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L’eredità di Ferecide di Siro

III. Fortuna di Ferecide di Siro: influenza ed eredità di pensiero

III.4 L’eredità di Ferecide di Siro

III.4.1. Epistola a Talete

Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, I,122 Θαλῇ. Εὖ θνήσκοις ὅταν τοι τὸ χρεὼν ἥκῃ. νοῦσός με καταλελάβηκε δεδεγμένον τὰ παρὰ σέο γράμματα. φθειρῶν ἔβρυον πᾶς καί με εἶχεν ἠπίαλος. ἐπέσκηψα δ’ ὦν τοῖσι οἰκιήτῃσι, ἐπήν με κατθάψωσι, ἐς σὲ τὴν γραφὴν ἐνεῖκαι. σὺ δὲ ἢν δοκιμώσῃς σὺν τοῖσι ἄλλοισι σοφοῖσι, οὕτω μιν φῆνον, ἢν δὲ οὐ δοκιμώσητε, μὴ φήνῃς· ἐμοὶ μὲν γὰρ οὔκω ἥνδανε. ἔστι δὲ οὐκ ἀτρεκηίη πρηγμάτων, οὐδ’ ὑπίσχομαι τἀληθὲς εἰδέναι, ἅσσα δ’ ἂν ἐπιλέγῃ θεολογέων· τὰ ἄλλα χρὴ νοέειν· ἅπαντα γὰρ αἰνίσσομαι. τῇ δὲ νούσῳ πιεζόμενος ἐπὶ μᾶλλον οὔτε τῶν τινὰ ἰητρῶν οὔτε τοὺς ἑταίρους ἐσιέ- μην, προεστεῶσι δὲ τῇ θύρῃ καὶ εἰρομένοισι ὁκοῖόν τι εἴη, διεὶς δάκτυλον ἐκ τῆς κληίθρης ἔδειξ’ ἂν ὡς ἔβρυον τοῦ κακοῦ. καὶ προεῖπα αὐτοῖσι ἥκειν ἐς τὴν ὑστε- ραίην ἐπὶ τὰς Φερεκύδεω ταφάς. “A Talete

Possa tu avere una bella morte, quando l’ora fatale sia giunta. La malattia mi ha sorpreso quando ricevei la tua lettera. Ero tutto ripieno di pidocchi ed in preda a brividi

di febbre violenta. Ho affidato pertanto i miei scritti ai miei familiari perché te li portassero dopo la mia sepoltura. Se tu li approvi con gli altri sapienti, rendili di pubblica ragione; se non li approvate, non pubblicarli. Ché anche io non ero soddisfatto

di essi. Non v’è verità precisa delle cose né presumo di conoscere il vero, ma solo quel che tu riesca a cogliere indagando sugli dèi. Il resto bisogna intuirlo; ché io a tutto

68 introducevo; a chi stava innanzi alla porta e chiedeva notizie della mia salute infilavo il

dito dall’apertura della porta e mostravo da quale male io fossi afflitto. E ammonivo di tornare il dì seguente, all’esequie di Ferecide”.

Traduzione Marcello Gigante

Ho riportato sopra una lettera spuria che figura nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio. Ritengo necessario analizzarla in quanto è l’unico passo in cui si parla effettivamente della divulgazione del testo ferecideo. L’autore della Cosmogonia affida i suoi scritti a Talete ed inoltre, sentendo vicina la morte, lascia a lui carta bianca circa la divulgazione della sua opera. Non possiamo sapere quanto ci sia di vero in ciò che viene testimoniato dalla lettera, che però sicuramente sicuramente offre vari spunti di riflessione. Innanzitutto lascia supporre che la produzione del filosofo di Siro sia circolata tra i filosofi pre-socratici, e ciò evidenzia l’importanza e lo sviluppo del suo raggio di influenza. La presenza o anche la semplice invenzione di questa lettera presuppone dunque che Diogene avesse la convinzione, derivata o da conoscenza dei fatti o da interpretazione dei dati, che nell’ambito dei filosofi della Ionia la Cosmogonia di Ferecide, o almeno i suoi tratti distintivi, fossero stati oggetto di studio e fonte di giudizio, influenzando tale ambito culturale, anche senza citazione esplicita. Cosa dovevano averne pensato non ci è purtroppo dato saperlo, ma è chiaro che il pensiero ferecideo, così lontano dalle costruzioni mitologiche della tradizione omerica ed indipendente dalla comune religiosità dei suoi contemporanei. Se con Pitagora il legame è evidente, impresa più ardua è individuare il rapporto tra i filosofi della Ionia e l’opera o la persona stessa di Ferecide. Per approfondire il tema dei possibili rapporti tra Ferecide e Talete è necessario soffermarci sulla testimonianza di Achille Tazio:

Achille Tazio, Isagoge, 3 (31, 28 Maass) Θαλῆς δὲ ὁ Μιλήσιος καὶ Φ.

