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SECONDA FASE REDAZIONALE: I MANOSCRITTI L E B

CAPITOLO III STORIA DEL TESTO

III.3 SECONDA FASE REDAZIONALE: I MANOSCRITTI L E B

I dati evidenziati fino ad ora, utili per ricostruire una prima fase redazionale, hanno altresì permesso di rilevare che i codici L e B, pur presentando alcune caratteristiche testuali simili a M Pa Pr1 Ra e Ro, se ne distaccano in alcuni punti. B e L, infatti,

tramandano alcune varianti e innovazioni testuali che permettono di collocarli in una fase successiva di scrittura degli Astronomicon libri, che sarà definita fin da ora come ‘seconda fase redazionale’.

Prima di passare ad esaminare le relazioni fra i due testimoni sarà utile riassumere i dati già analizzati che permettono di stabilire l’appartenenza di L e B alla seconda fase redazionale. Come già visto i due codici inseriscono il verso 555 «quattuor ast armo, cauda sed cernitur una» riguardante le stelle dell’Ariete. L’innovazione sarà

tramandata dai manoscritti delle successive fasi redazionali. Essi, ancora, introducono un esametro nel mezzo dei versi 660-661 «praeceps gelidas cadit amnis ad undas / Oceani» per indicare il tramonto del Capricorno. L, tuttavia, mantiene l’indicazione

summis riguardante le narici della bestia celeste (v. 661), mentre in B essa è corretta

in simis. Il dato costituisce la prima differenza fra i due testimoni e, poiché la lezione

simis è in seguito mantenuta nelle successive fasi redazionali si può per ora ipotizzare

che in B siano state introdotte alcune correzioni dopo la fase di esemplazione, correzioni che non hanno interessato L. Quest’ultimo codice, ancora, inserisce il verso 258 «post Arcton gelida semper regione minorem» per indicare la posizione di Cefeo, e corregge l’informazione errata presente nella prima redazione, vertice, con il corretto pectore (seguendo il De astronomia di Igino). La caduta di una carta in B non permette di verificare se l’innovazione sia stata introdotta anche in questo; viste però le coincidenze tra i due codici si può supporre che tale introduzione fosse molto probabile.

A partire dai due codici, ancora, Basinio introduce nel testo una serie di varianti, che si possono agevolmente definire d’autore perché presenti nei due autografi C e

Pr3, che verranno poi mantenute nelle successive fasi redazionali. Esse sono:

- I 173 «vel sursum Phaethon fugit vel forte deorsum», in luogo di fronte tramandato dai codici della prima fase redazionale.

- I 615 includit in luogo di immergit.

L, inoltre, presenta a I 263 auras in luogo di oras. La caduta di una carta in B non permette di verificare se l’innovazione fosse stata introdotta anche lì. È invece importante rilevare, per ipotizzare una comune origine di L e B, che nei due manoscritti risulta corretto in multum l’erroneo multa, forma che caratterizza tutti i codici della prima fase redazionale derivati da α.

L’esame fin qui condotto porta a ritenere che entrambi i codici discendano da un testimone comune in cui Basinio ha introdotto le varianti sopra descritte e corretto gli errori della prima fase redazionale (come dimostra l’esempio di multa). Per ora sarà sufficiente ipotizzare questo manoscritto comune, testimoniante la seconda fase

redazionale, che sarà denominato α2, la cui esistenza, come si vedrà, è confermata da alcuni errori di tradizione.

