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CAPITOLO III STORIA DEL TESTO

III.1 LA TRADIZIONE MANOSCRITTA

Forte di una tradizione che vanta ben quattordici manoscritti superstiti, gli

Astronomicon libri sembrano collocarsi al primo posto nella diffusione delle opere

basiniane. La relativa fortuna del poema scientifico fu probabilmente causata sia dall’oggetto della trattazione sia dall’apparato iconografico, in cui sono ritratte le costellazioni celesti e che accompagna la quasi totalità dei codici a noi pervenuti. Quattordici codici, si è detto, di cui due autografi. Nella sua fondamentale vita di Basinio, nel II tomo degli Opera Praestantiora, Ireneo Affò dà notizia di sei manoscritti,1 che divengono otto nella ricognizione compiuta da Soldati all’inizio del Novecento.2 Al novero dei testimoni si aggiunge il codice A 173 della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, ricordato dagli studi di Massèra e citato anche da Augusto Campana.3 Il numero è ulteriormente aumentato a dodici esemplari da Donatella Frioli nella sua Nota Codicologica che correda l’edizione dell’opera commissionata dalla Cassa di Risparmio di Rimini, nel 1994.4 Alla lista la studiosa

1 AFFÒ, p. 35. L’Affò cita sei codici: due posseduti dalla Biblioteca Palatina di Parma (uno con raffigurazioni astrali,

verosimilmente il codice Parmense 27 [Pr1], e uno senza decorazione, corrispondente al Parmense 1197 [Pr3]). Seguono

il ms. 120 detenuto dalla Biblioteca Classense in Ravenna; l’esemplare della Marucelliana, ms. C.CCLI (F), acquistato da Bandini e il Marciano XII 194, allora ancora parte della biblioteca personale dell’abate Iacopo Morelli, bibliotecario della Marciana. Il Padre dà notizia anche di un codice posseduto dalla Biblioteca dei PP. dell’Oratorio in Napoli, ossia la biblioteca dei Girolamini, proveniente dal Fondo Valletta. La descrizione di un codice membranaceo degli

Astronomicon libri, appartenente alla biblioteca ricca di 18.000 volumi dell’intellettuale napoletano, è presente in un

dettagliato articolo dedicato alla figura di quest’ultimo, Elogio del Signor Giuseppe Valletta, Napoletano, scritto da Apostolo Zeno e comparso nel Giornale de’ Letterati d’Italia, tomo Ventiquattresimo, Venezia 1716, pp. 49-105. A pag. 79, nell’elenco dei codici in latino, si legge: «Basinii Parmensis Astronomicon libri II: in 4, membr. Opera scritta in verso esametro e ornata di figure».

2 SOLDATI, p. 84. L’elenco del Soldati comprende i due manoscritti adoperati da Drudi per la messa a punto della sua

edizione, cioè il ms. C.CCLI della Marucelliana e uno cartaceo «di cui non diede la descrizione», da me riconosciuto nel codice Parmense 27 [Pr1]. Segue l’elenco dell’Affò e l’indicazione del codice della Biblioteca Casanatense di

Roma, proveniente dal fondo di Baldassarre Boncompagni, catalogato da Narducci. Per le vicende del ms. romano cfr. anche il cap. II.

3 MASSÈRA, p. 49 n. 1; CAMPANA, p. 95.

4 FRIOLI, Nota codicologica, p. 151, n. 1. Ma il numero è confermato anche dai successivi saggi del 2006, p. 261 e del

aggiunge infatti il codice Oxoniense 646 (O), il DD IV 64 di Cambridge (l’autografo

C) e il monacense latino 15743 (M). Nel catalogo della casa d’aste Sotheby’s che

accompagnava il codice Ri poi acquistato e pubblicato in facsimile dalla Cassa di Risparmio di Rimini, viene segnalato, su precisa indicazione di Kristen Lippincott, anche il codice posseduto dalla Wellcome Library di Londra, segnato ms. 122 (qui

L). Nella lista di Sotheby’s manca però il Parmense 1197, qui indicato con Pr3,

mentre errata è la successione cronologica dei manoscritti, basata evidentemente su generiche indicazioni catalografiche. Sembra invece essere sfuggito all’attenzione degli studiosi un quattordicesimo testimone, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Padova con la segnatura 983, e già segnalato da Kristeller.5 Il codice sembra essere passato inosservato perché, come si è già detto nella sezione della descrizione dei manoscritti, esso contiene una miscellanea di testi di natura eterogenea, alcuni anche in lingua greca.