ὁ Σύριος ἀρχὴν τῶν ὅλων τὸ ὕδωρ ὑφίστανται, ὃ δὴ καὶ Χάος καλεῖ ὁ Φ., ὡς εἰκὸς τοῦτο ἐκλεξάμενος παρὰ τοῦ Ἡσιόδου οὕτω

69 “Talete di Mileto e Ferecide di Siro posero l’acqua come principio di tutte le cose, e ad essa Ferecide dà anche il nome di Caos, verosimilmente ad imitazione di Esiodo il quale

dice così [Th. 116]: ‘Di certo assolutamente primo fu il Caos’” Traduzione Gabriele Giannantoni.

I dati biografici di Talete in nostro possesso collocano la sua vita in un periodo precedente a quello di Ferecide, a cavallo tra il VII e il VI secolo. Tali dati confondono ancor più la situazione: ora vedremo il perchè. Di seguito propongo una sezione della Metafisica in cui si esplica il pensiero del filosofo di Mileto.

Aristotele, Metafisica, 983 b 17 – 984 a 5 ἀεὶ γὰρ εἶναί τινα φύσιν ἢ μίαν ἢ πλείους μιᾶς ἐξ ὧν γίγνεται τἆλλα σωζομένης ἐκείνης. τὸ μέντοι πλῆθος καὶ τὸ εἶδος τῆς τοιαύτης ἀρχῆς οὐ τὸ αὐτὸ πάντες λέγουσιν, ἀλλὰ Θαλῆς μὲν ὁ τῆς τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας ὕδωρ φησὶν εἶναι (διὸ καὶ τὴν γῆν ἐφ’ ὕδατος ἀπεφήνατο εἶναι), λαβὼν ἴσως τὴν ὑπόληψιν ταύτην ἐκ τοῦ πάν- των ὁρᾶν τὴν τροφὴν ὑγρὰν οὖσαν καὶ αὐτὸ τὸ θερμὸν ἐκ τούτου γιγνόμενον καὶ τούτῳ ζῶν (τὸ δ’ ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ’ ἐστὶν ἀρχὴ πάντων)—διά τε δὴ τοῦτο τὴν ὑπόληψιν λαβὼν ταύτην καὶ διὰ τὸ πάντων τὰ σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν, τὸ δ’ ὕδωρ ἀρχὴν τῆς φύσεως εἶναι τοῖς ὑγροῖς. εἰσὶ δέ τινες οἳ καὶ τοὺς παμπαλαίους καὶ πολὺ πρὸ τῆς νῦν γενέ- σεως καὶ πρώτους θεολογήσαντας οὕτως οἴονται περὶ τῆς φύ- σεως ὑπολαβεῖν· Ὠκεανόν τε γὰρ καὶ Τηθὺν ἐποίησαν τῆς γενέσεως πατέρας, καὶ τὸν ὅρκον τῶν θεῶν ὕδωρ, τὴν καλου- μένην ὑπ’ αὐτῶν Στύγα [τῶν ποιητῶν]· τιμιώτατον μὲν γὰρ τὸ πρεσβύτατον, ὅρκος δὲ τὸ τιμιώτατόν ἐστιν. εἰ μὲν οὖν (984a.) ἀρχαία τις αὕτη καὶ παλαιὰ τετύχηκεν οὖσα περὶ τῆς φύ- σεως ἡ δόξα, τάχ’ ἂν ἄδηλον εἴη, Θαλῆς μέντοι λέγεται οὕτως ἀποφήνασθαι περὶ τῆς πρώτης αἰτίας (Ἵππωνα γὰρ οὐκ ἄν τις ἀξιώσειε θεῖναι μετὰ τούτων διὰ τὴν εὐτέλειαν αὐτοῦ τῆς διανοίας)·

70 “Ci dev’essere una qualche sostanza, o una più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza, mentre essa permane. Ma riguardo al numero e alla forma di tale principio

non dicono tutti lo stesso: Talete il fondatore di tale forma di filosofia, dice che è l’acqua (e perciò sosteneva che anche la terra è sull’acqua): egli ha tratto forse tale supposizione vedendo che il nutrimento di tutte le cose è umido, che il caldo stesso deriva da questa e di questa vive (e ciò da cui le cose derivano è il loro principio): di qui, dunque, egli ha tratto tale supposizione e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno natura umida - e l’acqua è il principio naturale delle cose umide. Ci sono alcuni secondo

