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Punti di contatto tra alcune teogonie antiche e loro rapporto con la cosmogonia di Ferecide di Siro.

III. Fortuna di Ferecide di Siro: influenza ed eredità di pensiero

III.2 Punti di contatto tra alcune teogonie antiche e loro rapporto con la cosmogonia di Ferecide di Siro.

guaritore, la passione per la musica, gli incantesimi, e la sua capacità mantica- C. Fiore sottolinea che non si deve dimenticare il fatto che se si accetta che Orfeo potesse essere stato in origine uno sciamano trace, è anche verosimile che nel momento in cui la sua figura mitica venne a contatto con i Greci questa fu reinterpretata in una nuova chiave. C. Fiore porta a sostegno della sua tesi il più famoso racconto che la tradizione ci tramanda riguardo Orfeo: la discesa agli inferi. La catabasi è tratto tipico della cultura

sciamanica e serviva come iniziazione, per poter ottenere nuovi poteri e conoscenze. È un fatto però che nella maggior parte dei testi di tradizione greca Orfeo fallisce nel suo tentativo e non riesce a riportare Euridice alla luce. C. Fiore interpreta questo fatto come un modo di porre dei limiti alle possibilità umane tipico del pensiero Greco e molto distante dal senso che doveva avere l’iniziazione sciamanica.

68M. L. West, op. cit., 1993, pp. 15ss.

69 Ione, Triagmoi, DK 36 B2; Herod., Hist, 2,81;

70 Traduzione Alessandro Lami (FR. 12 M. =DK 22 B 129) 71 Suid. nr. 223 d; Clem. Alex. Strom. 1, 21, 131;

52 III.2.1 Il Peplo e le rapsodie orfiche

Prenderemo ora in considerazione il testo intitolato Il peplo, su cui ci soffermeremo per osservare le influenze e le relazioni tra l’opera ferecidea e le teogonie o, più in generale, le opere legate alla tradizione orfica. Ne Il peplo o ne La Rete Epigene nota la descrizione di una tessitura, argomento che, ci offre la possibilità di dare un’interpretazione più accurata del testo del saggio di Siro. Abbiamo infatti visto nel capitolo due la presenza di un mantello tessuto da Zas, dal significato evidentemente cosmico: trovare dei paralleli per questo motivo non è scontato e può risultare veramente illuminante. è possibile riscontrare questo tipo di immagine mistica ne Il peplo, ma non solo: West propone anche un collegamento con le rapsodie orfiche. Gli Hieroi Logoi, i Discorsi sacri orfici erano infatti composti da ventiquattro rapsodie in cui è stato possibile individuare una ulteriore teogonia detta Teogonia rapsodica di cui diversi autori neoplatonici riportano brani attribuendoli ad Orfeo. In esse la divinità degli inferi Persefone tesse una tunica ornata di fiori72; secondo lo studioso anch’essa ha un significato cosmico. West sostiene poi che “L’idea fondamentale che “la terra sia la tunica di Persefone” è tipica dello stile dei pitagorici antichi73 [...]”.

Un’altra linea tematica analizzata da West si riferisce al famoso papiro di Derveni, datato al 300 a.C., che contiene il commento a una teogonia databile ad almeno due secoli prima, composta dunque intorno al 500 a.C. Secondo West da una parte si riesce ad individuare un testo bacchico e dall’altra lo sviluppo di una teoria della metempsicosi molto simile a quella pitagorica, anche se - lo abbiamo già ricordato - la teoria della metempsicosi era probabilmente di origine ferecidea, ancor prima che pitagorica. Lo studioso avanza l’ipotesi che la regione in cui poteva essere nata la poesia orfica sia da definirsi come un “nebuloso triangolo che ha per base la teogonia di Derveni e Pitagora e al vertice Ferecide”74. A sostegno di ciò, riferisce una citazione della Suda, che a prima vista sembrerebbe riferirsi a Ferecide di Atene, ma che egli collega in realtà proprio al nostro Ferecide: stando a questa testimonianza l’autore della cosmogonia fu colui che mise insieme i poemi di Orfeo.