È indubbio che la «plurima tradizione del poema basiniano»6 potrebbe riservare altre sorprese poiché, come rivela anche la ricognizione dei testimoni superstiti, altre copie dovettero circolare al di fuori della cerchia della corte riminese, non solo a causa della ‘rinascita della poesia astrologica’ che si ebbe dalla seconda metà del Quattrocento, ma anche grazie all’uso propagandistico che Sigismondo Malatesta fece delle creazioni dei letterati che vivevano presso la sua corte. Le opere degli scrittori ‘malatestiani’, infatti, dovevano anche assolvere al compito di ribaltare il

5 KRISTELLER, II, p. 15. Il manoscritto, come già detto nella descrizione, sembra provenire dal fondo dei Frati

Francescani di Padova. È però da segnalare che un altro codice del poema figura nell’inventario, compilato nel 1467, degli oltre cinquecento codici costituenti la biblioteca personale di Giovanni Marcanova, celebre medico e umanista veneto, attivo presso l’Università di Bologna, legato all’ambiente della corte di Novello Malatesta, a partire dagli anni ’50 del secolo. Nel 1457 Marcanova diviene il medico del signore cesenate, forse anche grazie alla sua parentela con Matteo de’ Pasti. Le peripezie del lascito del Marcanova, originariamente destinato ai canonici lateranensi di San Giovanni in Verdara (Padova), non rendono possibile l’identificazione del manoscritto. Alla soppressione del convento nel 1784, tuttavia, sebbene gran parte della collezione fosse andata dispersa, i codici superstiti vennero divisi fra l’Università di Padova e la Biblioteca Marciana di Venezia. Per l’inventario del 1467 della biblioteca cfr. L. SIGHINOLFI, La biblioteca di Giovanni Marcanova, in Collectanea variae doctrinae Leoni S. Olschki bibliopolae

Florentino sexagenario, Monachii 1921, pp. 187-222. Cfr. anche C. VITALI, L'umanista padovano Giovanni

Marcanova (1410/18-1467) e la sua biblioteca, «Ateneo veneto», XXI (1983), pp. 127-161. Per la figura dell’umanista

cfr. D. GIONTA, voce Marcanova, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLIX, Roma 2007, pp. 476-82.

feroce stigma che colpiva il Signore riminese, frutto di una spietata campagna diffamatoria da parte delle fazioni urbinate e papale.7

Non è perveunto a noi nemmeno il codice napoletano appartenente al Fondo Valletta della Biblioteca dei Girolamini, ricordato senza ulteriori indicazioni da Affò e già scomparso all’epoca dell’indagine di Soldati.8

I testimoni del poema basiniano rappresentano un cospicuo manipolo all’interno del più vasto filone dei manoscritti astronomico-astrologici, che vanta più di duecento esemplari scritti fra il IX e il XVI secolo.9 Si è già detto dell’importanza degli

Astronomicon libri all’interno della poesia umanistica del Quattrocento e della

rinascita della poesia didascalico-astronomica. La relativa fortuna dell’opera, però, sembra spegnersi già a fine secolo, superata dai più importanti risultati di Bonincontri e Pontano. Lo stesso Pontano, tuttavia, il cui progetto di scrittura dell’Urania è coevo agli anni di composizione degli Astronomicon libri, dovette tenere presente, come sostiene De Nichilo, l’opera di Basinio.10 Tutti i manoscritti pervenuti dell’opera, pertanto, sembrano non potersi datare oltre la fine del secolo, come dimostrano gli eventuali colofoni e i dati materiali raccolti nella analisi dei testimoni. Una fortuna che sembra seguire le sorti della signoria Malatesta, destinata ad un rapido declino dopo la morte di Sigismondo (1468). Tracce dei versi degli Astronomicon libri si ritrovano nello Zodiacus Vitae di Palingenio Stellato, ma dopo la prima metà del Cinquecento il poema cade nell’oblio. Né una sorte migliore spetta agli altri componimenti basiniani che, eccetto il Liber Isottaeus e altre opere minori, devono

7 Cfr. a riguardo COPPINI, Basinio e Sigismondo, pp. 450 e sgg. Per la figura di Sigismondo cfr. G. SORANZO, Pio II e la

politica italiana nella lotta contro i Malatesti (1457-1463), Padova 1911; F. GAETA, La Leggenda di Sigismondo, «Studi Malatestiani», Roma 1978, pp. 159-196.

8 SOLDATI, p. 84.

9 LIPPINCOTT, Between text, pp. 3-4: «Astronomical and astrological manuscripts provide the largest surviving corpus of

illustrating secular texts, with over 200 manuscripts dating from the early-9th century from the early-16th century. Each manuscripts is illustrated with between 30 and 50 individual images».

