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IL RUOLO DELLA METAFORA NELLA STRUTTURAZIONE DELLE CONOSCENZE E NELL’APPRENDIMENTO

CAPITOLO III METAFORA E DIDATTICA

4. IL RUOLO DELLA METAFORA NELLA STRUTTURAZIONE DELLE CONOSCENZE E NELL’APPRENDIMENTO

4. IL RUOLO DELLA METAFORA NELLA STRUTTURAZIONE DELLE CONOSCENZE E NELL’APPRENDIMENTO

Secondo il quadro che abbiamo fin qui descritto, il presupposto fondamentale dell’apprendimento è una strutturazione non rigida delle conoscenze, le quali vengono selezionate ed elaborate non secondo delle regole ma delle regolarità; le informazioni vengono organizzate in schemi, che sono flessibili, dinamici, modificabili, possono essere estesi, ampliati e trasferiti da un contesto all’altro; ulteriore requisito necessario è, quindi, la possibilità di percepire somiglianze strutturali tra contesti. Dall’apprendimento non deriva una conoscenza procedurale ma un’attitudine conoscitiva che, dapprima implicita, si fa via via esplicita attraverso il processo di metacognizione. Una volta esplicitata, la conoscenza diventa spendibile, ed è possibile usarla per produrre nuova conoscenza. Il vero frutto dell’apprendimento è dunque la costruzione di un’intelligenza interpretativa capace di creare collegamenti tra le conoscenze che si possiedono, in modo da inserirle all’interno un sistema coerente e complesso; allo stesso tempo, è capace di collegare il vecchio al nuovo, di costruire ponti verso l’esterno. Questo tipo di conoscenza non è finalizzata a definire in modo logico la realtà delle cose, ma costituisce un modo di vederla.

Quanto proponiamo è che ciò che viene appreso nell’Apprendimento 2 è un modo di

segmentare gli eventi; ma un modo di segmentare non è né vero né falso; in effetti non c’è

nulla nelle proposizioni di questo apprendimento che possa essere verificato per mezzo della

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realtà. È come una figura vista in una macchia d’inchiostro: non è né giusta né sbagliata, è solo un modo di vedere la macchia25.

Nell’idea di Bateson, apprendere non significa imparare la risposta giusta rispetto a un compito; significa, piuttosto, sviluppare un’attitudine, una capacità di vedere e interpretare la realtà in modo da poter interagire con essa. In altre parole, si apprende ad apprendere, cioè si acquisiscono abitudini appercettive.

“Appercezione” è un termine della tradizione mentalista che alcuni psicologi cognitivisti stanno cercando di riabilitare. Uno di questi, Miller26, riprende la definizione proposta da Herbart27, secondo cui l’appercezione si riferisce a quei processi mentali attraverso cui un’esperienza viene messa in relazione con un sistema concettuale già acquisito e familiare. In altre parole, le novità vengono apprese attraverso un collegamento con il già conosciuto. Ne deriva una teoria dell’educazione basata sulla convinzione che gli insegnanti dovrebbero sempre partire da quello che i loro allievi conoscono, in modo da collegare i nuovi contenuti da insegnare a quelli già padroneggiati. Miller vede nell’appercezione uno strumento fondamentale di comprensione. La capacità di mettere in relazione il noto con l’ignoto deve partire da un ground costituito da conoscenze in qualche misura condivise e oggettive, necessario per contestualizzare il noto e definirne le caratteristiche culturali, storiche e sociali. Senza questo ground comune, convenzionale ma individuabile, non sarebbe possibile instaurare un processo comunicativo. Tuttavia, questo non significa valutare le nuove informazioni secondo criteri di conformità al modello che si possiede. La griglia culturale e linguistica di partenza fornisce uno strumento per costruire delle condizioni di plausibilità che determinano la comprensione del nuovo, contemplando anche la possibilità di una presa di distanza o di un capovolgimento rispetto alla struttura di partenza. Miller applica lo schema appercettivo alla comprensione dei testi e nota come il lettore sia portato a costruire un universo di senso con gli strumenti cognitivi e conoscitivi che possiede, ma senza la necessità che questo nuovo universo corrisponda al mondo reale. Il rapporto noto/ignoto è costruttivo e flessibile, e

25 G. Bateson, op. cit., p. 347.

26 G. Miller, Immagini e modelli, paragoni e metafore, in C. Cacciari (a cura di), Teoria della

Metafora. L’acquisizione, la comprensione e l’uso del linguaggio figurato, Milano, Cortina Editore,

1991, pp. 59-123.

permette la ricostruzione di senso anche al di là di incongruenze. Questa abilità è la stessa che opera nell’interpretazione delle metafore, spesso logicamente false.

