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Oltre alla qualifica della tortura risulta altresì problematica anche l’individuazione esatta del soggetto passivo del reato. Infatti, la previsione dell’art. 613 – bis c.p. prevede che gli atti di tortura vengano commessi nei confronti di tre categorie di soggetti, rispettivamente si deve trattare di: a) una persona privata della libertà personale; b) una persona affidata alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza (del soggetto agente); c) una persona che si trovi in condizione di minorata difesa. In prima battuta emerge che, a differenza della definizione di tortura della CAT che identifica l’unico soggetto passivo del reato come “a person” a prescindere dalla sua condizione, la norma italiana delinea un’elencazione inclusiva dei soggetti passivi del reato finendo per circoscrivere l’ambito di

356 Lobba P., Punire la tortura in Italia. Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e diritto penale

internazionale, 2017, in Dir. pen. cont., p. 231; Burchard C., Torture in the jurisprudence of the Ad Hoc Tribunals, Journal of International Criminal Justice, 2008, pp. 159.165.

357 Cap. III, par. 8.

operatività della norma alla luce degli episodi di tortura più frequentemente verificatesi in Italia.

Ma andiamo con ordine, vista l’eterogeneità dei soggetti prendiamo in prima considerazione l’ipotesi sub b) che richiama la nozione di affidamento e che rinvia chiaramente a uno status giuridicamente formalizzato dove l’autore della tortura gode dell’auctoritas o potestas ed è investito del potere/dovere di garantire la neutralità dello stato di soggezione della vittima salvaguardando la sua incolumità psico-fisica. Guardando la previsione è lecito chiedersi quale soggetto sia investito del dovere di affidamento, custodia, vigilanza, controllo, cura e assistenza verso qualcuno, oppure chi possa essere sottoposto a tale affidamento, custodia, vigilanza, controllo, cura e assistenza. La disposizione, sul piano meramente fattuale, sembra fare riferimento a luoghi quali scuole, ospedali, case di cura e riposo, famiglie, fabbriche, aziende e quelli più in generale che sono di per sé luoghi idonei alla commissione di prevaricazioni e violenze359. Ne deriva che la previsione sub b) include quelle condotte lesive perpetrate nei confronti di persone sottoposte ad una condizione generica di soggezione delineando in tal modo una vasta categoria dei soggetti ricompresi. Il rischio è quello di configurare come tortura, partendo da interpretazioni superficiali, anche fatti di lieve gravità che nulla hanno a che vedere con il crimine di per sé.

Un altro effetto da non sottovalutare riguarda il concorso apparente o reale di questa fattispecie in rapporto con altri reati. Una parte della dottrina ha ravvisato un rischio reale di sovrapporre l’ambito applicativo della norma sulla tortura, a quello del delitto di cui all’art. 572 c.p., nella misura in cui configura i maltrattamenti contro familiari o conviventi alla luce della supremazia dell’autore nei confronti “[…] di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia”360. Lo stesso ragionamento può

359 Cisterna A., Reato di tortura: due nuove norme e pene più pesanti se è coinvolto un pubblico

ufficiale, Sole 24 ore, 2017, cit., par. 6.

360 Collela A., La repressione penale della tortura, p. 38 : “Quanto al requisito sub b), siamo

dell’idea che la sua introduzione avvrebbe come effetto collaterale quello di sovrapporre l’ambito aplicativo della norma sulla tortura a quello del delitto di cui all’art. 572 c.p., che come noto – al contrario di quel che farebbe pensare la rubrica - non resta confinato all’ambito familiare, ma si applica anche nei casi in cui il soggetto passivo sia sottoposto all’autorità dell’agente o a lui affidato “per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia”. In tale evenienza la Pubblica Accusa potrebbe contestare, invece della fattispecie di maltrattamenti in famiglia, quella della

essere fatto anche con riguardo allo stolking (art. 612 – bis c.p.). Il rischio di sovrapposizione comporterebbe, dopo aver preliminarmente scongiurato qualsiasi ipotesi di assorbimento, di dover determinare in base al criterio dell’art. 15 c.p. se il reato di tortura si pone in rapporto di specialità rispetto ai delitti associati agli artt. 572 e 612 –bis c.p.

