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lautitiis,

cum ipse

trimalchio

ad

symphoniam

allatus est

Petronio

L’autore

La testimonianza di Tacito Difficile risolvere l’enigma che da secoli pro- pone, in relazione al suo autore, un’opera di straordinaria originalità di forma e d’argomento, che la tradizione tramanda con il nome di Satyricon. Quasi tutti i co- dici che ne trasmettono il testo ne attribuiscono la paternità a Petronio Arbitro, ma identificare con certezza chi sia questo personaggio risulta tutt’oggi piuttosto com- plesso. Una parte della critica, a partire dallo studio del testo, data il Satyricon al II-

IIIsecolo d.C., spostando così opera e autore a un tempo molto distante da quello

di cui ci stiamo occupando; oggi, però, la maggior parte dei filologi concorda nel ri- tenere che esso sia stato scritto in età neroniana e che il suo autore possa essere quel Petronio vissuto nel I secolo d.C. di cui parla Tacito, celebre storico d’età imperiale, nei suoi Annales (XVI, 18-19). Ecco il ritratto che lo storico ha lasciato

del probabile autore del Satyricon:

«Per quanto riguarda Petronio, il mio discorso dovrà muovere un po’ più da lontano. Egli dedicava il giorno al sonno e la notte agli affari e ai piaceri della vita. Doveva la sua fama non alla sua operosità, come accade per ogni altro, ma alla sua indolenza. Tutta- via non era considerato un dissoluto o uno scia-

lacquatore, come molti di coloro che sperperano i loro averi, ma un raffinato gaudente. I suoi detti e i suoi modi, quanto più ostentavano disinvol- tura e una certa noncuranza, tanto più riuscivano gradevoli, come un segno di naturalezza. Tutta- via, quando esercitò il proconsolato in Bitinia e poi il consolato,1si mostrò energico e all’altezza

dei suoi compiti. Poi, ricaduto nel vizio, o me- glio nell’ostentazione del vizio, fu accolto nella ristretta cerchia degli intimi di Nerone come ar-

una paternità incerta

Resti del teatro di Nicea (l’odierna Iznik, in Turchia), nella regione romana della Bitinia dove Petronio esercitò il consolato.

1 La Bitinia era provincia di rango pretorio e poteva essere governata anche da un ex pretore: per questo motivo Petronio raggiunse il consolato dopo essere stato proconsole.

162 La prima età imperiale

Una personalità fuori dal comune Effettivamente, se noi dovessimo im-

maginare un ritratto biografico ideale dell’autore del Satyricon, non potremmo tro- varne uno più calzante e fedele di quello dell’elegantiae arbiter della corte imperiale di Nerone che Tacito ha tracciato: proprio qui si trova l’anello di congiunzione con quell’appellativo – “arbitro” – che i codici riportano accanto al nome. Uomo dalla cultura e dal gusto raffinato, anticonvenzionale nei suoi atteggiamenti, ma abile e deciso nel momento del comando e dell’azione, anche nel momento della morte Petronio manifestò il suo carattere forte e originale, dissacrando le morti austere dei filosofi (recentissima quella di Seneca), modellate sull’archetipo di Socrate, e anche un certo “umanitarismo alla moda” (L. Pighetti). Seppe anche proteggere i suoi cari da eventuali vendette, distrug- gendo il sigillo personale e rinfacciando al principe – suo ultimo sberleffo – le bassezze e le turpitudini commesse. Del resto anche i riferimenti intrate- stuali, ossia i dati cronologici e di costume desumi- bili dal Satyricon, confermano l’ipotesi di una com- posizione dell’opera in età neroniana: troppo chiare sono le allusioni a situazioni e personaggi vis- suti all’epoca della prima età imperiale, come un passo poetico in trimetri sulla caduta di Troia (Troiae bitro del buon gusto,2tanto che il principe, in quella profusione di ricchezza, conside-

rava bello e raffinato solo ciò che avesse incontrato l’approvazione di Petronio. Di qui l’odio di Tigellino,3che vedeva in lui un rivale pericoloso, perché più esperto nella

scienza del piacere. Egli fece leva allora su quella crudeltà che nel principe prevaleva su ogni altra passione e accusò Petronio di essere amico di Scevino,4dopo aver corrotto

uno schiavo per indurlo alla delazione e avere tolto a Petronio ogni possibilità di difesa facendo imprigionare la maggior parte della sua servitù.