i quali anche gli antichissimi, molto anteriori all’attuale generazione e che per primi teologizzarono, ebbero le stesse idee sulla natura: infatti cantarono che Oceano e Tetide

sono gli autori della generazione [delle cose] e che il giuramento degli dèi è sull’acqua chiamata Stige dai poeti: ora, ciò che è più antico merita più stima, e il giuramento è la cosa che merita più stima. Se dunque questa visione della natura sia in verità antica e

primitiva potrebbe essere dubbio, ma Talete senz’altro si dice che abbia descritto la prima causa in questo modo (nessuno riterrebbe Ippone degno di essere annoverato tra

questi per la poca consistenza del suo pensiero)”. Trad. Renato Laurenti

L’acqua è elemento che più si presta ad un’interpretazione vivificatrice, tramite l’osservazione scientifica del mondo circostante. È ciò che anima la terra, che rende possibile la vita della fauna e della flora oltre che dell’uomo. Essa non è considerata da Talete come principio cosmologico ed universale, a differenza che nelle teogonie o cosmogonie; non è una divinità o un principio primordiale. Nell’opera del filosofo di Mileto l’acqua è vista come principio fisico. Porre l’acqua come archè è un evidente passo in avanti verso una maggiore razionalizzazione dei miti cosmogonici. Talete sembra il primo a fare un vero salto dal mito alla filosofia. Il fatto che fosse più vecchio di Ferecide ci pone domande sulla possibile influenza dell’uno sull’altro e viceversa. La lettera in questo senso lascia intendere che, pur essendo più giovane, Ferecide abbia considerato Talete suo allievo o, perlomeno, nell’immaginario comune le cose stavano così. È anche vero però che il passo sopracitato, in cui si sostiene che Ferecide avesse adottato l’acqua come archè proprio come Talete, mi sembra poco attendibile in quanto, in base ai frammenti e le testimonianze pervenuteci

71 della cosmogonia ferecidea, non sembra esserci possibilità di vedere all’interno del suo pensiero una ricerca di archè nello stile dei filosofi della Ionia. E’ probabile dunque che, osservando la presenza di vari punti di contatto tra l’una e l’altra filosofia, i dati che ci sono pervenuti abbiano subito lo stesso processo che subirono quelli in cui si parla di Pitagora: è possibile che finirono per sovrapporsi le informazioni che ci sono pervenute riguardo Talete ed il suo pensiero e quelle su Ferecide.

È necessario ora osservare una sezione del testo di Diogene (I 24) in cui si espone un dato fondamentale:

Ἔνιοι δὲ καὶ αὐτὸν πρῶτον εἰπεῖν φασιν ἀθανάτους τὰς ψυχάς· ὧν ἐστι Χοιρίλος ὁ ποιητής

“Alcuni riferiscono che egli per primo disse immortali le anime: tra questi anche il poeta Cherilo”100

Trad. Renato Laurenti.

Questo fatto confonde ancora più le acque: chi fu il primo a parlare di immortalità dell’anima? Ciò che è certo è che, se qui si parla di immortalità, si può già sicuramente notare la differenza con il concetto di reincarnazione e metempsicosi come viene trattato da Ferecide e da Pitagora; ma è necessario osservare più da vicino come doveva aver interpretato il concetto di ψυχή il filosofo di Mileto. Dunque, un’altra notizia proviene da Aezio (IV 2,1):

Θαλῆς ἀπεφήνατο πρῶτος τὴν ψυχὴν ἀεικίνητον ἢ αὐτοκίνητον.

“Talete per primo ha asserito che l’anima è una sostanza eternamente in moto o semovente” Trad. Renato Laurenti.

100 Viene riferito anche dalla Suda. Sulla dottrina dell'anima in Talete: Aristot. de An. 5.411 a 7; Aet., IV 2,1;

72 Pietro Mazzeo sostiene che “Il frammento è di dubbia attribuzione e autenticità, ma fissa, comunque, il punto di vista del filosofo di Mileto sull’anima”101. L’anima non è considerata da lui una entità fisica, ed è in perenne movimento. Sempre P. Mazzeo sostiene che “Il primato di Talete sta qui, ancora una volta, nella proclamazione teoretica della immortalità dell’anima”102. Quindi, secondo lo studioso, Talete non fu il primo a

parlarne, ma il primo a darne una impostazione teoretica. È da ritenere che probabilmente questa concezione di trasmigrazione dell’anima dovesse aver circolato nell’ambiente probabilmente già prima di Ferecide ma, vista la sua stretta relazione con Pitagora e, considerato che fu Pitagora stesso ad essere maggiormente ricordato come grande sostenitore di tale tesi, appare più probabile che Ferecide, pur essendo più giovane di Talete, abbia potuto influenzare entrambi a riguardo, avendo trattato di questo argomento, che molto probabilmente era conosciuta sia dal filosofo di Mileto che da Pitagora e i suoi seguaci. È però difficile prendere una posizione definitiva a riguardo, in quanto le testimonianze sono discordanti.

