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LE EDIZIONI A STAMPA DEL 1794 E DEL

CAPITOLO III STORIA DEL TESTO

III.8 LE EDIZIONI A STAMPA DEL 1794 E DEL

Le due edizioni a stampa sono accumunate da varianti che evidentemente risalgono alle emendationes di Lorenzo Drudi, curatore della editio princeps. Il testo elaborato dall’erudito riminese era il risultato della collazione del codice F, testimoniante l’ultima fase redazionale, e del codice Pr1, appartenente invece alla prima redazione.

La versione testuale degli Astronomicon libri data alle stampe nel 1994 e curata da De Luca, a sua volta non segue il manoscritto riminese, il cui acquisto aveva

giustificato il volume, ma presenta piuttosto carattere divulgativo ed è basata su quella settecentesca, seppur non accolta in maniera acritica. Grazie anche al confronto, peraltro non sistematico, con il manoscritto Ri, St2, introduce interventi sul

testo laddove l’edizione Drudi, St1, presentava difficoltà nel significato dei versi o

palesi errori. Le innovazioni introdotte da De Luca, tuttavia, seppure proposte con estrema cautela, si rivelano spesso non corrette, poiché all’edizione manca il confronto sistematico con la tradizione manoscritta. Solo l’esame di tutti i codici, infatti, ha permesso di ricostruire il testo voluto dall’autore. Interventi apprezzabili dell’edizione, comunque, sono le modifiche relative all’«ammodernamento nella punteggiatura» e alla riduzione dell’«esuberante presenza di lettere maiuscole»104 rispetto all’editio princeps.

Nelle due stampe è possibile distinguere due tipologie di errori, quelli provenienti dalla sola tradizione e quelli dovuti alle arbitrarie innovazioni di Drudi. Di seguito si fornisce un elenco delle lectiones erronee in cui le due stampe divergono dal testo critico del poema e che corrispondono alla prima categoria di errori sopra descritta.105

LIBRO I: I 159 hinc: hunc; I 159 Ledeia: Laedeia; I 274 Casiope: Cassiope; I 405 in aure: aure; I 411 superiacet: super iacet; I 466 ad ora: ad oras; I 478 haec natas: haec notas; I 492 at: et; I 564 Pleadas: Pleiadas; I 565 at: et; I 566 in: inde; I 603 ac: at; I 629 creatis: creatus; I 640 quinque: quoque; I 670 dextera: dextra.

LIBRO II: II 53 Alcithoe: Alcyone; II 138 secula: saecula; II 159 condensent: condensant; II 171 ostendet: ostendit; II 182 aliis: alias; II 186 percinxerit: praecinxerit; II 204 Nanque: Nam; II 225 credant: credunt; II 227 usquam: usque; II 266 apparet: adparet; II 278 alias: aliis; II 285 longae: longe; II 345 facit: fecit; II 390 Hinc quoque: Hincquoque; II 398 iniqui: inique; II 445 fune: forte; II 450 relabitur: labitur; II 461 scaevis: saevis; II 466 Eu: Heu; II 494 britanicaque: britannicaque.

Queste sono le lectiones presenti solo nell’edizione Drudi del 1794:

LIBRO I: I 452 qui: quum; I 673 quam: quum; LIBRO II: II 58 procedere: praecedere; II 105 sumpta: sumta; II 138 consumpti: consumti; II 189 Quis: Queis; II 210 refer: reffert; II 257 precipue: precipuae.

104 DE LUCA, 1994, p. 7.

105 Le due edizioni normalizzano, secondo l’uso classico, le peculiarità grafiche proprie di Basinio. Si è scelto di non

riportare tali varianti grafiche presenti nelle stampe perché nei criteri di edizione e in questa nota si segnalano le forme basiniane differenti dall’usus classico.

Queste è l’unico errore presente solo nell’edizione De Luca:

LIBRO I: I 571 subsidet: subsidit.

La curatrice inoltre propone di emendare il nome Aequipedum a v. I 376 con Equi

pedum, sulla scorta dell’opera di Igino.

Merita un discorso più approfondito la seconda tipologia di errori, costituita da quelle varianti introdotte nelle stampe che sono assenti, o presenti solo in parte, nella restante tradizione manoscritta e che pertanto si devono attribuire alle congetture o agli errori commessi da Drudi. Si è gia detto che molte di queste emendationes sono accolte acriticamente nell’edizione De Luca. Esse sono:

- I 194: «ipsa Polus, quoniam est immobilis una vocatur»: in questo caso le edizioni riportano «ipsa Polus, quoniam est immobilis ipsa vocatur», dove la sostituzione di

una con il determinativo sembra essere dovuta ad un errore poiché costituisce una

palese ripetizione dello stesso pronome che è in inizio di verso (e non è nemmeno supportata da Igino, il cui testo, al passo III 1.2, riporta una).

