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L’edizione del contesto, almeno allo stato di fatto dei dati acquisiti sul

Giulio Ciampoltrin

1 L’edizione del contesto, almeno allo stato di fatto dei dati acquisiti sul

fig. 1 – A: siti citati nel testo, riferiti alla c.d. Mappa Pelosi di Lucca, 1837-1839 (c.d. Mappa Pelosi); B: marchi su ceramiche in terra refrattaria, da Lucca; C: Viareggio nel 1893 (da Michetti 1893): D: casseruola in terra refrattaria con stampigliatura da Lucca, area dell’Ospedale San Luca.

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ria, che conservava, ben leggibile, il bollo di forma ellit- tica M. MAUREL / VIAREGGIO (fig. 1, B1).

Gli strumenti messi a disposizione dalla rete hanno consentito di avviare una ricerca sui centri di produzione delle marmitte in uso a Lucca fra fine Ottocento e pri- mi del Novecento che fino a pochi anni fa sarebbe stata francamente ardua, e che tuttavia non avrebbe potuto essere neppure abbozzata se l’attività preventiva condotta nel 2015 in Vicolo della Minerva (fig. 1, A), ancora per le cure di Elisabetta Abela e di Serena Cenni, non avesse fatto emergere un consistente complesso di ceramiche (e metalli) tardo-ottocenteschi e del primo Novecento (fig. 2) che permette di entrare con un vero e proprio pia- no-sequenza in un interno lucchese di medio livello fin de siècle, aggiungendosi all’evidenza dei consumi cerami- ci in area rurale che poco prima era stata rivelata dallo scavo dell’area dell’Ospedale San Luca, nella periferia orientale della città (Ciampoltrini et alii 2012, pp. 106- 108; Ciampoltrini, Spataro 2014).

Nel Vicolo della Minerva i manufatti da fuoco in “terra di Francia” (fig. 2, 1-3) si affiancano a quelli di tradizione regionale – ancora con tegami e pentole invetriate in mo- nocromia gialla (fig. 2, 4) o con decorazione dipinta, slip ware, non necessariamente residui, come certifica se non altro lo stato di conservazione (fig. 2, 5) – in due forme: la marmitta cilindroide, con fondo a profilo continuo, anse a bastoncello, e invetriatura interna (fig. 2, 1-2), cono- sciuta già dal passaggio fra Sette- e Ottocento (Petrucci 1999, 2, pp. 16-20: “marmite haute”); la casseruola con manico tubolare (fig. 2, 3), nel tipo che anche a Vallauris veniva appunto denominato “Vallauris” (Petrucci 1999, 2, pp. 50-52; per la distribuzione, da ultimo Amouric, Serra 2013). L’organizzazione ‘industriale’ che sottende queste fabbriche della seconda metà dell’Ottocento tra- spare anche nei bolli (figg. 1, B; 2, 1-3). In Vicolo della Minerva compaiono un generico TERRE REFRACTAI- RE / DE VALLAURIS (figg. 1, B2; 2, 2) e il marchio dei FABRICANTS REUNIS / VALLAURIS (A.M.), con monogramma centrale che verrebbe da sciogliere in FR(ance) (figg. 1, B3; 2, 3); il consorzio, stando al Petruc- ci e alle sue fonti, è in liquidazione nel 1883 (Petrucci 1999, 2, p. 49). Un manico di casseruola conserva invece, secondo lo stesso modulo, il marchio R. LENCIONI / TERRA DI FRANCIA (figg. 1, B4; 2, 3).

Prima di avventurarsi nella navigazione da Vallauris a Viareggio che è imposta già da questa scarna eviden- za, occorre ritornare alle stratificazioni di Palazzo Poggi (fig. 1, A), che sono state essenziali per conoscere ana- liticamente le tipologie ceramiche in uso a Lucca fra Cinque- e Seicento, e poi ancora nel Settecento (Ciam- poltrini 2017, pp. 34-39), ma hanno concesso anche una corposa documentazione dell’avanzato Ottocento e del Novecento. Le marmitte “tipo Vallauris” compaio- no con bolli della fabbrica MAUREL, in un caso fram- mentario, ma chiaramente da integrare in [TERRE] REFRACTAIRE / [MA]UREL / [ALPES] MAR[itim] ES FR(ANCE) (fig. 1, B5), un secondo integro M. MAUREL TERRES REFR / DE VALLAURIS, e stella centrale (fig. 1, B6). La morfologia è quella canonica delle “marmites hautes” fin de siècle de Vallauris.

