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4. STRATEGIE TERAPEUTICHE NELL’EMOFILIA CONGENITA CON INIBITOR

4.1 Terapia del sanguinamento acuto

Ad oggi non esistono delle linee guida basate sull’evidenza per il trattamento dei sanguinamenti, né sono stati condotti studi controllati randomizzati con l’obiettivo di sviluppare tali linee guida. Ogni sanguinamento è unico per le caratteristiche del paziente e per la sede del sanguinamento, ciò rende non applicabile a tutte le situazioni indiscriminatamente uno stesso regime terapeutico. Nonostante ciò disporre di un algoritmo terapeutico generale può essere molto utile per indirizzare le scelte terapeutiche in un modo più sistematico.

Nei pazienti emofilici con inibitori l’entità della risposta anamnestica consente di definirli come ad alta risposta anamnestica, “High responders”, o a bassa risposta anamnestica, “Low responders”, a seconda che il titolo sia maggiore o minore di 5 o 10 BU, rispettivamente negli adulti e nei bambini. La risposta anamnestica condiziona le scelte terapeutiche. Il trattamento degli episodi emorragici in emofilici con inibitori si basa essenzialmente sui seguenti criteri:

- gravità dell’episodio emorragico; - risposta anamnestica;

- titolo di inibitore al momento dell’episodio emorragico.

Il trattamento ottimale del paziente con inibitori consiste nell’ottenere e mantenere comunque livelli emostaticamente efficaci del fattore carente [39].

In uno studio pubblicato nell’anno corrente viene riportato che i fattori condizionanti la scelta del tipo di prodotto da somministrare, in caso di sanguinamento del paziente emofilico con inibitori, sono i seguenti:

1. Tempo richiesto per arrestare l’emorragia 2. Tempo richiesto per alleviare il dolore 3. Possibilità di risposta anamnestica

4. Numero di infusioni richieste per arrestare l’emorragia 5. Rischio di trasmissione di infezioni virali

6. Volume dell’infusione 7. Uso nella profilassi

8. Tempo di preparazione dell’infusione

9. Efficacia anche nei casi di chirurgia maggiore 10.Costo della terapia

11.Tempo necessario per l’infusione

12.Eventi tromboembolici correlati alla dose

Risultano particolarmente condizionanti le prime 5 caratteristiche, da cui risulta che il farmaco ideale è quello in grado di arrestare il sanguinamento entro 6 ore, alleviare il dolore in meno di 3 ore, non indurre risposta anamnestica, richiedere una sola infusione per arrestare l’emorragia e non avere il rischio di trasmissione di infezioni virali umane [40].

Fatte queste premesse nei pazienti “low responders” il trattamento di scelta può essere rappresentato da alte dosi di FVIII. Nei pazienti “high responders” con basso titolo di inibitori la scelta è condizionata dalla gravità del sanguinamento. Le emorragie non gravi possono essere trattate con FVII attivato ricombinante (rFVIIa), mentre nelle forme gravi il trattamento di scelta è il FVIII umano (plasma derivato o ricombinante) e qualora risultasse inefficace si ricorrerà all’impiego del rFVIIa. Negli “high responders” con alto titolo di inibitori la strategia di prima linea prevede rFVIIa o concentrato di fattori del complesso protrombinico attivati (aPCC) [39,41,42]. L’rFVIIa dovrebbe essere preferito in pazienti con risposta anamnestica nota all’aPCC e nei pazienti in attesa di iniziare la terapia di induzione dell’immunotolleranza [42].

L’immunoadsorbimento rappresenta una terapia di salvataggio [39], sempre seguita dall’infusione di FVIII (100-200 UI/Kg) [43]. In realtà potrebbe essere

utile anche prima di un intervento chirurgico, così da rendere il paziente più responsivo alla terapia sostituiva con il FVIII o FIX [44].

