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3. EMOFILIA CONGENITA ED EMOFILIA ACQUISITA: ASPETTI CLINICO DIAGNOSTIC

3.1 Emofilia Congenita

L’emofilia congenita, distinta nelle due forme A e B, è una malattia emorragica ereditaria X-linked, nella quale risultano alterati quantitativamente o qualitativamente il FVIII e il FIX rispettivamente.

La patogenesi delle sindromi emofiliche rimase avvolta nel mistero fino al 1893, quando Wright sviluppò una tecnica per misurare il tempo di coagulazione e dimostrò che il plasma dei pazienti emofilici coagulava molto più lentamente. Tuttavia la miscela di plasma emofilico con plasma normale coagulava normalmente. Questa osservazione portò Brinkhouse e Quick a scoprire nel 1947 che la causa dell’emofilia A consisteva nella mancanza di una globulina, il FVIII, necessaria per la generazione di tromboplastina. Nello stesso anno Pavlovsky osservò che il plasma di alcuni emofilici poteva correggere la prolungata coagulazione in vitro di altri emofilici clinicamente indistinguibili dai primi. Questa osservazione permise di identificare l’emofilia B, dovuta a carenza del FIX, e fu così distinta dall’emofilia A nel 1952 da Aggeler e Biggs. Le due entità risultavano indistinguibili clinicamente entrambe con ereditarietà recessiva legata al sesso [30].

L’incidenza dell’emofilia A e B è rispettivamente di 15-20 e 2-5 casi su 100.000 maschi all’anno senza che siano state rilevate differenze etniche o geografiche. L’emofilia A è da quattro a sei volte più frequente dell’emofilia B.

L’emofilia A viene distinta in tre forme sulla base del livello del FVIII: - Grave: livello di FVIII inferiore all’1% del normale;

- Moderata: livello di FVIII compreso fra 1% e 5% del normale; - Lieve: livello di FVIII compreso fra 6% e 30-40% del normale.

Trattandosi di una malattia trasmessa come carattere recessivo legato al cromosoma X, tutti i figli maschi di donne portatrici hanno il 50% di possibilità di essere malati; la gravità del quadro dipende dal tipo di mutazione, interessante il

gene codificante per il FVIII, e dalla conseguente variabile attività funzionale residua.

Si possono distinguere due tipi principali di difetti genetici:

- difetti genici dovuti a grossolani rimaneggiamenti del DNA che danno invariabilmente luogo ad emofilia A grave. Essi comprendono, oltre ad un difetto comune legato ad una inversione completa della sequenza genica fra l’esone 1 e l’esone 22 con completa impossibilità di sintetizzare FVIII (questa anomalia è alla base del 40% circa dei casi di emofilia A grave), delezioni intrageniche di varia entità coinvolgenti 100 o più nucleotidi o addirittura l’intero gene; inserzione di retrotrasposomi; duplicazioni; - difetti meno grossolani che possono dar luogo sia a forme gravi, come nei

casi dovuti a mutazioni nonsenso o a inserzioni o delazioni di sequenze con meno di 100 basi, sia a forme intermedie o lievi, dovute a mutazioni missenso. Alcune mutazioni missenso permettono una sintesi e secrezione di FVIII con attività residua che risulta tuttavia assente o variabilmente ridotta. In questi casi nel plasma del paziente si rinviene un FVIII anomalo, ancora in grado di reagire con anticorpi specifici, denominato “cross reacting material” (CRM) [30].

Le manifestazioni emorragiche dipendono dal livello residuo di attività del FVIII circolante.

L’emofilia A grave si manifesta, generalmente, entro il primo anno di vita se non già alla nascita con gravi sanguinamenti cerebrali. Il quadro clinico è caratterizzato da emorragie spontanee intramuscolari, nei tessuti molli, negli organi parenchimali e, con l’inizio della deambulazione, a livello articolare. Le estrazioni dentarie e gli interventi chirurgici anche lievi possono essere seguiti da emorragie irrefrenabili. Nella forma moderata le emorragie spontanee sono rare, gli emartri sono sempre possibili anche se meno frequenti. La forma lieve solitamente si presenta nell’adolescenza o anche nell’età adulta, essendo le emorragie spontanee assenti e la principale manifestazione è un imponente sanguinamento post-operatorio, qualora non vengano correttamente identificati.