Φερεκύδης Ἀθηναῖος (πρεσβύτερος τοῦ Συρίου, ὃν λόγος τὰ Ὀρφέως συναγαγεῖν)

72 OF 33;

73 M. L. West, op. cit., 1993, p. 22; 74 M. L. West, op. cit., 1993;

53 Ferecide di Siro era infatti il più vecchio tra i due e dunque la connessione con gli orfici si riferirebbe a lui e non all’omonimo ateniese: ciò evidenzia quanto già nell’antichità le produzioni di Ferecide fossero considerate vicine agli scritti orfici.

West propone una ricostruzione tematica della narrazione nelle Rapsodie; è rimarchevole l’assonanza tra la concezione dell’origine dell’universo in Ferecide e la ricostruzione che lo studioso fa dello stesso tema, mettendo insieme i frammenti orfici che trattano della cosmogonia: questa ricostruzione narrativa ha inizio con una citazione dal frammento OF 60 e dice “In principio fu Tempo senza età (OF 60, cf. 54,68), rappresentato come un serpente alato e accoppiato con Ananke (Arg. 12 s., cf. OF 126, Inno 12,10). Egli generò Etere ed un enorme Abisso, senza fondo o limite (OF 66, 54, 60) ricoperto da tenebre oscure e da Notte (OF 65-67)”75.

Nella maggior parte delle teogonie antiche in principio è la Notte o, al massimo, la Notte associata ad altre divinità, come ad esempio accade in Epimenide o Museo. Secondo quel che è possibile ricostruire di tali teogonie vi è l’unione di Tempo ed Ananke che dà vita all’uovo cosmico, elemento fondamentale nelle teogonie di influenza orfica. Quel che salta all’occhio, alla luce di quanto abbiamo detto riguardo alla cosmogonia di Ferecide di Siro, è che in questo frammento si parla del Tempo come principio eterno che dà vita al cosmo, una sorta di divinità che si avvicina molto al Chronos ferecideo.

Αὶθέρα μὲν Χρόνος οὗτος ὰγήραος, ὰφθιτόμητις γείνατο καὶ μέγα χάσμα πελώριον ἔνθα καὶ ἔνθα

καὶ μικρὸν ὕστερον 76

Se però quest’ultimo è prima passato attraverso una fase di auto-creazione cosmica, per poi arrivare ad assumere un ruolo più simile a quello svolto dalle divinità nei poemi omerici; il Tempo delle rapsodie è invece quasi automaticamente una divinità, per così dire, alla vecchia maniera. È unendosi con Ananke che crea l’uovo primordiale, è nell’unione divina che si rivela fondamentale. È però evidente che Non possiamo certamente sottovalutare il fatto che si parli di tempo ὰγήραος (frase contorta, concetto semplice).

75 M. L. West, op. cit., 1993, trad. Marisa Tortorelli Ghidini, p.83;

54 Talvolta il termine Ananke in letteratura ha l’accezione di Fato o Destino, una legge superiore che obbliga in un certo qual senso a seguire il filo della vita gestito dalle Moire. Ananke e Tempo comprendono concetti più profondi, una maggiore complessità rispetto a quanto definisce le divinità pure e semplici, ed utilizzati in un contesto cosmogonico ci fanno riflettere. In Ferecide l’attribuzione di una funzione primordiale e concettuale delle divinità è attuata con intenzione, mentre negli scritti orfici risulta meno cosciente, ma è anche vero che, vista la evidente relazione tra gli scritti orfici e il pensiero del filosofo, non ci sarebbe da stupirsi se Ferecide fosse stato al corrente di questa versione della nascita dell’universo.

