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Da ultimo alcune considerazioni devono essere fatte per quanto concerne il quadro sanzionatorio del nuovo delitto di tortura. Ricordiamo che, secondo l’art. 4 CAT, lo Stato parte oltre a provvedere affinché la tortura costituisca reato all’interno del suo codice penale deve altresì garantire che qualsiasi atto di tortura sia punito con pene adeguate che ne prendano in considerazione la gravità. In forza della norma internazionale resta da capire, allora, se la cornice edittale del nuovo reato di tortura sia proporzionale alla gravità del crimine.

Affinché sia adeguatamente sanzionata la tortura, il primo elemento che il nuovo reato deve prendere in considerazione riguarda i tempi necessari per il decorso della prescrizione, istituto che ha la sua ratio nell’attenuarsi dell’interesse dello Stato alla punizione dei reati il cui ricordo sociale si è affievolito per il trascorrere di un periodo di tempo nel quale non si sia arrivati all’accertamento della responsabilità o alla esecuzione della pena inflitta392. In altri termini, l’applicazione dell’istituto coincide con il venir meno dell’interesse pubblico alla repressione del reato, questo perché il decorso del tempo fa sì che l’attualizzazione della conseguenza sanzionatoria appaia ormai inopportuna in quanto il decorso del tempo ha fatto cessare l’allarme sociale provocato dalla commissione del reato393. Per

quanto concerne la tortura “convenzionale”, il Comitato CAT ha ritenuto l’assoluta necessità di estromettere ogni tipo di istituto premiale per il reato di tortura nonché di garantire che gli autori del crimine non beneficino di nessun termine prescrittivo394. Sotto questo profilo come abbiamo visto nel primo capitolo, la

mancata previsione di un reato proprio e imprescrittibile del pubblico ufficiale viene giudicata, da parte del Comitato CAT, come un inadempimento degli obblighi derivanti dagli artt. 1 e 4 CAT.

Ritornando alla tortura “nazionale”, resta da capire se il quadro sanzionatorio previsto dall’art. 613 –bis c.p. sia idoneo a scongiurare una sistematica impunità

392 Mantovani F., Diritto penale, p. 802. 393 Ramacci F., Corso di diritto penale, p. 590.

394CAT Committee, Concluding Observations on Guatemala, 21 giugno 2013, UN Doc.

CAT/C/GTM/CO/5-6, par. 10; CAT Committee, Concluding Observations on Nepal, 15 dicembre 2005, UN Doc. CAT/C/NPL/CO/2, par. 28; CAT Committee, Concluding Observations on Chile, 14 maggio 2004, UN Doc. CAT/C/CR/32/5, par. 4.

derivante dal fatto che la durata del procedimento penale nel complesso sia maggiore al tempo necessario per prescrivere il reato. In altri termini, la cornice edittale prevista dalla nuova norma deve come prima cosa assicurare che i tempi di prescrizione siano maggiori rispetto all’iter giudiziale necessario per giudicare gli autori dei maltrattamenti. La prescrizione del reato, che presuppone che non sia intervenuta una sentenza definitiva di condona, viene disciplinata dall’art. 157 c.p. Secondo quest’ultimo, la prescrizione estingue il reato dopo che è decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilità dalla legge per il reato stesso. Viene tuttavia fissato, dallo stesso art. 157 c.p., un limite temporale all’applicazione della prescrizione che non può essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro anni per le contravvenzioni, anche nel caso in cui la stessa legge preveda per entrambi la pena pecuniaria. Sotto questo profilo, la pena della reclusione da 4 a 10 anni, prevista dall’art. 613 –bis c.p. per il reato “base” di tortura può considerarsi in linea con i tempi necessari che caratterizzano un procedimento penale e/o comunque idonea a garantire il giudizio penale nei confronti dell’autore del crimine.

Ciononostante, le norme internazionali considerano la tortura come reato imprescrittibile. Il che è ben diverso dal prevedere pene ragionevolmente adeguate per scongiurare l’impunità degli autori di tortura in forza dell’applicazione dell’art. 157 c.p. L’applicazione dell’istituto di prescrizione rappresenta pur sempre una sorta di “scappatoia” per gli autori del crimine, che allontana ancora una volta il nuovo delitto nazionale dal rispetto degli obblighi internazionali. Si pensi ad esempio a una domanda di estradizione avverso un soggetto accusato di aver commesso atti di tortura nel paese d’origine presentata dopo che il reato di cui all’art. 613 –bis c.p. sia stato estinto per il decorso dei termini di prescrizione ex art. 157 c.p.

Tutt’altro ragionamento deve essere fatto per quanto concerne il reato di tortura “aggravato” dalla partecipazione di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, disciplinato dal secondo comma dell’art. 613 –bis c.p. A seguito dell’ultima modifica del Senato si è deciso, dopo che è stata apportata la diminuzione del massimo edittale dai quindici ai dodici anni, di stabilire per la fattispecie aggravata dalla presenza attiva del pubblico ufficiale la pena della reclusione dai 5 ai 12 anni. La differenzia nel trattamento sanzionatorio tra il reato “semplice” commesso da un privato cittadino e il reato circostanziato commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni è davvero minima. Ma vi è di

più, questa differenzia diventa irrisoria se si considera anche la mancata previsione della pena accessoria estintiva del rapporto di lavoro che sempre e comunque deve accompagnare il reato, al fine di garantire l’imparzialità e l’effettività dell’indagine, qualora il soggetto agente sia un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio. Nella nota sentenza Cestaro c. Italia, la Corte di Strasburgo ha rilevato come la mancata sospensione dal servizio degli agenti di polizia costituiva una violazione dell’obbligo di inchiesta effettiva395. Non va dimenticato che anche per

la CAT la previsione di pene accessorie, volte a garantire l’imparzialità delle indagini, è fondamentale. Sotto questo profilo al fine di garantire l’effettività e l’imparzialità delle indagini, il Comitato CAT ha da sempre raccomandato la sospensione del personale accusato di atti di tortura.

Dopo la prescrizione, probabilmente il più grande problema della criminalizzazione nazionale della tortura riguarda la mancanza di un divieto espresso di bilanciamento da parte del giudice. Ne segue che, la tortura aggravata dalla partecipazione attiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee di cui all’art. 69 c.p., con conseguenti prevedibili incertezze nella prassi applicativa rimessa alla discrezionalità del giudice che copre anche l’applicazione di altri istituti premiali come ad es. l’indulto. Lo stesso ragionamento, sul concorso delle circostanze aggravanti e quelle attenuanti ex art. 69, si può fare per la tortura aggravata di cui al quarto e quinto comma dell’art. 613 -bis, che stabilisce rispettivamente: l’aumento della pena fino 1/3 quando derivi una lesione personale; l’aumento della pena di 1/ 3 e della metà qualora derivi rispettivamente una lesione personale grave e gravissima; 30 anni di reclusione ove si verifica la morte della vittima come conseguenza non voluta.

Alla luce delle sopraesposte considerazioni, tenendo presente specilamente l’applicazione dell’istituto di prescrizione, pare difficile sotenere che il quadro sazionatorio del nuovo reato sanzioni in maniera adeguata gli atti di tortura come da art. 4 CAT.

4. L’art. 613 –ter c.p.: Istigazione di un pubblico ufficiale o di un incaricato di