Anche se il lettore deve prendere per vero quello che la metafora dice nel mondo che sta cercando di sintetizzare dal testo, quel mondo è comprensibile solo se il lettore trova qualcosa in quello reale che giustifichi perché l’autore abbia pensato quella metafora. Questa ricerca inizia dalle caratteristiche del mondo testuale che sono simili a ciò che si conosce del mondo reale, in quanto possono fornire una base per mettere in relazione il mondo testuale con ciò che il lettore già sa28.

Inizia a delinearsi con più precisione uno dei punti centrali del presente lavoro: la profonda connessione tra la metafora e le modalità conoscitive della mente.

Non a caso, le abilità cognitive che permettono l’apprendimento, di cui abbiamo parlato finora, sembrano richiamare il processo metaforico così come lo abbiamo descritto all’interno del paradigma cognitivista. Infatti, è proprio sui principi di collegamento e trasferimento di conoscenze tra domini che si basa la teoria della metafora concettuale, della metafora intesa come fatto del pensiero e come strumento cognitivo.

In particolare, sono due le peculiarità della metafora che si collegano in modo diretto alla questione dell’apprendimento e della strutturazione delle conoscenze. La prima riguarda il rapporto tra il noto e l’ignoto e la capacità di creare un legame tra oggetti distanti; la seconda è l’uso della metafora nella definizione di una prospettiva, di un’interpretazione del mondo. Nel primo caso, si sfrutta la percezione di una similarità strutturale tra contesti e si usa la metafora per interpretare una situazione nuova, esattamente secondo lo stesso meccanismo per cui si usa la conoscenza già acquisita per affrontare un compito nuovo. L’ignoto viene ricondotto al noto, viene reinterpretato secondo gli schemi che si possiedono, e le nuove informazioni vengono integrate con quelle già acquisite. Si descrive un movimento conoscitivo che va dall’esterno all’interno.

Nel secondo caso, la volontà è piuttosto quella di imporre una forma nota alla realtà. Si enfatizza il fatto che la conoscenza corrisponda a un modo di organizzare il mondo e che la mente umana sfrutti in modo esplicito le proprie risorse cognitive per interpretarlo. Il movimento descritto è dall’interno verso l’esterno.

Possiamo dire che il primo aspetto rende conto della funzione conoscitiva della metafora; il secondo, invece, ne descrive la funzione comunicativa.

In entrambi i casi, si tratta di un rapporto dinamico tra esterno ed interno. Fonzi e Negro San Cipriano29 hanno basato proprio su questo rapporto la loro lettura del processo metaforico. Secondo le studiose, la metafora nasce come strumento di riequilibrazione di un conflitto tra l’interiorità dell’individuo e la realtà esterna. Esiste infatti uno squilibrio tra la dimensione interiore, emotiva, privata e la sua comunicazione all’esterno. La metafora ha invece proprio la funzione di “esteriorizzare l’interiorità rendendola comunicabile30”. Allo stesso tempo, il linguaggio metaforico necessita di una particolare propensione a mettere in discussione l’oggettività del mondo. Per vedere un oggetto in un modo diverso, bisogna innanzitutto non vedere ciò che è. È necessario, quindi, non lasciarsi sopraffare dal pensiero logico e dall’apparente rigidità delle categorie che ci formiamo per ordinare gli elementi del mondo. Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, il bambino crea le categorie non secondo principi logici; inoltre, le categorie sono mobili e permeabili. Fino a quando non si entra nella prima fase del décalage comportamentale, quella in cui vengono applicate in modo automatico e acritico le conoscenze procedurali acquisite, il bambino tende a sovraestendere le proprie conoscenze da un dominio all’altro. Quando un ordine esterno si impone su quello creato spontaneamente, si verificano le incongruenze e le interferenze già descritte, che nascono proprio da un conflitto tra una regola rigida da una parte, e una realtà multiforme dall’altra, che si presta ad essere interpretata in un numero infinito di modi.

A partire da questa impostazione teorica sullo sviluppo cognitivo, è possibile descrivere e comprendere lo sviluppo della competenza metaforica nei bambini e negli adolescenti, e in generale la loro propensione a usare il linguaggio figurato. Allo stesso tempo, questa analisi può definire con maggiore chiarezza il ruolo della metafora nella strutturazione delle conoscenze.