III.2.2. La teogonia di Eudemo di Rodi

Tra le teogonie attribuite ad Orfeo, una tra le più importanti è quella alla quale dovrebbe aver attinto Eudemo di Rodi, storico e filosofo del IV a.C. Costui passò buona parte della sua vita ad Atene, dove studiò filosofia presso il Peripato, collaborò a lungo e strettamente con Aristotele e viene generalmente considerato uno dei suoi più fedeli discepoli. Nella sua

Teogonia77 la Notte sembra occupare un ruolo centrale. Anche Omero sembra considerare

la Notte una divinità primordiale assai potente, dal momento che perfino Zeus la venera78. Tale cosmogonia introduce un primo grado di speculazione scientifica: la notte apre le porte a un mondo misterioso e impenetrabile per gli uomini, ponendosi in tal modo come frontiera tra il conosciuto e lo sconosciuto e generando da sola Cielo e Terra. Platone, come risulta dai Dialoghi79, doveva essere a conoscenza della Teogonia poi trasmessa da Eudemo e aveva omesso di proposito il principio primordiale di essa. Inoltre nel Cratilo (402c), Socrate espone alcuni versi orfici sostenendo che “Anche Orfeo in un certo luogo dice: “dette

77 Forse nel Cratilo 402b si ha una prima eco di tale Teogonia 78 Hom. Il., XIV, vv. 258-261

ζήτει· καί κέ μ’ ἄϊστον ἀπ’ αἰθέρος ἔμβαλε πόντῳ, εἰ μὴ Νὺξ δμήτειρα θεῶν ἐσάωσε καὶ ἀνδρῶν·

τὴν ἱκόμην φεύγων, ὃ δ’ ἐπαύσατο χωόμενός περ. (260) ἅζετο γὰρ μὴ Νυκτὶ θοῇ ἀποθύμια ἕρδοι.

“[…] e dall'alto del cielo mi avrebbe scagliato nel mare, ma mi salvò la Notte che vince uomini e dei; giunsi da lei fuggendo, e Zeus, anche se irato, dovette fermarsi, aveva timore di far cosa sgradita alla rapida Notte”. Traduzione Maria Grazia Ciani

79West mostra che Platone in due passi cita una teogonia orfica (Plat. Fileb. 66c; Plat. Cra. 402b) e sostiene

che da questa teogonia possa aver tratto per la genealogia del Timeo (40e) in cui si dice che Oceano e Teti furono figli di Gea e Urano e che dai primi nacquero Forci, Crono e Rea e che poi, con l’unione di Crono e Rea nacquero Zeus ed Era. Non viene menzionata però la Notte, elemento fondamentale per questa teogonia, West risolve il problema spiegando che “Il fatto che Notte non compaia all’inizio non è un ostacolo per l’identificazione di questo poema con la teogonia di Eudemo. Nel imeo tutti gli dèi sono nati dal grande demiurgo; e notte non può essere un dio, essendo soltanto un qualcosa di prodotto dall’ombra della terra (40c) e un’unitò di tempo. Platone non si preoccupa di rispettare lo schema di Orfeo, egli sta solo prendendo da esso ciò che vuole” (M. L. West, op. cit., 1993, p. 128-129).

55 principio alle nozze l’Oceano, bella corrente;/ Teti sposava, sorella d’una medesima madre”80. Dunque appare chiaro che allude a versi orfici, in cui Oceano e Teti sono presentati come la prima coppia divina. Il significato originale di Teti nel mito a cui si allude nell’Iliade è quello di madre degli dèi, separata anzitempo dal suo sposo. Nella genealogia che ci trasmette Platone non si fa riferimento alla Notte, ma secondo West ciò non ne ostacola l’identificazione con la Teogonia di cui parla Eudemo.

