ebraici, anche perché si aveva paura che il commercio di schiave bianche da parte di alcuni rufianes potesse ledere alla buona immagine di tutta la comunità e accrescere le tendenze antisemite nei loro confronti. Ancora meno conosciuta era l’azione del resto della comunità ebraica organizzata per la denuncia e la lotta per contrastare questo fenomeno. Sicuramente furono comunque le istituzioni ebraiche ad affrontare apertamente i protettori ed espellerli dalla comunità.

Tra i promotori e le vittime della tratta delle bianche in Argentina comparvero alcuni nomi di ebrei fin dal 1870. Con le grandi ondate migratorie questo numero crebbe. Boleslao Lewin sosteneva che a Buenos Aires esistevano 35 bordelli, e tra questi alcuni appartenevano a ebrei.

A causa della lotta intrapresa contro di loro e della loro esclusione da tutte le associazioni comunitarie, i rufianes ebrei crearono una loro associazione, denominata

Varsovia, nome che mantenne fino al 1928 quando diventò Zwi Migdal.

Immediatamente al suo interno si crearono due gruppi: il più numeroso composto da polacchi, l’altro, che prese il nome di Ashkenazum, formato da russi e romeni.

1 J. Alsogaray, Trilogía de la trata de blancas: Rufianes, Policía, Municipalidad, Buenos Aires, Editorial

Tor, 1933.

2 R. Feierstein, Historia de los judíos argentinos, Buenos Aires, Ameghino, 1999, p. 35. 3 E. Goldar, La mala vida, Buenos Aires, Centro Editor dew América Latina, 1971.p. 20.

La Varsovia scelse come sede una lussuosa villa di due piani, con un grande giardino e un ampio salone per le feste, una sala riunioni e una sinagoga, luogo fondamentale per svolgere le operazioni dell’associazione. Lì infatti venivano celebrati i finti matrimoni e i rituali tradizionali del rito ashkenazì.

Secondo quanto riportato da Gerardo Bra, i rufianes si recavano in Polonia o in altri paesi europei e organizzavano dei fidanzamenti con le giovani del luogo. Gli importatori si fingevano ricchi commercianti, che in America avevano trovato fortuna e ricchezza, che tornavano nel loro paese d’origine in cerca di una moglie. L’ambiente economicamente e culturalmente povero, la mancanza di opportunità di crescita individuale rendevano le ragazze predisposte a credere nel principe azzurro4 che le offriva ricchezza, posizioni sociali di prestigio e il matrimonio tanto sognato. Montevideo era il luogo prescelto come approdo in Argentina, per le leggi meno severe sull’ingresso degli immigrati. Una volta arrivate a Buenos Aires, le ragazze venivano costrette a prostituirsi, sia con mezzi persuasivi sia attraverso la violenza, la reclusione e le privazioni.

Le ragazze, giovani adolescenti senza conoscenze né della lingua, né le tradizioni del paese, arrivate in Argentina senza documenti grazie alla complicità dei doganieri e dei poliziotti, si trasformavano in «carne de prostíbulo»5, disperate e messe all’asta come bestie, sorvegliate costantemente per paura che scappassero o si rivolgessero alla polizia.

L’associazione Varsovia provvedeva inoltre a indennizzare i soci che per qualsiasi motivo fossero rimasti senza schiava. Finanziava i viaggi di «remonta»6, si occupava dei trasferimenti delle ragazze da un bordello all’altro, esigeva il pagamento di multa in caso di inadempienza degli accordi presi per la tratta delle schiave.

L’influenza dell’organizzazione aumentò nel corso degli anni: vennero presi accordi con la polizia, con gli esponenti politici più influenti, arrivando persino a corrompere i dirigenti comunali e della Direzione dell’Immigrazione. Il comitato politico e la prostituzione andavano di pari passo, seguendo lo schema di corruzione e frode elettorale che sosteneva i dirigenti politici.

L’inizio del processo di decadenza dell’associazione si verificò nel 1930, quando Raquel Liberman decise di denunciare i responsabili della tratta che l’aveva condotta in

4 G. Bra, La Organización Negra: la increíble historia de la Zwi Migdal, Buenos Aires, Ediciones

Corregidor, 1982, p. 35.

5 Ibidem, p. 35. 6 Ibidem, p. 36.

Argentina. Sicuramente l’apertura del contesto politico-sociale dell’epoca aveva reso possibile il richiamo all’ordine e alla moralità, attuati dal commissario Julio Alsogaray e dal giudice Ocampo. Questi poterono contare sull’appoggio della comunità ebraica organizzata.

Raquel Liberman fu una delle tante vittime della tratta. Ingannata con false promesse di matrimonio, una volta in Argentina finì nel tragico cammino della prostituzione.

