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DEL PRESTANOME

4. Imprenditore e socio occulto

Al giurista italiano che si approcci alla questione relativa al prestanome, non può sfuggire la lunga tradizione dottrinale sul punto. I problemi scaturenti dagli istituti in esame sono stati oggetto dello studio di molti giuristi che si sono approcciati al tema seguendo impostazioni e sistematiche diverse.

Il nucleo del problema risiede nella esigenza di arginare le conseguenze negative del meccanismo interpositorio.

In sostanza, e per passare ad analizzare le conseguenze più pratiche dei problemi sopra esposti, il meccanismo della interposizione non solleva, di per sé, particolari problemi finché i creditori sono regolarmente pagati; ne fa insorgere di ben gravi, viceversa, quando il soggetto “utilizzato” dal dominus sia una persona fisica nullatenente o una società di capitali con capitale sociale irrisorio (detta società di comodo o etichetta).

In particolare, in questi casi si otterrà una esclusione del rischio di impresa, dal reale dominus - che non risponderà grazie allo schermo dell’imprenditore palese o prestanome - e un trasferimento di tale rischio sui creditori più deboli.


Questo modo di operare, peraltro, nella pratica, può essere foriero di più dissesti a catena, dato che i creditori dell’imprenditore palese sono, probabilmente, degli imprenditori a loro volta , questione che 138

interessa pertanto certamente al legislatore.

I rimedi a questo rischio sono stati la preoccupazione principale di molta dottrina.


Un filone di pensiero ha ritenuto di poter far fronte ai rischi sopra

F. GALGANO, Diritto commerciale. L’imprenditore, Bologna

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accennati disancorando la normativa dal principio della spendita del nome, per cui obbligato e responsabile è solo colui che ha agito in proprio nome, escludendo che la stessa sia requisito necessario ai fini dell'imputazione della responsabilità per debiti di impresa.

In sostanza, per l'attività di impresa, secondo questa dottrina, opererebbero principî diversi da quelli che governano l'istituto del mandato senza rappresentanza; principî, cioè, tali per cui si possano imputare, anche al reale dominus, i debiti contratti dall'imprenditore palese; e secondo una tesi ancora più spinta, tali principî consentirebbero addirittura di sottoporre l'imprenditore occulto (o indiretto) al fallimento . 139

Le conclusioni di tale parte della dottrina erano l’affermazione di una responsabilità cumulativa dell’imprenditore palese e dell’imprenditore occulto, fondata sul principio (desunto, secondo i fautori della teoria in esame, da molte delle norme che, almeno nell’ordinamento italiano, regolano l’attività di impresa, anche in forma societaria) della inscindibilità tra potere e responsabilità : chi 140

esercita il potere di direzione di un’azienda se ne assume anche il rischio e risponde delle obbligazioni.

Un ulteriore e definitivo passo rispetto alla citata "teoria del potere di impresa”, è stato compiuto dalla “teoria dell’imprenditore occulto”, notoriamente legata al nome di Walter Bigiavi, al quale va il merito

G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. Vol. 1 Diritto

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dell’impresa, Torino 2013, p. 90.

Ibidem, si fa riferimento a G. FERRI, Manuale di diritto

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di averla approfondita e appassionatamente difesa in numerosi studi . 141

Senza voler qui ripercorrere compiutamente l’articolato pensiero dell’autore, è opportuno segnalare come, muovendo dalle stesse premesse della summenzionata “teoria del potere d’impresa”, la “teoria dell’imprenditore occulto” affermasse la piena parificazione sul piano della responsabilità d’impresa di chi agisce di fronte ai terzi e di chi sta dietro le quinte, per cui il dominus dell’impresa formalmente altrui non solo risponderà insieme a questi, ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome.


Si segnala, infine, come le tesi del Bigiavi siano soggette da sempre a critiche feroci, tra tutte quella recente di Campobasso , il quale 142

sostiene che il vulnus delle impostazioni dottrinali citate, risieda nella parte in cui affermano il criterio “sostanziale” di imputazione della responsabilità per debiti di impresa, in base al quale risponderebbe (ed eventualmente, fallirebbe) anche il reale interessato.

Campobasso, pur riconoscendo la chiarezza e la suggestione degli scritti di Bigiavi, smentisce l’assunto per cui la sovranità di fatto sull'impresa implichi di per sé solo l’unico univoco ed indefettibile criterio giuridico di imputazione dell'attività di impresa.


L’autore, quindi, smantella quella automatica equazione “dominio di fatto - responsabilità illimitata - esposizione al fallimento”, senza naturalmente, che questo, nel suo ragionamento, significhi l’accettazione supina di comportamenti fraudolenti, ad argine dei

Tra i quali, e in particolare W. BIGIAVI, L'imprenditore occulto ,

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Padova 1954 e W. BIGIAVI, Difesa dell'"imprenditore occulto", Padova 1962.

G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. cit., pp. 93-99.

quali è comunque necessario porre dei rimedi che limitino le tendenze a trarre indebito vantaggio dall’utilizzo di schemi formali.

5. Conclusioni.


Al termine di questo capitolo, pare inevitabile, anticipando quello che si dirà nel capitolo successivo, sottolineare come, confrontandosi con l’ambito delle soluzioni giurisprudenziali andorrane, manchi, di fatto, uno sguardo attento a gran parte delle categorizzazioni e distinzioni poste dalle dottrine del nostro come di altri paesi europei.
 Possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che l’unica categorizzazione che assume rilevanza sul piano pratico, nelle decisioni dei tribunali del Principato, è quella che riguarda la differenza tra interposizione reale e interposizione fittizia, di cui si darà conto all’interno del prossimo capitolo.


È tuttavia opportuno fin da adesso sottolineare come la giurisprudenza andorrana, oberata - in un sistema “mutilato” dall’assenza di una dottrina vitale - anche dal compito di sintetizzare e interpretare il sistema delle fonti , si dimostri, per riportare 143

Si veda L. PUIG I FERRIOL, Prologo a Fonaments de dret privat

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l’opinione di autorevole dottrina , tendenzialmente miope in quel 144

campo e attenta quasi esclusivamente alla realtà sostanziale; si preoccupi, cioè, più della soluzione del caso concreto, che delle speculazioni teoretiche e degli inquadramenti dogmatici.

Si veda V. CRESCENZI, Communis Opinio Doctorum cit. p. 697; di

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cui si riporta una delle frasi conclusive: «La realtà è che la giurisprudenza sicuramente nell’esperienza sammarinese, probabilmente anche ad Andorra, è ormai esclusivamente quella decidente, essendo venuta meno l’altra sorgente, quella per così dire scientifica, alla quale spetterebbe quella funzione, tutta pratica, umile, ma non per questo meno vitale, della manutenzione del sistema». Anche LANDI parla di un “sistema mutilato” e di “forte giurisprudenzializzazione del sistema”; si veda A. LANDI, Note a

margine di un recente convegno sul diritto comune vigente, in Iura communia, consultabile all’indirizzo http://www.idr.unipi.it/iura-

III

L’ISTITUTO DEL PRESTANOME E LA SUA