Nonostante le varianti introdotte e la correzione di alcuni errori, B e L trasmettono delle lezioni in comune con i codici della prima fase redazionale, che permettono di collocarli in una posizione intermedia fra questi e i codici testimonianti la terza fase

C Ri e Pr3. Come si è già visto, essi, in comune con M Pa Pr1 Ra e Ro, tramandano ai

versi 253-255 il doppio errore relativo alla levata e al tramonto del Cigno, nonché l’indicazione scorretta brachia Cancri. Dall’esame dei rapporti fra i testimoni, risulta che B e L condividono entrambi con M Pa Pr1 Ra e Ro le seguenti varianti:

- Al II 25, compare la variante tenens in luogo di «dimidiumque terens tenuatis cornibus orbem», tramessa dai codici delle fasi redazionali successive (C Ri Pr3 Pr2 O

V F). Entrambe le lezioni sono accettabili in riferimento alla Luna, che può consumare (terens) o raggiungere (tenens) la metà della sua sfera con i corni assottigliati. La ragione della variante andrà ricercata nel contesto in cui compare poiché il verbo teneo è adoperato anche al verso successivo (v. 26):

dimidiumque terens tenuatis cornibus orbem occultum, geminis tenet intempesta diebus.

Lavorando alla revisione del suo testo, pertanto, Basinio per evitare la ripetizione del verbo, avrà introdotto la variante, la quale tra l’altro si rivela particolarmente felice. Il verbo tero, infatti, è verbo comune nella poesia astronomica per indicare il logorio causato dall’incessante corso degli elementi astronomici.68 In questo caso, tuttavia, non si può escludere che tenens possa essere un errore di copia, come si è supposto anche per altre varianti che ci sembrano d’autore. In effetti, la presenza di queste lezioni nel corso della trattazione potrebbe essere ascritta a errori meccanici dovuti al processo di copiatura. Quello che però fa ipotizzare che siano varianti d’autore è la

sistematicità e la presenza compatta di tali lezioni nei manoscritti appartenenti alle diverse fase redazionali. Per tali caratteristiche, dunque, si propende nel considerarli varianti dovute a Basinio.

- meno rilevante è la lezione presente a II 32, in cui tutti i codici della prima fase redazionale e B e L presentano: «Phaëthon sacra dum se abluit unda», al posto del definitivo «Phaëthon sacra cum se abluit unda». Come si vede dal contesto le due varianti sono entrambe plausibili e pertanto la scelta finale di Basinio sul cum modifica in maniera non significativa il senso del verso.

Fino a questo momento si sono descritte le lezioni comuni tra B e L e i codici della prima fase redazionale. Prima di procedere all’analisi delle possibili relazioni tra queste due fasi redazionali sarà utile determinare quali sono i legami che sussistono tra B e L. Oltre alle prerogative e alle varianti sopra descritte, i due codici sono accumunati da uno sparuto gruppo di errori di tradizione comuni, che fanno ipotizzare una comune origine. Essi sono:

I 40 e: est; I 115 ut permeet: ut promeet B, at promeet L; I 404 ut: et; II 350 vellera: velera.

Come si vede dalla lista, l’elenco delle lezioni permette di individuare come errore certo solo promeet, voce inesistente, in luogo di permeet (I 115). A consolidare l’ipotetico legame tra i due manoscritti, ancora, vi è un’unica variante condivisa a I 422 dove, in luogo di surgentibus è tramandato nascentibus. Il fatto che tale lezione compaia solo in B e L autorizza a credere che essa derivi dall’archetipo α2, che tramandava una variante probabilmente d’autore, poi non accolta nelle successive fasi redazionali. Le altre lezioni condivise dai due codici, invece, non si possono considerare propriamente quali errori e anzi, ad una prima osservazione, possono sembrare vere e proprie varianti.69 Tale è il caso del verso I 404 dove et è tramandato al posto di ut. Basinio sta descrivendo le stelle che compongono la costellazione del Delfino. Se prendiamo però in esame i versi in cui la lezione compare (vv. 404-405):

Naribus huic duo sunt; duo sunt in vertice, ut unum fronte sit in media, sit in aure sed altera stella

si vede che solo la forma ut può essere plausibile all’interno del testo, poiché essa è legata al congiuntivo sit. La voce et, dunque, è sicuramente da considerarsi quale errore.