Per caso in quei giorni Nerone si era recato in Campania e Petronio, che si era spinto sino a Cuma, ricevette l’ordine di fermarsi lì. Egli allora non tollerò di vivere oltre nel- l’alternativa tra il timore e la speranza. Tuttavia non scelse di togliersi la vita con preci- pitazione, ma, fattesi recidere le vene, se le faceva sfasciare e poi aprire di nuovo a suo piacimento, conversando nel frattempo con gli amici, ma non su argomenti gravi o che potessero comunque acquistargli fama di fermezza. E stava ad ascoltarli mentre, anzi- ché disquisire sull’immortalità dell’anima o esporre massime filosofiche, gli recitavano poesie leggere e versi scherzosi. Ad alcuni dei suoi servi fece distribuire donativi, altri li fece sferzare. Si mise a tavola, si concesse il sonno, perché la sua morte, benché impo- stagli, avesse l’apparenza di una morte naturale. E nelle sue disposizioni testamentarie non si piegò ad adulare Nerone, Tigellino o qualche altro potente personaggio, come i più usavano fare allora in punto di morte, ma vi descrisse le vergognose dissolutezze del principe, elencando i nomi dei pervertiti e delle prostitute, nonché l’aberrante enor- mità di ogni sua perversione. Quindi, dopo avere apposto il suo sigillo allo scritto, lo inviò a Nerone. Poi ruppe l’anello, perché non servisse a tendere insidie ad altri.»

(trad. di L. Pighetti)

2 Elegantiae arbiter, espressione che – come vedremo – gioca un ruolo fondamentale nel- l’identificazione dell’autore del Satyricon.

3 Prefetto del pretorio.

4 Uno dei congiurati contro Nerone.

Scena di banchetto in un rilievo funerario delIsecolo (Colonia, Landesmuseum).

halosis, «La presa di Troia») che allude a una tragedia scritta da Nerone sullo stesso ar-

gomento, un lungo brano epico parodistico nei confronti del poema di Lucano (il

Bellum civile), la comparsa dei nomi di due cantanti famosi al tempo di Caligola e di

Claudio e altri aspetti di costume, di economia e di diritto coerenti con l’epoca della dinastia giulio-claudia. Infine c’è un’altra significativa concordanza: Petronio, nel cap. 132 del Satyricon, definisce la sua «un’opera di straordinaria naturalezza» (novae

simplicitatis opus) e Tacito, nel delineare il ritratto del suo Petronio – sopra citato – af-

ferma che le sue parole e azioni in speciem simplicitatis accipiebantur («riuscivano gra- devoli, come un segno di naturalezza»).

Le ragioni linguistiche che hanno invece indotto alcuni filologi a postdatare l’opera (fino al IIo IIIsecolo d.C.) saranno prese in considerazione nel paragrafo dedicato allo stile.

L’opera

La vicenda narrata Il romanzo petroniano Satyricon

(genitivo alla greca, che sottintende libri, «Libri di cose satiri- che», sul modello di Georgicon, Bucolicon libri), sicuramente uno dei più grandi capolavori della letteratura latina, allo stato attuale è ancora ampiamente mutilo, al punto che non conosciamo l’intera trama con precisione, anche se riusciamo a ricostruirne le linee guida. Ignoriamo il numero comples- sivo dei libri che dovevano comporre quest’opera, di cui ci sono pervenuti in gran parte il XIVe il XVIe per intero il XV,

contenente la celeberrima coena Trimalchionis («La cena di Tri- malchione»); ci troviamo comunque di fronte a una sezione limitata dell’opera originale (secondo alcuni critici, addirit- tura un decimo appena), ma sufficiente a darci un’idea della sua eccezionalità. Gli editori hanno suddiviso il testo perve- nutoci in 141 capitoli, senza distinzione di libri.

Quasi tutti i codici a noi giunti con il testo del Satyricon ne attribuiscono la paternità a Petronio Arbitro, anche se poi non è stato facile identificare questo autore con sicurezza: oggi quasi tutti i filologi e gli stu- diosi di letteratura latina concordano nel ritenere che Petronio sia vissuto nel Isecolo d.C. e sia stato

costretto al suicidio nel 66, durante la repressione neroniana della cosiddetta “congiura dei Pisoni”.

