Italo Birocchi, nel suo studio sulle leggi fondamentali del Regno di Sardegna, individua un nesso tra i conflitti di fine secolo e la rifondazione delle Università di Cagliari e Sassari. Non è dif- ficile ora aggiungere che esiste un’inequivocabile connessione tra la riforma degli atenei sardi e la legislazione sulla stampa voluta dal Bogino. La contemporaneità dei due provvedimenti (il Diploma Reale e le annesse Costituzioni dell’Università di Cagliari risal- gono al giugno del 1764, appena un mese dopo la pubblicazione del Pregone sulla stampa), preceduti dalla fondazione dell’Archi- vio di Stato nel settembre del 1763 e seguiti dalla nascita della Tipografia Reale a Cagliari qualche anno dopo, mostra, con mag- giore definizione, la complementarietà degli interventi boginiani. Solo la visione complessiva delle disposizioni messe in atto negli anni Sessanta consente, infatti, di cogliere la sistematicità della politica ministeriale, la necessità di «operare secondo un ordine» per perseguire un obbiettivo delineato fin dal principio, i cui effetti sarebbero risultati evidenti a medio termine. Esso consistette nella trasformazione dell’ordinamento cetuale, sul quale il Regnum tro- vava il proprio fondamento, nell’ammodernamento delle istitu- zioni e nella nascita di un rinnovato apparato burocratico, costi- tuito da nuovi quadri dirigenti.
La formazione di un moderno corpo di funzionari e di una borghesia delle professioni avrebbe, infatti, consentito, negli anni successivi, di canalizzare il riformismo sabaudo verso una piena integrazione della realtà isolana nel tessuto politico-economico dello stato piemontese. In base a questo obbiettivo il Bogino aveva orientato i programmi di studio verso le posizioni assunte dall’ul- timo Muratori e da una componente di giusnaturalismo, in parte tollerato dalla Chiesa, che si ispirava a Samuel Pufendorf, Johann Gottlieb Heinecke e Christian Wolff. Le intenzioni del Ministro non raccolsero tuttavia il favore dei ceti isolani, che vedevano intaccati i propri privilegi. Una testimonianza di questo arroccamento degli Stamenti è rappresentata da alcuni passi di un Lamento del Regno, un documento prodotto collegialmente, ma su espressa richiesta della parte ecclesiastica. In esso venivano contrapposte le Uni- versità del periodo spagnolo «famose e produttrici di uomini insi- gni» a quelle riformate dal Bogino «dove s’insegna una filosofia
inventata dagli eretici»72. La politica culturale sostenuta dal Ministro
non aveva comunque una particolare connotazione di originalità, visto che trova il suo prototipo nella riforma universitaria attuata circa quarant’anni prima proprio a Torino da Francesco D’Aguirre.
Pur riconoscendo la peculiarità in negativo della situazione di partenza nell’isola, il Bogino trasse profonda ispirazione dalle idee formulate dallo statista torinese e dalle conseguenze che la sua riforma produsse sia nella società piemontese, sia negli stati che ne percepirono e raccolsero le istanze di rinnovamento: «È già da qual- che tempo che qui si sta lavorando per formare le Costituzioni di codesta Università, a fronte di quelle che già esistono, di ciò che si pratica nell’Università di Torino e anche delle Costituzioni degli Studi generali di Napoli, con adattarsi il più che sia possibile alle circo- stanze del Regno»73.
Le sue parole, indirizzate al Viceré Costa della Trinità nel feb- braio 1764, dichiarano apertamente quale fosse il modello su cui andava elaborandosi l’ordinamento universitario. Benché realizzata entro i confini della ragion di stato, l’esperienza riformista di D’A- guirre aveva condizionato le riforme universitarie dei sovrani illu- minati della penisola ed avrebbe proiettato i propri effetti fino all’Ot- tocento, consentendo ai sostenitori della riforma napoleonica dell’i- struzione di azzardare un «parallèle entre l’Université de Turin et
l’Université de France»74.
Naturalmente non è questa la sede per affrontare la vasta mate- ria relativa ai provvedimenti governativi che scandirono le tappe della riforma prima dell’Università di Cagliari e, l’anno successivo, nel 1765, di quella di Sassari. Troppo ampi e poco studiati appaiono i caratteri della dottrina giuridica ai quali sarebbe necessario far riferimento; così pure nelle riflessioni che seguono non devono essere ricercati i tratti della storia culturale isolana relativa alla seconda
72 Lamento del Regno, specialmente dello Stamento ecclesiastico, s.d.,
pubblicato integralmente in G. Todde, Proteste degli Stamenti Sardi contro
l’attività del governo piemontese nella seconda metà del secolo XVIII, in Liber Memorialis Antonio Era, Bruxelles, 1963; il documento non è datato ma è col-
locabile tra il 1765 ed il 1788.
