Per quanto attiene alla Sardegna la letteratura storiografica dei primi decenni dell’Ottocento, che fa capo al Manno, tese a scredi- tare il particolarismo e le inclinazioni «nazionalitarie» emerse durante il triennio rivoluzionario, che avevano tentato di dare una più attuale connotazione autonomistica agli organismi istituzionali su cui il Regnum si fondava. Molti anni più tardi sarebbe stato lo stesso Manno ad affermare quanto fosse complicato far convivere la verità con le dinamiche di una censura impietosa nei confronti di chi avesse cercato di esprimere il punto di vista, più che della dinastia, dei fun- zionari dello stato, perfino dei più validi e fedeli85. All’epurazione o,
in altri casi, allo spontaneo esilio della classe dirigente che si era resa protagonista degli eventi rivoluzionari, seguì un lungo ed intenso processo di occultamento o di manipolazione storiografica di quei fermenti innovatori che avevano prodotto sia gli avvenimenti di fine secolo, sia gli strascichi successivi, dalla sommossa di San- luri ai fatti di Thiesi, Bessude e S. Lussurgiu, dalla velleitaria spedi- zione di Sanna Corda e Cillocco alla congiura di Palabanda del 1812. Se, da un lato, il Manno stesso testimonia il disagio per il con- trollo che su di lui e sulla sua Storia Moderna della Sardegna aveva esercitato l’abate Pullini86, suo revisore referente, va anche sottoli-
neato che egli riconosce di essere stato privilegiato, in quanto la sua opera potè essere pubblicata «senza cancellature e senza istruzioni», così come era stata concepita, e ciò si deve forse all’intervento di Carlo Alberto ed all’opera di mediazione del marchese di Villama- rina. Solo alla luce di queste considerazioni è possibile attribuire all’opera storiografica del Manno, non meno che all’azione dei cen- sori, quell’accurato lavorio di mistificazione degli avvenimenti del recente passato. La rigida supervisione su tutte le opere a stampa, coniugata con l’assoluta proibizione di pubblicare fogli periodici che si occupassero non solo di politica, ma persino di cultura o di inno- vazioni scientifiche, fece precipitare l’isola, per oltre vent’anni, in un
85G. MANNO, Note sarde e ricordi, cit., pp. 17-20; G. Ricuperati, Fra memo-
ria e cantiere di lavoro: la riflessione di Giuseppe Manno, in G. Manno, Note sarde e ricordi, cit., p. LXVIII.
86Dell’abate Massimo Pullini di S. Antonino esiste un profilo tracciato da G.
P. Romagnani, Prospero Balbo intellettuale e uomo di stato (1762-1837), Torino 1988-1990, II, p. 380.
periodo di soffocante stagnazione, entro il quale tuttavia si svilup- pano i germi della cosiddetta «Rinascenza»87. Al riguardo, prima di
procedere, appare doverosa una precisazione. Le concezioni «nazio- nalitarie» e «autonomistiche» emerse durante i fermenti di fine Set- tecento, pur apprezzabili nelle intenzioni, non avrebbero potuto col- locarsi che su un livello puramente utopistico ed estremamente vel- leitario se calate nel più generale orientamento della politica euro- pea di quegli anni, che non lasciava spazio a soluzioni di qualsivoglia autonomia locale. Si pensi, a conferma, all’effimero destino che acco- munò le repubbliche giacobine sviluppatesi in Italia tra 1796 e il 1799. Tuttavia recenti studi spiegano che, a distanza di alcuni decenni, quell’esperienza avrebbe contribuito a formare l’humus dei moti liberali, i quali, a loro volta, rappresentano il prologo del Risor- gimento88. In ogni caso il richiamo al principio autonomistico emerso
nell’isola difficilmente potrebbe essere inquadrato in una «proget- tualità italianista»89.
Ugualmente la Restaurazione, che in Sardegna seguì al trien- nio rivoluzionario iniziando così con largo anticipo sul resto d’Eu- ropa, se nelle forme è assimilabile alla reazione che avrebbe investito le altre regioni italiane, mostra comunque, nel suo complesso, tutta una serie di specificità che non ne permettono una facile colloca- zione nell’analogo processo restaurativo che si verificò nel conti- nente. Appare evidente che il fenomeno non coincide, né cronologi- camente, né nei caratteri, con i fermenti politico-istituzionali e con i successivi moti antifeudali verificatisi nell’isola. Questa considera- zione mostra la necessità di osservare con più attenzione i fenomeni di carattere locale per la valenza che essi possono avere ai fini di una migliore comprensione della storia generale. Una riflessione sul carattere «policentrico» della storia, sui fenomeni e sui processi locali, decentrati, che si sviluppano seguendo scansioni e ritmi sfasati rispetto a quelli della cosiddetta «storia generale» consentirebbe di
87L. ORTU, Tra Restaurazione e Risorgimento: i giornali sardi nel periodo
della “Rinascenza”, in Ombre e luci della Restaurazione: trasformazioni e con- tinuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna. Atti del Convegno,
Torino, 21-24 ottobre 1991, Roma, 1997.
