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A SSESTAMENTO ISTITUZIONALE , ESPERIENZE GIACOBINE E PRIMI TENTATIVI DI LEGISLAZIONE DURANTE L ’ ETÀ IMPERIALE

In seguito al ripiegamento delle truppe francesi e all’avanzata degli eserciti austro-russi della seconda coalizione, si verificò una profonda inversione di tendenza rispetto al periodo precedente, con un’inevitabile ecatombe di giornali e gazzette ed il ripristino delle norme di censura in auge nell’ancien régime. Riuscì a sopravvivere solo quel genere di stampa che non aveva raggiunto un eccessivo livello di compromissione con i regimi del Triennio e non si era allon- tanata dalla sterilità che l’aveva contrassegnata anche nel periodo precedente, limitandosi a rimpiazzare i comunicati delle vittorie fran- cesi con quelli della coalizione austro-russa. Inevitabilmente zelanti nei confronti del domino austriaco furono gli sporadici fogli com- parsi nei mesi della reazione. Tra essi il Foglio lombardo privilegiato, pubblicato a Verona, il Giornale ecclesiastico universale, il Redat-

tore politico di Bergamo, il citato Diario Torinese segnatamente nella

sua seconda serie, lo Spettatore Romano e la Gazzetta di Napoli. L’esito della battaglia di Marengo non avrebbe ridestato gli entu- siasmi e le illusioni che si erano diffusi durante il Triennio. Tra i let- terati ed i redattori dei giornali, si assistette ad una sorta di diaspora che condusse alcuni, come Foscolo, ad abbandonare l’impegno con- creto e a cercare rifugio e consolazione nell’elaborazione di ideolo- gie e di poetiche, lontane dai progetti concreti di fine Settecento; altri, viceversa, si affrettarono ad inserirsi all’interno dei nuovi qua- dri delle nascenti compagini statali. Il significativo passaggio dal giornalismo patriottico-democratico al pubblico impiego, se per certi versi contribuì ad impoverire la vita culturale in anticipo rispetto al clima opprimente che sarebbe stato imposto dal regime napoleo- nico, per altri versi consentì che si costituissero quadri burocratici abili e di orientamento progressista che si sarebbero rivelati deter- minanti per il riformismo napoleonico.

La crisi degli ideali del Triennio comparve, inevitabilmente, pro- prio nel settore che aveva costituito l’avanguardia per la circola- zione delle idee negli anni prcedenti, quello della pubblicistica, appunto. La possibilità per la stampa periodica di esprimersi cadde sotto la discrezionalità quasi assoluta dei rappresentanti francesi e delle autorità di polizia. L’art. XIX del Regolamento di polizia militare per la città di Milano, imponendo ai giornalisti di consegnare al Comandante di piazza gli articoli da pubblicare e proibendo di pub-

blicarne alcuno di quelli censurati40, restaurava una forma di cen-

sura preventiva che non si sarebbe, però, dimostrata particolarmente severa e rigorosa nella pratica. I rapporti del ministero dell’interno testimoniano la mancanza di regole chiare in materia di censura delle opere a stampa. In questo clima le autorità di polizia si sareb- bero limitate ad una sorveglianza «più o meno attiva a seconda delle momentanee fluttuazioni»41. Parte della storiografia attribuisce una

certa responsabilità, al senso di frustrazione e mortificazione che pervase gli spiriti patriottici, spingendoli quasi per inerzia alle posi- zioni più moderate, fenomeno questo che si verificò diffusamente ma che risultò accentuato nell’ambiente milanese42.

Non del tutto analoga a quella lombarda fu l’esperienza vissuta da Torino tra la seconda metà del 1800 e i primi mesi del 1801. Qui, nei dieci mesi che seguirono la battaglia di Marengo, si ebbe un’i- nattesa fioritura di fogli e periodici di vario genere che potrebbe tro- vare una motivazione nella brevità della precedente esperienza repubblicana. Le energie profuse dai patrioti locali e la gran quantità di giornali, non meno di quattordici, che comparvero a Torino in quel breve lasso di tempo, appaiono ancor più sorprendenti se si pensa a quanto più severa fosse in Piemonte la censura rispetto alla Lom- bardia, specie per la stampa periodica.