73AST, Sardegna, Politico, Corrispondenza col Vicerè, serie A, vol. 2. 74 G. PIOVANO, Il monopolio del pensiero nelle Università di Vittorio
metà del Settecento75. Sia qui sufficiente cogliere quanto influì sulla
riforma universitaria la politica censoria, in che maniera essa fosse in grado di sorvegliare l’attività didattica e a quali mezzi il Ministero fece ricorso per evitare che la diffusione della cultura e la circola- zione delle idee prendessero una direzione autonoma.
A riprova di come la riforma universitaria ed il regolamento sulla stampa si intrecciassero inestricabilmente, si può citare la pre- senza di Ignazio Arnaud, già dal 1755, quando ricopriva la carica di giudice della Reale Udienza, nella commissione d’indagine incari- cata dal Sovrano di sondare le condizioni dell’ateneo di Cagliari. Il magistrato, nelle sue Riflessioni, osservava con sarcasmo che «è una lusinga il figurare che presentemente vi sia in Cagliari Università: non vi trovo altro che il nome […] Arrivano agli studi di filosofia e teologia giovinetti che forse altrove non sarebbero ammessi alle scuole di grammatica e di umanità»76. Egli biasimava le condizioni in
cui versava l’insegnamento universitario, specie per le facoltà di Teo- logia e Filosofia, in grado di offrire nient’altro che «una folla di que-
75 Per un’attenta analisi della riforma delle università sarde nel
Settecento si rimanda ad A. Mattone, P. Sanna, La “rivoluzione delle idee”. La
riforma delle due università sarde e la circolazione della cultura europea (1764-1790), in «Rivista Storica Italiana», anno CX, fasc. III, 1998, pp. 834-
942; A. Mattone, P. Sanna, La “restaurazione” delle Università di Cagliari e
Sassari del 1764-65 e la circolazione della cultura europea, in Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), Convegno internazionale di studi, Alghero, 30
ottobre - 2 novembre 1996, a cura di G.P. Brizzi e J. Verger, 1998, pp. 698-701; E. Verzella, Dispute giurisdizionali, privilegi del Re, convenzioni, bozze di leggi
e norme approvate: gli ordinamenti dell’Università di Sassari dalle sue origi- ni al 1765, in Le Università minori, cit., pp. 760-761; Id., L’Università di Sassari nell’età delle riforme (1763-1773), Sassari, 1992; A. Mattone, Istituzioni e riforme nella Sardegna del Settecento, cit., pp. 325-419; I.
Birocchi, La rifondazione delle Università: il significato della diffusione di
nuovi canoni culturali e della nuova organizzazione dell’insegnamento per la formazione di una moderna classe dirigente, in La carta autonomistica della Sardegna, cit., pp. 53-75; G. Zanetti, Profilo storico dell’Università di Sassari,
Milano, 1982; F. Venturi, Il conte Bogino, cit., pp. 470-506; G. Ricuperati, Il
riformismo sabaudo, cit., pp. 157-202; A. Girgenti, La storia politica nell’età delle riforme, in Storia dei Sardi e della Sardegna, a cura di M. Guidetti, IV, L’età contemporanea dal governo piemontese agli anni Sessanta del nostro secolo, Milano, 1990, pp. 65-112.
76 AST, Sardegna, Politico, cat. 10, mazzo 1, Riflessione del giudice
stioni vane, che sogliono agitarsi tra le diverse scuole aristoteliche»77.
E riferendosi poi alle discipline scientifiche lamentava la quasi totale assenza di studi di anatomia, botanica, matematica, geometria e fisica sperimentale, «scienze ed arti incognite». Sulla stessa lun- ghezza d’onda si era espresso anche Bogino stigmatizzando i pro- grammi, gli strumenti didattici e naturalmente il corpo docente degli atenei sardi: «costì non s’è mai letto altro che la Teologia scolastica, e la Filosofia aristotelica, di cui ho alla mano gli scritti, pieni di sofi- sticherie, ed inutili questioni bandite già da tutti i buoni studi. E quanto alla maggior parte delle altre scienze, per la mancanza di libri nel Regno non è possibile né anche che se ne abbia adeguata idea, ben lungi di trovarsi soggetti capaci d’insegnarle»78. Arnaud
riteneva un «danno universale» la decadenza in cui era caduta la struttura accademica della capitale, poiché il suo disfacimento inci- deva negativamente sulla formazione e sulla preparazione dei qua- dri amministrativi «senza i quali la società civile e una Repubblica ben ordinata non può sussistere»79.