88A. M. BANTI, Il Risorgimento italiano, Roma-Bari, 2004, pp. 3-37. 89C. SOLE, V. PORCEDDU, Note critiche per una rivalutazione storiografica di
Matteo Luigi Simon, in Studi in onore di Ottorino Pietro Alberti, a cura di F.
verificare, di comprendere meglio e di rivalutare molte categorie interpretative90. Basti, a tal proposito, riflettere sul valore che il con-
cetto di «Risorgimento» riveste se calato nella realtà sarda della prima metà dell’Ottocento. La distorsione e l’affossamento, di cui furono oggetto le velleità autonomistiche e nazionali isolane alla fine del XVIII secolo, andarono ben al di là della fosca repressione rea- zionaria, poiché esse avevano, seppur in potenza, l’obbiettivo, per- seguito con maggior chiarezza a partire dagli anni Venti, di inqua- drare il nascente movimento unitario italiano in un’ottica filosa- bauda. Non è intenzione di chi scrive addentrarsi oltre in una tema- tica quanto mai ostica e dibattuta dalla storiografia presente e pas- sata; lo scopo funzionale alle argomentazioni del presente lavoro è, tuttavia, quello di focalizzare l’equivoco storico scaturito da un’in- terpretazione del Risorgimento in chiave esclusivamente sabaudi- stica, come espressione della volontà unificatrice della monarchia piemontese, una scelta che conduce inesorabilmente a cogliere una continuità con le vicende e con la storia del Regno di Sardegna. Essa va a cozzare, necessariamente, con quella che, all’indomani dell’u- nificazione venne individuata come la «questione sarda», da alcuni definita un vero e proprio «antirisorgimento»91.
In generale, se alla base del fervore che aveva animato le istanze di rinnovamento negli anni della «Sarda Rivoluzione» c’era stata la presa di coscienza della classe dirigente sarda, o di una parte di essa, della propria identificazione in un progetto autonomistico di carattere nazionale, e più specificamente di un progetto sia politico sia istituzionale, a partire dal 1796 e decisamente nel 1799 gli ideali che avevano sostenuto quelle rivendicazioni appaiono tramontati e sconfitti. Negli interessi e nella mente stessa dei reduci del moto antipiemontese era ormai scomparso il riferimento ai diritti della nazione; si tentava di perseguire esclusivamante l’interesse di ceto secondo un principio di continuità con le basi istituzionali del periodo spagnolo e con le rivendicazioni emerse nel Settecento ed alle quali il governo sabaudo aveva saputo resistere, specie nell’età boginiana.
90Su queste ed altre considerazione di carattere metodologico si rimanda
a G. Serri, Introduzione, in M. Pes, La rivolta tradita. La congiura di Palabanda
e i Savoia in Sardegna, Cagliari, 1994, pp. 7-17.
La scelta fondamentale della monarchia era sempre consistita nella tendenza a lasciare il concetto di «leggi fondamentali» in una sorta di indefinibilità. Questa condizione consentiva al Sovrano e ai suoi ammi- nistratori di sentirsi meno vincolati nel momento in cui si fosse inter- venuti sull’assetto dell’ordinamento, basandosi su una concezione della sovranità che risaliva a Jean Bodin. Esisteva allora la tendenza ad identificare la costituzione con lo Stato, atteggiamento insito nella prassi di governo che avrebbe trovato la sua massima definizione molto più avanti nella dottrina politica degli anni successivi alla con- cessione dello Statuto Albertino92. In questo contesto la monarchia
appare dapprima consapevole della propria debolezza, e perciò punta su un disegno di accentramento e di controllo delle magistrature. Soprattutto in questa prospettiva andrebbe letto il reiterato scontro, nei primi anni del secolo, tra Carlo Felice e quella parte della magi- stratura sarda che intendeva garantirsi margini di autonomia. La questione che rimaneva aperta e sulla quale casa Savoia si mostrava estremamente guardinga, era quella del feudalesimo che, per usare una felice espressione di Birocchi, «rappresentava un diaframma, che costituiva un inammissibile Stato dentro lo Stato»93, però ad assil-
lare il Sovrano era soprattutto il timore di perdere le alleanze e l’in- stabilità della situazione internazionale. Queste le ragioni per cui si decise di intervenire in particolare solo sull’amministrazione della giustizia, sulla perequazione fiscale, sui tributi feudali e sul riordina- mento della legislazione. L’entità dell’intervento era comunque misu- rata visto che, per il momento, l’obiettivo era quello di colpire gli abusi senza incidere sull’istituzione feudale.