L’influenza del pensiero ferecideo in ambiente orfico è ben testimoniata dalla ricorrenza degli elementi della sua teogonia nelle opere degli autori successivi, in particolar modo quando trattano delle origini delle divinità e del creato. West collega la Teogonia di Eudemo con la teogonia ciclica. Lo studioso tenta di individuare, all’interno del passo in cui Apollonio Rodio81 fa pronunciare da Orfeo un racconto teogonico, la presenza di elementi della teogonia ciclica mescolati alla cosmogonia ferecidea. In tale passo infatti si tratta del regno di Ofione ed Eurinome, della vittoria di Crono e del loro precipitare in Oceano: tali elementi “sono evidentemente un adattamento da Ferecide di Siro”82. A tal fine West cita Apollonio Rodio I,496 laddove l’autore delle Argonautiche fa pronunciare da Orfeo il racconto in cui terra cielo e mare si affrontano; narra, quindi, come Ofione ed Eurinome assumano il governo sugli dèi fino alla loro caduta ad opera di Crono e Rea, ed il loro precipitare nell’Oceano. Escludendo il fatto che Apollonio Rodio fosse a conoscenza di un’altra teogonia orfica, West è dell’avviso che Apollonio ricavi questa trama da Ferecide. Tutto ciò attesta, almeno fino al III a.C., della fortuna e del ricorso all’opera e alle tesi cosmogoniche del sirota. Inoltre, nel poema citato si fa riferimento alla presenza di divinità intermedie comparse tra Urano e Crono come è descritto in Eudemo: Ofione ha le caratteristiche di Oceano. Questo notizia, come pure i successivi riferimenti all’infanzia di Zeus, non sono è presenti in Ferecide, per cui si deve pensare che Apollonio dipenda in questo da Eudemo.

III.2.3 La pelle di Epimenide

Tra le tante figure straordinarie che stanno a metà tra il mitico e lo storico va citato Epimenide. Collocato temporalmente intorno al 660 a.C. anch’egli è avvolto da un’aura di mistero, in quanto gli vengono attribuiti magici e doni divini. Taumaturgo, filosofo e poeta

80 Plat. Crat. 402c, traduzione di Enrico Turolla 81 Apoll. Rhod., Arg, 1,496

56 si trova a partecipare di alcuni tratti distintivi di Apollo e di Dioniso e non è estraneo ad influenze orfiche. Diogene racconta un particolare aneddoto secondo cui Epimenide, mentre stava cercando di ritrovare una pecora nei campi, si addormentò in una caverna dove dormì per ben cinquantasette anni. Fu in quel momento che comprese di essere stato graziato dagli dèi ed iniziò a dedicarsi alla divinazione. Per quanto riguarda l’aspetto più storico di tale personaggio è necessario considerare la storia ateniese del VII secolo a.C. Quando Cilone tentò il colpo di stato (632 628 o 624) e l’alcmeonide Megacle fece uccidere alcuni della sua fazione nel santuario dell’Acropoli, questo procurò alla sua stessa famiglia il peso della maledizione lanciata loro all’epoca di Solone. Gli Alcmeonidi vennero esiliati ed in tale periodo Epimenide giunse ad Atene da Creta e purificò la città83.

La faccenda degli Alcmeonidi tornò in auge nei primi anni della Guerra del Peloponneso, quando Pericle, loro discendente, venne accusato dagli Spartani di essere ancora maledetto. perciò si può affemare che ancora nel 432/31 ad Atene si parlava di Epimenide. West ritiene che quello fosse “un momento adatto per la comparsa di un poema sotto il suo nome”, in quanto alcuni scritti attribuiti dagli antichi ad Epimenide sarebbero stati composti in realtà in epoche successive sotto il suo nome, come avvenne per Orfeo.

Bremmer trova un collegamento tra la vita di Ferecide e quella di Epimenide, ipotizzando che ci sia stata una sovrapposizione di tradizioni riguardanti lo scuoiamento di Ferecide a Sparta.