Un discorso più approfondito merita l’altra lezione che può essere scambiata quale variante al v. 40 del I libro. I codici B e L trasmettono est spatio in luogo di e spacio tramandato da tutti i restanti testimoni. Se consideriamo i versi dove la lezione appare possiamo constatare che essa può sembrare plausibile dal punto di vista prosodico e del significato (vv. 39-40):

non dextra rebus fas est, non ire sinistra; non medio espaciomotus

Basinio sta descrivendo il vuoto che sussiste al di là dello spazio, sulla base del testo di Cleomede (Cleom. I I.9). Proprio il contenuto filosofico dei versi e il raffronto con la fonte può fornire indicazioni utili per interpretare l’errore. Cleomede afferma infatti che il vuoto non è caratterizzato da alcuna direzione poiché queste ultime sono valide solo rispetto ai corpi. Allo stesso modo Basinio indica che nel vuoto non è concesso andare a destra e a sinistra e che non vi è movimento al di fuori dello spazio centrale («non medio e spacio motus»), occupato appunto dalla terra e dai cieli. Alla luce del concetto espresso in questi versi, si può considerare erronea la voce est riportata da B e L perché accogliendola («non medio est spacio motus»), la frase verrebbe a significare esattamente il contrario, cioè che non vi è movimento nello spazio centrale occupato dall’universo.

Gli errori comuni a L e B, dunque, sono pochissimi e solo due sono potenzialmente significativi (promeet e est). Anche questi ultimi però potrebbero avere una origine poligenetica, quindi non è possibile postulare con certezza l’esistenza di un ulteriore codice, un ipotetico δ, disceso da α2, come subarchetipo comune a B e L. Tale codice sarebbe stato caratterizzato, oltre che dai pochissimi errori sopra riportati, dalla

variante nascentibus (I 422). Nulla vieta di ipotizzare, tuttavia, che quest’ultima lezione, potesse essere presente già in α2.

A complicare le cose interviene un errore comune a B e L e ai codici del gruppo β che potrebbe portare a ipotizzare una derivazione dei due testimoni da un ramo di β. Al v. 343 del II libro, infatti, in luogo di cum texere ritroviamo contexere in M Pa L

B, e cum contexere in Pr1 Ra. Per una più chiara comprensione, gioverà riportare il

contesto in cui compare il verbo errato (vv. 343-344):

incipit a nobis tardum cum texere girum. cum fugit a nobis Phaëthon, et lucida lampas

Non c’è dubbio che le differenti voci siano da considerarsi errori. Se infatti la voce

cum contexere tramandata in Pr1 Ra è sicuramente da rifiutare perché insostenibile

dal punto di vista prosodico, anche contexere non regge dal punto di vista sintattico (Basinio sta elencando, infatti, attraverso la struttura del cum più verbo all’indicativo, le differenti divisioni dell’anno originate dal corso del Sole).

Stando così le cose bisogna avanzare alcune ipotesi ugualmente valide. Se infatti si ipotizza l’esistenza di un codice δ, la lezione comune a β e B e L contexere avrebbe origine poligenetica, senza che sussistano altri rapporti fra i codici. Se, al contrario, non si postula l’esistenza di δ, la lezione contexere potrebbe o essere comunque poligenetica in β e B e L, oppure potrebbe darsi il caso che la lezione erronea presente in α, ma non in Ro, sia passata anche in α2 e in seguito corretta da Basinio come accade per multa. C’è però il problema che il codice Ro, ugualmente disceso da α, presenta la lezione giusta cum texere. Per spiegare tale occorrenza può ipotizzarsi o che il copista di Ro abbia copiato bene e che, quindi, l’errore comune agli altri testimoni sia ancora una volta di natura poligenetica, oppure che Ro abbia collazionato con un altro codice. Per ragioni di completezza si sono avanzate tutte le ipotesi che si sono presentate secondo i dati della collazione ma è indubbio, per l’economia del discorso, che l’origine poligenetica dell’errore comune è l’opzione da preferire, perché più probabile.

