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Il significato, nella prospettiva della linguistica cognitiva, è dinamico e di natura enciclopedica. Deriva, quindi, dall’insieme delle nostre conoscenze e dal contesto in cui siamo chiamati a costruirlo. Nel paragrafo precedente, abbiamo visto le principali strutture secondo cui la mente organizza le informazioni. In che modo, dunque, queste informazioni si rendono disponibili al parlante? In altre parole, come viene attivato il corretto significato di un’espressione linguistica?

Il primo concetto che dobbiamo considerare è quello della salienza. Termine introdotto già dalla linguistica pragmatica, salienza è impiegato in linguistica cognitiva in due sensi distinti.

Il primo riguarda la salienza detta cognitiva, che indica l’attivazione di concetti durante la concreta situazione comunicativa. Tale attivazione può avvenire in due modi: o un concetto è esplicitamente richiamato dal parlante attraverso un meccanismo di selezione conscia in seguito al quale il concetto si colloca al centro dell’attenzione del parlante stesso; oppure, si verifica un’attivazione diffusa (spread activation) in cui l’attivazione di un concetto facilita l’attivazione di altri concetti ad esso collegati. A prescindere dal tipo di attivazione, i concetti attivati entrano nella memoria di lavoro e, da quel momento, ogni tentativo di richiamo richiede un minimo sforzo cognitivo, proprio perché i concetti sono già disponibili. Un alto grado di salienza cognitiva, dunque, corrisponde al minimo sforzo di processamento. Al contrario, i concetti non attivati sono non salienti.

L’altro senso di salienza può essere definito ontologico. Si riferisce non alla momentanea attivazione di un concetto, ma a proprietà più o meno stabili delle entità del mondo. In altri termini, ci sono concetti che, per le loro caratteristiche intrinseche, sono più adatti a catturare la nostra attenzione. Se osservassimo, in compagnia di una seconda persona, la scena di un cane che corre in un prato, e il nostro interlocutore

dicesse: “è molto carino”, saremmo più propensi ad attribuire la proprietà al cane piuttosto che al prato, avendo il primo una salienza ontologica maggiore del secondo. I motivi per cui alcuni oggetti hanno maggiore salienza ontologica di altri sono in parte individuali, derivanti dalla nostra esperienza e dal nostro rapporto con il mondo; in parte culturali e socialmente definiti.

Altro concetto fondamentale, correlato alla salienza, è quello di entrenchment, “radicamento”, che indica il grado di familiarità e disponibilità di un concetto, o meglio di un’unità cognitiva, cioè di una concettualizzazione che corrisponde convenzionalmente ad un’espressione linguistica. La maggior parte delle espressioni che usiamo quotidianamente sfruttano delle unità cognitive in un certo senso già pronte e disponibili nella nostra memoria. Di fronte alla scena di prima, ad esempio, la questione di come nominare ciò che si sta osservando non arriva nemmeno alla soglia della coscienza, dato che né “cane” né “prato” necessitano di un processamento elaborato, riferendosi a unità immediatamente disponibili.

Per riassumere, in linguistica cognitiva entrenchment è usato per riferirsi a “the degree to which the formation and activation of a cognitive unit is routinized and automated39.”

Solitamente, le entità ontologicamente salienti occorrono con più frequenza nella nostra esperienza di parlanti e di osservatori del mondo; di conseguenza, è probabile che le loro corrispondenti unità cognitive abbiano un alto grado di entrenchment. D’altra parte, unità con elevato grado di entrenchment diverranno con più facilità cognitivamente salienti, poiché anche una debole attivazione diffusa sarà sufficiente ad attivarle, in virtù della loro facile reperibilità in memoria.

I concetti di entrenchment e di salienza sono utili per affrontare questioni semantiche legate alle parole polisemiche, ambigue o vaghe.

Riprendendo il concetto di schema, possiamo dire che a ogni concetto è associato uno schema, cioè una struttura astratta di relazioni che definisce il suo significato. Alcuni concetti possono avere degli schemi simili; oppure, similarità tra schemi diversi possono essere percepite dai parlanti.