L’osservazione empirica descrive una situazione peculiare riguardo alla competenza metaforica durante l’età evolutiva. Generalmente, si nota che i bambini fino ai 6 anni fanno un largo uso di metafore (wild age). In età scolare, c’è un calo

29E. Fonzi e A. Negro Sancipriano, La magia delle parole: alla riscoperta della metafora, Torino,

Einaudi, 1975.

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della produzione metaforica che rimane stabile fino all’adolescenza, per poi aumentare sensibilmente. Gardner nota come venga descritta una linea ad U31 del tutto

simile a quella già discussa riguardo l’appropriatezza delle competenze linguistiche, con l’unica differenza che questa si sviluppa lungo un arco temporale maggiore.

Winner32 ha analizzato nel dettaglio la produzione metaforica nei bambini. Il problema principale in questo genere di analisi riguarda la definizione di un criterio interpretativo a partire dal quale classificare come metafore le espressioni usate dai bambini. Bisogna infatti distinguere tra metafore e sovraestensioni semantiche. Nel secondo caso, il bambino nomina in modo improprio un oggetto solo per riempire un gap lessicale; non appena viene appreso il nome corretto dell’oggetto, l’uso della sovraestensione decade automaticamente. Sono invece da considerarsi metafore le ridenominazioni improprie intenzionali, quelle in cui il bambino, pur conoscendo il nome dell’oggetto cui si riferisce, lo nomina in modo diverso. Questo tipo di denominazione metaforica si suddivide in due importanti categorie. Nella prima, la metaforizzazione avviene all’interno di un gioco simbolico, durante il quale il bambino trasforma intenzionalmente un oggetto in qualcosa di diverso ai fini del gioco. Nella seconda, si hanno metafore sensoriali, basate principalmente sulla percezione di una somiglianza fisica. Mentre quest’ultime si fondano su una somiglianza preesistente, percepita dal bambino, nel primo caso la somiglianza è creata all’interno del gioco simbolico. Winner ha notato che intorno ai 2 anni c’è una prevalenza sensibile di metafore da gioco simbolico; a partire dai 4 anni, invece, prevalgono le metafore sensoriali. Entrambe le categorie presentano due caratteristiche peculiari che le differenziano dalla metafore prodotte in età adulta. La direzionalità metaforica, che abbiamo visto muoversi dal vehicle al topic, è spesso invertita: soprattutto nelle metafore da gioco simbolico, infatti, è il topic che viene trasformato nel vehicle: l’oggetto fisicamente presente viene trasformato in un oggetto assente di cui il bambino ha bisogno nel gioco. L’altra caratteristica riguarda più specificatamente le metafore sensoriali: la metaforizzazione si basa su somiglianze letterali e non su somiglianze metaforiche, a discapito di quello sbilanciamento di salienza descritto nel modello di Ortony (cfr. Cap. I), discrimine tra paragoni metaforici e letterali.

31 Cfr. H. Gardner, E. Winner, U-shaped behavioral growth, in S. Strauss (a cura di), First intimations

of artistry, New York, Academic Press, 1982.

32 E. Winner, Le prime metafore nel discorso spontaneo del bambino, in C. Cacciari (a cura di), Teorie

Nonostante questa precisazione, è un dato oggettivo che i bambini facciano largo uso di espressioni figurate e metaforiche fin dai primissimi anni di vita. Esiste, tuttavia, un’asimmetria tra la produzione e la comprensione delle metafore, campo molto più difficile da indagare e che ha risentito, negli anni, di impostazione teoriche diverse. Fino agli anni Ottanta, prevaleva una scuola di pensiero di inspirazione piagetiana secondo cui la competenza metaforica viene raggiunta dal bambino nello stadio logico-formale. Più precisamente, la capacità di comprendere gli aspetti cognitivi e psicologici della metafora farebbe la sua comparsa attorno ai 12 anni, mentre la produzione metaforica, come abbiamo visto, è più precoce. La spiegazione di un tale fenomeno risiede nella convinzione che la metafora derivi da un’intenzionale violazione di categoria, possibile solo se si possiede la consapevolezza delle relazioni formali tra classi. Se non viene percepita una differenza tra domini, la loro relazione per il bambino è di tipo letterale e non metaforico. Ad avallare questa teoria troviamo numerosi studi incentrati principalmente su test di comprensione di espressioni metaforiche. Tuttavia, proprio l’analisi dei metodi di verifica utilizzati nei test ha dato inizio a un periodo di revisione della teoria della metafora come conquista tardiva del pensiero razionale. Infatti il motivo per cui i bambini spesso fallivano nei test di comprensione può essere spiegato con i seguenti fattori:

eccessivo carico cognitivo; assenza di contesto adeguato;

riferimento a domini di conoscenza non posseduti dai bambini;

