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LA QUARTA E ULTIMA FASE REDAZIONALE

CAPITOLO III STORIA DEL TESTO

III.5 LA QUARTA E ULTIMA FASE REDAZIONALE

L’analisi svolta fino a questo punto ha rivelato che, in un certo momento della sua revisione testuale degli Astronomicon libri, Basinio ha eletto come codice di lavoro il manoscritto Pr3. L’autografo C, pertanto, pur soggetto ad un parziale processo di

correzione corrispondente solo ad alcuni loci critici, viene ad un certo punto abbandonato allo stadio di una provvisoria revisione testuale, mai portata a termine. Per questo motivo, probabilmente, esso trasmette errori che avrebbero facilmente potuto essere emendati e, soprattutto, presenta le annotazioni in greco che lo contraddistinguono solo nelle prime carte.

Una volta stabilito, sulla base dai dati presenti in Pr3, che Basinio è intervenuto sul

suo codice in più momenti, testimoniati dalle diverse stratificazioni delle correzioni, si può passare ad analizzare attraverso quali interventi si sia arrivati alla forma definitiva degli Astronomicon libri, già definita Pr32.

Nel capitolo precedente si sono analizzati gli interventi introdotti in Pr31 in

relazione ai testimoni manoscritti che tramandano la terza fase redazionale, C e Ri. L’esame condotto in questo paragrafo prende pertanto le mosse dall’analisi delle lezioni introdotte solo in Pr32, ricostruite in base alla loro presenza nei codici

testimonianti l’ultima fase redazionale: Pr2 F O e V. All’interno di questo piccolo

manipolo di codici acquista molta importanza il testimone Pr2, terminato nella sua

esemplazione da Pietro Mario Bartolelli nel 1458, dopo la morte di Basinio. Come si è già avuto modo di dire, il codice segue da vicino gli interventi innovativi che Basinio introduce in in Pr32, fino a riprodurne anche le lezioni in margine o in

interlinea. Non è da escludersi, pertanto, che l’inizio della realizzazione del codice

Pr2 possa datarsi precedentemente al decesso di Basinio, di cui il Bartolelli avrebbe

seguito almeno in un primo momento le indicazioni.93

I dati raccolti dalla collazione mostrano comunque che la presenza degli interventi innovativi di Basino in Pr32 è molto esigua e si limita soltanto a due lezioni, di cui

solo una veramente significativa. Tale intervento, importante ai fini della classificazione stemmatica, è presente al verso I 281, dove l’esametro «Nascitur obliqua cum surgit Aquarius urna» è introdotto in Pr32 sopra il verso al posto di «Nec

minus haemonias semper videt orta sagittas», presente in M Pa Pr1 Ra Ro L C Ri e

Pr31. Il motivo della variante introdotta sembra da attribuirsi alla volontà di Basinio

di seguire in questo punto non il testo di Igino ma un’altra fonte, probabilmente, come mi è parso di constatare, Manilio. In Igino astr. III 9, infatti, si dice che Cassiopea si leva al sorgere del Sagittario («exoriri autem cum Sagittario»), che è esattamente quanto affermato nella lezione primitiva di Basinio, che indica la costellazione con l’espressione ‘saette emonie’ (giustificata dall’identificazione mitica della costellazione col centauro tessalo Chirone). Una probabile fonte della variazione introdotta in Pr32, in cui si dice che Cassiopea nasce al sorgere

dell’Acquario dall’urna obliqua, si trova negli Astronomica maniliani, unica opera a ricordare la levata della costellazione con l’Acquario. In Manil. V 504-505, infatti, all’interno di un pronostico celeste, si legge che quando Cassiopea risorge al ventesimo grado dell’Acquario dalla sua parte destra, nasceranno grandi orafi.94 Ma, come si può vedere dal confronto delle due opere, l’indicazione fornita da Basinio non è propriamente la stessa.