Il sanguinamento intrarticolare, per i suoi esiti, è probabilmente la manifestazione più grave. Clinicamente si presenta con tutti i segni della flogosi: dolore via via più inteso, tumefazione articolare, calore e impotenza funzionale con flessione antalgica. Gli episodi tendono a recidivare e col tempo si instaura un’anchilosi altamente invalidante. Le sedi articolari più colpite, in ordine decrescente di frequenza, sono: ginocchio, tibio-tarsica, gomito, polso, spalla e anca [30].

Gli ematomi muscolari si realizzano generalmente dopo traumi anche banali. A seconda del distretto possono verificarsi fenomeni di compressione di tronchi nervosi o vascolari con sintomi clinici correlati (parestesie e ischemie). In caso di ematomi alla lingua o alla muscolatura della laringe o del collo si possono avere fenomeni di soffocamento o difficoltà respiratorie.

La diagnosi di emofilia A si basa in prima istanza sull’anamnesi familiare, che risulta positiva nel 70% circa dei casi, e sull’anamnesi personale, da cui emergono pregresse emorragie sia spontanee sia post-traumatiche, soprattutto nella forma grave della malattia. L’anamnesi può essere negativa nelle forme lievi.

Si riscontrerà allungamento dell’aPTT con un PT normale, il dosaggio del FVIII permette di stabilirne anche la gravità.

L’emofilia B presenta la stessa modalità di trasmissione dell’emofilia A anche se c’è una maggiore eterogeneità genetica. Sono stati descritti almeno 80 tipi di difetti molecolari diversi. Nella maggior parte dei casi il difetto è quantitativo, nel 30%, invece il deficit è prevalentemente funzionale, con presenza di CRM. Nell’emofilia BM, forma riscontrabile in circa il 15% dei casi, il PT, normale con le tromboplastine di uso più comune, si presenta allungato con l’impiego di tromboplastina bovina, probabilmente per una particolare inibizione sul FXa. Una forma particolare è l’emofilia B Leiden, in cui con il progredire dell’età dei pazienti il deficit di FIX diminuisce fino alla normalizzazione; questa variante è generalmente causata da mutazioni a livello del promoter del gene che lasciano intatta la zona responsiva agli androgeni, per cui il difetto tende a correggersi dopo la pubertà [30].

Il quadro clinico e la suddivisione in tre forme con diversa gravità è sovrapponibile a quello dell’emofilia A.

La diagnosi si basa sul riscontro dell’allungamento dell’aPTT con normale PT e poi sul dosaggio specifico del FIX.

Il trattamento del paziente emofilico si fonda essenzialmente sull’infusione del fattore della coagulazione carente, praticata dal paziente stesso, dai suoi familiari o dal medico di medicina generale. Tale modalità, infatti, consente la massima tempestività d’intervento e si associa alla maggiore efficacia della terapia e ad una migliore qualità di vita. I prodotti disponibili, per l’emofilia A, sono rappresentati da concentrati di FVIII plasma derivati e da rFVIII, ottenuto con tecniche di ricombinazione genica. I concentrati plasma derivati possono presentare un diverso grado di purezza, si possono così avere prodotti ad intermedia purezza ( ottenuti mediante tecniche convenzionali di precipitazione-adsorbimento), concentrati purificati mediante cromatografia a scambio ionico e concentrati purificati impiegando anticorpi monoclonali; in quest’ultimo tipo il preparato è privato totalmente del vWF. Per quanto riguarda i prodotti ricombinanti si può avere l’intero FVIII oppure il FVIII privato del dominio B; inoltre, la continua evoluzione tecnologica ha recentemente condotto alla registrazione di prodotti privi di albumina umana nella formulazione finale e sono già stati sviluppati nuovi farmaci ricombinanti il cui processo produttivo non prevede l’impiego di albumina umana ed è esente da contaminanti proteici di origine animale [31]. Per il trattamento dell’emofilia B si dispone di concentrati purificati mediante cromatografia anionica e per affinità, concentrati purificati con anticorpi monoclonali e FIX ricombinante, inoltre possono essere utilizzati concentrati del complesso protrombinico (PCC) contenenti, oltre al FIX, il FII e FX. L’uso di PCC si associa a rischio trombotico, in particolare trombosi venosa profonda, embolia polmonare, CID ed infarto del miocardio. Si ritiene che queste complicanze siano dovute alla presenza di fattori della coagulazione in forma attivata e l’entità del rischio trombotico è correlata al dosaggio di PCC impiegato e alla concomitanza di altri fattori di rischio. Pertanto, la chirurgia, la prolungata immobilizzazione, l’epatopatia e le malattie cardiovascolari aumentano la suscettibilità dei pazienti trattati con PCC a sviluppare tali complicanze [31].