Per comprendere il contesto a cui è riconducibile questa non consistente ma significativa produzione di periodici, occorre soffer- marsi sui caratteri di originalità del giacobinismo piemontese di que- gli anni. In seguito alla breve restaurazione operata dagli austro- russi, alla polizia venne affidata la schedatura dei «sospetti giaco- bini», documentazione questa che, ai fini dell’indagine storiografica, assume una sintomatica rilevanza, dal momento che offre molte noti- zie sugli appartenenti alla componente rivoluzionaria, comprese la loro estrazione sociale, le professioni e la diffusione nelle varie pro- vince. Il quadro che emerge presenta tra i repubblicani ed i filo- francesi buona parte degli appartenenti al ceto borghese o piccolo

40Raccolta delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano dal

giorno 13 aprile a. VIII, Milano, 1800-1801, I, pp. 201-203.

41A.S.M., Studi, p.m., 102.

42C. CAPRA, Il giornalismo nell’età rivoluzionaria e napoleonica, cit., pp.

borghese, di uomini delle professioni liberali e, sia pure in misura minore, di personalità che operavano nei tribunali e tra le forze del- l’ordine ed aggiunge anche un discreto numero di ecclesiastici appartenenti ai più ricchi e colti ordini monastici, come domenicani e barnabiti, sensibili alle influenze gianseniste provenienti dal clero d’oltralpe. Le origini psicologiche che caratterizzano il giacobinismo piemontese sarebbero individuabili, secondo Galante Garrone, nel risentimento dei ceti borghesi contro una nobiltà che fino a quel momento aveva manifestato arroganza e supremazia nelle cariche pubbliche43.

Al riguardo, per evitare di incorrere in equivoci di carattere ter- minologico44, è doveroso precisare che il termine «giacobino», per la

burocrazia controrivoluzionaria, comprendeva tutti coloro che ave- vano mostrato interesse per le nuove idee repubblicane e che ave- vano, ciascuno a suo modo, simpatizzato per i francesi. Secondo il Supremo Consiglio, che aveva commissionato l’indagine poliziesca, chiunque fosse anche appena rientrato entro tali requisiti sarebbe stato etichettato come estremista rivoluzionario ed «empio ateista»45.

Questa precisazione appare quantomai necessaria proprio in rela- zione alla particolare fisionomia dei giacobini piemontesi, di etero- genea estrazione sociale, in costante evoluzione e pronti ad ade- guarsi alle trasformazioni politiche. La storiografia ha schematica- mente individuato le due componenti che operarono in Piemonte nell’età della rivoluzione e che diedero vita a quel complesso feno- meno che va sotto il nome di giacobinismo piemontese; esse sono riconducibili alla corrente degli annessionisti, fautori dell’accorpa- mento della regione subalpina allo stato francese, e a quella degli

43A. GALANTEGARRONE, L’albero della libertà. Dai giacobini a Garibaldi,

Firenze, 1987, p. 9.

44Storiograficamente sulla qualificazione di «giacobini» si è creato un

ampio dibattito che ha espresso diversi orientamenti. Tra i principali studi cfr. D. Cantimori, Giacobini italiani, Bari, 1956; R. De Felice, I giornali giacobini ita-

liani, cit., A. Saitta, Struttura sociale e realtà politica nel progetto costituzio- nale dei giacobini piemontesi (1796), in «Società», sett. (1949), pp. 436-475; I.

Tognarini, Giacobinismo, rivoluzione, Risorgimento, una messa a punto storio-

grafica, Firenze, 1977; G. Vaccarino, I giacobini piemontesi, cit., 1989.

45In una lettera del parroco Badrero di Albugnano al Consiglio Supremo

si legge: «…jacobins, nom donné indistinctement à tous los républicains», in AST, Carte epoca francese, serie II, m. 24, «Culto».

unitari, i patrioti del triennio rivoluzionario che, lasciatisi alle spalle il cosmopolitismo settecentesco ed il vagheggiamento letterario, ambivano all’indipendenza e a coordinare le istanze unitarie prove- nienti dai territori nazionali liberati46. Sono appunto le due anime

destinate ad interagire in futuro, pur senza mai riuscire ad inte- grarsi del tutto, nella formazione dello stato nazionale.

La contrapposizione tra le due correnti si manifestò già nel feb- braio del 1799, quando il Governo Provvisorio di Torino, insediato da poche settimane, offrì l’unione del Piemonte alla Francia e indisse un pubblico suffragio per rafforzarne il significato ma, nell’occa- sione, il confronto tra il liberalismo riformista degli annessionisti ed il radicalismo democratico degli unitari, anticipatori del romantici- smo patrio, subì una brusca interruzione per via dell’avanzata austro-russa, costringendo buona parte dei repubblicani piemontesi a trovare rifugio in Francia.