Troviamo invece il secondo intervento al v. 562 del I libro. Nell’esametro «quippe pedem Aurigae cornu petit ipse sinistro», il poeta sta descrivendo la posizione del corno sinistro del Toro che tocca il piede dell’Auriga. A partire Pr32, però, Basinio

inserisce sopra il rigo l’indicazione laevum tra quippe e pedem, significando pertanto che il corno del Toro tocca il piede sinistro dell’Auriga. L’indicazione è da ascriversi alla fase Pr32 perché l’inserzione dell’indicazione interlineare del piede sinistro non

compare né in C né in Ri. In questo caso, l’informazione è scorretta sia dal punto di

vista della precisione astronomica sia da quello prosodico. Secondo Igino, infatti, è il piede destro dell’Auriga, e non quello sinistro, a essere congiunto con il corno sinistro del Toro.95 Quella introdotta da Basinio nei versi, comunque, indipendentemente dal significato astronomico, deve essere considerata probabilmente come una glossa e non una variante, poiché è impossibile che Basinio non si accorgesse che l’inserzione del termine introducesse nel testo una ipermetria così vistosa. Nel trascrivere il codice Pr2, infatti, Bartolelli ha copiato anch’esso la

voce ma l’ha posta in maniera identica in interlinea al testo, probabilmente poiché si è accorto che essa era da considerarsi quale un’annotazione basiniana. Il codice O, invece, interpretando l’inserzione interlineare come una parte del verso, introduce l’aggettivo laevum direttamente nel corpo del testo. In V e F, tuttavia, esso non compare, probabilmente perché i due copisti avranno correttamente considerato l’aggiunta interlineare come una nota fuori dal testo. Vi è però, significativamente, un altro codice, non appartenente alla quarta fase redazionale, che riporta l’indicazione del piede sinistro dell’Auriga. Esso è il codice B il quale tramanda direttamente nel testo «quippe pedem laevum». Dato che B condivide con la quarta fase redazionale questa unica variante, e considerato che il verso nel codice è riportato in maniera identica, è quasi sicuramente da escludersi che il copista, nel momento della realizzazione del codice, abbia introdotto la lezione nel testo attraverso la collazione con uno dei codici provenienti dall’ultima fase scrittoria. È plausibile, invece, vista la peculiare posizione di B il quale tramanda delle varianti che sembrano assolutamente d’autore, che laevum sia l’ennesima variante probabilmente dovuta a Basinio, testimoniata dal codice bolognese.

Oltre a questi interventi sul testo, rilevanti per chiarire le relazioni dei codici della quarta fase scrittoria, Pr32 tramanda una serie di innovazioni peculiari riguardo alle

quali converrà spendere qualche parola, poiché esse sono illuminanti per comprendere i processi attraverso cui si sviluppa la scrittura basiniana. A I 220,

dunque, con una procedura assai familiare nelle opere del Parmense,96 Pr32 introduce

sul nome Cetea, e addirittura nel corpo dei versi, la traslitterazione greca corrispondente: Κητήα. Basinio infatti cancella la grafia latina riscrivendo sopra la forma greca. L’innovazione è puntualmente registrata da Bartolelli in Pr2, il quale

però riporta la traslitterazione greca non nel corpo dei versi, come Basinio, ma in margine al foglio. A I 221 l’autografo parmense accenta il nome Megistò perché questa forma è l’esatta traslitterazione della grafia greca Μεγιστώ. La fonte di Basinio, tuttavia, che in questo caso è Igino, non ricorre alla traslitterazione greca ma ne riporta la grafia latina Megisto (accolta anche dalla maggior parte dei codici degli

Astronomicon libri).97 Manca per il verso in questione, per la caduta di un foglio, il confronto con l’autografo C, ma la testimonianza di Ri, il quale tramanda la forma accentata, ci rassicura che tale grafia era proprio quella preferita da Basinio (la forma accentata è testimoniata anche in F).

In margine ai vv. I 224-225, in cui si parla della posizione della costellazione di

Engonasin, Basinio inserisce una glossa che sembra essere quasi un appunto

destinato a future utilizzazioni: «Nascitur hic cum extremis piscibus». Che l’indicazione sia una possibile nota da sviluppare in futuro sembra essere provato dal fatto che, caso quasi unico nel poema, per questa costellazione Basinio non ci offre le indicazioni della levata e del tramonto.