Stabilita la comune derivazione di L e B da un archetipo α2, sia che si voglia ipotizzare o meno un ulteriorie subarchetipo δ, supposizione che pare antieconomica, si può procedere all’esame dettagliato di ognuno dei due testimoni.

Si comincerà dal codice L70 perché esso sembra non essere coinvolto completamente nel processo di correzione presente in B, che, come si vedrà, presenta caratteristiche assai peculiari. Per riallacciarsi al discorso di prima sarà utile riportare due lezioni erronee, di natura poligenetica (e quindi non significativa), che L condivide con il gruppo β:

I 370 Nesi: Nessi M Pa Pr1 Ra, hesi L; II 461 scaevis: saevis; II 466 quos: quot.71

Dichiarata l’origine poligenetica di tali errori, si può passare ad elencare gli errori propri di L, molti dei quali acquistano valore separativo sia rispetto a B che rispetto ai codici del gruppo β:

LIBRO I: I 15 tellurisque: telluris; I 37 intepet: inteper; I 39 fas est non: non phas est; I 50 quod: qui; I 61 quam: qua; I 67 humor: humum; I 89 oras: horas; I 96 negat: neget; I 106 hos: nos; I 124 extremae: extremo; I 132 utroque: utraque; I 151 transversum: trans sursum; I 171 Aut: et; I 195 duo: suo; I 197 sunt: sub; I 254 colla: collo; I 265 minoris: videtur; I 285 tenuit: tonuit; I 288 quem: cum; I 311 suggerit: suggeritur; I 312 altera: altero; I 328 suo: om.; I 376 Anguitenente: Anguitenenti; I 389 Phlegraeae: plegree; I 391 mediae: medio; I 408 inter micat: interminat; I 412 caelo defundit: cado diffundit; I 423 tum: cum; I 424 longae: longeque; ; I 428 adit: addit; I 430 iungitur: vingitur; I 436 fluxus: flexus; I 457 linguae: lune; I 458 summo: sumo; I 503 lumboque: lumbo; I 505 captus: capros; I 508 at: a; I 517 est: etiam; I 533 infra: inter; I 539 austrinumque: at austrinumque ut vid.; I 541 curvamque: corvumque; I 557 ventre: vel; quoque: quo; I 588 imminet: iminet; I 590 Graii: grai L; I 595 unam: una; I 611 Ipsa pedes infra: Infra pedes infra; I 611 Bootae: Boete; I 612 ferit: secat; I 616 cadant: cadunt; I 642 aequo: ex equo; I 646 latentis: latentes; I 648 arcum: circum; I 659 laevae: lene; I 682 regione: regioni.

LIBRO II: II 1 om.; II 7 Te: et; II 20 annum: anum; II 29 sequitur tenui: tenui sequitur; II 53 Meropeque: Merobeque; II 90 hunc: nunc; II 91 teneret: tenent; II 103 suo claram: suam claro; II 113 numeratus: numeratas; II 122 nulla: non in mg.; II 134 non: nunc; II 152 imbre: imbres; II 215 Aequipedes: Equipodes; II 244 Persis: Persit; II 256 urbibus: umbribus; II 257 quam: cum; II 266 clarissimus: gratissimus; II 268 nec: hec; II 276 sedeat Tellus: Tellus sedeat; II 280 -281 om.; II 303

70 Le consuetudini grafiche di L dimostrano una netta sopravvivenza di pratiche medievali. Sistematica è infatti la resa

scempiata dei dittonghi, che non sono mai scritti in forma piena. Generalizzato a tutto il codice, è anche il ricorso alla forma di accusativo plurale in –es, laddove Basinio usa, per una programmatica scelta stilistica ed espressiva –is.

