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Efficacia del decision-making

1.6. La forza dello Stato: caratteristiche rilevanti

1.6.1. Efficacia del decision-making

Nell’ambito di questa prima dimensione ci sembra opportuno isolare ancora tre importanti aspetti, riassumibili nel tipo di architettura istituzionale che caratterizza il sistema politico, nel livello di autonomia degli interessi statali rispetto a quelli privati e la sua incidenza sull’elaborazione delle politiche e il livello di coesione dell’elite al potere.

In primo luogo, il processo decisionale prende forma entro un determinato contesto organizzativo, fatto di istituzioni, regole del gioco e valori dominanti che pre-selezionano le proposte ammissibili nel processo di decisione e imprimono un orientamento generale all’azione pubblica. Dal momento che esso si svolge nell’arena prettamente politica – del Parlamento e governo – le modalità del suo svolgimento sono strettamente connesse all’ordinamento politico e al livello di pluralismo e competizione ivi contemplato: in contesti di pluripartitismo e chiara divisione dei poteri a livello istituzionale la selezione delle politiche rilevanti avviene attraverso il concorso di forze politiche differenti e, in varia misura, opposte; in particolare, in sede parlamentare i partiti hanno la possibilità di influenzare le scelte politiche che dovrebbero tradursi nell’operato degli organi esecutivi. In sistemi politicamente chiusi, invece, l’orientamento delle politiche in sede decisionale riflette unicamente le scelte e gli interessi dell’elite autocratica, generalmente riflessa in una struttura monopartitica. Tuttavia, se il modello del partito-unico costituisce il referente per eccellenza dei sistemi autoritari, accanto ad esso si collocano molteplici

varianti di sistemi cosiddetti one-party centered con una periferia di partiti minori rispetto a quello dominante35. A tal proposito, l’analisi del partito egemonico, ampiamente descritto in letteratura, costituisce un passaggio cruciale nello studio di quegli ordinamenti politici nei quali la scelta del multipartitismo viene compiuta sul piano meramente formale quale strumento di legittimazione democratica di un assetto intrinsecamente autoritario.

Inoltre, se un problema comune ai sistemi democratici consolidati è il blocco delle decisioni sulle riforme da parte di numerosi gruppi di interesse che prevedono di perdere da queste, nei regimi autoritari tale situazione di stallo generalmente non si presenta, data l’esclusione dei cosiddetti veto- players dall’ambito decisionale36. Nei paesi ex-comunisti, il tracollo improvviso del sistema socialista ha reso urgente e al tempo stesso particolarmente complesso il trasferimento della direzione politica dal “partito-Stato” ad un apparato statale non ancora ben strutturato in una chiara cornice istituzionale: nella Russia eltsiniana ne è scaturita una situazione di competizione costante tra i vari organismi di potere - il Presidente, il parlamento, l’esecutivo - sulla ridefinizione dei ruoli costituzionali e frequenti situazioni di stallo nell’attuazione di riforme importanti (Ganino 1999). In questo senso viene in rilievo la statualità intesa come capacità istituzionale, ovvero la progettazione di un corpo di istituzioni coerenti e correttamente funzionanti in grado di favorire lo sviluppo economico e sociale del paese (Fukuyama 2005, p. 40-42).

Secondariamente, il processo decisionale può essere considerato un luogo di osservazione privilegiato della forza di uno Stato nella misura in cui la classe politica, intesa come l’insieme dei politici e governanti preposti alla gestione della cosa pubblica, si fa portavoce degli interessi statali nell’elaborazione delle decisioni di policies, interagendo con una

35 Cfr. G. Sartori, Parties and Party Systems. A framework for Analysis, ECPR Press, 2005, pp.

204-211.

molteplicità di attori e gruppi economici e sociali. Tuttavia, proprio la penetrazione di elite non statali nell’arena del decison-making politico, portatrici di interessi corporativi, può giungere ad un livello tale da intaccare l’obiettivo primario di uno Stato, ovvero quello di operare in vista del bene comune; in questo senso, l’efficacia del processo decisionale dipende dalla capacità dell’elite al potere di perseguire le politiche in maniera autonoma rispetto agli interessi non statali (Evans, Rueschemeyer, Skocpol 1985, p. 9). L’intreccio tra politica ed economia, ha rappresentato, ad esempio, un tratto peculiare della Russia di Eltsin, attraverso il ruolo massiccio esercitato dai clan legati al business nelle istituzioni statali; di contro, la strategia di Putin volta a ristabilire la vertikal’naja vlast’ (verticale del potere) può essere interpretata come il tentativo di “de-privatizzare” il potere statale a discapito degli interessi delle elite oligarchiche e locali. Dunque, se da un lato appare rilevante verificare in che misura la società politica conservi la sua indipendenza dalla società civile (Linz e Stepan 1996a), dall’altro, tuttavia, la partecipazione al processo di elaborazione delle politiche da parte dei maggiori attori della società civile va presa in esame quale cartina di tornasole delle relazioni tra il potere politico e gli interessi organizzati della società secondo logiche e modalità specifiche.

In ultima analisi, all’efficacia del decision making contribuisce in maniera rilevante il livello di coesione dell’elite al potere: quest’ultima, infatti, trae la propria forza dal fatto di essere organizzata, intendendo con questa espressione l‘insieme dei rapporti d’interesse che inducono i membri della classe politica a coalizzarsi tra loro e a costituirsi in gruppo omogeneo e solidale (Bobbio, 2004, p. 304). In particolare, l’articolazione dei rapporti dell’elite politica sulla base di strutture formali e informali costituisce un meccanismo efficace di compattezza organizzativa: a tal riguardo vengono in evidenza tanto i partiti politici quanto le relazioni di tipo clientelare, i quali, nella misura in cui sono strutturalmente solidi, disincentivano i

membri del governo e gli alleati chiave a passare all’opposizione (Way, 2005, p. 233).