Il testo di Pr32,dunque, si caratterizza per pochissimi interventi innovativi rispetto

alla prima fase di correzione Pr31. Queste innovazioni, seppure minime, danno

origine all’ultima fase redazionale, la quarta. Poiché quest’ultima fase sembra essere tramandata anche dai codici Pr2 F O e V, è necessario indagare quali rapporti legano

questi testimoni fra loro e quali elementi hanno in comune con il loro archetipo. Poiché si è già detto e dimostrato negli esempi sopra riportati, che il codice Pr2,

copiato da Pietro Mario Bartolelli, accoglie nel testo tutte le varianti e le indicazioni grafiche presenti nell’autografo parmense, rivelandosi quasi ‘copia fotografica’,

96 Cfr. COPPINI, Un epillio, p. 322.

converrà cominciare da quest’ultimo. Le innovazioni introdotte dall’autografo parmense sono talvolta accolte da Bartolelli mediante qualche modifica. È il caso, ad esempio, del nome Κητήα introdotto in Pr32 nel corpo del testo, e in Pr2 solo in

margine. Al verso I 224, invece, la volontà basiniana è accolta senza variazioni poiché la nota «nascitur hic cum extremis piscibus», presente in margine in Pr32, è

trasmessa da Bartolelli nella stessa esatta collocazione. Al v. 562, come già visto, il copista segue le indicazioni scrittorie contenute nell’autografo parmense poiché, come Basinio, egli inserisce sopra il termine pedem, l’indicazione laevum.

La discendenza di Pr2 dall’autografo parmensecolto nel momento in cui, in seguito

alle correzioni di Basinio, ha raggiunto la facies Pr32 è evidente. Non sussistono nel

codice, infatti, errori separativi tali da postulare la discendenza da un ulteriore subarchetipo. Le lezioni proprie di Pr2, infatti, sono pochissime e tutte facilmente

emendabili per congettura. Esse sono:

LIBRO I: I 283 scilicet: silicet; I 639 duplicata: dupicata. LIBRO II: II 8 add. in mg.; II 205 commune: commue; II 361 Camcrumque [trascrive la lectio errata anche in Pr3, camcrumque].

L’elenco mostra come i veri e propri errori siano tre, dovuti probabilmente a distrazione, e che qualsiasi copista avrebbe potuto correggerli ope ingenii. Significativa avrebbe potuto rivelarsi l’omissione del verso 8 del II libro. I dati in nostro possesso rivelano tuttavia che Bartolelli deve essersi accorto quasi subito dell’omissione e ha provveduto a trascrivere in margine il verso omesso. La dimostrazione è data dal fatto che il verso 8 compare regolarmente nel corpo dei versi nei codici O e V, i quali sembrano essere derivati da Pr2. Passiamo quindi ad

analizzare questa ultima asserzione, chiarendo quali sono i legami che O e V hanno con Pr2. La presenza di una serie assai nutrita di errori congiuntivi che lega O e V al

manoscritto parmense esemplato da Bartolelli permette di stabilire una comune derivazione di questi da Pr2. Tali errori, come si vedrà, sono particolarmente

risolutivi anche per escludere rapporti di discendenza fra i tre codici e F, l’altro testimone che tramanda l’ultima fase redazionale.

Di seguito si fornisce l’elenco delle lezioni erronee che accomunano Pr2 O e V:

LIBRO I: I 8 mecum: meum; I 96 caecae: caetae; I 115 permeet: premet Pr2, premat O, premeret V ;

I 242 et om.; I 243 mutorum: multorum; I 309 curvam quae: curvamque; I 339 suffixit: suffinxit (suffinsit O); I 340 Triptolemum: Triptolomum; I 371 fugientia: fulgentia; I 378 unum: unam; I 415 rabido: radio; I 519 tendens: tenens; I 542 potat: portat; I 594 ast: at; I 636 corpore: corpora; I 698 Nodum: Notum.

LIBRO II: II 20 Gradivuus: Gradius; II 74 Hunc: Nunc; II 138 credebat: credebant; II 258 essent: esset; II 280 propius: proprius; II 362 aethera: aetherea; II 402 At: A; II 436 ducis: dulcis.

