• Non ci sono risultati.

Il recupero della centralità dello Stato

Dalla sua nascita nel corso della storia moderna europea, passando per l’epoca di esteso assistenzialismo del secondo dopoguerra, sino ad arrivare ai giorni di una sempre più forte interdipendenza economica, lo Stato ha assunto di volta in volta caratteristiche e funzioni diverse, specchio delle trasformazioni occorse nelle differenti fasi storiche; in linea con questi eventi, il dibattito sul ruolo dello Stato nelle scienze sociali si presenta ugualmente multisfaccettato, oscillando continuamente tra il bisogno di un suo ridimensionamento per dar spazio a nuovi e differenti attori caratteristici della post-modernità e l’inevitabile rivalutazione delle questioni legate alla statualità, soprattutto nelle regioni più povere ed esposte ai conflitti (Evans 1997).

La centralità del ruolo dello Stato è stata rivendicata con forza anzitutto in reazione agli studi legati alle cosiddette grand theories pluralista e marxista, i paradigmi dominanti nelle scienze sociali sino agli ultimi decenni: la prima, immersa nella prospettiva society-centered, riduceva lo Stato all’arena nella quale le molteplici forze sociali si scontrano e si confrontano in vista dei propri interessi; la seconda, considerava quest’ultimo plasmato dalla lotta di classe e unicamente teso a preservare ed espandere i modi di produzione: in buona sostanza, entrambe esitavano a considerare lo Stato come un attore potenzialmente autonomo ed impegnato a realizzare determinati obiettivi di policy. Il superamento di questi paradigmi teorici negli ultimi decenni si è concreta, dunque, nel pieno riconoscimento del ruolo dello Stato quale organizzazione che rivendica il controllo su un certo territorio e che persegue fini che non riflettono semplicemente le domande e gli interessi di gruppi o classi sociali, ma che sono formulati in modo indipendente: in questa prospettiva, lo Stato diviene un attore che, per quanto sia influenzato dalla società in cui è immerso, è in grado di incidere

profondamente sui processi politici e sociali (Evans, Rueschemeyer, Skocpol 1985)27.

Per ciò che attiene alla presente ricerca, vengono in rilievo le interazioni esistenti tra le transizioni politiche e le qualità intrinseche dello Stato. Con riguardo alle trasformazioni politiche occorse nell’Europa dell’est e nell’ex Urss, l’approccio della transitologia si è focalizzato principalmente sulle questioni inerenti alla democratizzazione, alla transizione economica e alle identità nazionali. Ciò che è mancato fino ad anni recenti è stata una corretta concettualizzazione della funzione statale nella sua capacità di dar forma e sostanza al sistema politico; eppure l’universo post-sovietico ha dimostrato più di qualunque altra regione che la relazione tra la costruzione delle strutture statali da un lato e il consolidamento dei regimi politici dall’altro risulta essere sfasata sia in una prospettiva temporale che all’interno dell’area stessa: in molti paesi dell’ex Urss la costituzione dello Stato ha coinciso con la crisi economica e, talvolta, con il protrarsi dello scontro tra le forze politiche per la formazione di un governo legittimo. Come risultato, solo una minoranza di paesi nei primi quindici anni dopo la dissoluzione del blocco comunista è riuscita a dar vita a Stati effettivamente funzionanti, requisito indispensabile per poter procedere con successo lungo la strada delle riforme democratiche (Fritz 2007).

Il recupero della dimensione statale nel dibattito delle scienze sociali ha fornito l’occasione per riflettere su questa fondamentale discrepanza e sulla necessità di assegnare maggior peso al momento dello State-building prima ancora di analizzare qualunque processo di trasformazione politica. In particolare, la discussione accademica attorno alla dimensione statale ha assunto come esperienza fondamentale la formazione dello Stato moderno nell’Europa del XIX secolo. Riprendendo la definizione classica di Weber

27 La pubblicazione del saggio Bringing the State Back In da parte del gruppo di ricerca del

“Social Science Research Council (SSRC) rappresenta il primo reale tentativo di riassegnare allo Stato la sua giusta rilevanza, in un epoca in cui l’imperativo del downsizing the State sembra dominare la tanto la politica quanto i discorsi accademici. Cfr. Cappelli 2008, op cit., p. 531.

