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Con l’estensione a tutta la penisola degli ordinamenti napoleo- nici, o direttamente nei dipartimenti annessi o attraverso i governi dei due regni vassalli, anche la stampa italiana subì il regime di stretta sorveglianza cui era stata sottoposta quella francese. Nella costituzione dell’anno VIII non compariva alcun riferimento al prin- cipio di libertà di stampa e ciò valse anche per le costituzioni ita- liana e ligure del 1802. Un silenzio questo che celava il proposito di ridurre ai minimi termini le potenzialità della pubblicistica.

Durante il Triennio repubblicano le istituzioni censorie austria- che, sabaude, estensi e pontificie, una volta abrogate non erano state rimpiazzate con un sistema importato dai francesi; con la fine del- l’esperienza repubblicana, e all’inizio del nuovo secolo, invece, la volontà di Napoleone, tutta tesa ad assicurare stabilità alle nuove istituzioni politiche soprattutto attraverso il consenso delle forze moderate, portò ad introdurre un nuovo e articolato sistema censo- rio, la cui costituzione, tuttavia, procedette faticosamente tra con- troversie ed incertezze, almeno inizialmente. Tra il 1797 ed il 1799 non si registra né negli ex territori sabaudi, né altrove, la creazione di specifici uffici preposti a gestire i reati di stampa. Si assiste pre-

64«Ardiressimo ancora di chiedervi cosa è succeduto de’ patrioti e dei viva-

maria, dei quali non si sente più parlare da tanto tempo; voi mi direte che un Governo forte, giusto e imparziale ha cancellato e distrutto qualunque odiosa deno- minazione di partiti; che ora più non si conosce in Repubblica altra distinzione che quella di buono o cattivo Cittadino, e che la giustizia pubblica sta pronta e inesorabile a comprimere e schiacciare il primo disgraziato che osasse levarsi contro di questo pacifico e fortunato ordine di cose, e turbare una sì bella con- cordia d’animi e di sentimenti»; cfr. Gazzetta nazionale della Liguria, n. 34, 1802.

valentemente ad interventi isolati, al di fuori di un preciso protocollo d’azione, che davano adito solo a contestazioni e confusione. Incari- cati della revisione e della censura di testi o di opere periodiche erano funzionari interni ai vari ministeri, che svolgevano il compito contestualmente ad altri incarichi professionali.

All’assenza di una specifica figura di revisore si associava la carenza di una direzione unitaria sulle competenze censorie, che finivano per essere frazionate e gestite da molteplici organismi, determinando così divergenze e lungaggini burocratiche prima che un provvedimento fosse definitivo. Se a livello centrale la funzione di sopprimere o requisire una testata veniva quasi sempre assolta dal Ministero degli Interni, a livello provinciale veniva gestita sia dagli ispettori di polizia di nomina municipale, sia dai commissari gover- nativi i quali, investiti del potere esecutivo a livello dipartimentale, per certi versi prefigurano, sia pure a livello embrionale, la figura del prefetto. In realtà questi commissari, come sostiene Livio Anto- nielli nel suo studio sull’istituzione prefettizia nell’Italia napoleonica, erano incaricati dal governo solo di funzioni di controllo degli orga- nismi amministrativi locali, mentre i prefetti saranno «responsabili ed esecutori della gestione amministrativa del dipartimento»65.

Ma anche i prefetti, espressione della volontà del governo cen- trale nei dipartimenti, dovettero fare i conti con l’antagonismo delle autorità di polizia che, specie nelle province di nuova acquisizione, erano dotate di ampi poteri. Nei territori piemontesi vennero istituiti ventuno prefetti, tutti di nomina imperiale e prevalentemente di estra- zione aristocratica. L’intromissione, sia del governo centrale sia dei prefetti nella vita amministrativa, avrebbe precluso l’effettivo svolgi- mento di un’efficace azione rappresentativa e democratica.

L’apparato censorio che gravava sulla stampa periodica con la conseguente soppressione di ogni foglio che entrasse in contrasto con il governo o con i suoi rappresentanti locali, non è che uno degli

65L. ANTONIELLI, I prefetti dell’Italia napoleonica, Bologna, 1993, p. 24; cfr.

anche M. Carassi, L’amministrazione prefettizia in Piemonte: organizzazione

istituzionale e funzionamento, in All’ombra dell’aquila imperiale, cit., pp. 44-48;