L’evidenza di tali lezioni accomunanti è manifesta. Merita di essere discussa la lezione multorum presente in luogo di mutorum al verso 243 del I libro. Nel verso in esame Basinio, attraverso un interrogativo, riferisce lo stupore per il fatto che talvolta anche gli dei hanno assunto le sembianze delle creature mute, cioè degli animali («Superos quis crederet unquam / mutorum varias aliquando habuisse figuras?»). In

Pr2 però, il copista Bartolelli, forse suggestionato dal propinquo varias, inserisce

sopra il rigo una l tra la u e la t del termine mutorum, trasformando la lezione nell’erroneo multorum. Angelo Aquilano, copista del codice O, accoglie nel testimone l’inserzione di Bartolelli, mantenendo però prudentemente la l sopra il rigo tra la u e la t. Meno prudentemente, nel testimone V, manoscritto assai caratterizzato da errori, la l viene inserita nel corpo della parola, per cui si legge direttamente a testo

multorum.

A I 558, ancora, al posto della lezione at Europae, in tutti e tre i codici compaiono lezioni errate, anche se testimonianti soluzioni diverse. Troviamo infatti ab Europae in Pr2 (il quale tuttavia corregge la lezione in seguito), ac Europae inserito sopra il

rigo in O, e et Europe tramandato da V.

Pr2 O e V sono inoltre caratterizzati da un piccolo numero di varianti di cui solo la

prima assume valore risolutivo, mentre le altre dipendono da oscillazione grafica. Esse sono:

Libro I: I 284 in femine: in femore; I 348 in dextro: indextro (i dextro V); I 364 in media: inmedia (i media V); I 383 de corpore: decorpore; I 451 in pedibus: inpedibus; I 654 in pectore: inpectore, i pectore V;

Solo la variante femore si caratterizza per la sua adiaforia, poiché la voce femur è variante più diffusa per indicare il ‘femore’, rispetto a quella più arcaica e aulica scelta da Basinio. Essa, tuttavia, sarà da considerarsi quale errore ascrivibile a Bartolelli e non come variante d’autore di Basinio.

Risulta evidente dai dati appena esposti che O e V non solo discendono da Pr2 ma,

condividendone tutti gli errori, si possono classificare come descripti. Oltre agli errori condivisi con Pr2, la presenza di lezioni erronee singolari, proprie di ciascun

codice contribuisce a escludere che O o V possano costituire i modelli da cui discende

Pr2. È da rigettare, ancora, la tesi che O e V possano derivare l’uno dall’altro poiché

oltre al gran numero di errori che li caratterizza singolarmente, essi sono accomunati solo da pochissime lezioni erronee, non condivise da Pr2:

I 372 Aquilae: Aquile O Aquille V I 392 incurvuum: incurrum O, i currum V

I 460 nomine, quae: nomineque O, nomine quam V I 644 tela: thela O tella V

II 208 gelidaeque: gellidaeque; II 448 exhausta: ex austa Pr1 O V.

II 481 toleramus: tolleramus M O V

Come si vede dall’elenco, gli errori sono poco significativi dal punto di vista della ricostruzione stemmatica, e il fatto che in alcuni casi siano condivisi da altri testimoni appartenenti ad altre famiglie rafforza l’idea che essi siano di natura poligenetica. Come ulteriore conferma della comune discendenza dei due testimoni dal codice

Pr2, si deve ricordare quanto già affermato in sede di descrizione dei testimoni della

tradizione manoscritta. Sia O che V, infatti, pur presentando un apparato illustrativo particolarmente curato nel disegno e nella realizzazione coloristica, trasmettono nelle didascalie che completano le figure, tutti gli errori di attribuzione che caratterizzano l’exemplar parmense.98 Per limitarsi a qualche occorrenza, tutti e tre i codici, definiscono erroneamente Cassiopea «coniunx regia Persei» invece che di Cefeo,