Un recente confronto randomizzato tra rFVIIa e aPCC nei pazienti con inibitori mostra una simile efficacia dei due prodotti; lo studio a cui si fa riferimento non è arrivato però a soddisfare i criteri statistici per poter affermare la loro equivalenza [45]. E’ solitamente accettata la dose raccomandata dalle linee guida dei produttori cioè 90 µg/Kg di rFVIIa e 50-100 U/Kg di aPCC. Di recente, però, un certo numero di studi supporta l’impiego di una singola dose di 270 µg/Kg di rFVIIa; in uno di questi studi clinici randomizzati, in pazienti emofilici il 91% degli episodi emorragici da lievi a moderati era controllato con una sola dose di rFVIIa al dosaggio indicato, contro l’86% di episodi emorragici controllati con tre dosi standard di rFVIIa di 90 µg/Kg; i due dosaggi hanno dimostrato un simile profilo di sicurezza [41,46,47]. La somministrazione di una singola dose risulta particolarmente vantaggiosa nei bambini piccoli e, in generale, nei pazienti con difficili accessi venosi [48]. Recentemente si è anche riscontrato un maggior successo con una dose singola di 270 µg/Kg di rFVIIa rispetto al dosaggio standard dell’aPCC, nel trattamento degli emartri nei pazienti con inibitori. La dose di 270 µg/Kg di rFVIIa è, da poco, stata approvata dall’EMEA (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products) [49].

E’ possibile associare al FVIIa ricombinante l’acido tranexamico ma non, preferibilmente, all’aPCC, se non con estrema cautela, per il rischio trombotico [42].

Un algoritmo terapeutico, recentemente proposto, suggerisce di aumentare la dose o la frequenza delle somministrazioni se la risposta emostatica è insoddisfacente con il primo agente by-passante usato. Se nonostante ciò non si osserva un miglioramento, si raccomanda di passare ad un altro agente by-passante, rFVIIa se per primo è stato usato l’aPCC e viceversa, ed eventualmente aumentare la dose e la frequenza anche di quest’ultimo se non si ha risposta. Se l’emorragia persiste sotto monoterapia con altro agente by-passante, è suggerito considerare la terapia sequenziale con 2 tipi di agenti by-passanti, con intervallo massimo tra l’uno e l’altro di 6 ore, eventualmente a dosaggi più bassi. Questo approccio, basato su

dati sperimentali, non è ancora ampiamente adottato per il rischio di eventi tromboembolici, che al momento, negli studi condotti, non sono stati osservati, anche se si è riscontrato un aumento del D-dimero con valori superiori a 5 µg/mL. Quest’ultimo dato potrebbe riflettere un’eccessiva generazione di trombina, ma al momento non vi sono raccomandazioni terapeutiche dinanzi ad un tale reperto, se non un attento monitoraggio [50]. I pazienti sottoposti a terapia sequenziale non dovrebbero ricevere farmaci antifibrinolitici per il potenziale più alto rischio di complicanze trombotiche. Se neanche la terapia sequenziale funziona si passerà a presidi di salvataggio. Se il sanguinamento ricompare o peggiora dopo un periodo di miglioramento, si propone di ricominciare la somministrazione dell’agente by- passante efficace a dose o frequenza più alta. Se si ha uno stabile miglioramento per almeno 24 ore, una graduale riduzione della terapia può essere presa in considerazione. Se dopo riduzione si ha un nuovo peggioramento la somministrazione al dosaggio efficace dovrebbe essere ripristinata. La terapia emostatica andrà sospesa quando tutti i sintomi del sanguinamento si sono completamente risolti [46,51,52]. I periodi di osservazione, cioè il tempo che intercorre tra l’applicazione di uno schema terapeutico e il riscontro di un suo fallimento e conseguente cambiamento di terapia, saranno di 2-4 e 8-24 ore rispettivamente nel caso di emorragie che mettono in pericolo di vita e non [52]. Un ulteriore importante vantaggio degli agenti by-passanti è che hanno reso possibile negli emofilici l’esecuzione di interventi chirurgici minori e maggiori, prima improponibili, in totale sicurezza [53].

4.2 Terapia di induzione dell’immunotolleranza (ITI) nel paziente emofilico