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Considerando 52 Direttiva 2014/23/UE Disposizione a recepimento obbligatorio

Analisi del testo

Il paragrafo 1 dell’articolo in commento stabilisce che le concessioni devono avere una durata limitata, sono vietate le concessioni con durata illimitata o che potrebbero esserlo attraverso clausole di rinnovo.

La durata della concessione, disciplinata nell’articolo 18 è connessa al valore della concessione e all’equilibrio del PEF; infatti il paragrafo 2, pone implicitamente un limite massimo quinquennale di durata, oltre il quale il tempo della concessione è determinato esclusivamente dal periodo “in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati nell’esecuzione dei lavori o dei servizi (e delle forniture), insieme con il ritorno sul capitale investito tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici”44.

Questa prescrizione non esclude che, anche per le concessioni di durata infraquinquennale, non occorra motivare la scelta del periodo di durata delle stesse, ma richiede piuttosto la necessità di un particolare apparato motivazionale tutte le volte in cui il limite dei cinque anni sia superato.

Opportunità/criticità

Tale approccio cerca, sotto l’aspetto economico, di evitare che durate temporali sovradimensionate, rispetto alle esigenze di equilibrio economico-finanziario, generino dei benefici impropri per il concessionario. Infatti, l’eccessiva estensione della durata di una concessione limita la contendibilità dei servizi connessi alla gestione dell’opera oggetto della concessione e la convenienza della PA al raggiungimento dell’equilibrio del PEF.

Il Codice segnala, all’art. 143, comma 6 che “la concessione ha di regola durata non superiore a 30 anni” e ancora al comma 8 “per le nuove concessioni di importo superiore al miliardo di euro, la durata può essere stabilita fino a 50 anni”. La prima fa intendere che il limite dei 30 anni è valicabile, egualmente la seconda consente di superare il limite dei 50 anni per le operazioni inferiori al miliardo di euro, mentre è inderogabile per valori superiori.

Il Codice, ai sensi dell’art. 143, comma 8, consente il superamento del limite dei 30 anni qualora sia necessario “per il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti” e della connessa gestione.

La pietra angolare per la determinazione della durata di una concessione è il perseguimento dell’equilibrio del PEF (con riferimento al PEF si veda commento art. 1, sub 11)e a tal proposito la Direttiva esplicita anche la necessità di tener conto del “ritorno sul capitale investito”, mentre il Codice sempre all'art. 143 prevede “del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5 (contributo pubblico finanziario e in

44 La Comunicazione della Commissione sulle concessioni (2000), precisa che “il principio di proporzionalità esige anche che la concorrenza si concili con l’equilibrio economico finanziario; la durata della concessione dunque deve essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza più di quanto sia necessario per ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali investiti in misura ragionevole pur mantenendo sul concessionario il rischio derivante dalla gestione”.

cessione di diritti) rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni di mercato”.

In sede di recepimento potrebbe essere valutata l’eliminazione di tutti i limiti temporali specificati mantenendo integralmente le disposizioni della direttiva; infatti, gli elementi di cui si deve tener conto per il perseguimento dell’equilibrio del PEF sono tutti estremamente variabili, dipendenti dalle condizioni di mercato (rendimento, tassi finanziari, rischi associati) o dalle disponibilità della PA (contributo pubblico) o dalla progettazione (costo dell’investimento, tempi di realizzazione), per cui non è possibile indicare normativamente una durata standard.

La differenza sul tema della durata delle concessioni tra disciplina comunitaria e interna riguarda la maggiore enfasi che la prima pone sull’adeguata limitazione della durata delle concessioni. L’ampliamento del termine, anche se giustificato dal perseguimento dell’equilibrio del PEF, porta con se la chiusura del mercato e la progressiva diminuzione dell’utilità di riequilibrio.

Il considerando n. 52 della Direttiva suggerisce che la PA dovrebbe aggiudicare “una concessione per un periodo più breve di quello necessario per recuperare gli investimenti, a condizione che la corrispondente compensazione non elimini il rischio operativo”.

Presa alla lettera è un’indicazione forte per la determinazione della durata: spinge, infatti, a limitare la durata contrattuale delle concessioni al di sotto del termine utile al recupero integrale degli investimenti effettuati e del ritorno sul capitale investito, scaturente dall’equilibrio economico-finanziario del PEF.

Questa indicazione, comunque non vincolante, mira al frazionamento temporale delle concessioni per sottrarre l’esercizio del servizio pubblico (monopolio naturale o legale) ad un solo soggetto privato. La frequenza degli affidamenti delle concessioni dovrebbe consentire di ottenere dei contratti più efficienti e convenienti45.

Il considerando n. 52 della Direttiva è consapevole, però, come questo obiettivo possa confliggere con i principi Eurostat ESA 95 di contabilizzazione degli investimenti privati nei bilanci pubblici e, infatti, pone l’avvertimento che “la corrispondente compensazione non elimini il rischio operativo”.

Più chiaramente, quando alla concessione è imposta una durata inferiore a quella che consentirebbe il recupero degli investimenti, è necessario riconoscere al concessionario un valore residuo finale (terminal value) per mantenere la sinallagmaticità contrattuale; questo valore, a seconda di come viene calcolato, potrebbe eliminare il rischio operativo, fatto disvoluto, che concorre a contabilizzare nei bilanci pubblici l’investimento privato nelle operazioni di PPP.

45 Vedi il Libro Verde sul PPP per cui “una durata eccessiva sarebbe in contrasto con i principi che disciplinano il mercato interno o con le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza”.