98 L’evidenza e la grossolanità di tali errori di attribuzione, induce a far pensare che almeno l’apparato iconografico del

codice Pr2 sia stato approntato da un illustratore non esperto in materia astronomica e comunque senza la supervisione

mentre Ofiuco è identificato con Triptolumus / Trittolemo e non con Carnabonta, il re dei Geti che, secondo il mito, tenta di ucciderlo. Ancora, la Balena, il cui nome latino è Pistrix, è caratterizzata dalla didascalia Pistris Delphin poiché, chi ha vergato la didascalia in Pr2 ha preso come punto di riferimento il verso I 414 dove Basinio

accosta la bestia celeste alla vicina costellazione del Delfino («Pistris Delphinum caudas commissa ferino»).99

Dopo l’esame degli errori comuni ai tre testimoni passiamo ora ad analizzare gli errori propri di O e V, la cui presenza permette di escludere la reciproca derivazione: Il codice O, trascritto da Angelo Aquilano, si caratterizza per un nutrito elenco di lezioni erronee singolari:

LIBRO I: I 18 meditatus: meditus; I 71 ordine quae: ordineque; I 82 Boreaeque: Borreaeque; I 139 Boreas: Borreas; I 176 tum: cum; I 178 summo dicemus: dicemus summo sed corr.; I 187 Anguis: Aguis; I 189 pede: pedem; I 191 geminae: gemini; I 211 forte: force; I 216 Herculis: Hercules; I 219 infestae minitantia: infaeste minitantiae (e corr. et exp.); I 231 femori: phaemori; I 232 lyra quae: liraque; I 244 Cygni: cyngni; I 252 aestifer: astifer; I 253 Cephei: Caaephei; I 274 inverso: in verso; I 292 vellere: vellera; I 295 cubito: cupito; I 297 femori: foemori; I 299 summo: sumbo; I 302 crus: crux; I 314 sura: suras; I 327 singula sub cubito: sigula sub cupido; I 345 laevo: levo; I 367 Sagittam: sagitta; I 386 leone: leonem; I 398 e I 402 caput: capud; I 420 Eridanus: Erigidanus; I 430 e spacio: ex spatio; I 433 venere: ventre; I 441 insigne: insignae; I 486 Rhodon: Rothon; I 489 herculeae; aerchuleae; I 501 ingenti: ingeti; I 502 equinae: aequinae; I 530 tenet: tenent; I 569 his: is; I 579 frater: fratrer; I 605 pectore: pectorae; I 616 membra: mebra; I 617 Stella: Tsella; I 638 chelis erectus: cheli ereptus; I 639 chelae: chela; I 670 Equi: aequi; I 674 membra: mebra; 681 ut: et; I 682 uni: unium; I 683 Boreae: Borrae; Boreus: Borreus; I 689 equina: aequina; I 695 Piscis quae: piscisque.

LIBRO II: II 8 incurvuum: incurim; II 11 silebo: sillebo; II 29 germanum: germanu; II 49 Hyadas: Adas; II 52 Celaeno: Caelaeno; II 62 extremam: extrema; II 68 discurrunt: disscurrunt; II 70 a Borea; ab orrea; II 76 Mercurium quanvis Stilbonta: Mercurius quamvis tilbonta; II 77 scintillas: scintillans; II 109 His hominum vitis: Hiis hominum vitiis; II 139 aethereo: aethaereo; II 142 ratione: rationi; II 151 in nubem: innubem; II 154 infringet: infringit; II 162 Boreas: Borreas; II 164 ventus: ventis; II 166 demittet ab atro: demictet ab antro; II 204 Peroecorum: Perroecorum; II 219 benigna: benigni; II 222 quam: quas; II 223 suis: om.; II 240 umbra: ubra; II 261 oculis: occulis; II 263 parte: parete; II 290 curribus: corribus; II 298 tot: om.; II 301 depressa: deprexat; II 320 siccae: siccat; II 340 in Boream: inborrea; II 347 linquit: linquid; II 357 Aquarius: Aequarius; II 376 inter medium: intermedius; II 410 nutriris cuncta: notriris cunta; II 449 gallicaque: galligaque; II 454 primus: primis; II 474 Boreamque: Borreamque; II 494 Pannoniosque: Panndoniosque.100