II.4.2 ὡς τῶι δένδρωι φλοιόν

Secondo molti più vecchio di Ferecide, Anassimandro aveva individuato nell’apeiron il principio primo dell’universo. Il linguaggio da lui usato, per quanto ne sappiamo, sembra avvicinarsi a quello adoperato dai cosmogonisti precedenti, un linguaggio più vicino alla mitologia che alla filosofia; tuttavia il suo pensiero se ne distacca. Si distanzia anche dalla concezione naturalistica di filosofi come Talete, che vedevano in elementi naturali il principio primordiale del mondo. Anassimandro cerca un concetto più ampio da cui tutto possa essere derivato, nello sforzo di capire come le singolarità potessero essere nate, ed arriva a concepire l’apeiron. Simplicio tramanda un frammento di Anassimandro secondo cui: Simplicio Physica 24, 13 [vgl. A 9] Ἄ...ἀρχήν....εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον.... ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι, καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεὼν διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν

101 Pietro Mazzeo, Talete, il primo filosofo, Bari, 2010, p.135 102 Pietro Mazzeo, op. cit., Bari, 2010, p. 136

73 “Anassimandro… principio...ha detto delle cose che sono l’indefinito..ed i fattori da cui è

la nascita per le cose che sono, sono anche quelli in cui si risolve la loro estinzione, secondo il dovuto, perchè pagano l’una all’altra, esse, giusta pena ed ammenda della loro

ingiustizia secondo la disposizione del tempo”. (Traduzione Alessandro Lami)

H.C. Baldry103 cerca di fare un passo in avanti nella interpretazione di alcuni passi riguardanti alcune cosmogonie dei presocratici nel tentativo di interpretare il pensiero di Anassimandro ma anche dei Pitagorici e di Ferecide da un punto di vista assai particolare. Questo autore cerca di individuare, all’interno delle loro opere, un comune sviluppo di un concetto che verrà scientificamente affrontato all’interno del Περὶ φύσιος παιδίου nel Corpus Hippocraticum. A partire dalla concezione orfica dell’uovo cosmico, sostiene che fin dall’epoca più arcaica l’uomo abbia interpretato la nascita del mondo utilizzando

un’analogia con la generazione animale.

Lo studioso dunque si concentra sul seguente passo:

Pseudo Plutarco, Stromateis, 2 (D. 579)

μεθ’ ὃν Ἀναξίμανδρον Θάλητος ἑταῖρον γενόμενον τὸ ἄπειρον φάναι τὴν πᾶσαν αἰτίαν ἔχειν τῆς τοῦ παντὸς γενέσεώς τε καὶ φθορᾶς, ἐξ οὗ δή φησι τούς τε οὐρανοὺς ἀπο- κεκρίσθαι καὶ καθόλου τοὺς ἅπαντας ἀπείρους ὄντας κόσμους. ἀπεφήνατο δὲ τὴν φθορὰν γίνεσθαι καὶ πολὺ πρότερον τὴν γένεσιν ἐξ ἀπείρου αἰῶνος ἀνακυκλου- μένων πάντων αὐτῶν. ὑπάρχειν δέ φησι τῶι μὲν σχήματι τὴν γῆν κυλινδροειδῆ, ἔχειν δὲ τοσοῦτον βάθος ὅσον ἂν εἴη τρίτον πρὸς τὸ πλάτος. φησὶ δὲ τὸ ἐκ τοῦ ἀιδίου γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου ἀπο- κριθῆναι καί τινα ἐκ τούτου φλογὸς σφαῖραν περιφυῆναι τῶι περὶ τὴν γῆν ἀέρι ὡς τῶι δένδρωι φλοιόν· ἧστινος ἀπορραγείσης καὶ εἴς τινας ἀποκλεισθείσης κύ- κλους ὑποστῆναι τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην καὶ τοὺς ἀστέρας. ἔτι φησίν, ὅτι κατ’ ἀρχὰς ἐξ ἀλλοειδῶν ζώιων ὁ ἄνθρωπος ἐγεννήθη, ἐκ τοῦ τὰ μὲν ἄλλα δι’

74 ἑαυτῶν ταχὺ νέμεσθαι, μόνον δὲ τὸν ἄνθρωπον πολυχρονίου δεῖσθαι τιθηνήσεως·

διὸ καὶ κατ’ ἀρχὰς οὐκ ἄν ποτε τοιοῦτον ὄντα διασωθῆναι.