[...] Φερεκύδην τε τὸν σοφὸν ὑπὸ

Λακεδαιμονίων ἀναιρεθέντα καὶ τὴν δορὰν αὐτοῦ κατά τι λόγιον ὑπὸ τῶν βασιλέων φρουρουμένην[...]84

"Ferecide il Saggio, che fu messo a morte dai Lacedemoni e la cui pelle era conservata dai loro re per disposizione di un oracolo"

Trad. Pierangiolo Fabrini

Ma per quale motivo Ferecide doveva essere stato scuoiato? Esisteva un’’usanza legata ad antiche credenze tipiche delle popolazioni che basavano la loro sussistenza sulla caccia, secondo cui, scuoiando l’animale ucciso ed utilizzandone la pelliccia si sarebbe potuto ottenere il potere e la forza dello stesso; essa è ben testimoniata anche in Grecia dall’utilizzo

83 Diog. Laer. I, 109 ss. 84 Plutarch., Pelop., 21.2

57 da parte di Eracle della pelle di leone. Credere però che gli Spartani potessero aver fatto questo a Ferecide per ottenere una qualche sua caratteristica speciale risulta ampiamente forzato e strano per l’epoca, soprattutto se si pensa che in questo caso si parla di un uomo, non di un animale. Non si capisce dunque a cosa potesse giovare tenere la pelle di questo vecchio saggio e quale fosse la motivazione di una tale azione. Secondo un’altra tradizione Epimenide fu bruciato a Sparta all’interno dell’edificio ufficiale degli Efori85, anche se non esiste alcuna tradizione in cui si dica che prima di bruciarlo lo avessero scuoiato. L’espressione “Pelle di Epimenide”, che la Suda connette a Sparta, suggerisce che gli Efori avessero fatto uso di un rotolo di pelle con oracoli, il che è anche menzionato altrove in Grecia86. La storia della pelle di Ferecide ha dunque due tradizioni. La prima è quella esposta all’interno del primo capitolo, riguardante la morte di Ferecide e in cui si diceva che, quando Pitagora lo andò a trovare, il suo maestro mostrò la mano dicendo “appare la pelle”; la seconda si interseca con la tradizione spartana riguardante la pelle di Epimenide. Bremmer ammette di non sapere con esattezza in che modo queste due versioni abbiano potuto collimare, ma a mio parere le affinità tra i due personaggi possono aver portato confusione all’interno della tradizione.

Da questo risulta evidente un fatto molto importante ai fini del nostro approfondimento: gli autori greci posteriori a Ferecide dovevano già in qualche modo aver individuato dei rapporti tra lo pseudo-filosofo e gli autori delle cosmogonie antiche ed orfiche, sia basandosi sulle tematiche comuni sia grazie alla evidente somiglianza dei tratti caratteriali peculiari che caratterizzavano tali figure mitiche.

III.2.4 La teogonia di Alcmane

Possiamo ritrovare alcuni elementi che ricordano il modus operandi di Ferecide all’interno della teogonia di Alcmane che si trova nel papiro Oxyrinchus Papyri, 24, 23903, fr. 24 pubblicato nel 1957. Nel papiro si trova l’esposizione della cosmogonia stessa ed un

85 Epimenides FGrH 457

86Una interpretazione interessante del motivo per cui esisteva il detto “Pelle di Epimenide” è proposta da

C. Brillante in C. Brillante, Il sogno di Epimenide, in Quaderni Urbinati di Cultura Classica, Vol 77, 2, 2004, pp. 31-32: spiega che il cadavere poteva essere punteggiato con lettere o forse con "segni" (γράμμασι κατάστικτον), perciò è chiaro che si tratti di un certo tipo di tatuaggio che, secondo l’ipotesi di Dodds starebbe a simboleggiare la possessione divina. Un’altra interpretazione, sempre proposta da Brillante, è che tali segni potessero rappresentare l’iniziazione sciamanica.

58 commentario che la interpreta allegoricamente. L’ultima parte del testo fa riferimento a una generazione di Muse, figlie del Cielo e della Terra, ampiamente confermato da altre testimonianze come quella di Diodoro Siculo (Diodoro Siculo IV, 7). È possibile che Alcmane segua la tradizione secondo cui ci sarebbero state due generazioni di Muse. Nel papiro si parla di una sorta di apertura e tale immagine può essere messa in connessione con l’interpretazione del Chaos esiodeo, considerato come una spaccatura,uno spazio che si apre tra terra e cielo, l’inizio del mondo in una sorta di grande big bang ante litteram. “Nata Teti, l’inizio e la fine di ogni cosa sono nati, tutte le cose hanno la loro natura simile alla fattezza del bronzo, ma Teti a quella di un artigiano, l’apertura e il limite, l’inizio e la fine”. È interessare notare la presenza, all’interno della cosmogonia presa in considerazione, delle stesse linee concettuali che sono state individuate nelle testimonianze riguardanti Ferecide: l’opera demiurgica da parte di una delle divinità primordiali, il Chaos, come apertura, la presenza di una materia o struttura della terra precedente all’ordinamento demiurgico ed infine il concetto di Tempo.