71 Vi sono altre coincidenze fortuite, dovute ad origine poligenetica, che accomunano L con i differenti codici che

trasmettono gli Astronomicon libri. Eccone l’elenco: 104 gelida: gelidas L Pr4; I 196 in imo: in uno Pr1 L;I 279 circus

secat: circumsonat L, circus cecat Pr1; I 298 duaeque: duaque L, duae quae F; I 316 Heniochus: Heniochum Ra,

Honiochus L; I 317 Aurigam Olenium: Auriga demum Ra, Aaurigam demum L; 401 imo: uno Pa Pr1 Ra, emo L; I 565 Graiugenae: Grauigenae Pr RaL; II 58 Venerem: ventrem L F; II 116 Latoida: Latonida Ra L; II 323 ast: est L F.

minus: magis; II 308 situ: satu; II 315 pro: pre; II 328 nutrit: mittit; II 364 equam: equaquam; II 369 Cancri: Cancer; II 376 tropicos: tropicas; II 400 at quartam: aut quarta; II 401 sed: si; II 407 quo: quoque; III 419 fluento: fluente; II 428 Nioben: molem; II 432 vocat: notat; II 445 vasta: vastam; II 460 fremat: fremit; II 493 Europaeque: Europe.72

Alcuni di questi errori fanno escludere che B possa essere legato a L da legami di discendenza. L’omissione dei versi 280-281 del II libro, infatti, contribuisce ad isolare il testimone in maniera definitiva. Gli errori e le incertezze nei nomi mitologici e astronomici, ancora, testimoniano che il copista di L non doveva avere competenze specifiche nel campo. Frequenti sono anche gli errori dovuti a distrazione, i fraintendimenti e i salti di parola. A I 265, per esempio, il copista copia al posto di minoris il termine videtur, che è posto in clausola al verso successivo. Il codice è anche caratterizzato dal fatto che non fu terminato nella sua esemplazione. In esso mancano infatti i diagrammi celesti e, soprattutto, i titoli dei due libri. A questa mancata finitura è da ascrivere anche l’omissione del primo verso del II libro. Il codice L trasmette anche un piccolo manipolo di varianti adiafore che lo caratterizzano singolarmente:

I 22 sub arma: sub armis; I 166 numeramus: memoramus; I 296 subter: subtus; I 320 nunc: hunc; I 364 fulgent: lucent; II 143 discere: noscere; II 156 tumescit: tremescit; II 377 circuit: currit.

Data la presenza di tali lezioni nel solo codice L, esse saranno da intendersi più plausibilmente come errori del copista e non come isolate varianti di autore, anche se all’interno del verso danno senso.

Passiamo ora ad esaminare le peculiarità che contraddistinguono il codice B. Esso tramanda un testo abbastanza corretto e curato anche dal punto di vista dell’apparato illustrativo che lo correda.

Si è già detto delle caratteristiche comuni, delle varianti e delle lezioni che B condivide con il codice L. È stata anche dichiarata la comune origine da un archetipo chiamato α2. Il testimone B, tuttavia, si distingue da L, oltre che per la variante simis

72 Il copista di L rivela alcune incertezze nella trascrizione di alcuni termini. La presenza di spazi vuoti in alcun luoghi,

infatti, testimonia i probabili dubbi sulla corretta grafia di alcune voci. Così accade in I 198 dove è lasciato uno spazio vuoto tra Arct e ylax (Arctophylax) e a I 284 e 396 dove le parole femore e Caper sono scritte solo per metà. A I 537, ancora, al posto di Notium, riferito al Pesce Australe, è trascritta la voce notu e dopo è lasciato uno spazio in bianco.

inserita su correzione sulla voce a testo summis (I 661), per una serie di lezioni significative che tramanda da solo. La peculiarità di tali interventi conferisce al testimone un grande interesse. Molte delle varianti tramandate dal codice sono classificabili come alternative plausibili, tanto da far pensare, alle volte, a varianti d’autore isolate nella tradizione manoscritta e abbandonate nel corso della riscrittura dell’opera (e pertanto non presenti negli altri codici superstiti). In particolare, colpisce la posizione incipitaria di due di queste varianti, collocate rispettivamente all’inizio del I e del II libro.