“Dopo lui [Talete] ci fu Anassimandro, amico di Talete: egli affermò che l’infinito aveva la causa completa della nascita e della distruzione del tutto: di lì, egli dice, si sono separati i cieli e in generale tutti i mondi che sono infiniti. Sosteneva che la distruzione e molto prima, la nascita dei mondi avviene perchè sono soggetti, tutti, da

tempo infinito al movimento rotatorio. Dice che la terra ha forma cilindrica e altezza corrispondente a un terzo della larghezza. Dice che quel che dall’eterno produce caldo e

freddo si separò alla nascita di questo mondo e che da esso una sfera di fuoco si distese intorno all’aria che avvolgeva la terra, come corteccia intorno all’albero: spaccatasi poi questa sfera e separatasi in taluni cerchi, si formarono il sole, la luna e gli astri. Dice pure che da principio l’uomo fu generato da animali di altra specie perchè, mentre gli altri viventi si nutrono subito da sé, solo l’uomo ha bisogno per molto tempo delle cure

della nutrice: ora se all’inizio fosse stato tale [com’è adesso] non avrebbe potuto sopravvivere.”

(Traduzione Renato Laurenti)

L’autore suggerisce che Anassimandro volesse comparare la pelle del mondo alla membrana dell’albero, inoltre vede nell’utilizzo di φλοιός all’interno della celebre frase ὡς τῷ δένδρῳ φλοιόν, un richiamo al verbo φλέω, strettamente connesso alla riproduzione, usato anche da Aristotele per definire la membrana che circonda l’uovo. ἀπορραγείς è spesso considerato come riferito al distaccarsi della sfera di fuoco, ma Baldry, seguendo Heidel, puntualizza che tale termine è più propriamente applicabile al feto che si stacca dal genitore. Questa per lo studioso è una evidente analogia con le credenze embriologiche. Anche all’interno della cosmologia pitagorica si ritiene di ritrovare la presenza di analogie con la nascita biologica. Viene rintracciata in un passo di Aristotele (Met. 1091a ss.), ponendo un’analogia tra il concetto del respiro cosmico con la respirazione umana. Infine tratta dell’unica analogia che, a mio parere, possa essere sostenuta, ovvero quella tra il depositarsi dei semi di Chronos nei recessi, evidentemente una ripresa di una possibile ipotesi precedente che vedeva nella nascita del feto o nella

75 produzione di un uovo un’interpretazione della nascita dell’universo. Dunque, escludendo la cosmogonia ferecidea, credo sia forzato cercare a tutti i costi una interpretazione di questo genere all’interno della filosofia arcaica, che invece appare sostenibile nell’ambito delle dottrine orfiche.

La cosmologia di Anassimandro si rivela dunque profondamente diversa da quella di Ferecide e più matura.

3.d.3 Empedocle, le radici e la metempsicosi

Per trovare una concezione simile a quella ferecidea, bisogna fare un salto in avanti e prendere in considerazione il pensiero di Empedocle. È infatti possibile riscontrare nei frammenti relativi alla dottrina del filosofo agrigentino una tematica molto importante già affrontata da Ferecide laddove tratta dei semi di Chronos. Vediamo dunque di approfondire queste affinità. Nel tentativo di spiegare la composizione del cosmo, Empedocle ha certamente ipotizzato l’esistenza di quattro elementi fondamentali. Una testimonianza aristotelica aiuta a chiarire la sua posizione:

Arist., Metaph., A 3. 984a 8 Ἐ. δὲ τὰ τέτταρα πρὸς τοῖς εἰρημένοις

[ὕδωρ, ἀήρ, πῦρ] γῆν προσθεὶς τέταρτον· ταῦτα γὰρ ἀεὶ διαμένειν καὶ οὐ γίγνεσθαι ἀλλ’ ἢ πλήθει καὶ ὀλιγότητι συγκρινόμενα καὶ διακρινόμενα εἰς ἕν τε

καὶ ἐξ ἑνός.

“Empedocle pone quattro elementi, aggiungendo la terra come quarto, oltre i tre già detti [cioè acqua, aria, fuoco]. Dice infatti che essi permangono sempre identici e non

divengono, fuorchè per quantità e piccolezza, in unità aggregandosi e da un’unità separandosi”

Traduzione di Gabriele Giannantoni

Simplicio, Physica, 25,21 [dopo A7: da Teofrasto] οὗτος δὲ τὰ μὲν σωματικὰ στοιχεῖα ποιεῖ

76 ὀλιγότητι, μεταβάλλοντα δὲ κατὰ τὴν σύγκρισιν καὶ διάκρισιν, τὰς δὲ κυρίως ἀρχάς, ὑφ’ ὧν κινεῖται ταῦτα, φιλίαν καὶ νεῖκος. δεῖ γὰρ διατελεῖν ἐναλλὰξ κινούμενα τὰ στοιχεῖα, ποτὲ μὲν ὑπὸ τῆς φιλίας συγκρινόμενα, ποτὲ δὲ (25) ὑπὸ τοῦ νείκους διακρινόμενα· ὥστε καὶ ἓξ εἶναι κατ’ αὐτὸν τὰς ἀρχάς. καὶ γὰρ ὅπου μὲν ποιητικὴν δίδωσι δύναμιν τῷ νείκει καὶ τῇ φιλίᾳ, ὅταν λέγῃ [...]