Un primo tentativo del governo di rispondere alla desolazione degli studi accademici isolani ed all’assenza di specifiche discipline fu l’istituzione, nel 1759, di una scuola di chirurgia affidata al pie- montese Michele Antonio Plazza. Il provvedimento, seppur isolato, segna una prima svolta per la cultura medica e scientifica dell’isola impregnata fino a quel momento da verbalismo e dominata da con- cezioni pre-harveyane. Inoltre la felice intuizione di affidarne la dire- zione e l’insegnamento al Plazza, che negli anni precedenti era entrato in contatto con scienziati del calibro di Réaumur, D’Argenville e Buffon, costituiva una chiara intenzione di far penetrare nell’isola le idee del pensiero scientifico moderno. Al chirurgo piemontese si devono le Riflessioni intorno ad alcuni mezzi per rendere migliore
l’isola di Sardegna, opera di grande rilievo perché costituisce il
primo tentativo di ricostruzione sistematica della realtà sanitaria dell’isola e di diffusione, tra le élites intellettuali sarde, di un metodo
77AST, Sardegna Politico, cat. 10, mazzo 1 da inventariare, Memoria di
Riflessione del giudice Arnaud sopra il piano del nuovo stabilimento che dovrà darsi all’Università di Cagliari secondo il piano della Giunta
78Lettera del 18 gennaio 1764; in E. Verzella, L’Università di Sassari…,
cit., p. 35.
di approccio all’analisi di un fenomeno rigoroso e fondato sull’inda- gine empirica. Anche se calata in un panorama che restava depri- mente la scuola del Plazza anticipava, in qualche modo, il più ampio progetto di riforma universitaria che sarebbe stato elaborato negli anni successivi dal Bogino.
Anche il Reggente Niger concordava sul fatto che l’Ateneo caglia- ritano fosse oramai del tutto decaduto, non essendovi più professori, né leggi80. Il fenomeno era riconducibile al generale disfacimento degli
atenei della penisola già in atto fin dalla metà del Seicento, ma la crisi del sistema universitario sardo non rappresenta un caso circoscritto, attribuibile esclusivamente al decadimento culturale dell’isola; esso rientra nel più ampio fenomeno di disgregazione delle strutture didat- tiche e disciplinari, riscontrabile in tutti gli Stati italiani tra XVII e XVIII sec.81. Tuttavia, se la rifondazione universitaria operata dal
Bogino in Sardegna va ascritta al riformismo illuminato che produsse un diffuso rinnovamento nel campo della cultura anche in Piemonte e, più tardi, nel Regno di Napoli ed in Toscana, studi successivi dimo- strano che la riforma realizzata nell’isola ebbe esiti più contenuti rispetto a quelli che si ottennero altrove82.
Inoltre, se è indiscutibile che una riorganizzazione del sistema dell’istruzione fosse la componente centrale all’interno del disegno riformista boginiano, tale esigenza è preesistente al Bogino stesso. Già nel gennaio 1755, infatti, era stata nominata una Giunta incari- cata di elaborare un progetto per rivitalizzare l’istruzione accade- mica. I lavori della Giunta, che ebbero temine nel 1759, fecero emer- gere la necessità della rifondazione della struttura universitaria, a partire dai suoi ordinamenti; ma rifondarla, tanto a Cagliari, quanto a Sassari, avrebbe significato superare la resistenza del corpo acca- demico preesistente che richiedeva la conferma dei propri privilegi a partire dalla ratifica delle antiche Costituzioni. L’intento della riforma, invece, consisteva nel fornire un’adeguata preparazione a funzionari e sacerdoti che non ambissero a godere dei privilegi pree-
80 Parere del Reggente Niger (19 febbraio 1758); cfr. ASC, Regia
Segreteria di Stato, s. II, vol. 799.
81M. ROGGERO, Professori e studenti nelle università tra crisi e riforme, in
Storia d’Italia. Annali IV, cit., 1981, pp. 1046-1047.