Il primo punto si riferisce al fatto che ai bambini veniva spesso richiesto di compiere una parafrasi della metafora o almeno di verbalizzarne la spiegazione. Tuttavia, per un bambino può essere eccessivamente difficile verbalizzare in modo corretto una relazione metaforica, anche se è perfettamente capace di comprenderla; la capacità di comprensione veniva quindi valutata sulla base di un’abilità linguistica non ancora posseduta. Inoltre, poiché la comprensione non implica la spiegazione, non era pertinente basare la valutazione su quest’ultima33.

La seconda critica ai test di comprensione riguarda l’assenza di un contesto, linguistico o di altro genere, che accompagnasse gli esempi proposti. Non si teneva conto del fatto che la metafora occorre sempre all’interno di un contesto e che uno

33 Cfr. M. Papotti, La metafora in psicologia dello sviluppo: antiche dispute e tendenze di ricerca, in C.

stesso vehicle non solo può applicarsi a più di un topic, ma può anche rimandare a significati diversi. Il contesto, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è una componente fondamentale nella costruzione di senso, elemento imprescindibile per giudicare l’entità del conflitto metaforico e per recuperare le informazioni necessarie a superarlo. Sembra invece che nei test tradizionali operasse ancora un’idea di metafora come fenomeno autonomo, autoevidente, interpretabile esclusivamente a livello semantico: il conflitto risiederebbe nell’incompatibilità tra semi ed è risolvibile attraverso un’ipotesi interpretativa, riconducibile a quella proposta da Searle, in cui il parlante scorre con la mente tutti i possibili sensi associabili all’espressione metaforica e seleziona il più plausibile. Questo procedimento è stato già considerato riduttivo e impraticabile per un adulto; è del tutto impensabile richiedere un simile sforzo cognitivo a un bambino che non possiede un bagaglio di sensi possibili, derivati dall’esperienza, cui attingere.

Altro aspetto non considerato dalla metodologia tradizionale è l’interazione tra domini messa in atto dalla metafora. L’interazione comporta che le conoscenze associate a un dominio di esperienza siano trasferite su un dominio diverso. Tuttavia, nella progettazione delle metafore destinate ai test, non ci si assicurava che il dominio di conoscenza del vehicle fosse effettivamente posseduto dal bambino. Spesso, dunque, la mancata comprensione derivava dall’impossibilità di individuare il dominio sorgente della metafora.

A partire dagli anni Ottanta, un’attenzione dedicata agli specifici meccanismi cognitivi sottesi alla metafora e, contestualmente, alle reali abilità possedute dai bambini ha permesso di ridefinire le modalità di indagine della competenza metaforica in età pre-scolare.

Come prima cosa, i ricercatori hanno impiegato metodi di verifica diversi dalla parafrasi linguistica, come risposte a scelta multipla o scenette recitate34. Inoltre, sono stati attenti a proporre delle metafore che facessero riferimento a un dominio di esperienza conosciuto dai bambini. Levorato e Cacciari35, ad esempio, hanno fatto precedere i test da un’indagine volta a verificare la conoscenza adeguata dell’ambito cui le metafore facevano riferimento; le stesse autrici hanno anche concretizzato

34 Cfr. M. C. Levorato, La comprensione delle metafore, «Età Evolutiva», 59, 1, 1998, pp. 81-86; S.

Vosniadou, A. Ortony, Testing the metaphoric comprehension of young child. Paraphrase vs

enactment, «Human Development», 29, 1986, pp. 226-230.

35 M. C. Levorato, C. Cacciari, Children Comprehension and Production of Idioms: the role of context

l’attenzione al contesto inserendo le metafore da analizzare all’interno di brevi storie. I risultati derivati dai nuovi test dimostrano che anche a 4 anni i bambini sono in grado di comprendere espressioni metaforiche.

Di particolare interesse è stato l’uso di stimoli non verbali nel corso delle sperimentazioni. Il riconoscimento e l’accettazione della teoria della metafora concettuale, intesa, quindi, come fenomeno non esclusivamente linguistico, ha permesso la costruzione di test in cui topic e vehicle fossero rappresentati in forme diverse. Accanto ad esperimenti con stimoli di natura sinestetica o addirittura musicale, troviamo un ampio utilizzo stimoli visivi. In particolare, è stato osservato che i compiti con disegni aumentano la comprensione anche di testi scritti36. Inoltre, sembra che il disegno aiuti sia a ridurre il carico cognitivo del compito che a fornire una cornice contestuale all’espressione metaforica37.