“Costui pone quattro elementi corporei, il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra, realtà eterne, mutabili solo rispetto alla quantità e alla piccoleza a seconda che si aggreghino o si

separino, e poi i principi propriamene detti, da cui gli elementi sono mossi, e cioè l’Amicizia e la Contesa. Perchè è necessario che, sempre alternativamente muovendosi, gli elementi permangano, ora unendosi per opera dell’Amicizia, ora disgiungendosi per

opera della Contesa. Cosicchè, secondo lui, i princìpi sono sei. Ed infatti talora attribuisce energia alla Contesa e alla Amicizia quando dice: [...] talvolta equipara

anche questi, come elementi, agli alri quattro quando dice: [...].” Traduzione di Gabriele Giannantoni

La presenza di Amore e Contesa viene spiegata come l’esistenza di due forze contrapposte che ciclicamente si combattono e distruggono. Si sviluppa dunque un dominio ciclico delle due potenze, avremo perciò un periodo in cui domina Amore ed uno in cui prevale Contesa. Il mondo sembra svilupparsi e venire ad essere come noi lo conosciamo in una fase intermedia. Non è chiaro se ciò avviene solo nella fase di ascesa di Amore o se può venire ad essere anche durante quella di prevalenza di Contesa. Certo è che all’interno del cosmo, quale lo interpreta Empedocle, è necessaria la presenza di entrambi perchè si sviluppi l’armonia tra gli elementi ed affinchè questa dia luogo ad una mistione e alla creazione, dunque, di quei corpi composti che verranno a costituire l’universo come lo conosciamo. In ciò che è rimasto dell’opera di Empedocle si trovano però numerosi elementi di informazione riguardanti il tempo dell’Amore integrale, in cui le quattro radici sembrano essere mescolate fino a formare una sfera. Molto meno sappiamo di cosa doveva accadere durante il governo di Contesa: probabilmente gli elementi si sarebbero allontanati l’uno dall’altro fino a dividersi totalmente e rimanere incontaminati.

77 È importante notare come queste radici corrispondenti ad elementi fisici siano poi dal filosofo di Agrigento identificate con divinità nella testimonianza e nel frammento che segue: Empedocle, DK A 33 AËT. I 3, 20 (D. 286) Ἐ. Μέτωνος Ἀκραγαντῖνος τέτταρα μὲν λέγει στοι- χεῖα, πῦρ ἀέρα ὕδωρ γῆν, δύο δὲ ἀρχικὰς δυνάμεις, Φιλίαν τε καὶ Νεῖκος, ὧν ἡ μέν ἐστιν ἑνωτική, τὸ δὲ διαιρετικόν. φησὶ δὲ οὕτως· ‘τέσσαρα ... βρότειον’ [B 6]. Δία μὲν γὰρ λέγει τὴν ζέσιν καὶ τὸν αἰθέρα, Ἥρην δὲ φερέσβιον τὸν ἀέρα, τὴν δὲ γῆν τὸν Ἀιδωνέα, Νῆστιν δὲ καὶ κρούνωμα βρότειον οἱονεὶ τὸ σπέρμα καὶ τὸ ὕδωρ. STOB. Ecl. I 10, 11 b p. 121 W. Ἐ. Δία μὲν λέγει τὴν ζέσιν <καὶ> τὸν αἰθέρα, Ἥρην δὲ φερέσβιον τὴν γῆν, ἀέρα δὲ τὸν Ἀιδωνέα, ἐπειδὴ φῶς οἰκεῖον οὐκ ἔχει, ἀλλὰ ὑπὸ ἡλίου καὶ σελήνης καὶ ἄστρων καταλάμπεται, Νῆστιν δὲ καὶ κρούνωμα βρότειον τὸ σπέρμα καὶ τὸ ὕδωρ. ἐκ τεσσάρων οὖν στοιχείων τὸ πᾶν, τῆς τούτων φύσεως ἐξ ἐναντίων συνεστώσης, ξηρότητός τε καὶ ὑγρότητος καὶ θερμότητος καὶ ψυχρότητος, ὑπὸ τῆς πρὸς ἄλληλα ἀναλογίας καὶ κράσεως ἐναπεργαζομένης τὸ πᾶν καὶ μεταβολὰς μὲν μερικὰς ὑπομενούσης, τοῦ δὲ παντὸς λύσιν μὴ ἐπιδεχομένης. λέγει γὰρ οὕτως· ‘ἄλλοτε ... ἔχθει’ [B 17, 7. 8]. HIPPOL. Ref. VII 29 (p. 211 W.) Ζεύς ἐστι τὸ πῦρ, Ἥρη δὲ φερέσβιος ἡ γῆ ἡ φέρουσα τοὺς πρὸς τὸν βίον καρπούς, Ἀιδωνεὺς δὲ ὁ ἀήρ, ὅτι πάντα δι’ αὐτοῦ βλέποντες μόνον αὐτὸν οὐ καθορῶμεν, Νῆστις δὲ τὸ ὕδωρ· μόνον γὰρ τοῦτο ὄχημα τροφῆς [αἴτιον] γινό- μενον πᾶσι τοῖς τρεφομένοις, αὐτὸ καθ’ αὑτὸ τρέφειν οὐ δυνάμενον τὰ τρεφόμενα. εἰ γὰρ ἔτρεφε, φησίν, οὐκ ἄν ποτε λιμῶι κατελήφθη τὰ ζῶια, ὕδατος ἐν τῶι κόσμωι πλεονάζοντος ἀεί. διὰ τοῦτο Νῆστιν καλεῖ τὸ ὕδωρ, ὅτι τροφῆς αἴτιον γινόμενον τρέφειν οὐκ εὐτονεῖ τὰ τρεφόμενα. PHILODEM. de pietate 2 p. 63 G. (Philippson Herm. 55, 1920, 277) <τὴν δ’ Ἥρ>αν καὶ τ<ὸν Δία φη>σὶν ἀέρα τ<ε καὶ πῦρ> εἶν’