G. Vaccarino, L’amministrazione prefettizia in Piemonte:apparati e personale, in

All’ombra dell’aquila imperiale, cit., pp. 35-43; A.E. Whitcomb, Napòleon’s pre- fects, in «American Historical Review», 79 (1974), pp. 1089-1118; S.J. Woolf, Napoleone e la conquista dell’Europa, Roma-Bari, 1990, pp. 90-91.

aspetti della politica napoleonica su tale materia. Alla repressione si associò un uso spregiudicato delle tecniche di propaganda al fine di gestire il consenso in ogni ambito ed in ogni territorio dell’impero. In più di un’occasione Napoleone manifestò una sensibilità quasi maniacale nei confronti del controllo sull’informazione pubblica. Egli esigeva una puntuale attività di revisione su ogni articolo, mostrava interesse per elogi o critiche e rivolgeva attenzioni speciali per qual- siasi pubblicazione, soprattutto per quelle di provincia. Il 18 mag- gio 1804 una Commissione senatoriale della libertà della stampa composta da sette membri scelti all’interno del Senato e da questo nominati, veniva incaricata di vegliare sulla «libertà di stampa»66.

La Commissione, formalmente, avrebbe dovuto fungere da garante della libertà di stampa, dal momento che gli autori che aves- sero inteso sporgere ricorso per un qualche impedimento alla pub- blicazione avrebbero potuto appellarsi ad essa. In realtà questo orga- nismo era limitato e controllato nell’esercizio autonomo dei suoi poteri e soprattutto erano escluse dalle sue competenze le gazzette ed i giornali, la cui supervisione era divenuta assoluto monopolio dell’imperatore, il quale pretendeva di gestire personalmente le rela- zioni con i ministri di polizia, non esimendosi mai dal raccomandare circospezione e assoluta prevenzione67.

Questa linea di condotta imponeva non solo un controllo severo sui giornali esistenti, ma pure sulla nascita di nuovi dove se ne fosse presentata l’esigenza: «È stupido – affermava il 28 aprile 1805 – avere giornali che hanno solo l’inconveniente e non i vantaggi della libertà di stampa»68. Nel giugno 1805, appena incoronato impera-

tore a Milano, Napoleone manifesta una certa apprensione per l’as- senza di un giornale governativo a Torino, aprendo così la strada alla nascita, in meno di due mesi, di una gazzetta ufficiale della quale

66Decreto del 18 maggio 1804 (28 fiorile), cfr. Raccolta degli ordini e prov-

videnze emanate dalle autorità costituite dopo il secondo ingresso dell’Armata francese in Piemonte, vol. XI, Torino, 1805, p. 12.

67«Toutes les fois qu’il parviendr nue nouvelle désagrèable au gouverne-

ment, elle ne doit pas être publiée jusq’à ce qu’on soit tellement sûr de sa véritè qu’on ne doive plus la dire parce qu’elle est connue de tout le monde»; cfr. J. Fiévée,

Correspondance et relations avec Bonaparte, Paris, 1836, vol. II, pp. 114-115.

68Napoleone a Fouché, 28 aprile 1805, in F. Barbier, Edizione, censura e let-

tura nell’Europa Napoleonica, in Napoleone e gli intellettuali. Dotti e «hommes de lettres» nell’Europa Napoleonica, a cura di D. Gallingani, Milano, 1996, p. 246n.

avrebbe imposto perfino il titolo69. Nei centri minori la dipendenza

del giornalismo dalla prefettura appare ancora più accentuata. Questo fenomeno, definito da Paul Hazard «littérature des pré- fets», mostra caratteristiche che sarebbero state assimilate un po’ ovunque dai governi assoluti durante l’età della restaurazione70.

Far sorgere fogli periodici che allineassero la loro voce al coro della stampa di regime era motivo di orgoglio per l’autorità pre- posta al controllo di un territorio, specie se di provincia. La man- canza di lettori, elemento che accomuna questo genere di espe- rienze editoriali, non rappresenta una pregiudiziale.

Tipografi e stampatori non compiacenti sarebbero stati indotti a curare la pubblicazione di questi fogli con privilegi o intimidazioni e se si fossero mostrati riluttanti, il loro ruolo sarebbe stato assunto in prima persona dagli stessi segretari di prefettura, mentre le spese di stampa avrebbero trovato copertura economica negli abbona- menti obbligatori di comuni ed autorità del dipartimento71. Le auto-

rità che intendevano promuovere questo genere di stampa paiono, forse, meno interessate a plasmare ed organizzare una sorta di pub-