Dopo diversi anni di schiavitù, Raquel riuscì a raccogliere un piccola somma di denaro. Con l’aiuto di un suo compaesano, impietosi dalla sua condizione, utilizzò questa somma per riscattare la sua condizione di prostituta e riacquistare la libertà perduta. Una volta scoperto l’inganno, l’organizzazione si adoperò affinché non si divulgasse la notizia. Quando le minacce del golpe furono sopite, la Varsovia si rivolse a un nuovo ruffiano, José Korn, che aveva il compito di fingersi innamorato della ragazza e di chiederla in moglie. Raquel si illuse ancora una volta e in pochi mesi venne celebrata la cerimonia nella sinagoga della Migdal.

In pochi giorni Raquel si rese conto dell’inganno: Korn le prese tutti i risparmi e i gioielli e la constrinse a ricominciare con la prostituzione. Disperata, cercò addirittura un compromesso con il presidente della Zwi Migdal ma senza alcun risultato. Allora comprese che doveva scegliere: o continuava ad essere schiava o metteva a rischio la propria vita per distruggere questa organizzazione.

La denuncia fatta al commissario Julio Alsogaray, da tempo alla ricerca di elementi per intervenire contro l’associazione, diede inizio al processo contro la Zwi Migdal.

Il 20 maggio del 1930 il giudice Ocampo ordinò la cattura di tutti i membri dell’associazione, senza eccezione per alcuno. La comunità ebraica organizzata sfruttarono quest’occasione per mettere in atto la propria lotta contro i rufianes, che vennero espulsi dalla comunità. Il 23 maggio il presidente dell’Associazione Israelita

Chevra Kadisha Ashkenazita fece visita al giudice Ocampo e gli offrì la cooperazione

dell’asssociazione centrale dell’ebraismo organizzato. L’espulsione degli tmeim da tutti i posti della collettività contribuì al loro isolamento e fu una decisione di grande peso morale. Il processo portò alla chiusura della Zwi Migdal.

2. La lotta della comunità ebraica.

Insieme alla resistenza passiva, all’espulsione dei trafficanti di schiave dalle istituzioni comunitarie, incluse sinagoghe, teatri e cimiteri, la comunità ebraica portò avanti per diversi anni una tenace lotta con gli tmeim e cercò di salvare molte ragazze provenienti dall’Europa dalle mani dei loro rufianes.

Già nel 1908 l’organizzazione operaia Jungt (Gioventù) iniziò una lotta aperta contro i protettori. La prima azione intrapresa fu quella di diffondere l’idea di non affittare locali ai rufianes.

La campagna continuò con manifestazioni pubbliche, molto frequentate dagli ebrei7. Un gruppo di giovani si impegnò a organizzare spedizioni di riscatto delle giovani ebree nel quartiere dei bordelli, per liberarle dalla schiavitù a cui le costringevano i loro proprietari.

L’azione di queste organizzazioni penetrò anche negli ambienti teatrali, molto frequentati dai rufianes. Lo stesso leader sionista-socialista Zalman Sorkin, nel bel mezzo di uno spettacolo, si alzò gridando “fuori i rufianes” provocando un enorme scandalo.

Le stesse compagnie teatrali iniziarono a mettere in scena spettacoli che descrivevano il sordido meccanismo che stava alla base della tratta delle bianche.

Nel 1926 Leib Malaj mise in scena uno spettacolo intitolato Regeneración, nel quale si presentava la lotta della comunità ebraica in Brasile contro i trafficanti di schiave. L’opera venne presentata al Politeama, il teatro yiddish più grande di Buenos Aires. Lo spettacolo suscitò innumerevoli polemiche tra cui quelle di numerosi esponenti della collettività.

Malaj, in un giornale nordamericano, descrisse dettagliatamente il conflitto che si scatenò a Buenos Aires. Gli operai ebrei si armarono e invasero il quartiere ebraico, con l’intenzione di punire coloro che facevano parte del traffico di bianche ed espellerli dalla comunità ebraica. Lo scontro fu combattuto per strada, nei bar, nei teatri fino a che il quartiere ebraico venne ripulito e reso degno per coloro che arrivavano in Argentina per ricostruirsi una vita libera e onesta.

Si cercò di impedire ai rufianes l’ingresso nei teatri, obiettivo osteggiato fortemente dagli impresari che vi vedevano una enorme fonte di guadagno.

7 B. Lewin, La Organización Negra: la increíble historia de la Zwi Migdal, Buenos Aires, Ediciones

Quando si diffuse la notizia che non sarebbero state rappresentate altre opere senza il controllo degli ingressi, il pubblico formato da personalità rispettabili della società reagirono. Così le istituzioni, la società di attori e i giornali dichiararono guerra al teatro fino a che i primi teatri esposero un cartello con scritto: «Non si ammettono trafficanti di bianche»8.

Questa campagna contro la presenza dei protettori nei teatri si protrasse fino al 1927, anno in cui si pose fine alla questione.

Molto più importante fu l’azione sistematica portata avanti dalla Società di Protezione della Donna, Ezrat Nashim. Questa associazione venne creata in Argentina nel 1895 su iniziativa dell’associazione centrale inglese.