Verrebbe dunque da argomentare che il Maurel – di una famiglia ben nota a Vallauris (Petrucci 1999, pas-

sim) – aveva un ruolo egemone sul mercato lucchese delle marmitte in “terra di Francia” della fine dell’Ottocento, la cui “origine” era adeguatamente certificata dal bollo. Per avventurarsi nella storia delle imprese produttive e mercantili dei Maurel, tra Vallauris e Viareggio, occor- re partire da un cenno del Petrucci (Petrucci 1999, p. 554) che menziona, dal catasto della cittadina delle Alpi Marittime del 1873, un François Maurel che possiede a Golfe-Juan (il porto di Vallauris) un magazzino, ma è citato come «fabricant de poteries à Viarregio».

In attesa che ineluttabili indagini d’archivio gettino sulle fabbriche viareggine la stessa luce che Petrucci ha proiettato su Vallauris, l’evidenza dei marchi dai contesti lucchesi invita ad un veloce viaggio nella Viareggio della seconda metà dell’Ottocento (fig. 1, C) e delle sue ma- nifatture di ‘stoviglie’, come vengono chiamate nella ter- minologia contemporanea. Questo non richiede i costosi biglietti che sarebbero imposti da ricerche nella massa dei materiali d’archivio d’età contemporanea; all’archeologo, infatti, può essere sufficiente sfogliare la Guida Manuale di Viareggio e dei dintorni del Michetti, nel 1893, per ri- spondere alle domande che i bolli gli hanno posto. «Vi- cino alle cateratte già mentovate altrove, sono pur due fabbriche di stoviglie, le quali impiegano circa 40 operai ciascuna», dichiara il Michetti (Michetti 1893, p. 91), lamentando peraltro l’esiguità del tessuto industriale del- la città, che ben altre possibilità potrebbe concedere. La carta di Viareggio annessa alla Guida (fig. 1, C) certifica la posizione strategica dei due impianti industriali, sim- metricamente fondati al termine del porto-canale, chiuso dalle cateratte, nei pressi della stazione ferroviaria, ed en- tro la cerchia daziaria di Viareggio: una collocazione che permette di far arrivare comodamente la “terra di Fran- cia” dal distretto di Vallauris, per via di mare, e redistribu- ire i manufatti anche grazie alle opportunità offerte dalla rete ferroviaria. Il confronto con una carta di Viareggio del 1850 2 circa fa risaltare le metamorfosi che la rivolu-

zione industriale ha determinato in una città a vocazione marittima, mercantile, e pronta a cogliere le occasioni del turismo: nuovi sistemi di comunicazione e impianti in- dustriali, pur in un paesaggio che è ancora quello delle bonifiche settecentesche e dei primi del secolo.

A riprova del rilievo delle fabbriche di stoviglie nella struttura sociale di Viareggio, nel Carnevale del 1887 i “laveggiai” – come verranno chiamati gli stovigliai di Viareggio ancora nel Novecento – partecipano con un “bancone con due torni a pedali e delle tinozze per l’im- pasto” (Belli 1998, pp. 78-79).

Come si deve ripetere e premettere, solo le ricerche d’archivio possono rispondere in maniera esauriente e motivata alle molte domande che l’archeologo si pone sulle ‘stoviglie’ di Viareggio della fine dell’Ottocento. Ma Google Libri ci mette comodamente a disposizione dati che lumeggiano almeno l’evidenza dai bolli da Lucca: nel primo decennio del Novecento sono registrate dal Corpo delle Miniere (per esempio Elenco 1913, p. 66, nn. 26- 28) tre fabbriche di “stoviglie ordinarie” in Viareggio: di