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Elementi di cambiamento nello stato dell’italiano diffuso fra stranier

Le riflessioni e i dati presentati necessitano di essere collocati nel quadro di alcune considerazioni più generali, che permettano di mettere a fuoco quei cambiamenti a livello socio-culturale avvenuti dalla fine degli anni ‟70 a oggi, rilevanti per rendere conto delle situazioni e condizioni attuali dell‟apprendimento dell‟italiano L2.

Vedovelli, nel delineare i principali fattori che negli ultimi anni “hanno cambiato lo stato dell‟italiano diffuso fra stranieri”, riscontra in primo luogo un aumento generalizzato dello studio delle lingue, e quindi anche dell‟italiano, a seguito dell‟”aumento della vita media e del numero di non giovani con tempo libero a disposizione” (Vedovelli 2002: 181).

Un elemento fondamentale di cambiamento è costituito poi dal posizio- namento dell‟Italia fra i primi paesi industrializzati: ciò ha inevitabilmente del- le conseguenze sulle motivazioni e sulle funzioni per cui viene studiato l‟italiano. Gli scambi economico-commerciali tra l‟Italia e i diversi paesi del mondo “spingono verso gli usi tecnico-specialistici della nostra lingua e verso quelli strumentali all‟interazione quotidiana o a fini di transazione commercia- le” (Ibidem).; diventa perciò necessario considerare a livello di offerta forma- tiva l‟italiano nell‟ambito dell‟economia, del commercio o della finanza.

Vogliamo a tal proposito sottolineare due fatti a nostro avviso significa- tivi nel mettere a fuoco il forte nesso esistente tra l‟ambito del lavoro e della produzione economica e l‟insegnamento/apprendimento della lingua italiana.

Il primo di essi riguarda l‟aumento degli scambi tra istituzioni e aziende italiane e di altri paesi europei come conseguenza dell‟impegno svolto dai pro- getti europei per favorire la mobilità lavorativa di giovani in formazione, come il progetto WEST (Working Experience through Schools Transnationally) o il progetto WEA (Working Experience Abroad); è evidente che nel caso di gio- vani soggiornanti presso istituzioni o aziende italiane è necessario garantire anche una formazione linguistica in italiano.

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Il secondo dato è relativo invece al costante e fruttuoso rapporto tra a- ziende straniere e le rispettive imprese operanti in Italia. Nel 2001 le imprese a controllo estero residenti in Italia risultano essere circa 11.400 e rappresentano pertanto una quota molto modesta, pari allo 0,3% del complesso delle imprese dell‟industria e dei servizi del Paese. Da una rilevazione dell‟Istat relativa al 2001, che si colloca nel quadro di una produzione statistica orientata a misura- re i fenomeni connessi all‟internalizzazione delle imprese, risulta tuttavia che le imprese straniere in Italia superano le aziende italiane per produttività nomi- nale del lavoro, costo del lavoro, investimenti e spesa in ricerca e sviluppo. Da tale ricerca emerge infatti come, a fronte della modesta consistenza numerica, si registrino ben più significative percentuali relative al contributo di questo segmento di imprese ai principali aggregati economici: 6,4% degli addetti (cir- ca un milione di unità), 16,8% del fatturato (365 miliardi di euro), 11,7% del valore aggiunto (65 miliardi di euro),12% degli investimenti fissi lordi (13 mi- liardi di euro), 33% della spesa in ricerca e sviluppo (oltre 2 miliardi di euro).

Il rapporto tra aziende straniere e filiali italiane prende forma spesso nel- la figura di delegates (o expatriates), ossia professionisti con responsabilità si- gnificative in determinati settori aziendali,che vengono inviati dalla “casa ma- dre” alla filiale italiana per un periodo di tempo anche prolungato e che dunque hanno bisogno di conoscere l‟italiano per l‟interazione sia quotidiana sia lavo- rativa.

Un cambiamento si riscontra anche nel pubblico motivato da ragioni cul- turali. Considerevole resta la categoria di coloro che hanno un interesse gene- ralmente culturale nei confronti dell‟italiano. Si assiste però ad un mutamento delle motivazioni che stanno alla base dell‟iscrizione alle università italiane da parte di studenti stranieri: “si è passati, infatti, - nota Vedovelli – da un‟era contraddistinta soprattutto dalla libera scelta individuale a quella della raziona- lizzazione per gruppi entro il quadro dei grandi progetti europei di mobilità studentesca, i quali hanno innescato bisogni culturali di lingua non generici, ma legati a processi di formazione specialistica e intessuti delle esigenze di in- terazione quotidiana” (Vedovelli 2002: 182). Oltre ai progetti di mobilità stu-

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dentesca, dobbiamo ricordare la nascita di network a livello universitario che consentono programmi di studio internazionali, nonché la situazione, per nulla isolata, di studenti residenti in Italia di origine non italiana che frequentano re- golarmente un intero corso di studi universitario. Nel quadro del processo di internalizzazione del sistema universitario sta quindi crescendo la sensibilità delle Università italiane in merito ad un „offerta formativa centrata sull‟italiano L2.

Non ultimo fattore di cambiamento è poi il fenomeno dell‟immigrazio- ne. Proprio alla fine degli anni ‟70, quando si effettuava l‟indagine motivazio- nale diretta da Baldelli, avveniva la prima ondata di immigrazione straniera in Italia (Ibidem: 179). Vedovelli ricorda una prima indagine sul tema condotta nel 1978 dall‟Università di Roma “La Sapienza”, in cui si registravano fino a circa 70000 presenze di immigrati in Italia.

Come sottolinea Arturo Tosi, l‟immigrazione verso l‟Italia è iniziata rela- tivamente tardi rispetto agli altri paesi industrializzati d‟Europa, soprattutto a causa delle particolari circostanze socioeconomiche italiane. In Italia, diversa- mente da quanto è accaduto in altri paesi europei, “lo sviluppo industriale degli anni cinquanta e sessanta è stato riempito non tanto dalla manodopera stranie- ra, quanto dai lavoratori italiani di origine meridionale che migravano verso il più ricco Nord”; è per questo quindi che il consistente flusso migratorio dai paesi stranieri è iniziato “verso la fine degli anni settanta e l‟inizio degli anni ottanta, quando le condizioni di vita sono migliorate su tutto il territorio nazio- nale e la migrazione interna è praticamente scomparsa” (Tosi 2000: 224-225).