Ambiguità e vaghezza corrispondono a due processi diversi: l’ambiguità corrisponde alla separazione; la vaghezza, al contrario, all’unificazione. Una parola

39 “grado in cui la formazione e l’attivazione di un’unità cognitiva è abituale e automatica”, in H-J.

Schmid, Entrenchment, Salience, and Basic Levels, in D. Geeraerts e H. Cuyckens (a cura di), The

ambigua avrà quindi due significati separati e distinti (“merlo” come uccello e come orlatura dei muri di un edificio medievale); una parola vaga comprenderà nello stesso significato sfumature diverse (“zia” comprende i significati di sorella di mia madre e di sorella di mio padre.) Possiamo quindi dire che una parola ambigua indica due significati distinti, entrambi con un certo grado di entrenchment nell’uso del parlante la cui struttura è difficilmente sussumibile sotto uno stesso schema, che comunque avrebbe un alto grado di generalizzazione e quindi una bassa salienza ontologica.

Al contrario, le parole vaghe non rimandano a significati completamente distinti e la loro struttura si può sussumere sotto uno stesso schema che assume, per il parlante, un alto grado di salienza.

Il caso della polisemia è più complesso. Se, infatti definiamo ambigui due lessemi distinti, con distinti significati ma omofoni e omografi, e vago un lessema con un singolo ma non specifico significato, la polisemia si colloca al centro tra i due, essendo un singolo lessema con due, o più, significati distinti40. Dobbiamo l’introduzione del termine a Breal41, il quale tratta analiticamente i fenomeni di polisemia in diacronia e in sincronia. Diacronicamente, la polisemia è un processo di aggiunta di nuovi significati ad un termine già esistente, processo che lascia intatti i significati precedenti. In sincronia, invece, Breal dichiara che non si può realmente dare un caso di polisemia. Nell’uso, infatti, i parlanti sanno sempre quale significato attribuire ad una parola, aiutati nel processo di interpretazione dal contesto. La salienza e l’entrenchment giocano qui un ruolo fondamentale. Infatti, è il contesto a determinare la salienza cognitiva di un concetto, portando all’attivazione del significato giusto. Inoltre, Breal nota una particolarità: l’ultimo significato acquisito dalla parola è anche quello più familiare. In termini di linguistica cognitiva, potremmo dire che se un significato è frequente e familiare, avrà un alto grado di entrenchment, quindi, tendenzialmente, avrà maggiori probabilità di essere attivato.

40 Cfr, D. Tuggy, Schematic Network: ambiguity, polysemy and vagueness, in in D. Geerraerts (a cura

di), Cognitive Linguistics: basic readings, Berlino, Mouton de Gruyeter, 2006, pp. 167-184.

Nel presente lavoro, stiamo riportando il punto di vista della linguistica cognitiva riguardo ai fenomeni trattati. Riteniamo, tuttavia, utile citare la definizione di polisemia fornita da Dardano, secondo la quale un lessema polisemico rimanda a significati distinti in cui però si possono rintracciare un’etimologia comune o dei semi simili, cfr. M. Dardano, Lessico e Semantica, in A. Sobrero, Introduzione

all’Italiano Contemporaneo. Le Strutture, Bari, Laterza, 2008, pp. 291-370.

Sebbene, come detto, il grado di entrenchment vari a seconda della nostra esperienza, alcune ricerche, in particolare quelle condotte da Rosch42 e dai suoi

collaboratori, hanno dimostrato che esiste una particolare categoria di concetti che presenta il maggior grado di entrenchment. Tale categoria non si riferisce a una canonica distinzione gerarchica tra i concetti, né rimanda alla differenziazione semantica tra iperonimi e iponimi. È piuttosto fondata su una categorizzazione cognitiva che si suddivide in tre livelli: livello base, livello superordinato, livello subordinato. Il livello base comprende gli esempi generici di una categoria, ad esempio “mela”, “pera”, “pesca” etc. La categoria stessa è definita dal livello superordinato, in questo caso “frutta”. Nel livello subordinato troviamo, invece, esempi specifici della categoria: “mela fuji”, “pera williams”, “pescanoce” etc. Gli elementi del livello base consentono di stabilire un equilibrio tra la specificità dell’informazione e lo sforzo cognitivo (nella maggior parte dei casi, è inutilmente dispendioso distinguere tra due tipi di mele o tra una sedia da cucina e una da scrivania); sono funzionali perché sono sufficienti a descrivere le interazioni con il mondo; sono linguisticamente più semplici da acquisire e da ricordare. Per tutti questi motivi, sono anche quelli che presentano il più elevato grado di entrenchment.