Tra i settori di intervento cui si è fatto riferimento, assume par- ticolare rilevanza la questione del riordinamento della legislazione. Il progetto di codificazione del 1806 mostrava il superamento di quella fase iniziale in cui la monarchia, appena giunta nell’isola, appariva interessata esclusivamente a rafforzare il centralismo buro- cratico con interventi straordinari. Il tentativo di codificazione del 1806 va dunque inserito in un contesto in cui si tentava di inaugu-
92M. FIORAVANTI, Costituzione, amministrazione e trasformazioni dello
Stato, in Stato e cultura giuridica in Italia dall’Unità alla Repubblica, a cura di
A. Schiavone, Roma-Bari, 1990, pp. 61n. e 67n.
93I. BIROCCHI, Il problema del riordinamento della legislazione sarda, in
rare una fase più costruttiva, come testimonia l’istituzione nel 1804 della Reale Società Agraria ed Economica. Va sottolineato che per tutto il Settecento il problema del riordino della legislazione isolana non era mai stato inserito nell’agenda politica sabauda. L’unico momento in cui il governo si era dedicato concretamente ad un rior- dinamento legislativo risaliva al 1775 ed aveva prodotto la raccolta di Editti e Pregoni, curata da Pietro Sanna Lecca, che avrebbe com- preso la normativa in forma di legge emanata nel cinquantennio precedente94.
La problematica doveva, ad ogni modo, essere sentita, dal mo- mento che si possiedono alcune raccolte, tutte di iniziativa privata, che si ponevano il problema di proporre alle autorità un riassetto più organico della legislazione sarda. Tra le più note, tutte manoscritte e tuttora prive di studi specifici a riguardo, la Praxis Criminalis ad
usum et consuetudinem Sardiniae di Giuseppe Aragonez, non datata
ma approssimativamente del 176095, l’Enciclopedia juridica crimi-
nalis teoretico-forensis di Giuseppe Cossu del 176496, che vanno ad
aggiungersi alla ben più ampia ed articolata opera di Faustino Cesare Baylle Compilazione delle leggi municipali del Regno di Sardegna
spettanti al criminale del 179197.
Negli anni Novanta del Settecento si registrano le proposte dei giudici Cristoforo Pau ed Ignazio Casazza e successivamente del Conte di Sindia, entrambe come le precedenti di natura privata, a testimo-
94ASC, P. SANNALECCA, Editti, pregoni, ed altri provvedimenti emanati pel
regno di Sardegna dappoiché passò sotto la dominazione della Real Casa di Savoia sino all'anno 1774, riuniti per comando di S.S.R.M. il Re Vittorio Amedeo III, Cagliari, 1775.
95J. ARAGONEZ, Praxis Criminalis, in BUC, Ms. Baylle, S.P.6.1.42/4, 135 ff. una
copia dell’opera consistente in 122 pagine manoscritte è conservata presso l’Ar- chivio Simon-Guillot di Alghero, n. 545; l’opera è citata in G. Siotto Pintor, Storia
letteraria di Sardegna, vol. II, Cagliari, 1843-44, p. 301 e in P. Martini, Catalogo della Bibiblioteca sarda del cavaliere Lodovico Baylle, Cagliari, 1844, p. 197.
96G. COSSU, Enciclopedia juridica criminalis teoretico-forensis sive collec-
tio omnium capitulorum curiae Regiarum ordinationum ac Statutorum Regni Sardiniae spectiantis ad Juris prudentiam criminalem, cum pluribus iuris com- munis annotationibus, iuxta singulas partes processus criminali set observan- tiam supremi Regii Consilij in civitate Calaris residentis digesta ad usum Sar- doa nationis, in BUC, Ms. Baylle, S.P.6.1.10, 217 ff.
97F. C. BAYLLE, Compilazione delle leggi municipali del Regno di Sardegna
nianza di una necessità di codificazione proveniente dal basso98. Il
progetto del 1806 manifesta un’inversione di tendenza con un impulso dall’alto, proveniente dal Sovrano stesso che si propone di realizzare un’opera di riordino della legislazione che accorpi le diverse giurisdizioni operanti nel Regnum, condividendo il parere della Reale Udienza che nel 1799 aveva definito «inconcepibile una qualche plausibile ragione della disparità […] tra le Ville Reali e le Baronali, come se gli abitanti di queste e di quelle non fossero ugual- mente sudditi del medesimo Sovrano»99.