Clamorosa è la lezione inserita a lettere capitali a f. 1r dove, in luogo della iunctura

˜subiectaque templa deorum trasmessa da tutta la tradizione, si legge «subiectaque marmora caeli». La variante è di grande interesse poiché alla più comune visione

delle dimore celesti degli dei, già di omerica memoria, viene sostituita l’indicazione delle superfici celesti attraverso il poetico marmor, di tradizione catulliana. L’intervento è talmente importante e inserito in clausola nel primo verso che si fa fatica ad attribuirlo alla congettura fantasiosa di un copista particolarmente ispirato, anche tenuto conto che in margine, è riportata la lezione consueta templa deorum (la mano che sigla la correzione sembra però diversa). È interessante notare che l’espressione marmora caelo ricorre in clausola, non riferita a un ambito astronomico, in Stazio, Silvae IV 6.26. Se si ammettesse una qualsiasi influenza della fonte staziana si dovrebbero riconsiderare la teoria secondo la quale l’opera del poeta classico non ebbe influenza pratica sino alla seconda metà del Quattrocento,73 e le

stesse idee di Ferri, il quale sosteneva che Basinio non conoscesse tale opera staziana. La situazione si ripete, seppure in maniera contraria all’inizio del secondo libro, dove il verso I inizia con Quinque vagas, che è la lectio attestata in tutto il resto della

73 Cfr. A. TISSONI BENVENUTI, La ricezione delle Silvae di Stazio e la poesia all’improvviso nel Rinascimento, in Gli

antichi e i moderni. Studi in onore di Roberto Cardini, a cura di L. Bertolini e D. Coppini, vol. III, Firenze 2010, pp.

1283-1234, p. 1285: «La lettura del riscoperto testo staziano, di sulla copia fatta fare da Poggio a San Gallo nel 1417 da un incolto copista locale – copia riconosciuta oggi nel Matritense 3678 – sembra non aver lasciato traccia nell’opera del suo scopritore; lo stesso può dirsi per Francesco Barbaro e per Niccolò Niccoli che lo conobbero tra i primi. Una certa diffusione delle Silvae a Firenze sembra conseguente al definitivo ritorno di Poggio da Roma, nel 1453». L’analisi della studiosa è limitata a Roma e Firenze ma si può ritenere altrettanto molto difficile che la ritrovata opera staziana circolasse in ambiente malatestiano.

tradizione manoscritta. La voce vagas è però questa volta corretta in margine con

Quinque plagas. Perché il copista abbia sentito il dovere di correggere in margine la

lezione giusta, e tramandata da tutti i codici, vagas, non è chiaro. La proposta, inoltre, non si rivela appropriata poiché sono le vagas stellas, cioè i pianeti, ad essere argomento della trattazione svolta nel II libro, e non le plagas, le fasce climatiche, le zone in cui è divisa la Terra. C’è però un altro codice che testimonia l’erroneo

plagas, ed è il manoscritto Pa, che tuttavia riporta la lezione nel corpo dei versi e non

in margine come B. La scarsa affidabilità di Pa che, come si è già visto, trasmette un testo fortemente corrotto e marcato da errori, non rende possibile decidere se la lezione errata circolasse come variante alternativa a vagas, o fosse piuttosto dovuta ad una errata interpretazione dei copisti.

Il manoscritto B è altresì caratterizzato dall’omissione di alcuni versi, dato che contribuisce ad isolarlo da L, l’altro testimone della seconda fase redazionale. La lacuna interessa i versi 151-154 del I libro: dato che, anche da solo, impedisce di pensare a una derivazione di L da B.

Dopo aver elencato le peculiarità proprie di B, passiamo ora ad esaminare i non numerosi errori che caratterizzano il codice. Essi sono:

LIBRO I: I 25 quondam: quoniam corr. in mg.; I 84 retentant: retentent; I 97 lucida: lumina; 123