69«Il n’y apoint de journal à Turin; c’est un grand mal […]. Ce journal doit

paraître tous les jours et s’appeler Courrier de Turin. Il doit donner toutes les nouvelles de l’Italie, telles que les donnent les journaux, et les nouvelles du pays, ainsi que tout ce qui peut intéresser sous le rapport de la curiosité, du pays et de son admnistration»; cfr. J. Fiévée, Correspondance, cit., vol. X, p. 464. In modo analogo Napoleone avrebbe fatto precedere all’occupazione di Roma la circolazione di un giornale per preparare l’opinione pubblica all’invasione. La costruzione del consenso avrebbe dovuto anticipare l’operazione militare. Così il 5 aprile 1808 uscì la Gazzetta romana che poco più di un anno dopo, il primo luglio 1809, avrebbe assunto il nome di Giornale del Campidoglio; cfr. C. Capra,

Il giornalismo nell’età rivoluzionaria e napoleonica, cit., p. 507.

70P. HAZARD, La révolution français, cit. p. 198.

71Non certo in controtendenza ma, anzi, come espressione di una «Real-

politik» ante litteram, come la definisce Frédéric Barbier, risultano a questo proposito dichiarazioni come quelle che seguono, che Napoleone fece pubblicare nel 1806: «Lo dico ancora una volta, non voglio alcuna censura, poiché ogni libraio risponde dell’opera che vende, poiché non voglio essere responsabile delle sciocchezze che si possono stampare, poiché non voglio che l’ultimo arri- vato terrorizzi lo spirito e mutili il genio»; cfr. anche Napoleone a Fouché, Cor-

respondance, Paris, 1858-1869, n. 9670; cfr. anche F. Barbier, Edizione, cen- sura e lettura nell’Europa Napoleonica, cit., pp. 235-263; H. Welschinger, La censure sous le Premier Empire, Paris, 1882.

blica opinione e più attente a fornire costantemente il punto di vista e la posizione ufficiale. Questi fogli, che uscivano in media uno o due volte a settimana, si limitano a pubblicare, traendoli rigorosamente dalle testate ufficiali, gli atti dei vari governi, nonché le principali notizie relative all’Impero ed agli altri paesi, soffermandosi partico- larmente sull’Inghilterra con l’intento di screditarla e di metterne in cattiva luce il governo e la condizione economica. In rari casi com- paiono brevi articoli di cronaca locale, per lo più di carattere cele- brativo, brani di letteratura o prospetti statistici. Proprio questo genere di articoli, per quanto preventivamente filtrati dalla censura prefettizia, presenta un qualche interesse specie quando affronta i progressi nel campo dell’agricoltura, delle scienze e dell’istruzione.

Uno dei principali compiti dei prefetti nelle province annesse all’Impero consisteva nella diffusione della lingua e della cultura francese, prerogativa questa alla quale avrebbe potuto prestarsi con particolare facilità proprio la stampa periodica. Quasi tutti i giornali piemontesi e liguri, così come molti altri dei restanti territori rien- tranti sotto l’influenza napoleonica, sarebbero stati bilingui o scritti addirittura in francese. Il Corriere Torinese, nato nell’agosto del 1805 sulle ceneri della Gazzetta del Piemonte, mantenne solo nel primo numero la testata in lingua italiana per divenire, dal numero suc- cessivo, Courrier de Turin72. Un fenomeno simile, anzi forse più

grave, interessò la Gazzetta di Genova alla quale, benché svolgesse le funzioni di foglio semiufficiale e fin dal 1805 pubblicasse gli atti ufficiali in francese, in seguito ad un intervento oltremodo zelante del prefetto La Tourette e del commissario di polizia, venne prefe- rito sul finire del 1808 un nuovo giornale, Le Journal de Gênes73.

Questa scelta, tuttavia, si sarebbe dimostrata deludente dal momento che il giornale non riuscì ad acquisire alcun abbonamento, fatta eccezione per le autorità dipartimentali, ragion per cui il nuovo pre- fetto Bourbon si trovò costretto ad accordarsi con la redazione della

Gazzetta. A partire dal giugno 1809 il giornale divenne ufficialmente

72Ciò venne determinato dall’intervento del Ministro dell’Interno che

comunicava al prefetto: «S.M. désire que ce journal soit composé dans les deux langues et qu’elles soient imprimèes l’une à côté de l’autre, tant pour expri- mer la réunion des deux nations, que pour rendre cette feuille plus utile à tous les Français»; cfr. A. Cabanis, La presse sous le Consulat et l'Empire, cit.

bilingue, dedicando progressivamente sempre più spazio alla sezione destinata alla lingua francese a discapito delle notizie in italiano. Questa, che è stata definita un’operazione di «denazionalizzazione», venne giustificata dai redattori della Gazzetta sia con motivazioni stilistiche che elevavano il francese a lingua raffinata e di cultura, sia con argomentazioni utilitaristiche dal momento che il bilinguismo sarebbe stato indispensabile per chiunque intendesse intraprendere una carriera o semplicemente ottenere ed esercitare un impiego amministrativo o giudiziario74.