Il re, pur parlando di «codice», si poneva un obbiettivo circo- scritto e non di ampio respiro. Con tali premesse la commissione, composta dal presidente Cristoforo Pau e dai membri Costantino Musio, Giuseppe Cossu e Ignazio Casazza si sarebbe trovata non tanto a sancire un consolidamento del diritto patrio, ma più sempli- cemente a fornire le garanzie di esclusività al diritto del sovrano, aspetto questo che sarebbe stato ripreso dopo due decenni dal codice feliciano, come appare nelle disposioni preliminari (artt. I-VII)100.
Secondo una parte della storiografia facente capo al Lattes l’o- pera di codificazione non andò in porto a causa dell’inadeguatezza dei membri della commissione mentre, secondo tesi più recenti soste- nute da Birocchi, ciò sarebbe da attribuire al mancato coinvolgimento degli organi della magistratura che avrebbero potuto incidere sul- l’autorevolezza del progetto, che rimane in ogni caso la prima testi- monianza della necessità di codificazione dello ius patrium sentita direttamente dalla monarchia.
Per quanto riguarda il nostro assunto, in Sardegna, nei confusi anni di inizio ’800, il problema del controllo della stampa e della supervisione su ogni genere di pubblicazione si intreccia con una
98Per la proposta Pau-Casazza cfr. L. Bulferetti, L’assolutismo illuminato
in Italia (1700-1789), Milano, 1944, pp. 293-296; M. Da Passano, Delitto e delin- quenza nella sardegna sabauda (1823-1844), Milano, 1984, pp. 17-18; cfr. anche Relazione del Conte di Sindia sullo stato attuale e sui miglioramenti da appor- tare alla Sardegna [1794?], a cura di F. Loddo Canepa, in «Studi Sardi», XII-XIII
(1952-1953), pp. 45-48.
99Parere della Reale Udienza, 30 marzo 1799, ASC, Segreteria di Stato, s.
II, vol. 1740, f. 69r-v.
100I. BIROCCHI, Il problema del riordinamento della legislazione sarda,
più ampia problematica di carattere legislativo ed isituzionale rela- tiva alla differente legislazione esistente nell’isola ed alla partico- lare condizione che il Regnum, per la sua natura di stato feudale con ordinamenti propri, imponeva ai Savoia, i quali si erano trovati a gestire più giurisdizioni e a doversi confrontare con un’istituzione anacronistica come quella rappresentata dal feudalesimo che, per quanto messa in discussione negli anni della «Sarda Rivoluzione», continuava a condizionare la monarchia impedendo l’unificazione delle legislazioni.
È dunque normale che i numerosi tentativi di riordino legislativo proposti da privati rimanessero manoscritti e che fosse nell’interesse del Sovrano seguire nel dettaglio questo lavoro, quando si decise ad affrontare il problema, ponendo mano alla legislazione preesistente, che non era solo quella sabauda ma ancora soprattutto spagnola. Ciò per evitare che superficialità o errori inseriti nella codificazione, una volta pubblicati, potessero creare ulteriori problemi agli ammi- nistratori. L’operazione di riordino dei vari sistemi legislativi che avevano, spesso con grande confusione, regolato la vita dell’isola, era dunque un terreno estremamente delicato che avrebbe dovuto coinvolgere l’intervento di giuristi a fianco dei revisori.
Volendo esaminare la problematica da una prospettiva diffe- rente, è necessario soffermarsi sull’analisi di un particolare tipo di produzione storico-letteraria. Con il sostegno morale e materiale dell’ambasciatore piemontese Prospero Balbo nel 1802 Domenico Alberto Azuni pubblicava a Parigi, l’Histoire géographique, politi-
que et naturelle de la Sardaigne, rielaborazione di un suo prece-
dente Essaie del 1799 che aveva trovato un felice riscontro nelle recensioni delle gazzette e dei periodici francesi101.
L’autore, magistrato e giurista nonché membro delle accademie scientifiche di Torino, Napoli e Firenze, con questo lavoro si era pro- posto di rispondere all’esigenza di opere moderne ed aggiornate sulla Sardegna, come testimonia la recensione apparsa sulla Gazette
101L’Essai sur l’histoire géographique, politique et naturelle du Royaume
de Sardaigne dell’Azuni era stato pubblicato a Parigi nel 1799 era stato recen-
sito su il 9 gennaio su Le Pubbliciste e su La Décade philosophique, littéraire et
politique e il 20 gennaio dello stesso anno sul Magasin Encyclopédique ou Jour- nal des Sciences, des Lettres et des Arts.
