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PARTICOLARE LA SENTENZA N° 2512 DEL 9 GIUGNO DEL

2. Analisi di un caso particolare.

2.2. Elementi di diritto

Il ricorrente (il sig. Michel Ange), adduce a motivo del suo ricorso in primo luogo il fatto che la sig.ra Felisa ha deciso liberamente di pagare il debito della società, e in secondo luogo che la qualità di azionista della stessa (peraltro, azionista apparente) non la obbligava a farlo. Neppure egli stesso, secondo la ricostruzione difensiva, sarebbe stato d'altro canto - e in terzo luogo - responsabile, dal momento, appunto, che il debito era da ricondurre interamente in capo alla società anonima, e pertanto la sig.ra Felisa avrebbe potuto solamente agire con una azione di ripetizione nei confronti della persona giuridica (per il ristoro dei danni e dei pregiudizi sofferti come azionista apparente).

La difesa del titolare apparente e ricorrente Michel Ange prosegue affermando con forza e riferendosi ai precedenti, che non esiste base legale o giurisprudenziale che affermi che, se il prestanome ha pagato una somma a un terzo per conto di una società, questi possa agire in regresso contro il titolare reale della società per il rimborso della somma versata. In conclusione Michel Ange chiede che la controparte debba essere condannata per lite temeraria.

Veniamo quindi alla decisione.

È pacifico, nel giudizio in esame, il fatto che la sig.ra Felisa agisse come prestanome e fiduciaria di Michel Ange, il quale risultava titolare della totalità delle azioni della società anonima.

Ebbene, nella sentenza in esame il giudice sostiene in maniera

tranchant che il medesimo titolare reale è chiamato a rispondere

personalmente delle obbligazioni contratte dalla società adducendo che, poichè è evidente che la società operava solamente in beneficio e nell’interesse del titolare reale del capitale sociale.

Non solo: tutta l’operazione viene definita dal giudice addirittura come fraudolenta, in quanto attraverso di essa il titolare reale intende esercitare, sotto la titolarità fittizia di un prestanome, una attività inibita al ricorrente.

Pertanto, come conseguenza della fraudolenza dell'operazione, ad avviso del Giudice si rende indispensabile "sollevare il velo societario", per evitare che dalla apparenza creata possano essere eluse le responsabilità delle persone che fisicamente la integrano. Da qui la portata dirompente della sentenza in esame.

Il Giudice sostiene che si debba andare oltre la situazione di apparenza, per sanzionare l’abuso di personalità giuridica.

Pertanto il giudicante conclude rigettando, per questa ragione, tutti gli argomenti addotti dalla parte ricorrente, connessi alla esistenza di una personalità giuridica autonoma della società anonima, in ragione della unicità e totale confusione di interessi sussistente tra la società e l’unico socio, e accogliendo totalmente le richieste della Sig.ra Felisa.

2.3 Riflessioni

La pronuncia in oggetto impone varie riflessioni, sotto molteplici profili:

In primo luogo il titolare effettivo è chiamato a rispondere dell'obbligazione contratta nel suo interesse. Viene da chiedersi in proposito se egli risponda, oppure no, in quanto amministratore effettivo (di una società eterodiretta dall’estero), quindi in virtù del proprio ruolo gestorio. Si tratterebbe in questo caso di un collegamento giuridico derivato dall'aver gestito lui.

A tal proposito, viene alla mente come anche nel sistema italiano esistono discipline che riguardano enti collettivi, ad esempio associazioni, secondo le quali la persona fisica che ha agito risponde personalmente . 205

Tuttavia così non sembra essere: dovremmo infatti ipotizzare che, in relazione all'obbligazione saldata dal prestanome Felisa, essa sia stata contratta direttamente dal titolare effettivo Michel Ange, in base ad una decisione presa da questo esclusivamente, e non da Felisa.

Al contrario quello che appare aderente alla motivazione della decisione, è che il titolare effettivo risponda non in qualità di amministratore di fatto, bensì in qualità di titolare (sostanziale) delle azioni della società. Si tratta quindi di un collegamento ancor più astratto, che si basa, a ben vedere, sull'unica circostanza che, in caso di futuri ed ipotetici utili, gli stessi spetterebbero al titolare effettivo. Assai interessante in proposito è ragionare su di un confronto tra questa impostazione e quella assai nota - e assai articolata e analizzata dalla dottrina italiana - dell'imprenditore occulto come teorizzata da Bigiavi . 206

U. BRECCIA, [ET. AL.], Diritto privato, Torino 2009, pp. 140-142.

205

Su queste teorie si rinvia a quanto detto al Capitolo secondo,

206

paragrafo 4. Si veda, inoltre, N. ZORZI, L’abuso della personalità

Ciò detto, tralasciando in questa sede di approfondire la cosa, si segnala esclusivamente come tale questione - appena citata dalla sentenza Andorrana in commento - sia oggetto di una enorme letteratura riferibile alla dottrina francese, tedesca e non ultimo italiana sul punto . 207

Ma nel caso di specie il velo giuridico viene squarciato, a ben vedere, anche su un secondo piano. Infatti, pur volendo ritenere il titolare effettivo quale responsabile nella stessa qualità in cui si trova il prestanome sul piano formale, nel caso specifico, trattandosi di una società anonima, quindi evidentemente protetta dal beneficio della responsabilità limitata, egli non dovrebbe comunque rispondere. In questo caso viene spontaneo al giurista di formazione italiana effettuare un confronto diretto, ancora una volta, con la articolata teoria di Bigiavi, secondo la quale l'imprenditore occulto viene condannato a rispondere a titolo lato sensu sanzionatorio. Anche su questo, non si rinvengono però appigli nella sentenza in commento, né - per quanto ricercato - in altre sentenze Andorrane degli ultimi quaranta anni circa.