Si pensa che proprio di lui parli il celebre storico di età imperiale Cornelio Tacito in un famoso passo dei suoi

Annales, tracciandone un ritratto che calza alla perfezione con l’ideale autore del romanzo: l’elegantiae ar- biter della corte imperiale di Nerone, uomo dalla cultura e dal gusto raffinato, anticonvenzionale nei

suoi atteggiamenti, ma abile e deciso nel momento del comando e dell’azione (anche nel momento della morte Petronio manifestò il suo carattere forte e originale, dissacrando le morti austere dei filosofi).

Anche i riferimenti intratestuali, ossia i dati cronologici, culturali e di costume desumibili dal Satyricon, confermano l’ipotesi di una composizione dell’opera in età neroniana.

in sintesi

164 La prima età imperiale

Il ritratto di un mondo Come abbiamo accennato, la trasmissione del

grande racconto petroniano ha seguito un percorso lungo e travagliato: solo nel

XVIIsecolo fu pubblicata un’edizione del romanzo che riuniva due distinte raccolte di frammenti di epoca medievale (gli “estratti brevi” del IXsecolo e gli “estratti lun-

ghi” del XIIIsecolo), nonché l’intero libro XV(quello contenente la cena di Trimal-

la trama del satyricon

Il racconto è esposto in prima persona dal protagonista del romanzo, un filosofo esteta alquanto stra- vagante, regolarmente squattrinato, di nome Encolpio, che sta viaggiando in compagnia di un certo Ascilto, un volgare avventuriero, suo rivale in amore per Gitone, giovane bellissimo e astuto. Nume- rose sono le avventure di questi tre spensierati vagabondi, spiantati e fannulloni, che vivono di espe- dienti, viaggiando per varie città costiere del Mediterraneo (Marsiglia, una Graeca urbs, Crotone). Dopo varie peripezie – tra le quali un rito erotico in onore del dio della fertilità Priapo – i tre protago- nisti capitano in una Graeca urbs della Campania (che potrebbe essere Napoli, Cuma, Pompei o Poz- zuoli), dai vicoletti sozzi e malfamati, ove brulicano ladri, ruffiani e prostitute. Qui vengono invitati a cena da Trimalchione, un liberto arricchito, che si dà arie da gran signore e ama circondarsi di parassiti e pseudo-intellettuali, per i quali imbandisce un simposio da favola, ma stucchevole nel suo cattivo gusto. Agli antipodi della società plebea di emarginati che affollano le stradine della città, troneggia nel romanzo la domus Trimalchionis, la quale, più che una casa, è una vera e propria reggia, con quat- tro sale da pranzo, venti camere da letto, due porticati tutti di marmo, salotti, bagni, piscine e camere per gli ospiti. Sfoggiando ostentatamente la sua reggia, status symbol della sua vincente scalata so- ciale, Trimalchione afferma borioso: Casula erat, nunc templum est! («Era una stamberga, adesso è una reggia», cap. 77). Il cafone “arrivato”, il parvenu vero despota della memorabile cena, che op- prime i suoi ospiti con la sua presenza ingombrante e invadente (tutti respirano quando egli si ritira per dare sfogo ai suoi bisogni corporali!), ha una filosofia spicciola, basata sulla morale del «tanto hai, tanto vali» e tutta volta al godimento dell’attimo, a sfruttare intensamente le gioie presenti, nella consapevolezza che esse sono effimere e precarie: il suo scultore privato, Abinna, che gli sta proget- tando il monumento funebre, così riassume l’atteggiamento verso l’esistenza di questi ex liberti arric- chiti: De una die duas facere, nihil malo («Fare come se di un sol giorno ne vivessimo due, nient’altro vorrei», cap. 72). L’ex schiavo, ora padrone di casa e di immense ricchezze, è originario dell’Asia e di- mostra costantemente un chiaro complesso di inferiorità, perché vive la sua infima origine come una condanna: ed ecco allora che, per riscattare il suo ruolo sociale, ha organizzato – da volgare esibizio- nista – una cena talmente sfarzosa che si trasforma in un vero e proprio spettacolo. Le portate sono suggestive e fantasiose, una più a effetto dell’altra: salsicciotti grigliati su prugne di Siria e chicchi di melagrana, pavoni cotti da cui escono uova di pastafrolla, un maiale sventrato sulla tavola da cui escono salamini cotti, pesci e uccelli fatti con carne di maiale... Su tutto aleggia però un senso di morte, l’unica realtà che non possa essere sconfitta dalle ricchezze: la cena infatti si conclude nel caos, con la sarabanda del finto funerale di Trimalchione, messo in scena per volontà dello stesso padrone oramai ubriaco fradicio, e l’accorrere dei vigili, che temono sia scoppiato un incendio. Dopo l’incredibile ab- buffata i tre protagonisti lasciano la casa di Trimalchione: Ascilto scompare dalla narrazione e gli su- bentra Eumolpo, un vecchio poetastro petulante che Encolpio ha conosciuto in una pinacoteca, il quale recita un carme di 65 senari su «La presa di Troia» (Troiae halosis), ripagato dai presenti con una sassaiola che lo costringe a precipitosa fuga (una caricatura di Nerone e delle sue velleità poetiche?). I tre eroi si imbarcano per Taranto, salvo scoprire che si trovano in compagnia di Lica e Trifena, due vec- chi amanti di Encolpio e Gitone e ora loro nemici: Eumolpo fa da paciere e racconta la boccaccesca no- vella della “matrona di Efeso”; poi, durante una terribile burrasca, la nave fa naufragio. Fortunata- mente i nostri si salvano e si ritrovano sulla spiaggia di Crotone, dove approda anche il cadavere del ricco Lica. Mentre il terzetto si avvia verso la cittadina, Eumolpo disserta sulla poesia epica, per poi de- clamare personalmente un suo poema sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo, parodisticamente inti- tolato Bellum civile, come quello di Lucano. La città di Crotone risulta particolarmente corrotta, abi- tata da avidi “cacciatori di eredità” che sperano di arricchire alla morte dei numerosi possidenti senza eredi che vi abitano: allora Eumolpo si finge ricchissimo per vivere alle spalle dei Crotoniati, i quali fanno di tutto per ingraziarselo in modo da ereditarne le ricchezze. Quando però cominciano a so- spettare l’imbroglio, Eumolpo si vede costretto a far testamento, lasciando i suoi beni a colui che oserà mangiare il suo cadavere! Il racconto termina a questo punto, senza farci conoscere come finisse l’av- ventura del poetastro.