La locuzione privato della libertà personale, prevista nella ipotesi sub a) sembra ispirarsi all’obbligo costituzionale di incriminazione di cui all’art. 13(4) Cost. nella misura in cui prevede la limitazione della libertà in forza di un provvedimento giurisdizionale, che dà seguito all’esecuzione di misure cautelari, pre-cautelari e di sicurezza, con effetto custodiale del soggetto. La previsione è altresì in linea con la CAT specialmente se si pensa che la quasi totalità delle vicende giunte dinanzi al Comitato CAT, ha come oggetto maltrattamenti perpetrati da autori che agiscono a titolo ufficiale nei confronti di vittime sottoposte a custodia o controllo. Non vi sono dubbi infatti che i casi esposti maggiormente al rischio di tortura siano quelli in cui il soggetto passivo si trovi in condizioni di restrizioni di libertà sotto forma di detenzione anche solo temporanea. Così come formulata la previsione mira proprio a sanzionare l’abuso di potere derivante da una posizione di supremazia dell’autore nei confronti della vittima. Tale abuso di potere può derivare da una sanzione legittima, si pensi in questo senso all’arresto illegale esercitato fuori dai casi disciplinati dalla legge (art. 606 c.p.). Tuttavia, la privazione della libertà così concepita non esclude uno stato di supremazia derivante da una illecita coercizione personale della vittima quale un sequestro di persona (art. 605 c.p.).

Se la scelta di tutelare le persone private della libertà personale sembra una conseguenza logica dell’attuazione degli obblighi costituzionali e internazionali, più complessa risulta l’interpretazione tendente ad ampliare la fattispecie anche al di fuori di provvedimenti formali di arresto, di fermo o di custodia cautelare.

Una parte degli abusi, infatti, avviene nella fase ex ante ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, si pensi ad esempio a atti di natura pre-cautelare come le ispezioni o le perquisizioni finalizzate alla ricerca di prove, o ai c.d. “piccoli fermi” effettuati comunemente dalle forze dell’ordine per neutralizzare soggetti in stato

tortura, anche in relazione a fatti naturalmente destinati a rientrare nella sfera di operatività dell’art. 572 c.p.”.

alterato che si rifiutano di collaborare361 o alle cariche in assetto antisommossa

(seguite da colpi di manganelli nelle parti vitali) delle forze di polizia contro pacifici e inermi manifestanti. Ma soprattutto, e la vicenda Diaz insegna, vi sono anche casi dove la violenza viene perpetra nei confronti di vittime che si trovano in stato di libertà. Tutte queste circostanze sembrano rimanere fuori dalla copertura della previsione sub a) e non possono essere sanzionate dall’attuale normativa penale.

Passando alla terza e ultima ipotesi, la situazione di “minorata difesa” come elemento caratterizzante la vittima di tortura e, prevista dalla lettera c) della norma incriminatrice. Come nella previsione sub a) anche in questo caso il reato di tortura si configura dall’abuso della posizione di supremazia del colpevole nei confronti della vittima. Va subito detto che la previsione, comunque non sconosciuta in ambito penale, è stata da subito ampiamente criticata da parte della dottrina maggioritaria che l’ha definita come del tutto inopportuna362 in quanto oggetto di ampi margini di discrezionalità interpretativa. La scelta di “minorata difesa” sembra ricalcare l’aggravante di cui all’art. 61(5) c.p., nella misura in cui fa riferimento allo stato di debolezza psico-fisica che ostacolerebbe la reazione della vittima agevolando la commissione del reato363. La Corte di Cassazione quando si è

361 Ibid, p. 38: “L’unico requisito di fattispecie di senza riserve riteniamo opportuna l’introduzione

è il riferimento alla privazione della libertà personale del soggetto passivo. A questo proposito, sarebbe a nostro avviso di fondamentale importanza precisare, nel testo della norma incriminatrice, l’irrilevanza della previa emanazione di un provvedimento formale di arresto, di fermo, di custodia cautelare, ecc.: come si è evidenziato nel paragrafo introduttivo, infatti, gli abusi più ricorrenti avvengono proprio in occasione dei cd. ‘piccoli fermi’ effettuati dalle forze dell’ordine (nella maggior parte dei casi per sedare un soggetto in apparente stato di alterazione o per procedere alla sua identificazione), senza un preventivo controllo dell’autorità giudiziaria”.