Anche per il Piemonte, come per tutti i territori dell’Impero, un decreto del 3 agosto 1810 stabilì che in ogni dipartimento sarebbe stato ammesso un solo giornale di contenuto politico. Ciascuna gaz- zetta sarebbe stata posta sotto l’autorità del prefetto il quale, allo stesso tempo, avrebbe dovuto regolare, con la sua supervisione, la circolazione di altri fogli, affissioni pubblicitarie, avvisi e giornali che si sarebbero occupati esclusivamente di letteratura, scienze, arti o agricoltura, precisando che non accogliessero articoli estranei alla materia dichiarata75. In pochi dipartimenti si diffuse più di un perio-

dico, mentre in buona parte non ne sarebbe comparso neppure uno. Questa situazione condusse a circostanze paradossali per cui in alcuni dipartimenti i prefetti, dando un’interpretazione soggettiva all’applicazione del decreto ed entrando in competizione con i col- leghi, accrebbero il numero di giornali di argomento vario anche nei distretti che negli anni precedenti non ne avevano conosciuto alcuno76.

Tra il 1809 ed il 1811 il controllo sulla stampa si fece ancora più serrato attraverso una serie di provvedimenti volti, probabilmente, ad una codificazione pressoché completa dei margini entro cui la stampa poteva agire ed alla realizzazione di un articolato apparato censorio al quale venne dedicata una speciale sezione del codice penale promulgato da Napoleone il 17 dicembre 1809 che stabiliva

74A.F. IVALDI, Théâtre et musique dans la Gazzetta di Genova de 1800 à

1814, in «Periodica Musica», III, 1985, p. 13.

75Décret impérial portant qu’il n’y aura qu’un seul journal dans chacun-

des départemens, autres que celui de la Seine in AST, Raccolta di leggi, decreti e manifesti, etc. pubblicati nel bollettino delle leggi e delle varie autorità, vol.

XLIII aggiunta, Torino, 1814, p. 165.

pene ancora più severe nei confronti di autori, stampatori, distributori e possessori di opere di ogni genere che manifestassero un atteggia- mento ostile nei confronti del governo o che sembrassero in qualche modo orientati a turbare l’ordine pubblico o ad allarmare i cittadini77.

In assenza di una censura preventiva, i reati di stampa prevedevano l’arresto immediato per gli autori e, in caso di anonimato, per gli stampatori ed i distributori, a meno che non avessero rivelato il nome del responsabile dell’opera. Questi provvedimenti non investivano solo l’ambito della carta stampata, ma anche produzioni artistiche di ogni genere, fossero canzoni, disegni, dipinti o sculture, per ognuna delle quali era prevista la confisca immediata.

Tra gli altri interventi venne proibita la stampa di vecchi mano- scritti conservati negli archivi del ministero delle relazioni estere e nelle varie biblioteche imperiali, a meno che non vi fosse l’autoriz- zazione preventiva del ministro degli esteri per le opere conservate negli archivi di sua competenza, e del ministro degli interni per tutti gli altri manoscritti posseduti da biblioteche imperiali, dipar- timentali o comunali78. Si stabilì quanto si dovesse percepire sui

libri stampati o provenienti dall’estero e, sempre con decreto del 3 agosto 1810, si giunse a limitare il numero delle stamperie, fissan- dolo per ogni dipartimento ed imponendo anche il giuramento di fedeltà a librai e stampatori sotto intimidazione di pene severe. Il provvedimento dell’agosto 1810 e quello che il 30 novembre dello stesso anno annullava nel limitrofo Regno italico l’«Ufficio della libertà di stampa» ed istituiva la «Direzione generale della stampa e libreria» erano la naturale conseguenza di quanto avvenuto nel febbraio precedente in Francia, dove, con l’istituzione della «Direc- tion générale de l’imprimerie et de la libraire», si intendeva raffor- zare l’organico degli impiegati e degli ispettori preposti al controllo della stampa79.