Gli studi di Rosch hanno portato ad elaborare una teoria che smentisce ciò che una lunga e consolidata tradizione aveva sempre asserito. Secondo tale tradizione, le categorie dovrebbero essere basate su principi logici e un set definito di proprietà dovrebbe decretare senza esitazioni l’appartenenza o meno di un elemento a una categoria. La nostra categorizzazione cognitiva degli oggetti del mondo, tuttavia, non rispecchia quasi mai le categorizzazioni logiche degli stessi oggetti. La creazione stessa della categorie è contingente e deriva dalla nostra esperienza.

Se dovessimo definire la categoria “uccelli”, ad esempio, difficilmente ci verrebbero in mente le stesse definizioni usate in ornitologia. Richiameremmo invece una nostra categoria di “uccelli” che condivide molte caratteristiche con quella ufficiale ma che non ha la stessa struttura. La nostra categoria avrà una conformazione radiale, al centro della quale troveremo non un esemplare preciso, ma piuttosto un’idea di uccello, quella che si avvicina di più al senso comunemente espresso dal termine: un prototipo.

42 Cfr, E. Rosch, Human Categorization, in N. Warren (a cura di), Studies in Cross-cultural Psychology

Il concetto di prototipicalità è stato usato per rigettare la concezione componenziale della semantica, in ragione di un sistema di categorizzazione più flessibile che tenesse conto non tanto di attributi logici associati ad un termine, quanto della conoscenza enciclopedica ad esso associata. Una categorizzazione linguistica è infatti un fenomeno cognitivo ed è necessario studiarla in relazione alle generali capacità cognitive umane.

Le categorie prototipiche presentano caratteristiche peculiari. Come prima cosa, non possono essere definite attraverso un preciso set di attributi. Il prototipo, infatti, è piuttosto un’idea psicologica, fa parte del processo di elaborazione e comprensione del mondo.

La struttura delle categorie prototipiche è quella di una famiglia di somiglianze. La sua struttura semantica prende la forma di gruppi di significati che si sovrappongono, secondo lo schema AB BC CD DE, in cui ogni elemento avrà qualcosa in comune con uno o più degli altri elementi, ma pochi se non nessun tratto è comune tra tutti gli elementi.

Le categorie prototipiche presentano un grado di appartenenza alla categoria e un grado di rappresentatività. Nella maggior parte dei casi, l’appartenenza è definita in modo piuttosto netto, soprattutto per quanto riguarda le categorie naturali. Infatti si può affermare con una certa sicurezza se un elemento è o non è, ad esempio, un uccello. Il grado di rappresentatività, invece, è più sfumato. Quanto più l’elemento in considerazione si avvicina al prototipo, tanto più si troverà al centro della categoria e avrà un alto grado di rappresentatività. Al contrario, quanto più l’elemento si discosterà dal prototipo, tanto più sarà vicino ai confini della categoria, in una zona periferica in cui il grado di rappresentatività è piuttosto basso. Per intenderci, possiamo collocare il canarino al centro della categoria ed attribuirgli un alta rappresentatività, mentre collocheremo il pinguino ai margini della categoria, con un basso grado di rappresentatività.

Un’ultima caratteristica riguarda proprio i confini della categoria, i quali non sono né netti né necessariamente definiti.

Se la teoria dei prototipi descrivesse il nostro modo di organizzare le conoscenze, allora dovrebbe applicarsi allo stesso modo a categorie naturali, entità logiche, concetti linguistici. Il problema nasce dal fatto che spesso, per una stessa

categoria, non co-occorrono tutte e quattro le caratteristiche sopra enunciate43. Quindi,

nonostante la teoria dei prototipi abbia avuto un discreto successo in linguistica e sarà utile per le successive discussioni, la sua definizione rimane tuttavia sfuggente, essendo essa stessa, paradossalmente, un concetto prototipico. Alcune categorie, cioè, presentano una struttura più prototipica di altre.