10 M. DE NICHILO, I poemi astrologici di Giovanni Pontano. Storia del testo, Bari 1975, p. 12: «Basinio da Parma,

autore di due libri di Astronomici, che Pontano senza dubbio conobbe e tenne presenti per l’Urania». Cfr. anche pag. 11 e la n. 4 alla stessa pagina: «La composizione di un poema astrologico deve aver stimolato il Pontano fin dai suoi anni giovanili, se Bartolomeo Facio poteva scrivere nel suo De viris illustribus liber, composto nel 1456, che l’umanista napoletano aveva da poco iniziato un’opera in esametri di argomento astrologico».

aspettare la fine del Settecento per essere pubblicati negli Opera Praestantiora, nell’edizione curata da Lorenzo Drudi.

Gli Astronomicon libri godono pertanto di una peculiare condizione, testimoniata dalla sopravvivenza di 14 testimoni, tutti trascritti in un arco temporale relativamente breve. Due dei manoscritti superstiti, come si è detto, sono autografi. L’autografia del parmense 1197, Pr3, è stata riconosciuta in anni recenti da Frioli, ed indagata a fondo,

riguardo ai suoi aspetti codicologici e paleografici, nei suoi fondamentali studi del 2006 e del 2010. L’analisi autoptica del codice DD IV 64 di Cambridge (C), non visionato personalmente da Frioli, invece, mi ha permesso di accertarne l’autografia, anche in base al confronto puntuale e sistematico con l’autografo parmense. Già Frioli, nonostante il suo fosse solo un sondaggio campione limitato ai loci critici presenti nell’autografo parmense, aveva riconosciuto che potevano esserci diverse fasi redazionali degli Astronomicon libri, in cui Basinio, per tappe progressive, doveva essersi avvicinato alla forma perfetta dell’opera da lui ricercata.11

La ricognizione sistematica e completa di tutti i testimoni, la collazione di questi e soprattutto la sopravvivenza e l’analisi dei due autografi, mi ha permesso di confermare e dare sistemazione alle ipotesi della studiosa, ricostruendo i processi di composizione e revisione del poema didascalico, di entrare, insomma, nel vivo del cantiere letterario di Basinio autore, alle prese con l’importante compito di dare forma poetica ad una trattazione astronomica che da secoli non annoverava opere in versi.

Come si vedrà, nel corso di questa trattazione, a ciascuna di queste fasi redazionali corrisponde un drappello di testimoni, di diversa importanza ai fini della ricostruzione del testo, che tramandano un corpo omogeneo di varianti. Prima di procedere all’analisi dei codici però, bisogna spendere qualche parola riguardo agli autografi C e Pr3. Il codice C, pur presentando nel complesso un testo molto vicino a

quello definitivo, si caratterizza per alcuni errori e varianti che permettono di

assegnarlo ad una fase redazionale precedente a quella definitiva, e più precisamente, come si vedrà, alla terza. Il codice autografo Pr3 presenta una situazione più

complicata, poiché esso tramanda un testo che in origine appartiene alla stessa fase di

C ma che in seguito Basinio interviene a correggere, introducendo varianti che

corrispondono alla ultima fase di riscrittura.

Anche nel caso degli Astronomicon libri, pertanto, si è di fronte ad situazione ‘fluida’ molto frequente nelle opere umanistiche, dove la presenza di un testo in ‘movimento’ rende impossibile la stesura di un stemma codicum di natura lachmanniana. La metodologia lachmanniana, tuttavia, resta fondamentale nell’individuare i rapporti sussistenti tra i manoscritti che hanno origine dai diversi ‘archetipi’ determinati dagli interventi autoriali. La prassi compositiva del poema basiniano si può considerare come esemplare nel panorama della poesia umanistica in cui l’autore, rifacendosi alle parole di Perosa:

sostituisce e modifica trasformando talvolta completamente il suo scritto, spesso per ragioni esterne o di pura opportunità. Egli cura più edizioni della sua opera, talvolta corregge errori sfuggitigli nella prima edizione, [...] rifà (questo è importante!) il proprio autografo correggendo in margine o tra le linee o per rasura il testo antico oppure addirittura rifacendolo del tutto, cioè copiando da cima a fondo il vecchio testo e inserendo le modificazioni apportate [...] il nuovo autografo intanto prolifica, forma una nuova famiglia; e spesso nuove varianti si inseriscono e nuove correzioni si aggiungono.12

