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L’elemento soggettivo: il dolo generico

Abbiamo visto che la definizione di tortura dell’art. 1 della CAT richiede che il dolore e le sofferenze siano “intentionally inflicted”. In quest’ottica, l’autore dei maltrattamenti l’agente deve agire in modo intenzionale379, raffigurandosi sia

l’intenzione di agire sia l’intenzione di cagionare acute sofferenze psico-fisiche. Questo fa sì che siano esclusi dalla fattispecie di tortura criteri di imputazione soggettiva meno stringenti come il dolo eventuale e la colpa generica, si pensi in questo senso alle sofferenze derivanti da un atto incidentale o che siano il prodotto di mera negligenza.

Oltre all’intenzionalità la definizione contenuta nell’art. 1 CAT richiede che la tortura commessa dall’agente nei confronti della vittima sia perpetrata “for such

purposes as abtaining from him or a third person information or a confession, punishing him for an act he or a third person has committed or is suspected of having committed, or intimifating or coercing him or a third person, or for any reason based on discrimination of any kind”. In altri termini, la condotta

dell’agente deve corrispondere a un dolo specifico380 e perseguire le finalità

379Mantovani F., Diritto Penale. Parte Generale, p. 307 “Il dolo intenzionale si ha quando la volontà

ha direttamente di mira l’evento tipico, è diretta alla realizzazione del medesimo, sia esso stato previsto dall’agente come certo o anche soltanto come possibile (es: il tiratore, che vuole l’evento mortale pur se nel dubbio di riuscire a cagionarlo per inesperienza o per eccessiva distanza dalla vittima); Marinucci G., Dolcini E., Manuale di diritto penale. Parte Generale, Milano, 2011, p., 279 “Il dolo intenzionale si configura quando il soggetto agisce allo scopo di realizzare il fatto: ad es., spara e uccide, avendo di mira la morte di quell’uomo. Non è necessario che la realizzazione del fatto rappresenti lo scopo ultimo dell’agente, potendo essere anche uno scopo intermedio”; Ramacci F., Corso di diritto penale, Torino, 2014, p., 344 “Seguendo le modulazioni della preminenza della volontà, oppure della previsione, in ordine alla realizzazione del fatto di reato è possibile distinguere il dolo diretto di primo grado o intenzionale, caratterizzato dalla coincidenza tra fatto voluto e fatto realizzato [..]”.

380 Ramacci F., Corso di diritto penale, Torino, 2014, p., 345 “Anche la distinzione tra dolo generico

e dolo specifico è tradizionale. Essa trova la sua spiegazione nel momento strutturale della previsione, che nel dolo specifico si estende allo scopo che l’autore del fatto si ripromette di conseguire attraverso la realizzazione del fatto stesso”; Mantovani F., Diritto penale. Parte

Generale, Padova, 2016, p., 321 “Il dolo specifico, proprio di particolari figure criminose e che si

ha quando la stessa legge esige, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale, che il soggetto agisca per un fine particolare, che è appunto previsto come elemento soggettivo costitutivo della fattispecie legale, ma che sta oltre il fatto materiale tipico, onde il conseguimento di tale fine non è

elencate quali l’ottenere informazioni o confessioni, la punizione, l’intimidazione o la coercizione, o qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione.

Allontanandosi per l’ennesima volta dalla definizione pattizia, il nuovo delitto di tortura introdotto con l’art. 613 –bis c.p. non fa dell’intenzionalità e della specificità dell’azione elementi caratterizzanti. Secondo la norma, infatti, il nuovo delitto di tortura è punito anche se accompagnato da un semplice dolo generico381. Per quanto concerne l’intenzionalità, l’idea di inserire il dolo intenzionale quale elemento caratterizzante del reato di tortura è stata sin da subito fortemente appoggiata da parte di un autorevole dottrina382, che intravedeva proprio nell’intenzionalità la soluzione tra l’altro del tanto discusso fenomeno del sovraffollamento carcerario383. Il dolo intenzionale avrebbe connotato l’azione

necessario per la consumazione del reato”; Marinucci G., Dolcini E., Manuale di diritto penale.

Parte Generale, Milano, 2011, p., 283 “Il dolo specifico consiste in uno scopo o in una finalità

particolare ulteriore che l’agente deve prendere di mira, ma che non è necessario si realizzi effettivamente perché il reato si configuri”

381 Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, Padova, 2016, p. 305 “Il dolo generico è

rappresentazione e volontà del fatto oggettivo tipico, cioè di tutti gli elementi oggettivi, positivi e negativi, della fattispecie del reato. In tal caso la legge richiede la semplice coscienza e volontà del fatto materiale, essendo indifferente per l’esistenza del reato il fine per cui si agisce;