99 Per l’elenco completo delle didascalie errate cfr. il capitolo II pp. 57-58.

100 Si riportano in questa nota gli errori di natura del tutto casuale e poligenetica, che O condivide con i testimoni delle

altre fasi redazionali. Data la natura di descriptus di O, tali errori non sono presenti in apparato al testo. LIBRO I: I 67 tum: dum M O; I 211 forte: om. Pa, force O; I 250 aestiferum: aexstiferum L O, astriferum M; I 314 sura: surra B, suras

O; I 389 fulmina: flumina Ro O; I 391 margine:marginae Ro, marginie O; I 622 occultarat: occultabat M, ocultaret Pa,

Tra gli errori presenti nell’elenco, alcuni sono di natura particolarmente significativa, come ad esempio le frequenti corruzioni dei termini mitologici e astronomici. Le particolari grafie adoperate in tutto il testo dal copista per rendere alcuni di questi nomi, inoltre, sono spesso erronee perché causano problemi prosodici. Quasi sempre scorretta dal punto di vista prosodico, ad esempio, è la forma «Borrea» con raddoppiamento della consonante. Esempi di analoghi errori prosodici si incontrano in I 345; I 372; I 441; I 502; I 683; II 52; II 139; II 208; II 261; II 474; II 481.

Il testimone O presenta anche guasti meccanici che invertono o modificano

l’andamento dei versi. A I 155-156, infatti, i due versi «Signiferum decuit, quod clara et maxima signa / verteret, incubuit magno per sydera tractu» sono fusi in un unico esametro. La versione tramandata da O presenta «Singniferum (sic) decuit magno per sydera tractu», con conseguente omissione del verso 156. Il verso 170 «et semel ad cancrum capricorno venit ab imo», è invece aggiunto a margine del testo. La stessa situazione si verifica al v. I 232, dove sempre in margine troviamo «altera crure micat, pede et altera. Maxima post hunc». Un’ulteriore attestazione significativa della fusione dei due versi in uno è trasmessa ai versi 343-344 del I libro. L’errore è però corretto nel testo dallo stesso Aquilano, che vi rimedia trascrivendo le parti mancanti nel margine inferiore del foglio, e ristabilisce l’ordine giusto dei versi mediante l’utilizzo di letterine.

Pa, cedatque M, cedunt quae L, cedatque O; II 204 Peroecorum: pequorum del. et corr. M, Peroerorum Pr1

Perroecorum O; II 236 quidam: quidnam Pr1, quid nam Ra, quidem O; II 293 hesperias: heperias Pa, experias O; II 353

contigit: contingit Pa O; II 448 exhausta: ex austa Pr1 O V. Il codice O è caratterizzato altresì da correzioni e da lezioni

singolari poco significative, acrivibili a diverse cause. Per ragioni di completezza se ne fornisce in questa sede l’elenco: LIBRO I: I 169 a cancro: ad cancrum ras. a cancra in ras; I 184 caput: capud; ; I 188 sed: set; I 212 Arctophylax: Arcthophilax, h add. sup. lin.; I 217 Draconis: Dragonis; I 443 singula: sigula; I 448 cubito: cupido; I 581 cubito:

cupido; I 676 cubito: cupido; I 678 singula: sigula; I 689 Signifero: Singnifero; LIBRO II: II 37 pignora: pingnora; II 133 Tempore: add. int. lin; II 167 igneus: ingeus; II 93 in Icaria: inicaria; II 132 Signiferi: Singniferi; II 241 passa: paxa; II 251 apud: aput; II 316 sed: set; II 368 orbita: orbida; II 400 sexsta: sestam sed corr.; II 442 irrita: irrida; II 447 summo: signo sed corr.

Dall’esame delle peculiarità proprie di O è possibile quindi stabilire che il codice non può costituire l’exemplar di V. Chiarita la posizione di O sarà necessario indagare se fra quest’ultimo codice e V possono esistere ulteriori rapporti, ossia se V non possa considerarsi exemplar di O. Anche in questo caso, la presenza di errori propri singolari connotanti il testimone permette di escludere tale ipotesi. Il codice di Venezia, inoltre, è quello fra i tre che presenta più errori.101 Di seguito se ne fornisce