La peculiare situazione che il filologo individuava come specifica della poesia umanistica trova piena conferma nelle prassi compositive di Basinio poeta. Se infatti i codici superstiti degli Astronomicon libri sembrano potersi datare posteriormente alla morte dell’autore, le fasi redazionali dell’opera devono restringersi in un arco temporale brevissimo, che nella più larga delle ipotesi si estende dall’inizio del 1455 al maggio 1457, data di morte di Basinio.13 Ad un tempo di composizione ristretto,

12 A. PEROSA, Critica congetturale e testi umanistici (I), in Studi di filologia umanistica II. Quattrocento fiorentino, a

cura di P. VITI, Roma, 2000, pp. 9-27 e pp. 13-14.

13 Per la datazione dell’opera in riferimento ai versi degli Astronomicon libri e all’epistola indirizzata a Roberto Orsi

tutto concentrato nell’anno 1455, stando ai dati interni e alla ricostruzione documentaria, fa seguito un processo di revisione e riscrittura che, pur non alterando la forma complessiva dell’opera, investe molti luoghi del poema. Quello che emerge dai risultati della collazione, e dal confronto dei due autografi, però, è che le correzioni e le varianti sembrano essere state apportate in un processo di revisione parallelo su più codici, e non secondo una evoluzione lineare e progressiva. L’autore, insomma, come è attestato anche per altri casi in età umanistica, modifica il testo lavorando in contemporanea su più codici, e non intervendo su essi in maniera identica.14 Come si vedrà nel corso della trattazione, infatti, sembra che Basinio rilegga, riveda e corregga i propri codici lavorando parallelamente su essi, intervenendo sulle redazioni precedenti e nel medesimo tempo sulle copie recenziori, correggendo punti errati e proponendo nuove soluzioni stilistiche e poetiche in vista di un progressivo miglioramento del suo testo.

La struttura complessiva degli Astronomicon libri, tuttavia, sembra stabilita fin dalla prima fase di scrittura. Non sono pervenuti infatti manoscritti testimonianti una fase primitiva in cui il poema fosse solo abbozzato o si presentasse come un work in

progress, né si identificano nella tradizione codici interessati dal cambiamento di

parti rilevanti di testo, da parti espunte in maniera consistente, o da una diversa successione di versi. Laddove Basinio interviene a correggere il proprio testo, in altre parole, egli non stravolge la struttura generale del suo poema: tutti i testimoni superstiti, salvo gli accidenti materiali che possono averli colpiti, come cadute di fogli etc., tramandano infatti un testo diviso in due libri di diversa estensione (circa 705 versi nel I libro, e 498 nel II).15

La sostanziale omogeneità del testo tradito lascia comunque spazio alla presenza di varianti redazionali che, grazie alla testimonianza degli autografi, possono essere

14 Sugli interventi dell’autore umanistico, che riscrive il testo su vari codici contemporaneamente, cfr. il caso

dell’Alberti delineato da Donatella Coppini in EAD.,Leon Battista Alberti si corregge. Il caso della Mosca Riccardiana,

in Leon Battista Alberti. La biblioteca di un umanista. Catalogo della mostra. Firenze, Biblioteca Medicea

Laurenziana, 7 ottobre 2005-7 gennaio 2006, a cura di R. Cardini, M. Regoliosi e L. Bertolini, Firenze 2005, pp. 51-56.

15 Si dà qui il numero approssimativo dei versi perché, come si vedrà, sussistono alcune varianti nelle diverse fasi

agevolmente riconosciute e classificate quali ‘varianti d’autore’ inserite dal poeta il quale, conformemente alla prassi scrittoria tipica anche di altre sue opere, sottopone il testo ad un progressivo labor limae. La collazione dei testimoni, che in alcuni casi ripropongono le scelte grafiche e scrittorie degli autografi tanto da figurare quali vere e proprie ‘copie fotografiche’,16 ha messo in luce la cura e l’attenzione poste da Basinio negli interventi di correzione.