Nationale ou le Moniteur Universel del 18 novembre 1802 che plau-
diva all’iniziativa, considerata capace di fornire «une idée exacte et complète de cette île»102. L’Histoire, che dedicava ampio spazio al
commercio, a progetti di riforme economiche e civili e che sul piano storiografico si concentrava prevalentemente sulle vicende della guerra di successione spagnola e sui moti rivoluzionari del 1793-96, aveva tuttavia lasciato insoddisfatti i democratici sardi in esilio a Parigi per le numerose imprecisioni e la superficialità che traspari- vano. Le critiche riguardavano anche un’ambigua interpretazione delle vicende storiche, tesa ad evitare una rilettura della storia sarda in chiave patriottica, particolarmente a riguardo della «crisi» rivo- luzionaria di fine secolo.
Uno dei maggiori critici di Azuni fu Matteo Luigi Simon, esule a Parigi dal 1801 e autore di una ricostruzione filopatriottica delle vicende della «Sarda Rivoluzione» stampata a Genova nel 1800 e che il primo aveva, con ogni probabilità, ignorato intenzionalmente. Negli «Appunti al Sigor Azuni» inseriti in un brogliaccio redatto tra il 1802 ed il 1803 il Simon, definiva l’Essai «falso, perché se avesse seguito le traccie dei giornali e di testi oculari e veridici non avrebbe preso tanti equivoci madornali specialmente sugli affari del ’93 e ’95 e ’96»103.
Simon, insieme ai fratelli Domenico e Gian Francesco, era tra i promotori di un rinnovamento storiografico che, rifacendosi all’e- sempio delle accademie piemontesi, si fondava su una più attenta ricostruzione delle fonti e su un approccio più problematico alle vicende sarde. Egli accusava Azuni di aver ignorato il «diritto patrio» e l’antico sistema costituzionale del Regnum: «Non capisce cosa siano le leggi fondamentali della Sardegna»104.
La sensazione che l’opera di Azuni potesse inaugurare un pro- cesso di manipolazione storiografica, la cui regia occulta si annidava nei settori diplomatici della corte sabauda che si muovevano sul- l’insospettabile palcoscenico degli ambienti intellettuali parigini, preoccupava i democratici sardi rifugiati a Parigi che si sentivano frustrati dal successo che riscuoteva l’opera del giurista sassarese,
102Gazette Nationale ou le Moniteur Universel, n. 88, 1802.
103M.L. SIMON, Brogliazzo sardo di cose manuali, pensieri distaccati, idee
e progetti chimerici, ozi, in ASCCA, ms. 45/b.
definito da Simon, senza mezzi termini, «impostore solenne»105. Lo
sdegno produsse in lui la determinazione a concretizzare un pro- getto sul quale meditava già da un decennio, quello di realizzare un’opera organica e di carattere enciclopedico sulla Sardegna e per la quale aveva raccolto una nutrita mole di documenti.
Con questo proposito egli tra il 1802 ed il 1804 riprese l’idea, già caldeggiata qualche anno prima a Genova, di realizzare un Pro-
spetto dell’isola di Sardegna antico e moderno, un manuale costruito
in forma dialogica con domande e risposte, strutturato secondo il modello dei «catechismi» dell’epoca e concepito, come si legge nel titolo del manoscritto, «ad uso e comodo degli istitutori e discepoli delle scuole sarde»106.
Egli, dando all’opera un taglio storico-geografico, con intento divulgativo, si proponeva di fornire un quadro istituzionale, econo- mico e culturale del Regnum. Per realizzare l’impegnativo progetto Matteo Luigi già alcuni anni prima, da Genova, aveva richiesto al fratello Gian Francesco il materiale necessario per trattare i diffe- renti argomenti107. L’intento dichiarato del Simon era quello di pub-
blicare l’opera108, tuttavia egli non ricevette da Alghero né i suoi
manoscritti, né buona parte delle risposte ai “quesiti” posti al fra- tello, al quale, in una lettera, raccomandava di inviargli quelle carte «avendo occasione sicura»109, poiché occorreva attendere il momen-
105Lettera di Matteo Luigi Simon al fratello Giambattista, 20 ottobre 2004;
cfr. L. Berlinguer, Domenico Alberto Azuni giurista e politico (1749-1827), Milano, 1966, p. 189.
106 M.L. SIMON, Prospetto dell’isola di Sardegna antico e moderno dispo-
sto in forma di catechismo patrio ad uso e comodo degl’istitutori e discepoli