Un ultimo, ulteriore approfondimento sarebbe necessario per l'inquadramento della questione di cui al caso specifico della sentenza in oggetto, in quanto si parla di restituzione di una somma che è stata pagata direttamente dalla persona fisica (Felisa), e non dalla società.

Per approfondimenti a tal proposito, pur non trattando del caso

207

andorrano, si rimanda a N. ZORZI, L’abuso della personalità

Senza poter in questa sede approfondire compiutamente la questione, pare inevitabile accennare, inoltre, alla circostanza della modalità con cui, nella sentenza in esame, il Giudice ricorra alla soluzione del “sollevamento del velo societario” .
208

Sappiamo che importanti filoni dottrinali, anche nel diritto continentale, sono giunti a teorizzare il ricorso ad uno “squarcio del velo societario”. Tuttavia, già dalla mole di tali importanti ricostruzioni, conosciamo la meticolosità con cui lo hanno fatto, cercando di delineare in maniera estremamente elaborata e puntuale i contorni, i presupposti specifici, i rischi, i supporti normativi e l’impianto sistematico della ammissibilità di tale operazione.


Da una analisi di tali dottrine , emerge come lo “squarcio” sia 209

applicabile esclusivamente quale extrema ratio, solamente, cioè, dopo aver verificato l’esperimento non proficuo di tutti gli altri rimedi, tra i quali è segnalato anzitutto quello della responsabilità aquiliana di chi ha perpetrato l’abuso nei confronti del soggetto leso . 210

Il sistema complessivo ruotante attorno alla questione è raffigurabile, secondo autorevole ricostruzione, alla stregua di una piramide rovesciata, la cui base, relativa al problema dell’abuso della personalità giuridica, è molto ampia, ma il cui vertice, relativo al vero e proprio “squarcio del velo” - implicante il disconoscimento

Si fa riferimento al passaggio della sentenza in cui viene 208

affermato: “[…] A més a més en tota operació fraudulenta, com la

d'exercir una activitat mercantil prohibida sota la titularitat fictícia d’un prestanom, s'ha d'aixecar el vel de la persona jurídica […]”.

Per la quale si rimanda a N. ZORZI, L’abuso della personalità

209

giuridica, cit, p. 5.

Ibidem, pp. 227-228.

dell’alterità soggettiva - si presenta oramai, nel percorso compiuto dalle dottrine europee, una autentica rarità.

Ebbene, si deve verificare come, di questo scavo ermeneutico, non si rinvienga traccia nella sentenza andorrana in esame.

Solo dalle brevi riflessioni che precedono, si intuisce come la sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia 2512 del 9 Giugno del 2005 in commento, sia ad un tempo in contrasto netto con quanto sistematicamente affermato in relazione all'istituto del prestanome dalla costante giurisprudenza andorrana, e contemporaneamente scarna delle motivazione che potrebbero consentire di apprezzare la ricostruzione compiuta dal giudicante.


Non solo. Possiamo dire, senza timore di smentita, che, a mente del tenore di questa pronuncia, si giunge inevitabilmente a delegittimare non soltanto l'istituto del prestanome (con buona pace della costante e valorizzata argomentazione della sua "tipicità sociale”), ma addirittura, ad incidere su vari altri istituti, ed in particolare anche a vanificare l’istituto stesso della società unipersonale - attualmente, si badi bene, contemplata dalla legge andorrana (Llei de societats) - nel caso specifico la cessione del totale delle azioni a Felisa, fatta tramite atto pubblico, non sarebbe stata possibile.

Un ulteriore profilo di analisi della stessa sentenza, sulla quale si potrebbe ulteriormente approfondire, è la questione della solidarietà della responsabilità del titolare reale (con il prestanome).

Infatti, se la costante giurisprudenza afferma sistematicamente il principio della responsabilità solidale tra interposto ed interponente, la Sentenza esaminata, invece, non solo non accenna a ricollegarsi a

tale linea costante della giurisprudenza andorrana, - dichiarando di volerne superare le “cristallizzazioni” - dando luogo a una decisione in apparente controtendenza, ma condanna il titolare reale al pagamento in favore del prestanome, implicitamente escludendo una qualunque sua responsabilità. Purtoppo, anche in questo caso, la sentenza, non motivando sul punto, non consente di compiere una analisi specifica del percorso argomentativo compiuto dal decidente.