Il confronto si sarebbe ripresentato dopo la vittoria di Marengo con la formazione della prima Commissione di governo insediata a Torino nel giugno del 1800 e composta da sette membri (Cavalli, Avo- gadro, Baudisson, Botton, Braida, Galli, Rocci). Si trattava di persona- lità non inclini all’annessione, ma di un gruppo di notabili di imposta- zione moderata e per certi versi conservatrice che intendeva innan- zitutto tutelare le risorse del paese dallo sfruttamento francese. Il loro atteggiamento riaccese, seppur per breve tempo, le speranze di coloro che auspicavano la nascita di una repubblica piemontese separata dalla Francia. La mancanza di devozione ai generali francesi da parte dei commissari e la rilevanza strategica che Napoleone attribuiva al Piemonte, «un pied à terre in Italia, una testa di ponte indispensabile alla Francia»47, indusse le autorità transalpine, dopo appena quattro

mesi, all’epurazione della prima commissione ed alla istituzione di una seconda Commissione in cui sarebbero entrati in posizione pre- minente i filoannessionisti Carlo Botta, Carlo Bossi e Carlo Giulio, che avrebbero dato vita al famoso «governo dei tre Carli».

46Ricorda Vaccarino che «questi unitari del triennio giacobino all’idea

dello Stato nazionale erano però giunti strumentalmente attraverso l’esigenza dell’unità come di una forza più grande, la sola capace d’assicurare l’indipen- denza e, tramite questa, la possibilità di giungere a istituzioni moderne»; cfr. G. Vaccarino, I giacobini piemontesi, cit., p. LXIII.

La nuova Commissione esecutiva, insediatasi il 4 ottobre 1800, promulgò, sotto la supervisione dei francesi, una legge che se da un lato riconosceva «l’influenza benefica della stampa sulla libertà civile, sui progressi delle umane cognizioni e sulla prosperità nazionale», d’altro canto distingueva in maniera puntuale tra «i libri o scritti d’o- gni sorta», che non sarebbero stati soggetti a censura preventiva48, e

«i fogli volanti […] i giornali, i fogli periodici eccettuati quelli che si occupano esclusivamente d’oggetti relativi alle scienze ed arti», i quali rientravano sotto la diretta giurisdizione del potere esecutivo che avrebbe dovuto rilasciare l’autorizzazione alla stampa. L’organismo preposto interno al ministero, avrebbe avuto la piena discrezione di «sopprimere mediante un decreto motivato, quei giornali i quali ten- dessero ad avvilire il sistema repubblicano o che «contenessero espressioni tendenti a corrompere la morale e lo spirito, ad insultare la religione, a screditare il governo francese o quelli che sono in pace colla Repubblica»49. Con una serie di decreti, promulgati tra l’ottobre

1800 e l’aprile 1801, la Commissione in un primo momento ridusse a sei il numero dei periodici politici autorizzati ad essere messi in cir- colazione, consentendo la pubblicazione solo della Gazzetta Nazio-

nale Piemontese, delle Notizie Politiche, del Bollettino delle leggi e dei decreti, del Giornale ecclesiastico, dell’Amico dei frati50, del Monitore

scientifico politico, e non includendo tra i fogli proibiti quelli che si

fossero occupati esclusivamente di scienze51.

Alla polizia venne attribuita l’autorità di far chiudere ogni tipo- grafia che avesse eluso il regolamento e venne intimato di svolgere una maggiore sorveglianza sulle stampe occasionali, specie «sui fogli

48Decreto del 17 ottobre 1800 (25 vendemmiaio); cfr. Raccolta di leggi,

decreti, proclami, manifesti, ecc. pubblicati dalle autorità costituite, Vol. IV,

Torino, 1801, p. 72.

49Raccolta degli ordini e provvidenze emanate dalle autorità costituite

dopo il secondo ingresso dell’Armata francese in Piemonte, vol. IX, Torino, 1800,

pp. 47-50.

50L’Amico dei frati, ossia Gazzettino claustrale ragionato era una sorta di

singolare gazzettino redatto dal cappuccino Felice Maria Ponza che riportava denunce e pettegolezzi su ciò che accadeva tra le mura dei conventi. Nel dicem- bre 1800 il giornale si sarebbe fuso con il Repubblicano sacro-politico, poco prima della definitiva soppressione anche di quest’ultimo il 31 gennaio 1801.