- I 221 Megistò: Megista. Drudi accoglie in questo caso l’errore di Pr1,che come si è

detto in sede di descrizione dei manoscritti è uno dei due codici su cui operò la collazione per l’edizione da lui approntata. La lectio errata è trasmessa anche da St2.

- I 228 - 229 «altera stat laevi media pro parte lacerti; / quattuor in magni sunt sydera pelle leonis». Nelle stampe, i vv. 228 – 229 sono uniti in un unico verso «altera stat laevi media pro parte leonis», con conseguente omissione del v. 229. L’errore è sicuramente ascrivibile a Drudi poiché tutta la tradizione concorda nel trasmettere i due versi come separati. Il verso 229, pertanto, non figura in St1 e St2 provocando da

questo punto in poi una scorretta numerazione dei versi.

- I 253-255: sono i versi già analizzati della costellazione del Cigno e della sua levata o tramonto. Drudi li conserva nel testo della stampa perché li legge nel manoscritto

Pr1 su cui il suo testo è basato. Dei due codici utilizzati per l’edizione settecentesca,

infatti, Pr1 e F, solo il primo reca la successione errata degli esametri, mentre quello

trasmette. Drudi avrà provveduto a reintegrare il testo poiché avrà probabilmente ipotizzato che l’omissione dei vv. 253-255 fosse avvenuta in F per un errore di copiatura e non per una scelta deliberata dell’autore. Anche De Luca li accoglie nell’edizione, pur rilevando la divergenza e la scorrettezza rispetto alla fonte iginiana.106

- I 257-260: le stampe tramandano la prima redazione della descrizione della costellazione di Cefeo, perché Drudi ha scelto ancora una volta di seguire il testo di

Pr1 e non quello di F, che tramanda le correzioni di Basinio agli errori del passo.

Manca pertanto il v. 258: «post Arcton gelida semper regione minorem»; mentre al v. 259 è presente la lectio errata vertice al posto del giusto pectore.

- I 263 tollit ad auras: tollit ad oras. Quest’ultima è la variante accolta nelle due edizioni a stampa, corrispondente alla lezione tramandata dal codice Pr1 e dai codici

della prima fase redazionale.

- I 277 circum qui ducitur orbis: circum quem ducitur orbis: è emendazione proposta da Drudi e accolta in St2 forse intendendo circum quale preposizione. Allo stesso

modo al v. 400 le stampe presentano quum, al posto del tradito quia. Anche in questo caso è da ipotizzare un intervento di Drudi.

Ancora determinata da una sostanziale fedeltà al testo tradito dal codice Pr1 è la

lacuna, in entrambe le edizioni, del verso 556, «quattuor est armo, cauda sed cernitur una», nella descrizione delle stelle che compongono la costellazione dell’Ariete. Al v. I 597 le due edizioni a stampa presentano la forma ad occasum in luogo del basiniano ad occasus, tramandato in tutti testimoni, poiché l’editore Drudi avrà

106 Scrive DE LUCA, a pag. 40 nella nota di commento dei vv. 253-255: «Arato (Fenomeni, vv. 596-600) e Igino (cit.)

dicono esattamente il contrario (quando la Vergine sorge, il Cigno tramonta e quando il Cancro tramonta il Cigno sorge), offrendoci indicazioni pienamente corrispondenti ai dati dell’osservazione. Allo stato attuale delle conoscenze

non è possibile stabilire quale sia l’origine dell’errore di Basinio». Sennonché anche la stessa curatrice commette un

errore fondamentale e scrive delle imprecisioni nel suo commento, forse non controllando direttamente le fonti. Questo perché, come già detto, sia Igino che Arato dicono che la costellazione del Cigno tramonta al sorgere della Vergine e delle Chele sì, ma non del Cancro, ma dello Scorpione, ossia al sorgere della costellazione della Bilancia la quale, nel testo arateo, non è distinta dallo Scorpione. E nessuna delle due fonti parla del Cancro che tramonta quando il Cigno sorge. Entrambe infatti riportano che la costellazione del Capricorno, e non il Cancro, sorge insieme al sorgere del Cigno.

emendato la lezione considerandola quale errore d’autore. («Spectat ad occasus violenti forma Leonis»). L’emendazione non può essere accolta perché la forma al plurale (sottinteso Solis) è attestata nella poesia latina per indicare le regioni occidentali del mondo (così in Ov. Pont. I, 4.29; Lucan. VI, 36, IX 421, X 39, X 276).

Come dimostra la collazione di tutti i testimoni manoscritti, pertanto, molte delle congetture proposte dalle due edizioni a stampa si rivelano erronee o parziali. I luoghi in cui le due edizioni a stampa divergono dalla tradizione manoscritta sono segnalati nell’apparato critico che segue il testo.