La studiosa spagnola R. B. Martinez Nieto prova a ricostruire il partenio di Alcmane dividendolo in tre sezioni. Inizialmente doveva esserci la descrizione di una fase primordiale ed originaria del mondo composto da materia indifferenziata e non modellata. In seguito appariva la figura di Teti che, con atto demiurgico ordina ὕλη e dà inizio a πόρος e τεκμώρ. Infine iniziavano a comparire oscurità, luce e giorno.

Le forze che entrano in gioco all’interno di tale teogonia sono molto particolari e diverse dalle tipiche divinità primordiali che abbiamo incontrato nei poemi attribuiti a Orfeo o agli altri che gli si accostano. I termini usati da Alcmane non ricorrono quasi mai all’interno di cosmogonie. Alcmane, come Ferecide, interpreta dei concetti e li trasforma in divinità e questo, come abbiamo visto, è esattamente il modus operandi ferecideo. Anche nello sviluppo tematico si osserva lo stesso schema: ad esempio la presenza di un demiurgo che modella il mondo a partire dalla sua semplice struttura, quale la figura di Zas che dona superficie alla mera materia, ovvero a Chtonia, per trasformarla nella vera e propria Gea). La presenza di Teti è fondamentale, in quanto la presenza di una Nereide al principio del mondo è difficile da spiegare. Studiosi moderni87 che non accettano la presenza di Teti, prendono in considerazione la possibilità che fosse semplicemente un termine elaborato a

87 La Martinez Nieto in R.B. Martinez Nieto, La aurora del pensamiento griego: las cosmogonias

prefilosoficas de Hesiodo, Alcmàn, Ferecides, Epimenides, Museo y la Teogonia orfica antigua, Madrid, 2000, p. 72, ss. propone le posizioni di J.L. Penwill e M.L. West.

59 partire da τίθημι; senza andare a complicare la situazione, la Martinez Nieto suppone che potrebbe semplicemente trattarsi di una rielaborazione etimologica della denominazione della dea. Non è poi troppo difficile trovare un’altra linea in comune con la cosmogonia ferecidea: è evidente che, se il nome Teti stimolava nel lettore un significato più profondo veicolato dall’interpretazione etimologica, allora questo doveva essere lo stesso atteggiamento del nostro autore. πόρος ricorre come divinità, oltre che in tale partenio, solamente in Platone, nel Simposio. La coppia αἶσα-πόρος è da intendersi come l’opposizione tra necessità assoluta e libertà relativa come principi primi del mondo, come possibilità aperta e ordinamento obbligatorio. Il commentatore del partenio tenta anacronisticamente di riconoscere in θέτις, πόρος, e τεκμώρ le quattro cause aristoteliche. ὕλη indica un materiale, specialmente il legno, da cui è possibile creare qualcosa di nuovo, il materiale di costruzione per eccellenza. Nel senso filosofico invece appare per la prima volta in Aristotele. Per intendere quanto fosse predominante la posizione di ὕλη all’interno della teogonia di Alcmane va sottolineato che tale termine viene preceduto dall’articolo, diversamente da πόρος, τεκμώρ etc.

τεκμώρ ha una funzione cosmica fondamentale, ovvero impedire che le cose ritornino allo stato di confusione primordiale prima di stabilire l’ordine di tutte le cose.

Sebbene sia molto probabile che il punto di vista di Alcmane fosse più letterario mentre