(1966), al centro viene posta la costituzione di un apparato statale efficiente in grado di esercitare il monopolio della forza legittima sul proprio territorio. Altro punto di rifermento teorico è la definizione formulata successivamente da Tilly, che ha posto l’accento sul carattere autonomo dello Stato:

un’organizzazione che controlla la popolazione stanziata su un certo territorio è uno Stato purché 1) si differenzi da altre organizzazioni che operano nello stesso territorio; 2) sia autonoma e 3) le sue ripartizioni siano formalmente coordinate l’una con l’altra (1975).28

Partendo da queste due definizioni basilari, Linz e Stepan forniscono l’elemento di congiunzione mancante tra la democrazia e la statualità, osservando che l’esercizio dell’autorità sovrana di uno Stato è il presupposto di qualunque regime democratico:

La democrazia richiede la condizione di uno Stato indipendente (“statehood”). Senza uno Stato sovrano non ci può essere nessuna stabile democrazia (1996a, p. 19).29

In secondo luogo, occorre sottolineare come attraverso il recupero della centralità dello Stato la dimensione storica divenga un elemento imprescindibile nelle analisi delle trasformazioni politiche, a mano a mano che le intuizioni della transitologia si mostrano sempre più insoddisfacenti; come fa notare Berman (2007), il modo migliore per comprendere in che modo si sviluppano democrazie stabili e ben funzionanti è quello di analizzare le traiettorie politiche di quei paesi in cui la liberal-democrazia ha attecchito da tempo: l’esperienza degli Stati europei, tormentati da secoli

28 Cfr. Charles Tilly, ed., The Formation of National States in Western Europe, Princeton:

Princeton University Press, 1975, p. 70.

29 A proposito della Russia, i due autori notano che il percorso di transizione scelto a

partire dalla perestrojka e dalla glasnost ha privilegiato la ristrutturazione economica rispetto a quella di uno Stato democratico, a discapito delle già deboli istituzioni statali. In questo modo è mancata l’edificazione di un potere statale forte e in grado di tutelare i diritti dei suoi cittadini e di assicurare i servizi basilari che essi richiedono.

di lotte intestine e instabilità prima del raggiungimento della liberal- democrazia, pone il processo di costruzione delle strutture statali al centro dell’analisi come presupposto ineludibile di una buona transizione democratica. Come fa notare Cappelli:

l’esistenza di uno Stato è un attributo essenziale di ciascun sistema politico moderno e, pertanto, il presupposto alla base tanto di un regime democratico quanto di un regime autoritario (2008, p. 537).

Anche Shlapentokh ribadisce l’importanza dello Stato nella regolamentazione delle relazioni politiche ed economiche all’interno di una società in transizione, attraverso una lettura originale dei rapporti tra questo e la società civile in Russia all’indomani del crollo della dittatura comunista. In particolare, egli coglie molto lucidamente l’opera di demonizzazione dello Stato da parte degli ideologi delle privatizzazioni, i quali «parlavano dello Stato esclusivamente come di una forza ostile nell’economia. Mai si discuteva dello Stato come di un organismo importante nel fissare e rafforzare le regole del nuovo sistema economico» (2003, 984).

Da questo breve excursus su alcune delle principali teorizzazioni concernenti le caratteristiche e le funzioni dello Stato si evince che per poter essere definita tale un’organizzazione statale deve soddisfare alcuni indispensabili requisiti, variamente descritti nell’ambito della letteratura e riconducibili alle dimensioni fondamentali di autonomia e di capacity; quest’ultima intesa come la prerogativa che uno Stato ha di prendere decisioni e di formulare e perseguire determinate politiche: infatti, la piena sovranità, unita al controllo amministrativo e militare su un certo territorio, costituisce un requisito necessario per l’implementazione delle politiche da parte di qualunque Stato. Oltre a ciò, la presenza di funzionari esperti e leali si rivela decisiva nell’efficacia con cui lo Stato persegue obiettivi di qualunque tipo (Skocpol 1985).

Alla luce di quanto esposto, la nostra analisi del regime consolidatosi nella Russia post-comunista muoverà da un presupposto fondamentale, ovvero che l’autonomia e l’efficacia decisionale sono caratteristiche imprescindibili di uno Stato tanto nella sua caratterizzazione democratica che autoritaria. In particolare, uno degli obiettivi di questo lavoro è, appunto, quello di dimostrare la rilevanza della statualità, scomposta e misurata nelle sue differenti caratteristiche, nel determinare il livello di pluralismo sociale e politico del caso russo.

Tale ipotesi sarà sviluppata nei capitoli successivi, attraverso una definizione adeguata del regime che ha preso forma in Russia negli ultimi decenni.

1.5. QUALE LETTURA DELLO SPAZIO POST-SOVIETICO