La sua azione si svolse prevalentemente nel porto di Buenos Aires, nel quale venivano ispezionate le imbarcazioni provenienti da Montevideo. Vennero aiutate migliaia di donne sole, che non avevano parenti in Argentina, a cercare lavoro e casa. Si impedì che i rufianes riuscissero a ottenere le loro donne da inserire nei bordelli. Furono riscattate molte donne, alcune delle quali minorenni, e furono rimpatriate nei loro paesi d’origine9.

Il segretario della Società Israelita di Protezione delle Bambine e delle Donne formulò una denuncia dettagliata sulle attività dell’organizzazione del traffico di schiave.

La Società Israelita, grazie al lavoro svolto nel porto di Buenos Aires, aveva raccolto le prove che la Società Israelita di Mutuo Soccorso Varsovia era formata esclusivamente da persone disoneste, delinquenti, trafficanti di bianche e prostitute10.

Nel novembre del 1927 venne nominato l’ispettore Martín Pérez Estrada con il compito di investigare, rivolgendosi direttamente al presidente dalla Varsovia, Zitnitzky, per chiedergli informazioni sulla reputazione dei rufianes.

Durante il processo a loro carico, la difesa della Varsovia contestò indignata le accuse che le erano state rivolte: «nos achacan delitos y felonías que solamente en unos cerebros infermo y afiebrados pueden caber semejantes cosas»11.

Il giornalismo ebraico fu anch’esso in prima linea nella lotta con la tratta delle bianche e iniziò ad operare attivamente intorno al 1890.

In questi anni, Abraham Vermont, uno dei precursori del giornalismo in yiddish in Argentina, scrisse numerosi articoli sugli ebrei implicati nel traffico delle donne.

8 L. Malaj, Regeneración, Buenos Aires, Editorial Pardés, 1984, pp. 408-416. 9 B. Lewin, op. cit., p. 153.

10 G. Bra, op. cit., p. 91. 11 G. Bra, op. cit., p. 97.

Anche Alexander Zederbaum, direttore di Hamelitz, e Scholem Aleijem in alcune narrazioni, trattarono questi argomenti per cercare di mettere in guardia le possibili vittime di questi traffici, concentrando la narrazione sui fine e sulle modalità utilizzate dall’organizzazione per reclutare le ragazze. Questi e altri giornalisti riuscirono a impedire che gli tmeim si infiltrassero nelle organizzazioni ebraiche a Buenos Aires, fondarono la Società di Protezione e utilizzarono la loro influenza per promuovere le leggi che regolamentassero la prostituzione.

La comunità ebraica riuscì a proibire l’ingresso degli tmeim nelle organizzazioni comunitarie ed estese il divieto anche in altri settori. Le principali battaglie riguardarono il divieto di sepoltura nei cimiteri della collettività e la loro espulsione dalle funzioni all’interno del teatro yiddish.

Alla lotta contro il traffico di bianche parteciparono attivamente anche importanti dirigenti ebrei. Il più autorevole fu il rabbino Samuel Halphon, esponente della CIRA. Halphon mise in evidenza come in tutte le associazioni comunitarie nessuno fosse disposto a rinunciare a parte del suo tempo per dedicarlo a problemi diversi da quelli suoi personali. La differenza la faceva la comunità ebraica che rappresentava il miglior esempio di spirito di sacrificio e nobile altruismo12.

A Buenos Aires erano presenti altre comunità con elevati indici di prostituzione, come quella francese, quella italiana e quella spagnola. Preoccupati per la cattiva reputazione che si era diffusa a causa della Zwi Migdal, i loro dirigenti furono meno inflessibili rispetto agli ebrei, anche perché avevano molto di più da perdere13.

La lotta contro l’organizzazione degli tmeim che infangavano la reputazione della comunità ebraica in Argentina coincise con l’inizio delle persecuzioni naziste in Europa e con le sue ripercussioni razziste e antisemite in America Latina, dove riscontrarono un grande successo. In questo contesto i dirigenti delle organizzazioni comunitarie ebraiche ritennero fondamentale combattere contro la tratta delle bianche . Concretamente la comunità ebraica intraprese questa lotta per estirpare un settore economicamente potente e influente, all’interno del quale operavano ebrei che si impegnarono in un commercio illegale. Nessuna altra comunità condusse una simile lotta.

Ma gli ebrei dovevano sempre fare di più per essere accettati come uguali, e a volte neanche questo era sufficiente.

12 V. a. Mirelman, La comunidad judía contra el delito, Buenos Aires, Editorial Milá, 1987, p. 3. 13 Ibidem, p. 19.

Come scrisse Anna Frank: «È triste dover ammettere il vecchio aforisma secondo cui di una cattiva azione di un cristiano è egli stesso responsabile; la cattiva azione di un ebreo ricade su tutti gli ebrei»14.

14 A. Frank, Diario, Torino, Einaudi, 2014.