51Decreto del 26 ottobre 1800 (4 brumaio); cfr. Raccolta degli ordini e

provvidenze emanate dalle autorità costituite dopo il secondo ingresso del- l’Armata francese in Piemonte, vol. IX, Torino, 1800, p. 104.

volanti che si diffondono agli angoli delle strade e che vanno contro il governo repubblicano»52. L’obbiettivo che le autorità torinesi inten-

devano perseguire non era di proibire la diffusione di opere di varia natura, le quali anzi venivano incoraggiate soprattutto se di ambito scientifico, bensì di regolamentare i canali di circolazione interve- nendo con maggiore rigore sull’attività dei mercanti che introduce- vano libri dall’estero e per i quali restava ferma l’inibizione di testi vietati in Francia53.

Con il decreto del 9 gennaio 1801 veniva istituito un foglio perio- dico, il quale, sostenuto dal governo e con la supervisione del Reg- gente la Segreteria degli Interni, avrebbe dovuto occuparsi della pub- blicazione delle leggi, dei decreti e delle deliberazioni del governo, ed essere diffuso capillarmente a livello comunale54, contestualmente

la Commissione sopprimeva il Repubblicano sacro-politico, il Patriota

subalpino e il Giornale ecclesiastico. Il primo e il terzo colpevoli di

essere espressione degli ambienti giansenisti, mentre il secondo, foglio del partito democratico-unitario, era stato giudicato «sparso di falsità»55.

Per quanto si cercasse di non condizionare la stampa con una censura preventiva, la Commissione voleva creare un articolato sistema di supervisione su ogni genere di opera. Da tale impianto non rimasero esclusi neppure i testi per le scuole elementari, che anzi furono oggetto di uno dei primi provvedimenti censori da parte dei Commissari, precisamente il 25 settembre del 180056.

52Ibidem.

53Decreto del 16 settembre 1801 (29 fruttifero), cfr. Raccolta degli ordini

e provvidenze emanate dalle autorità costituite dopo il secondo ingresso del- l’Armata francese in Piemonte, vol. XXVII, Torino, 1801, p. 201.

54Decreto del 9 gennaio 1801; cfr. Ibidem, vol. XIX, pp. 33-34.

55Decreti del 31 gennaio, 22 febbraio e 28 aprile 1801; cfr. rispettivamente

Ibidem, vol. XIX, p. 106; vol. XXI, pp. 4-5 e vol. XXVI, p. 28.

56In seguito al varo di un nuovo sistema d’istruzione i cittadini che aves-

sero avuto intenzione di proporre libri per l’istruzione elementare erano invi- tati a presentarli alla Commissione. I testi sarebbero dovuti essere presentati al segretario dell’Università nazionale con l’indicazione della materia, ma con il nome dell’autore posto su una carta a parte. Questo sarebbe stato apposto sul testo solo al momento della stampa se il testo fosse stato ritenuto idoneo; cfr.

Raccolta degli ordini e provvidenze emanate dalle autorità costituite dopo il secondo ingresso dell’Armata francese in Piemonte, vol. IX, Torino, 1800, p. 4.

Nell’ambito del panorama giornalistico torinese due pubblica- zioni meritano una pur breve considerazione, L’amico della patria,

giornale del cittadino Ranza e la Gazzetta nazionale piemontese. Il

primo, che vide la luce tra il 22 agosto ed il 21 ottobre del 1800, è un significativo caso di ossequiente sostegno al governo da parte di Giovanni Antonio Ranza. Questi, che in precedenza era stato soste- nitore dell’indipendenza italiana, con la sua metamorfosi, può essere considerato emblematico di quel fenomeno che coinvolse anche altri «giacobini» piemontesi, desiderosi di uscire dalla pre- carietà e di entrare nelle grazie delle autorità francesi.

Abbandonate le istanze di rinnovamento politico e sociale del periodo repubblicano, i trenta numeri del giornale sono ricchi di rife- rimenti apologetici alla Grande Nazione e di sferzanti attacchi ai rea- zionari, «i brandalucioni», ed alla Commissione ecclesiastica. Il foglio venne in seguito soppresso a causa della dura presa di posizione con- tro la legge sulla proprietà letteraria57. La Gazzetta nazionale pie-

montese58, nata il 19 luglio 1800 ad opera di Demetrio Marini, Vin-

cenzo Marocchetti e Basilio Davico, fu l’unico giornale a ricevere il privilegio di «foglio ufficiale».

