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Quale lettura dello spazio post-sovietico e della Russia?

Si è visto come le analisi sulle traiettorie post-autoritarie di sviluppo istituzionale generalmente si basano sull’uso di categorie e indicatori volti a misurare l’approssimarsi dei casi oggetto di studio al modello democratico. Tale approccio soffre almeno di due limiti: in primo luogo, come già osservato, presuppone un’evoluzione più o meno lineare verso procedure e assetti istituzionali consolidatisi nell’esperienza delle liberal-democrazie, trascurando la possibilità di sbocchi differenti che fuoriescano dal tracciato del democracy building. In secondo luogo, comporta come diretta conseguenza quella di focalizzare tutta l’attenzione su variabili esplicative del successo/fallimento dell’instaurazione democratica, come il bilanciamento dei poteri costituzionali o il grado di intensità delle riforme economiche30; questo modo di procedere si rivela poco adeguato a cogliere i

30 Sul tema delle relazioni tra i modelli istituzionali e la democrazia si veda Linz e Valenzuela (1994), Mainwaring e Shugart (1997); quanto al dibattito sulle riforme del libero

tratti caratteristici di quei regimi, tra cui viene solitamente collocata la Russia, nei quali la presenza di istituzioni democratiche formali, le elezioni in particolar modo, costituisce uno strumento di legittimazione dell’autorità politica e della sua natura per certi aspetti autoritaria31.

A ben vedere, il punto centrale non è misurare la distanza del caso in esame da un ideale punto di riferimento democratico, inevitabilmente imbrigliato nella tradizione politico-filosofica dell’Occidente, quanto comprendere in che modo si concreta l’esercizio del potere in quel determinato contesto socio-politico, nelle sue molteplici configurazioni. Del resto, tale è l’obiettivo che si prefigge la presente ricerca, la quale deve in sé combinare l’esigenza di inserire l’oggetto di studio, il sistema politico russo, in una precisa e più ampia cornice teorica con la necessità irrinunciabile di rendere giustizia del suo peculiare percorso di trasformazione.

A tal riguardo, appare opportuno partire dalla proposta di Levistky e Way che invita ad analizzare il funzionamento di questi sistemi in relazione al grado di successo o fallimento nel consolidamento autoritario: lo sfondo di questo quadro analitico è, dunque, la costruzione di un regime autoritario; in esso si aprono spazi di pluralismo incontrollati (by default) i quali, lungi dal rivelare l’imbocco di una traiettoria democratica, testimoniano l’impossibilità da parte dell’ elite autocratica di eliminare tutte le principali fonti di contestazione. Così, secondo i due studiosi, alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica, tra cui la Russia, possono essere meglio racchiusi nella categoria dei failed authoritarian regimes piuttosto che in quella delle struggling democracies:

nei regimi autoritari competitivi, benché le elezioni si tengano regolarmente e siano in genere prive di irregolarità massicce, i governanti abusano in maniera sistematica delle risorse statali, negano

mercato e il loro impatto sulla democratizzazione si veda Aslund (2000), Bunce (1999), Fish (2006).

31 Sulle specificità dei regimi consolidatisi nello spazio dell’ex Urss si rimanda a Marsh,

all’opposizione un’adeguata copertura mediatica, bersagliano l’opposizione e i loro sostenitori e, in alcuni casi, manipolano i risultati elettorali [...] tuttavia, anche se l’elite autoritaria è in posizione di netto vantaggio, la presenza di istituzioni democratiche significative genera arene nelle quali le forze di opposizione possono porre sfide rilevanti (Levitsky e Way 2002, p. 53).

In questa prospettiva, risulta interessante indagare in che misura e secondo quali modalità i leader autoritari sono in grado di preservare il proprio potere in un contesto internazionale che richiede di conformarsi pienamente agli standard e alle procedure democratiche: in pratica, occorre chiedersi come essi riescano a manipolare le elezioni, a controllare i media e ad intimidire le opposizioni ricercando, al tempo stesso, una parvenza di legittimità democratica. Infatti, proprio il mantenimento di questo delicato equilibrio richiede la messa a punto di una precisa strategia di azione da parte della leadership più una serie di requisiti specifici.