382 Vigano F., Sui progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione presso la camera dei

deputati: Parere reso nel corso dell’audizione svoltasi presso la Commissione di Giustizia della Camera dei Deputati il 24 settembre 2014, in Dir. pen. cont., p. 23 “Ogni più precisa selezione dei

fatti penalmente rilevanti dovrà piuttosto – in linea con le chiare e ragionevoli indicazioni dell’art. 1 CAT – essere affidata a requisiti di carattere soggettivo. Tale causazione dovrà essere intenzionale: l’agente dovrà cioè agire precisamente allo scopo di cagionare una intensa sofferenza; evento, quest’ultimo, che dovrà atteggiarsi a sua volta nella mente del reo quale passaggio intermedio indispensabile per conseguire una delle ulteriori finalità che catturano l’essenza criminologica della tortura, e che occorrerà mutuare della definizione dell’art. 1 CAT. L’agente dovrà cioè perseguire specificamente la causazione di gravi sofferenze (i “tormenti” di medievale memoria”, perché proprio grazie a queste sofferenze potrà ridurre la vittima in suo potere costringendola alla confessione o a fornire informazioni o a compiere qualsiasi altro atto, ovvero mortificandone la sua dignità umana per punirla per le sue convinzioni politiche, per il suo credo religioso, per la sua appartenenza a una determinata razza o etnia, etc.”.

383 Colella A., La repressione penale della tortura: Riflessioni de iure condendo, 2017, in Dir. pen.

cont., p. 40 “L’inserimento di un simile requisito consentirebbe, ad esempio, di escludere con sicurezza dall’ambito di applicazione della norma sulla tortura il già richiamato fenomeno del

distinguendo fatti configurabili come tortura da quelli inquadrabili invece nelle fattispecie ordinarie di lesioni, percosse, minacce, violenza privata ecc. Si pensi in questo senso a una operazione di arresto particolarmente violenta in quanto operata nei confronti di un soggetto in uno stato alterato e per niente collaborativo, l’intento dell’agente è quello di porre in essere il provvedimento giudiziario anche se a suo malgrado la condotta provoca alla vittima acute sofferenze fisiche. Il rischio è sempre lo stesso: la mancata previsione del dolo specifico amplia oltremodo la fattispecie del nuovo reato fino a ricomprendervi fatti che nulla hanno a che vedere con l’essenza criminologica della tortura384.

Il nuovo delitto è punito a titolo di dolo generico, ovvero per la configurazione del reato basta la volontà e coscienza di torturare da parte dell’autore senza che vi sia bisogno di alcuna ulteriore finalità nella sua azione. Il richiamo al dolo generico deve considerarsi una scelta congrua con la previsione della tortura come reato comune e non come reato proprio del pubblico ufficiale. In questo senso come precedente detto vi è una netta differenza con la CAT dove la previsione dell’elemento del dolo specifico è assolutamente necessaria, nella misura in cui vi è un nesso causale imprescindibile tra l’azione del pubblico ufficiale e gli scopi che animano la sua condotta. Infatti, il momento conoscitivo dell’agente non si ferma alla conoscenza degli elementi della tortura, ma va al di là di essa, nel senso che la tortura è rappresentata come mezzo per un fine ulteriore. Questo significa che atti di tortura commessi senza uno specifico scopo volto a ottenere informazioni, punire, intimidire ma per mera crudeltà (si pensi ad azioni di sadomasochismo o alle violenze commesse per motivi personali) si collocano al di fuori della previsione dell’art. 1 CAT. Sotto questo profilo, non è necessario che i moventi siano effettivamente raggiunti essendo sufficiente che le finalità compaiano nella rappresentazione della tortura.

In conclusione, anche se il riferimento al dolo generico appare una scelta logica soprattutto se si considerano gli altri elementi del nuovo delitto di tortura,

sovraffollamento carcerario: un problema gravissimo, che tuttavia non può e non dev’essere all’evidenza affrontato attraverso lo strumento della repressione penale”.

384 Marchi I., Il delitto di tortura, p. 164: “Ciononostante, a seguito dell’ultima interpolazione del

Senato la scelta è stata quella di sopprimere dal testo del disegno di legge approvato alla Camera il 9 aprile 2015, oltre all’elemento del dolo specifico, il termine intenzionalmente che ben poteva tipizzare il reato di tortura”.

questo non vuol dire che sia la scelta migliore. Non va dimenticato che per la CAT è il dolo specifico l’elemento caratteristico della tortura che differenzia quest’ultima da qualsiasi altro trattamento crudele, inumano e degradante. La specificità dell’azione sanziona la forma tipica della tortura quella che si infligge alla vittima per ottenere confessioni o informazioni, per punirlo, per intimidirlo, per far su di esso pressione o per discriminarlo. È proprio questa la forma di tortura richiesta dagli obblighi internazionali, quella comunemente più praticata quella più odiosa che distrugge la dignità della vittima rendendo quest’ultima oggetto delle pratiche del terrore. Si pensi ai fatti di collegati alla scuola “Diaz” o alla vicenda “Bolzaneto”, appare impossibile considerare che le azioni poste in essere dagli agenti non siano state animate dai fini di cui all’art. 1 CAT.