A partire da queste considerazioni, Kogan38 ha progettato un test basato proprio sugli stimoli visivi: il Metaphoric Triads Task (MTT). Il test è formato da 29 triadi di figure a colori. In ogni triade, due figure sono collegate da una relazione metaforica, mentre la terza condivide una relazione non metaforica con ognuna delle altre due figure. Il compito è associare due delle tre immagini. Il test di Kogan è stato importante per due ragioni. La prima riguarda la dimostrazione della validità dell’uso di stimoli visivi nell’indagine della comprensione metaforica. La seconda deriva dai risultati dell’applicazione dei test. Infatti, uno dei pregiudizi legati alla competenza metaforica nei bambini sanciva una differenza qualitativa e temporale tra la comprensione di metafore a base sensoriale e quelle a base concettuale: le prime sarebbero comprese prima, mentre le seconde sarebbero una conquista tardiva39. Invece, Kogan notò come i bambini individuassero con maggiore facilità relazioni metaforiche non sensoriali (ad esempio atleta assetato-pianta appassita) rispetto a relazioni metaforiche sensoriali (fiume sinuoso-serpente).

Questi risultati portano ad alcune conclusioni importanti. I bambini non fanno distinzione tra metafore sensoriali e metafore non sensoriali; la differenza deriva

36 Cfr. Kennedy, Metaphor in Picture, «Perception», 11, 1982, pp. 589-605; A. M. Glenberg, P.

Kruley, Picture and Anaphora: Evidence for Indipendent Process, «Memory and Cognition», 20, 5, 1992, pp. 461-471.

37 Cfr. R. P. Honeck, B. Sowry, M. A. Voegtle, Proverbial Understanding in a Pictorial Context,

«Child Development», 49, 1978, pp. 327.331.

38N. Kogan, Metaphor and Figurative Language, in P. Mussen (a cura di), Handbook of Child

Psychology, III ed., New York, Wiley, 1983, pp. 655-706.

39 Cfr. R. Billow, A Cognitive Developmental Study of Metaphor Comprehension, «Developmental

sempre dal livello di conoscenza che possiedono rispetto al dominio utilizzato. La preferenza per metafore sensoriali nei primi anni di vita è dunque una conseguenza non tanto di uno stadio dello sviluppo cognitivo riconducibile a quello concreto operatorio, quanto di una disponibilità di risorse esperienziali legate, di necessità, a una conoscenza del mondo fisico e concreto molto più sviluppata rispetto a una conoscenza di tipo psicologico o concettuale.

La metafora, dunque, non sembra essere in nessun modo una conquista tardiva del pensiero razionale. Al contrario, è un’abilità sfruttata dai bambini per interpretare il mondo, legata al modo in cui viene cognitivamente organizzata l’esperienza:

la metafora […] non è solo un modo di usare il linguaggio, ma anche, e soprattutto, un modo di conoscere basato sul cogliere corrispondenze e somiglianze percettive, affettive e cognitive contestualmente definite che, mediante la fusione di due identità, determinano una trasformazione della conoscenza40.

Possiamo concludere che i bambini sono capaci di comprendere le metafore già a 3-4 anni. In questa fase, come abbiamo visto, il livello di produttività di espressioni metaforiche è molto alto. Tuttavia, mentre per la comprensione possiamo ipotizzare uno sviluppo lineare che accompagna lo sviluppo cognitivo del soggetto, per quanto riguarda la produzione come possiamo spiegare la linea di sviluppo ad U individuata da Gardner? In altre parole, perché durante la fase scolare i bambini diminuiscono in modo sensibile la propria produzione metaforica, per poi riprenderla in età post-adolescenziale?

Riteniamo che la teoria della RR sviluppata da Karmiloff-Smith possa dare importanti indicazioni a riguardo. Si è detto che nello sviluppo del soggetto vi è una fase in cui la conoscenza procedurale acquisita viene applicata di default, a prescindere dal tipo di stimolo interno. Come abbiamo visto, la conoscenza procedurale non è flessibile e risponde ad una logica classificatoria molto rigida. Si tratta di conoscenza ancora implicita, non ancora ridescritta in formati più spendibili.