Prima di procedere all’esame delle varianti tramandate nei testimoni manoscritti è necessario ricordare, come indicazione di metodo che, in presenza di codici costituiti da una parte scrittoria e da un apparato iconografico, come è il caso di quelli degli

Astronomicon libri, quest’ultimo va considerato come parte integrante e necessaria

del testo. Nel caso qui in esame, dunque, la collazione della tradizione manoscritta deve obbligatoriamente integrarsi con l’analisi e la ricognizione delle rappresentazioni delle costellazioni. Per poter procedere ad una comprensione del singolo testimone quanto più completa, pertanto, è necessario considerarne le parti scrittoria e iconografica come un insieme unitario, in cui è attivo un dialogo fra versi e rappresentazione. Lo studio delle miniature astrali si rivela un valido strumento per poter ricostruire i rapporti che legano i codici, pur tenendo presente, tuttavia, che le relazioni fra le illustrazioni sono da porsi in secondo piano rispetto all’esame ‘interno’ del testo, cui spetta la conferma decisiva nello stabilire le parentele fra i manoscritti. L’apparato decorativo degli esemplari degli Astronomicon libri, infatti, spesso ha confermato i dati della collazione, rilevando parentele o dissonanze fra i codici laddove più vicine o lontane nella esemplazione dei modelli iconografici si presentavano le miniature. Data la difficoltà illustrativa che caratterizza il testo, inoltre, non è da escludersi che «lo stesso Basinio abbia guidato il decoratore alle prese per la prima volta col complicatissimo discorso astrologico e astronomico, magari mostrandogli in aiuto copie decorate di quegli stessi testi che erano serviti a lui per elaborare il poema, ciò che di fatto inserì le copie della sua fatica in una ben

specifica tradizione iconografica».17 L’analisi iconografica, quindi, contribuisce a chiarire in quale particolare ambiente di scrittura vennero elaborati i codici e quali rapporti si instaurassero fra i versi di Basinio e le fonti da lui adoperate (primi fra tutti i manoscritti di Igino e le diverse tradizioni illustrative derivate da questi ultimi).18 Lo stemma che qui si propone è uno stemma non derivato da un solo archetipo posto al vertice di esso, ma si sviluppa lungo una traiettoria orizzontale, attraverso la quale si collocano le diverse fasi redazionali.

Un errore, sicuramente ascrivibile a Basinio autore, e non utile ai fini stemmatici, caratterizza tutti i quattordici testimoni che veicolano gli Astronomicon libri duo, indipendentemente dalle sue fasi redazionali. Esso è l’unico errore che l’autore non interviene a correggere nell’operazione di revisione del suo poema. Al v. 338 del primo libro, infatti, si legge «Lydorum Sagaris; quin Carbonanta Getarum». Il nome

Carbonanta compare per indicare il re dei Geti che, secondo il racconto di Igino,

sarebbe stato inserito tra le costellazioni da Cerere, in conseguenza dell’empio proposito di uccidere il suo protetto Trittolemo. Il re, però, nel racconto del De

Astronomia (II 14) si chiama Carnabonta e non, come riportato da tutti i codici

basiniani Carbonanta. Non c’è dubbio che la forma errata che presenta l’inversione sillabica risalga alla lezione creduta corretta da Basinio, come testimoniato da entrambi gli autografi C e Pr3. Come già rilevò Pasquali, del resto, nella tradizione

latina accade spesso che si verifichino errori che interessano i nomi e i toponimi.19 Nessuno dei copisti impegnati nella trascrizione dell’opera ha provveduto ad emendare la lezione. L’impressione che l’errore sia da attribuirsi alla fonte è confermata proprio attraverso il confronto con la tradizione manoscritta dell’opera iginiana. La lezione Carbonanta è infatti tramandata da una serie di manoscritti,

17 F. LOLLINI, La decorazione libraria per i Malatesta nel XV secolo: un panorama generale, in Il potere, le arti, la

guerra. Lo splendore dei Malatesta, catalogo della mostra a cura di A. Donati, Milano 2001, pp. 49-61, p. 60. Cfr. ID.;

Scheda 124, cit., p. 310: «È probabile che la composizione dell’Astronomicon e la sua decorazione siano andate di pari

passo e si siano basate entrambe su una riappropriazione di fonti comuni».

18 Per l’importanza dell’apparato iconografico cfr. i saggi di MARIANI CANOVA e LIPPINCOTT, Between text. 19 G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del testo, Milano 1974², pp. 18-19.

classificati come ‘classe η’ nella edizione teubneriana approntata da Ghislaine Virè.20 L’erronea trascrizione delle sillabe del nome, pertanto, è classificabile come un ‘errore d’autore’ imputabile alla effettiva grafia del codice adoperato da Basinio nella lettura di un modello fondamentale per la sua opera. Per tale motivo, nel testo qui proposto si è scelto di non emendare la forma Carbonanta, erronea rispetto alla correttezza della fonte iginiana, ma corretta rispetto al codice adoperato da Basinio. La versione di Igino del mito per la costellazione di Ofiuco, inoltre, si presentava non troppo popolare, e anche per questo nessuno dei copisti ebbe coscienza dell’errore commesso.21