chione), ritrovato dal grande umanista Poggio Bracciolini nel 1423 in un codice manoscritto conservato a Colonia e, attraverso l’opera di recupero dell’umanista, giunto sino a noi in un unico esemplare, reperito attorno alla metà del XVIIsecolo nella cittadina dalmata di Traù (codex Traguriensis). Da allora il testo del romanzo, ampiamente mutilo, ma contenente una parte oramai significativa dell’opera, ha incominciato a circolare, riscuotendo un successo che anche oggi non accenna a di- minuire.

Quali sono i motivi di un recupero così difficile e, soprattutto, di una fortuna che ha trasformato il Satyricon in vero e proprio modello per molti romanzieri moderni e contemporanei (come Honoré de Balzac, Gustave Flaubert, Joris-Karl Huysmans, Oscar Wilde, ma anche James Joyce, Francis Scott Fitzgerald, Pier Paolo Pasolini), e per registi come Federico Fellini?

Le ragioni che hanno ostacolato la diffusione e la conservazione completa del- l’opera sono facilmente intuibili: il realismo con cui viene riprodotto un mondo degradato, il linguaggio crudo di molti personaggi, l’esplicita descrizione di espe- rienze erotiche di tutti i tipi hanno impedito al romanzo di entrare nei circuiti sco- lastici dell’antichità e hanno posto problemi di tipo morale nelle epoche succes- sive. Tuttavia il Satyricon non è solo questo: è anche straordinario e disincantato ritratto di un mondo, quel “ventre” della società di epoca neroniana, che si espri- meva soprattutto nelle città di porto, abitato da un’umanità varia e formicolante, composta da parassiti, matrone mondane e poetastri, dominato dalla figura dei li- berti arricchiti e trionfanti sotto la protezione imperiale; quel mondo di istinti e corruzione contro il quale Seneca lotta nelle sue opere filosofiche e del quale in- vece Petronio offre un ritratto realistico e perfino mimetico nel linguaggio, aste- nendosi da ogni giudizio morale, ma osservando tutto attraverso gli occhi della sua raffinata cultura.

un crudo realismo

La società romana

Colpisce, nella descrizione che fa della so- cietà il Satyricon, la lucidità con la quale si costruisce il quadro d’ambiente della città di Roma, in cui stavano accadendo rivolgimenti sociali importanti, soprat- tutto per l’arrivo di genti straniere dalle diverse province. Anche Seneca li aveva rilevati, quando diceva: «Non c’è razza di uomini che non converga in una città così remunerativa sia per le virtù che per i vizi. Fa’ l’appello di tutti costoro e chiedi a ciascuno di dov’è: la maggior parte ve- drai ha lasciato il suo luogo d’origine per venire in una città che è, sì, la più grande e la più bella, ma che non è la propria» (SENECA, Consolazione alla madre Elvia, 6).