Ἐμπε<δοκλῆς ἐν τ>οῖς ὕμνοις.

“Aet. I 3,20 [Dox. 286]. Empedocle, figlio di Metone, agrigentino, dice che quattro sono gli elementi, fuoco aria acqua e terra, e due le forze originarie, l’Amicizia e la Contesa, di cui l’una è unificatrice e l’altra è separatrice. Dice così: “...”[B6]. Chiama infatti Zeus la sostanza ignea e l’etere, Era “avvivarice” la terra, Edoneo l’aria, perchè

78 non ha luce propria, ma brilla grazie al sole, alla luna e agli astri, Nesti “fonte mortale” il seme e l’acqua. Da quattro elementi dunque deriva il tutto, consistendo la loro natura

da contrari, il secco e l’umido, il caldo e il freddo, e poducendo essa per le loro reciproche proporzioni e mescolanze il tutto, sopportando mutamenti particolari, ma non permettendo la completa dissoluzione del tutto. Dice infatti così: “...” [B17, 7-8]. Hippol. ref. VII 29 p.211[dopo B6. Dallo scritto di Plutarco su Empedocle? Cfr. v 20 p. 122,5]. Zeus è il fuoco, Era “avvivatrice” la terra che produce i frutti per la vita, Edoneo

l’aria, perchè pur vedendo tutto grazie a lui, soltanto lui non vediamo, Nesti l’acqua, perchè è l’unico veicolo per il cibo per tutti coloro che si nutrono, benché per se stessi

non possa nutrirli. Se infatti li nutrisse, dice, i viventi non sarebbero mai presi dalla fame, essendovi sempre abbondanza di acqua nel mondo. Per questo chiama Nesti l’acqua, poiché pur essendo causa di nutrimento, non è in grado di nutrire. Philod. de

piet. c. 2 c p. 63 [Philippson, “Hermes” LV, 1920, P. 277]. Empedocle nei suoi inni sostiene che Era è l’aria e Zeus il fuoco [cfr. A 23]”

Traduzione di Gabriele Giannantoni

Empedocle DK B 6

AËT. I 3, 20 [A 33 I 289, 14]; SEXT. X 315 τέσσαρα γὰρ πάντων ῥιζώματα πρῶτον ἄκουε·

Ζεὺς ἀργὴς Ἥρη τε φερέσβιος ἠδ’ Ἀιδωνεύς Νῆστίς θ’, ἣ δακρύοις τέγγει κρούνωμα βρότειον.