77Sezione VI - De’ delitti commessi per mezzo di scritti, immagini, o figure

incise distribuite senza nome dell’autore, stampatore o scultore; cfr. Raccolta di leggi, decreti, ec. Codice penale ossia dei delitti e delle pene, vol. XXXV, Torino,

pp. 115-118. Cfr. anche J.G. Locré, Discussion sur la liberté de la presse, la cen-

sure, la propriété littéraire, l’imprimerie et la libraire, qui ont eu lieu dans le Conseil d’Etat pendant les années 1808, 1809, 1810 et 1811, Paris, 1819.

78Raccolta di leggi, decreti, ec. pubblicati nel bollettino delle leggi e di prov-

videnze, proclami, circolari, ec. dalle varie autorità, vol. XXX, 1809, Torino, p. 96.

Tutte le stamperie avrebbero dovuto denunciarsi alle autorità e tra queste ne sarebbero state individuate alcune «privilegiate» che avrebbero potuto stampare libri e soprattutto giornali. Ogni tipo- grafia era tenuta a registrare con particolare meticolosità e preci- sione il titolo e l’autore dell’opera e ad ottenerere il consenso e la sottoscrizione del prefetto del dipartimento. Successivamente sia gli stampatori sia i librai sarebbero stati costretti a dotarsi di una patente governativa, esattamente come in Francia. Alla riduzione delle tipografie seguì anche un ridimensionamento del numero dei librai e dei venditori ambulanti, nei confronti dei quali venne eser- citato un controllo ancor più rigoroso.

L’abilità dei legislatori consisteva ad ogni modo nella capacità di smorzare e di rendere meno soffocante il bavaglio che sostan- zialmente si imponeva alla stampa, incoraggiando in alcune città, tra le quali Torino, pubblicazioni periodiche di carattere artistico, letterario e scientifico. A dimostrazione di quanto ben congegnato fosse l’apparato censorio imperiale anche nelle province di nuova acquisizione, basti pensare ad accorgimenti dal valore formalmente liberale come quello di creare uno speciale fondo, ottenuto dalle quote che i vari fogli dovevano corrispondere, che sarebbe stato destinato a sostenere l’attività di ricerca e di produzione da parte di scienziati, letterati ed artisti80.

Sulla stessa lunghezza d’onda va posta la concessione di far cir- colare nei vari dipartimenti provinciali, con opportuni controlli, alcuni giornali di carattere scientifico-letterario provenienti dall’e- stero come il Journal littéraire a Torino o la Biblioteca Britannica a Genova81. Nel 1811 venne stilato l’elenco definitivo delle città che

avrebbero potuto beneficiare di un foglio di annunci che però non avrebbe dovuto contenere alcun articolo non solo di politica, ma anche di letteratura e che avrebbe dovuto essere pubblicato sepa- ratamente dai giornali autorizzati, onde evitare possibili influenze o contaminazioni.

Questi giornali si sarebbero dovuti adeguare al principio del bilinguismo in tutti i dipartimenti in cui fosse stato mantenuto l’uso

80Raccolta di leggi, decreti, ec. pubblicati nel bollettino delle leggi e di

provvidenze, proclami, circolari, ec. dalle varie autorità, vol. XXXIV, 1810,

Torino, pp. 142-143.

81Etat des jornaux affectés aux sciences, à la littéraure et aux arts, dont

delle due lingue82. Anche l’importazione delle opere dall’estero

sarebbe stata regolamentata attraverso un pesante sistema di tas- sazione, mentre una circolare diffusa nel novembre del 1810 segna- lava ai prefetti che prestassero attenzione alla cosiddetta lettera- tura di colportage, ossia quella composta da libri di piccolo formato, almanacchi, guide d’agricoltura o di medicina, romanzi sentimen- tali, diffusi da ambulanti e rivolti ad un pubblico popolare. I nove censori imperiali nominati nel 1811 sarebbero divenuti trenta in pochi anni, alla fine della parabola imperiale, mentre 36 ispettori sarebbero stati collocati tra Parigi ed i Dipartimenti83.

Nell’aprile del 1814, all’indomani della caduta di Napoleone, tra i primi provvedimenti presi dal governo provvisorio torinese si regi- strano il divieto di affissione di scritti o di diffusione di pamphlet senza l’autorizzazione della prefettura di polizia, la nomina di un censore generale per i giornali, benché formalmente un’ordinanza continuasse a garantire la libera circolazione di lettere e giornali. Il governo provvisorio, il 7 aprile, nominava M. Michaud censore dei giornali esistenti fino al 31 marzo e, naturalmente, di tutti i fogli uffi- ciali. Egli avrebbe esercitato la sua funzione sotto l’autorità del com- missario provvisorio di polizia. Per il momento i regolamenti sui libri e sulle stampe avrebbero continuato ad essere esecutivi, purché sor-