82P. DEL NEGRO, Il Principe e l’Università in Italia, dal XV secolo all’età
napoleonica, in L’università in Italia fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti, a cura di Brizzi-Varni, Bologna, 1991.
sistenti, ma che rappresentassero un affidabile punto di riferimento per il governo centrale e, appunto in quest’ottica, va letta la restri- zione di alcune prerogative proprie del corpo ecclesiastico. Nei secoli precedenti la presenza del clero, specie nelle facoltà di Legge e di Arti, si era rafforzata, snaturando la figura del docente. La grande innovazione, di chiaro stampo giurisdizionalista, consistette nell’ob- bligo di realizzare studi statali, anche per coloro che seguivano il
cursus sacerdotale, secondo programmi e contenuti accademici di
matrice laica83.
In questo contesto è inevitabile una breve riflessione sull’inci- denza che ebbe la diffusione delle materie scientifiche sugli esiti della riforma delle due università sarde. Se infatti fino a questo momento la storiografia si è concentrata sui protagonisti di quella che fu, tra gli anni settanta ed ottanta del secolo, un’importante fio- ritura di testi di argomento agronomico e naturalistico, per lo più a carattere didascalico, manca ancora un’analisi del reale grado di penetrazione e di accoglimento che gli insegnamenti scientifici ebbero sulle giovani generazioni e sugli effetti di quel fenomeno cul- turale a medio e lungo termine. Fino alla vigilia della rifondazione le discipline scientifiche avevano mantenuto una funzione accessoria, distribuite tra i corsi di Filosofia e di Arti e le cognizioni di fisica ter- restre e celeste, il cui insegnamento era affidato ai gesuiti, si riface- vano alle interpretazioni precopernicane; l’ipotesi eliocentrica non era celata, ma ad essa si faceva riferimento per rigettarla come inammissibile84. Con la riforma del biennio 1764-1765 non solo i
contenuti della cultura scientifica post-tridentina vennero accanto- nati, ma lo stesso insegnamento scientifico venne inserito nella for- mazione di base di chi avesse voluto affrontare gli studi accademici; l’innovazione era rappresentata dal fatto che la facoltà di Filosofia e di Arti, la cui funzione fino a quel momento era stata di rilasciare i tre gradi classici (bacellierato, licenza e laurea), divenne da quel
83Le facoltà esistenti erano tre (Teologia, Giurisprudenza e Medicina), cui
va aggiunta quella di Filosofia ed Arti, che, benché strutturata come una facoltà, era considerata propedeutica per l’iscrizione ad una delle altre tre.
84 Sulle concezioni dell’astronomia gesuitica cfr. U. Baldini (a cura di),
Christoph Clavius e l’attività scientifica dei gesuiti nell’età di Galileo, Roma,
1995; lo sdoganamento dell’astronomia copernicana attraverso l’insegnamanto pubblico avvenne, in Sardegna, proprio a partire dalla riforma universitaria del 1764; cfr. AST, Sardegna, Università di Cagliari, serie D.1, ff 84-84v, 117.
momento il canale di accesso agli studi universitari. Solo la fre- quenza di un biennio propedeutico di Filosofia consentiva, infatti, di approdare ai gradi superiori rilasciati dalle facoltà di Legge, Medi- cina e Teologia.
Se si analizza il progetto ministeriale nel suo complesso si osserva che l’impianto dirigistico della riforma si manifestava con l’attuazione di un sistema di controllo sull’attività didattica capace di contrapporsi alle prerogative del precedente organismo accademico e di fronteggiare le spinte centrifughe; ogni aspetto della riforma, programmi di studio, selezione dei docenti, risposta degli studenti, sarebbe stato condotto in linea con il Ministero. L’intenzione era di consentire ai giovani studenti la conoscenza del pensiero di Bacone, Descartes, Locke, Gassendi, Wolff, Le Clerc, Clauberg, Heinecke, Genovesi, Crousaz, etc., alcune opere dei quali erano inserite nella lista dei libri proibiti.
Pur con gli inevitabili limiti derivanti da un’ampia mole di discipline, nozioni, teorie e concetti da presentare in un troppo breve arco di tempo, che sottraeva rigore metodologico all’inse- gnamento, per la prima volta le generazioni universitarie sarde poterono entrare in contatto con opere essenziali per la cultura scientifica europea, come per esempio il De Revolutionibus di Copernico (1543), che oltre due secoli dopo la sua pubblicazione poteva ora essere analizzato ufficialmente nelle aule degli istituti sardi. Queste aperture culturali, dagli effetti certamente irrever- sibili, non riuscirono ad impedire, tuttavia, che anche importanti retaggi di aristotelismo e di scolasticismo continuassero a per- meare sia alcuni corsi di Teologia sia gli insegnamenti di molte scuole di matrice religiosa85.