Plastico ricostruttivo della Roma imperiale conservato al Museo della Civiltà Romana di Roma.

166 La prima età imperiale

Il romanzo petroniano è ancora ampiamente mutilo: ignoriamo il numero complessivo dei libri che do- vevano comporre quest’opera, di cui ci sono pervenuti in gran parte il XIVe il XVIe per intero il XV, conte- nente la celeberrima coena Trimalchionis. Gli editori hanno suddiviso il testo pervenutoci in 141 capitoli, senza distinzione di libri.

La vicenda è narrata da uno dei protagonisti, un filosofo esteta alquanto stravagante, regolarmente squattrinato, di nome Encolpio, e ruota attorno alle avventure (e disavventure) sue e di altri personaggi, che si sviluppano negli ambienti sordidi delle città di mare del Isecolo d.C. Tali eventi culminano nella ce- lebre cena a casa di Trimalchione, liberto arricchito che si dà arie da gran signore e ama circondarsi di parassiti e pseudo-intellettuali, per i quali imbandisce un simposio da favola, ma stucchevole nel suo cat- tivo gusto.

La trasmissione del racconto petroniano ha seguito un percorso lungo e travagliato: solo nel XVIIsecolo fu pubblicata un’edizione del romanzo che riuniva due distinte raccolte di frammenti di epoca medievale e l’intero XVlibro (quello contenente la cena di Trimalchione), ritrovato in un unico esemplare nella citta- dina dalmata di Traù (codex Traguriensis). Da allora il testo del romanzo, ampiamente mutilo, ma conte- nente una parte oramai significativa dell’opera, ha incominciato a circolare, riscuotendo un successo che anche oggi non accenna a diminuire.

Le ragioni che hanno ostacolato la diffusione e la conservazione completa dell’opera sono facilmente intuibili: il realismo con cui viene fotografato un mondo degradato, il linguaggio crudo di molti per- sonaggi, l’esplicita descrizione di esperienze erotiche di tutti i tipi hanno impedito al romanzo di en- trare nei circuiti scolastici dell’antichità e hanno posto problemi di tipo morale nelle epoche successive.

Ma il Satyricon è anche straordinario e disincantato ritratto di un mondo, quel “ventre” della società di epoca neroniana, che si esprimeva soprattutto nelle città di porto, abitato da un’umanità varia e formi- colante, di cui Petronio ci offre un ritratto disincantato, realistico e perfino mimetico nel linguaggio, aste- nendosi da ogni giudizio morale, ma osservando tutto dall’alto di una raffinata cultura.

Nelle vicende narrate colpisce l’assenza di qualsiasi traccia di giudizi moralistici, in un racconto che si prefigge unicamente di dilettare il lettore. Nel personaggio di Encolpio, pronto a sperimentare senza paura o remore morali ogni possibile avventura della vita, Petronio ha probabilmente ritratto in gran parte se stesso, compresa la propria avversione per qualsiasi forma di cattivo gusto e di volgare esibizio- nismo.

in sintesi

Infatti nelle vicende narrate colpisce l’assenza di qualsiasi traccia di giudizi mo- ralistici: il narratore presenta gli eventi con estrema naturalezza e con candida se- renità (la simplicitas sopra ricordata), rifiutando le censure dei tradizionalisti e ispi- randosi a una massima di Epicuro (abbassata e banalizzata), secondo la quale il piacere è il principio e il fine della vita beata. Nel personaggio di Encolpio, pronto a sperimentare senza paura o remore morali ogni possibile avventura della vita, Petronio, arbiter elegantiae, ha probabilmente ritratto in gran parte se stesso, compresa la propria avversione per qualsiasi forma di cattivo gusto e di volgare esi- bizionismo, in particolare per la tronfia boria e l’abissale ignoranza di quei potenti liberti, ex schiavi arricchiti a dismisura, che tenevano nelle loro mani il controllo dell’economia imperiale, e dei quali Trimalchione è la felicissima incarnazione let- teraria: individui che con il denaro tutto possono comprare tranne l’immortalità,

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