“Per prima cosa ascolta che quattro son le radici di tutte le cose: Zeus splendente e Era avvivatrice e Edoneo e Nesti, che di lacrime distilla la sorgente mortale”

(Traduzione di Gabriele Giannantoni)

È importante soffermarsi su questi passi perché sembrano riproporre quella corrispondenza di elementi e divinità che Schibli aveva intravisto all’interno dell’opera ferecidea. Le somiglianze tra i due autori dunque cominciano a diventare evidenti. Se anche volessimo considerare la cosmogonia di Ferecide a prescindere dell’interpretazione di Schibli, sarebbe comunque significativo notare che anche il Saggio di Siro si trova a proporre come fondamento della realtà alcuni elementi naturali rappresentati dai semi di

79 Chronos. Quest’ultimo, durante la prima generazione, pone i suoi semi all’interno dei recessi; secondo quanto riferito in testimonianze come quella di Damascio, i semi corrispondono a fuoco, soffio e acqua. Un altro punto di contatto riscontrabile all’interno del pensiero di Empedocle, che può in qualche modo avvicinarsi alla concezione di Ferecide, è esplicato all’interno dei seguenti passi:

Empedocle DK B 115 ἔστιν Ἀνάγκης χρῆμα, θεῶν ψήφισμα παλαιόν, ἀίδιον, πλατέεσσι κατεσφρηγισμένον ὅρκοις· εὖτέ τις ἀμπλακίηισι φόνωι φίλα γυῖα μιήνηι, <νείκεΐ θ’> ὅς κ(ε) ἐπίορκον ἁμαρτήσας ἐπομόσσηι, δαίμονες οἵτε μακραίωνος λελάχασι βίοιο, τρίς μιν μυρίας ὧρας ἀπὸ μακάρων ἀλάλησθαι, φυομένους παντοῖα διὰ χρόνου εἴδεα θνητῶν ἀργαλέας βιότοιο μεταλλάσσοντα κελεύθους. αἰθέριον μὲν γάρ σφε μένος πόντονδε διώκει, πόντος δ’ ἐς χθονὸς οὖδας ἀπέπτυσε, γαῖα δ’ ἐς αὐγὰς ἠελίου φαέθοντος, ὁ δ’ αἰθέρος ἔμβαλε δίναις· ἄλλος δ’ ἐξ ἄλλου δέχεται, στυγέουσι δὲ πάντες. τῶν καὶ ἐγὼ νῦν εἰμι, φυγὰς θεόθεν καὶ ἀλήτης, νείκεϊ μαινομένωι πίσυνος.

“E’ vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti:

se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto, o se qualcuno <per la Contesa> abbia peccato giurando un falso giuramento,

i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo

mutando i penosi sentirei della vita. L’impeto dell’etere invero li spinge nel mare,

80 la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell’etere:

ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch’io sono uno di questi, esule dal dio e vagante

per aver dato fiducia alla furente Contesa.” (Traduzione di Gabriele Giannantoni)

Empedocle DK B 117 DIOG. VIII 77. HIPPOL.

Ref. I 3 [A 31 I 289, 4]

ἤδη γάρ ποτ’ ἐγὼ γενόμην κοῦρός τε κόρη τε θάμνος τ’ οἰωνός τε καὶ ἔξαλος ἔλλοπος ἰχθύς.

“Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla, arbusto, uccello e muto pesce che salta fuori dal mare”.

(Traduzione di Gabriele Giannantoni)

Empedocle DK B 137 SEXT. IX 129 καὶ ‘μορφὴν ... ἔδουσιν’. ORIG. c. Celsum v 49 ἐκεῖνοι μὲν γὰρ διὰ τὸν περὶ ψυχῆς μετενσωματουμένης μῦθον ἐμψύχων ἀπέχονται καί τις ‘φίλον ... νήπιος’. μορφὴν δ’ ἀλλάξαντα πατὴρ φίλον υἱὸν ἀείρας σφάζει ἐπευχόμενος μέγα νήπιος· οἱ δ’ ἀπορεῦνται λισσόμενον θύοντες· ὁ δ’ αὖ νήκουστος ὁμοκλέων σφάξας ἐν μεγάροισι κακὴν ἀλεγύνατο δαῖτα. ὡς δ’ αὔτως πατέρ’ υἱὸς ἑλὼν καὶ μητέρα παῖδες θυμὸν ἀπορραίσαντε φίλας κατὰ σάρκας ἔδουσιν.

“Il padre sollevato l’amato figlio che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano l’implorante; ma quello sordo ai clamori

81 E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre

dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni”. Traduzione di Gabriele Giannantoni

I tre frammenti proposti implicano visibilmente la credenza nella trasmigrazione delle anime. Empedocle parla di daimones: non si capisce precisamente cosa intenda con tale termine, ma è assai probabile che con daimon intendesse definire l’anima dell’uomo che si trasferisce di corpo in corpo. Questa versione della metempsicosi sembra avere qui lo