I riflessi delle insofferenze provenienti dagli ambienti ecclesia- stici si trovano non solo nel Lamento del Regno citato sopra, ma anche in alcune anonime Osservazioni sui Piani della Teologia e Filo-
sofia concepite nell’ambiente gesuitico sassarese. Persistendo nella
condanna dei contenuti ereticali, che per responsabilità di prelati piemontesi stavano diffondendosi in Sardegna, l’autore si sofferma soprattutto sulla pericolosità attribuita alle materie scientifiche, in particolare alla matematica, alla fisica e all’astronomia, condan-
85 De’ trattati della teologia scolastico-dogmatica; cfr. AST, Sardegna,
nando il sistema copernicano accolto solo dai protestanti e non dalla Chiesa di Roma86. È ad ogni modo opportuno collocare queste resi-
stenze di matrice ecclesiastica nella giusta dimensione, dal momento che esse non ebbero la forza per ostacolare l’attuazione dei piani ministeriali e l’apertura alle novità scientifiche; esse vanno ascritte alla più estesa polemica che si concentrò sulla disputa astronomica anche e soprattutto al di fuori del territorio isolano.
Per altri versi la riforma non riuscì ad impedire che la penetra- zione della cultura scientifica nell’isola incontrasse non poche diffi- coltà. Dopo una breve fase di iniziale entusiamo iniziarono a mani- festarsi i primi sintomi di un progressivo disinteresse per gli inse- gnamenti scientifici, imputabile ad un eccessivo grado di genericità enciclopedistica che, nel giro di pochi anni, avrebbe fatto registrare un forte calo di iscrizioni soprattutto nella Facoltà di Medicina. Le materie scientifiche continuavano ad essere ritenute poco utili ai fini di una carriera ecclesiastica, che rimaneva il traguardo più ambito in ambito accademico87. Analogo discorso vale anche per un certo
tipo di produzione letteraria che si cimenta su temi scientifici non in grado di reggere il confronto se paragonata alla coeva saggistica circolante in Europa, anche se si dimostrò capace di offrire forti sti- moli ad una ripresa del dibattito culturale tra gli intellettuali isolani.
86«Nel medesimo Piano si loda con eccesso di encomi il sistema coperni-
cano, e non si dice neppure una sillaba di lode del sistema Ticonico. Quest’è
indurre in inganno i professori facendo loro credere che sia intenzione della Corte che si seguiti il sistema Copernicano, il quale in realtà non è tenuto da niuna Università Catolica, ma solamente dai Protestanti. Si rifletta alla somma religione dei Sardi, e si conoscerà il pericolo di turbazione […] Nei tre Piani di Logica e di Fisca e di Etica si propongono come guida di cui debbono valersi i professori, alcuni autori posti nell’Indice, per esempio Locke, Cartesio, Malebranche, e Puffendorf. Ora si riflette che questi piani sono una specie di autorità legislativa, e non pare conveniente che il legislatore catolico propon- ga per guida degli studi autori che dalla Chiesa sono notati come infetti di rea dottrina. Certo è che i sardi religiosissimi non poco adombreranno a queste citazioni»; cfr. Osservazioni sui Piani della Teologia e Filosofia, in AST,
Sardegna, Materie Politiche, cat. 10, m. 6.
87AST, Sardegna, Corrispondenza, Università, 1776-1848, vol. I, cc 51-
53; cfr. anche G. Nonnoi, Introduzione e recepimento delle scienze fisiche e
naturali nella Sardegna del Settecento, in Circulation des Idées, des hommes, des livres e des cultures. Point II: Langue, littérature et histoire, Biguglia,
Questa produzione, in precario equilibrio tra lo scientifico, il tec- nico e l’apologetico, è attribuibile in parte ad autori sardi quali Giu- seppe Cossu, Domenico Simon, Francesco Carboni, Antonio Pur- queddu o Andrea Manca dell’Arca, in parte a forestieri che giunsero nell’isola nell’ambito del progetto boginiano, tra cui Francesco Gemelli, Giacomo Giuseppe Paglietti, Francesco Cetti e Michele Anto- nio Plazza. Le opere di entrambi i gruppi di autori, eterogenee per stile, tematica e lingua, hanno in comune la totale estraneità con qualunque argomento di fisica, curiosamente proprio la disciplina che nei piani ministeriali avrebbe dovuto avere grandi qualità for- mative in ambito accademico88.
Entrando poi nel merito dell’intelaiatura dirigistica sulla quale si reggeva la riforma bisogna pure dire che la creazione di stru- menti per il controllo non è da attribuire solo alla politica boginiana,