I rapporti con le autorità, tuttavia, non rispecchiano, almeno nel primo periodo, il suo carattere di ufficialità. Gli autori non lesi- nano attacchi alla Commissione ecclesiastica, ai reazionari, ai Savoia, ed anche nei confronti delle autorità in carica, in difesa della parità dei culti e della libertà di stampa. La connotazione democratica era simboleggiata dalle immagini di derivazione mas- sonica riportate sulla testata, il berretto frigio, l’occhio inserito nel triangolo ed il compasso; ma l’atteggiamento critico nei confronti del ministro straordinario Jourdan e la contrarietà allo smembra- mento del Piemonte avrebbero in breve lasciato il passo ad un ammorbidimento e ad una maggiore prudenza nell’esposizione delle argomentazioni. Anche in questo caso, come già osservato per Ranza, i redattori preferirono non spingere alle estreme con- seguenze il loro attivismo giornalistico, secondando le autorità

57C. CAPRA, Il giornalismo nell’età rivoluzionaria e napoleonica, cit., pp.

495-496.

58Da non confondere con la Gazzetta Piemontese, nata nel 1797 e che

continuava ad essere pubblicata ad opera della stessa redazione che nel 1799- 1800 aveva sostenuto l’avanzata della coalizione austro-russa.

transalpine. Questa scelta di moderazione consentì al foglio, che da novembre assunse il titolo di Gazzetta del Piemonte, di soprav- vivere a lungo, pur sotto il severo controllo della polizia francese59.

A Genova la Commissione straordinaria, che dopo Marengo era stata investita di autorità governativa, già il 13 agosto 1800, in un messaggio alla Consulta legislativa, manifestava la propria contra- rietà ad una stampa libera. Reputava «cosa assurda» offrire il con- senso alla circolazione di una stampa non compiacente con il sistema repubblicano e capace di danneggiare i rapporti internazionali.

Giunse perciò a proporre un provvedimento legislativo per porre sotto stretta osservazione il giornalismo ligure60. Anche se la proposta

non ebbe seguito sul piano normativo, non mancarono tuttavia le misure repressive. Ad essere presi di mira furono gli organi di stampa vicini al movimento patriottico, ed il primo foglio soppresso fu, il 5 gennaio 1801, Il Cincinnato ossia il Vero italiano, redatto dai medici Repetto e Vaccarezza, i quali cercarono di continuare l’esperienza pubblicando un nuovo periodico, Il Contadino Repubblicano.

Anch’esso, accusato di fomentare i disordini che avevano cau- sato la chiusura del precedente, il 31 marzo 1801 venne definitiva- mente bandito con l’ordine che i redattori non stampassero una gaz- zetta simile «sotto altro titolo»61. A Genova sopravvissero solo il

Monitore ligure62, l’Osservatore fino al 1803, e la Gazzetta nazio-

nale della Liguria63. Quest’ultima riuscì in breve tempo a divenire

59Il giornale cambiò ulteriormente nome divenendo nel maggio 1801 Jour-

nal des Alpes, poi Journal de Turin (novembre 1801), Journal de la 27.me divi- sion militare de la République française (luglio 1802) e ancora Journal de Turin et de la 27.me division militare de la République française (1803-1805).

60Archivio di Stato di Genova, [d’ora in avanti ASG], Repubblica Ligure, 279.

61Raccolta de’ proclami e decreti pubblicati dalla Commissione straordi-

naria della Repubblica ligure, Genova, 1800, vol. I, p. 209.

62Il Monitore ligure che sopravvisse a lungo dal 1798 al 1811, mutò nome

dapprima in Monitore della 28° divisione militare dell’Impero francese e poi ancora in Veloce della 28° divisione militare dell’Impero francese. Esso venne definitivamente soppresso nel 1811 (o era del 1810 controlla i documenti foto- grafati) con un decreto di Napoleone che imponeva l’esistenza di non più di un giornale politico in ciascun dipartimento.

63La Gazzetta nazionale genovese, nata il 17 giugno 1797, si trasformò

il 16 dicembre 1797 in Gazzetta nazionale della Liguria per divenire poi dal 15 giugno 1805 Gazzetta di Genova, denominazione che mantenne fino al 1878.

l’organo ufficiale anche grazie alla capacità della redazione di adat- tarsi alle condizioni politiche e non mancò di registrare la trasfor- mazione che investì la stampa genovese nell’arco di pochi mesi.

Particolarmente lucido e significativo appare un articolo pub- blicato il 3 gennaio 1802 in cui, in maniera fittizia, viene riportata una lettera di un anonimo associato il quale, lamentando la carenza di articoli di carattere politico, sarcasticamente critica l’appiattimen- to culturale imposto dalle autorità francesi64.