362 Marchi I., Il delitto di tortura: prime riflessioni a margine del nuovo art. 613 – bis c.p., Dir. pen.

cont., 2017, p. 157: “Lascia invece perplessi l’utilizzo della nozione di “minorata difesa” in termini

di caratterizzazione della “vittima” di tortura, poiché essa possiede contorni sfumati che lasciano aperti ampi margini di discrezionalità interpretativa”; Colella A., La repressione penale della

tortura, p. 38: “Del tutto inopportuno ci sembra, invece, il riferimento alla condizione di “minorata

difesa” […]. Non sembra che l’introduzione di questa imprecisa previsione valga a colmare vuoti di tutela, perché è piuttosto difficile immaginare situazioni in cui la vittima di tortura si trovi in una (mera) situazione di “minorata difesa” e non sia, al tempo stesso, privata della libertà: si pensi, ad esempio, agli abusi commessi dai giovani detenuti del carcere minorile di Nisida nei confronti del loro compagno di cella”.

363 Cassazione, Sezione II, 7 gennaio 2015 n. 13933, par. 1.2: “Le circostanze di persona che, ai

pronunciata in materia ha stabilito che “la valutazione della sussistenza della circostanza aggravante della minorata difesa per approfittamento delle condizioni del soggetto passivo va operata dal giudice valorizzando situazioni che, nel singolo caso, abbiano ridotto o comunque ostacolato la capacità di difesa della parte lesa, agevolando in concreto la commissione del reato”364.

Pertanto, spetterà al giudice a quo valutare discrezionalmente il singolo caso individuando quelle circostanze che abbiano inciso in negativo sulla capacità difensiva della vittima favoreggiando in tal modo la realizzazione del reato. Sotto questo profilo anche se un’interpretazione uniforme è preferibile, non è chiaro se le circostanze aggravanti dell’art. 61(5) c.p. siano anche riferibili al nuovo delitto di tortura o se con la formulazione di quest’ultimo il legislatore abbia avuto intenzione di disciplinare una diversa menomazione della capacità di difesa psico-fisica in relazione ai maltrattamenti subiti. Si aggiunga che è alquanto difficile ipotizzare situazioni nelle quali la vittima si trovi in una situazione di “minorata difesa” e non sia al contempo privata della sua libertà. In definitiva, è assolutamente da condividere il parere reso dal Giudice Vigano alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati sull’introduzione del delitto di tortura in Italia che, in riferimento al soggetto passivo del reato ha considerato come “[i]nutili, […], tutti

gli sforzi per selezionare i possibili soggetti passivi, attraverso ad es. la limitazione dell’incriminazione alle sole persone ‘private della libertà personale’ (quid iuris, allora, per le persone ancora libere, ma sottoposte a feroci e inutili pestaggi, come nel triste caso della scuola Diaz di Genova?), o peggio alle persone sottoposte alla “custodia o autorità o potestà o cura o assistenza” (che rischierebbe di trasformare la tortura in una sorta di super-tipo di maltrattamenti) o, ancora, alle persone in stato

in uno stato di debolezza fisica o psichica in cui la vittima del reato si trovi per qualsiasi motivo; ne consegue che esse devono essere conosciute dall’agente e tali da ostacolare, in relazione alla situazione fattuale concretamente esistente, la reazione dell’autorità pubblica o delle persone offese, agevolando la commissione del reato. (Fattispecie, nella quale la Corte ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante in relazione in una serie di truffe, connesse all’abusivo esercizio delle professioni di psicologo, psicoterapeuta e medico psichiatra, poste in essere dall’imputato in danno dei pazienti)”.

di “minorata difesa” (la cui puntuale individuazione aprirebbe quesiti ermeneutici di assai malagevole soluzione)”365.

In conclusione, la scelta più sensata è quella che si ritrova nell’art. 1 CAT ovvero di classificare il soggetto passivo semplicemente come un individuo tralasciando condizioni o situazioni nelle quali esso si trovi.