In particolare, tra i regimi consolidatisi nello spazio euroasiatico nel dopo guerra fredda l’atteggiamento del potere politico sembra orientato prevalentemente a smussare le spinte più minacciose della diversità sociale attraverso un controllo delle principali fonti della contestazione politica piuttosto che il ricorso agli strumenti coercitivi tipici degli autoritarismi tradizionali; a questo proposito, una lettura molto efficace delle strategie messe a punto dalle elite post-sovietiche contro le forze centripete anti- governative è quella fornita da Gvosdev:

anziché imporre un unico sistema filosofico-spirituale alla società nel suo insieme, lo Stato mette a disposizione un menu di orientamenti accettabili tra i quali la popolazione è libera di scegliere (2002, pp. 78- 79).

L’obbiettivo è chiaramente quello di filtrare le molteplici tendenze culturali e ideologiche che affluiscono attraverso i meccanismi della globalizzazione e di incanalarle all’interno dei limiti di accettabilità fissati dal potere. É in questa stessa ottica che potremmo leggere la nozione di

“autoritarismo elettorale” (Schedler 2002) formulata con riferimento a quei regimi nei quali lo svolgimento di elezioni multipartitiche avviene in condizioni di libertà politica e di legalità tali da svuotare questo evento del suo contenuto democratico. La manipolazione del momento elettorale può assumere forme differenti, che vanno dalla falsificazione vera e propria dei risultati all’esclusione arbitraria dalla competizione per alcuni candidati, fino ad includere più sottili strumenti di frode, come il controllo della copertura mediatica attraverso la restrizione dell’accesso alle fonti di informazione politica per gli oppositori32. In questo modo la leadership mira ad assicurarsi la legittimità elettorale, soddisfacendo gli attori interni ed esterni, senza correre il rischio dell’incertezza insito nelle procedure democratiche.

A questo punto occorre richiamare l’attenzione su un passaggio fondamentale: questi sistemi politici sono caratterizzati da numerose fonti di tensione interna ed esterna per il semplice fatto di accettare un grado abbastanza elevato di diversità politica e sociale; la presenza stessa dei meccanismi elettorali, di alcuni media indipendenti, dei tribunali, offre periodicamente alle forze di opposizione l’opportunità di sfidare i governanti. Da un lato, questi ultimi rischiano di perdere il proprio potere se non riescono a tenere sufficientemente a bada le spinte democratiche; dall’altro, essi sanno che la loro repressione avrebbe risonanza sia all’interno che all’esterno, con effetti negativi per la legittimità del regime. Dunque, riprendendo il discorso sulla rilevanza della dimensione statale nel consolidamento di qualunque ordinamento politico, autoritario o democratico, occorre interrogarsi sull’abilità con la quale sistemi di questo tipo riescono a gestire le contraddizioni insite nel loro funzionamento: a titolo di esempio, Levitsky e Way (2002) individuano due elementi preziosi dell’efficacia del consolidamento autoritario nella coesione dell’elite al

32 Fish (2005) fornisce una ricca e puntuale documentazione dei principali meccanismi di

manipolazione elettorale impiegati in Russia in occasione delle tornate elettorali del 2003/2004.

potere, ovvero il livello di obbedienza all’interno dell’apparato statale, e nell’ autosufficienza economica e finanziaria, ovvero il controllo statale sui proventi garantiti dalla vendita di risorse naturali come il petrolio e il gas.

Questi approcci offrono senz’altro il vantaggio di focalizzarsi sulle caratteristiche autoritarie di un sistema politico, come quello russo, senza i condizionamenti e i pregiudizi legati ad una presunta desiderabilità del “traguardo democratico”. Tuttavia, se si accetta la validità di un discorso sulla rilevanza della statualità, tale impostazione, una volta applicata al caso della Russia post-comunista, finisce col dare per scontata la presenza di un apparato statale efficace e ben funzionante che, soprattutto nell’era Eltsin e in misura minore con Putin, non corrisponde alla realtà delle cose.

Pertanto, si tratta di una prospettiva che di per sé non scioglie il problema di una sistematizzazione adeguata del ruolo dello Stato quale cornice di riferimento di qualunque trasformazione politica che giunga ad una situazione di seppur minima stabilità. Quest’ultima, a nostro avviso, richiede un’indagine più approfondita delle caratteristiche principali della statualità. Per poter procedere in questo senso, occorre scandagliare con maggior precisione gli aspetti essenziali che qualificano un’organizzazione statale, in riferimento a quelle caratteristiche intrinseche che ne denotano la maggiore-minore efficacia (capacity) nello svolgimento delle sue funzioni ed autonomia di azione rispetto ad eventuali centri di potere alternativi.

1.6. LA FORZA DELLO STATO: CARATTERISTICHE RILEVANTI