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Agli albori della filosofia: la figura di Ferecide di Siro

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Academic year: 2021

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Introduzione

Quando si parla dei presocratici e degli albori della filosofia i primi nomi che vengono canonicamente proposti dai testi sono quelli di Talete, Anassimandro e Anassimene, i più antichi tra i filosofi. Questi tanto celebri personaggi hanno evidentemente qualcosa in comune: la ricerca del principio primo del mondo e della vita ovvero la ricerca dell’archè. L’archè del mondo in un senso più ampio non è però stata per la prima volta ricercata dai filosofi. Andando a ritroso, è possibile notare dei primitivi tentativi di spiegazione della nascita dell’universo all’interno delle teogonie, come all’interno dell’illustre Teogonia esiodea. È dunque con la religione che l’umanità si avvicina per la prima volta a questo tema centrale. L’uomo fin dall’antichità si è infatti cimentato nel tentativo di comprendere il funzionamento del mondo e di capire da che cosa fosse scaturito l’intero universo. La prima interpretazione che si ha della generazione dell’universo è quella che la riconduce a una causa divina. Le divinità rappresentavano le manifestazioni della natura ed erano utili a spiegarne la forma. Si raccontava dunque la nascita degli dèi e come da essi si fosse sviluppato tutto. L’analogia tra la nascita del mondo e la generazione animale e umana si impone frequentemente come modello in epoca arcaica. Da questo primo tentativo di ricerca si passò gradualmente ad una interpretazione meno mitica e più orientata in senso scientifico. Ferecide di Siro, egli stesso autore di una cosmogonia, rappresenta il passaggio dal mito alla filosofia in quanto reinterpreta gli elementi mitologici e li usa per proporre una innovativa raffigurazione del mondo. I suoi principi primi, ad esempio, non nascono ma esistono da sempre ed uno di essi è l’eterno Tempo. Già gli antichi interpretarono la sua opera come uno stato intermedio tra la ragione ed il mito, ed è proprio per questo motivo che, come vedremo, Ferecide verrà definito come un filosofo misto.

Proprio sulla figura di questo singolare precursore dei tempi si concentrerà questo elaborato. In questo lavoro infatti cercherò di sviluppare un’analisi dei frammenti e delle testimonianze pervenuteci riguardanti l’opera ferecidea a partire dal fondamentale studio di H.S. Schibli, Pherekydes of Syros, pubblicato nel 1984.

Ci troviamo però davanti a una scarsa quantità di fonti e questo comporta grandi difficoltà nell’interpretazione del complesso del suo pensiero; è difficile inoltre comprendere come dovesse essere lo sviluppo interno del suo racconto cosmogonico. Si cercherà dunque di contestualizzare le testimonianze e di proporre una più ampia visione della sua cosmogonia, passando in rassegna i principali studi proposti a riguardo negli ultimi decenni.

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2 L’obiettivo è quello di accertare se Ferecide abbia effettivamente influenzato le dottrine degli altri filosofi della Ionia e, in tale caso, in quale modo questo sia avvenuto. Rilevante sarà anche la ricerca dei modelli che potrebbero aver condizionato lo sviluppo di una cosmogonia così innovativa come quella ferecidea.

La tesi è articolata in tre capitoli: per iniziare, nel primo capitolo, ci concentreremo sulle questioni biografiche, analizzando i principali problemi che la tradizione ci tramanda, come quello riguardante la sua identificazione con un altro autore di nome Ferecide ma di provenienza ateniese. Interessante sarà osservare che Ferecide di Siro era considerato dai più come un santone e un taumaturgo e che su di lui esistono molte leggende che hanno molto in comune con quelle legate al nome di quello che la tradizione indica come il suo famoso allievo: Pitagora. Avvolta nel mistero è anche la sua morte, riguardo alla quale si hanno versioni curiose e contrastanti (come del resto è il caso per la gran parte dei filosofi antichi). Ferecide fu considerato come uno dei Sette Sapienti insieme, tra gli altri, a Talete.

Nel secondo capitolo cercheremo di individuare in che modo la trama della sua cosmogonia doveva essersi sviluppata. Diogene Laerzio espone quelle che sarebbero state le prime parole della sua opera: Zas dunque e Chronos furono sempre ed anche Chtonia. Tali erano i tre principi primi della sua cosmogonia, che tenteremo di interpretare seguendo anche le indicazioni presenti nelle altre testimonianze. Chronos diede vita alla prima generazione di dèi, ma è anche affascinante tenere in considerazione gli studi etimologici proposti sul termine che in questo caso, diversamente dal Kronos esiodeo, sembra assumere anche il significato di Tempo. Zas, nel matrimonio con Chtonia, tesse un mantello su cui è rappresentata la superficie terrestre ed in questo modo viene investito del ruolo di demiurgo cosmico. La divinità primordiale femminile, Chtonia, prima di diventare Ge, la dèa della terra, rappresenta il principio strutturale e materiale del mondo. Dopo aver toccato queste tematiche passeremo ad osservare da vicino i principali avvenimenti di cui si trattava nella cosmogonia: il matrimonio tra Zas e Chtonia; la questione del mantello, dapprima donato da Zas a Chtonia ma che poi troviamo anche avvolto ad un albero cosmico alato; ed infine la battaglia divina tra Chronos e Ofioneo, divinità dalla forma probabilmente serpentina.

Nel terzo ed ultimo capitolo affronteremo il tema dei possibili modelli e delle eventuali influenze dell’opera di Ferecide. Lo faremo illustrando in particolar modo il rapporto che potrebbe intercorrere tra l’orfismo e la sua opera, illustrando possibili punti di incontro con alcune teogonie antiche. Verrà poi esaminato il problema della connessione tra Ferecide ed

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3 i filosofi presocratici, con particolare attenzione a Pitagora. Il filosofo di Samo infatti non solo, come ho anticipato, viene considerato allievo di Ferecide, ma è il sostenitore di una dottrina che si può ragionevolmente attribuire anche a Ferecide, ovvero la teoria della metempsicosi. Tale dottrina è fondamentale in quanto unisce in un triangolo Orfici, Pitagorici e lo stesso Ferecide di Siro.

Il fine ultimo di questo elaborato è dunque quello di esplorare nel dettaglio l’insieme del pensiero del filosofo di Siro, dando spazio alle fonti ed alle interpretazioni più interessanti, nella speranza di poter fare chiarezza su alcuni punti, proponendo un commento al testo. Tutto ciò, nei limiti dati dalla scarsità del materiale a nostra disposizione, nonché dall’apparente contraddittorietà di alcune testimonianze.

I.

La vita leggendaria di Ferecide di Siro

Considerato da Aristotele1 come un autore che sta a metà strada tra teologia e filosofia, Ferecide di Siro fu autore di una Cosmogonia di cui ci rimangono solo poche testimonianze

e frammenti.

Peraltro anche riguardo la sua vita le notizie che ci sono pervenute sono assai scarse e di dubbia veridicità, spesso in contraddizione con gli eventi storici cui fanno riferimento, sia per datazione sia per aderenza alle vicende del periodo: ciò che di Ferecide conosciamo è poco e assai più attinente al mito che alla storia.

Per cominciare andremo a collocare la vita e l’attività di Ferecide all’interno di un adeguato contesto storico e culturale, soffermandoci sulla sua discussa collocazione tra il VI e il V secolo; a seguire tratteremo della effettiva identificazione di Ferecide come l’autore di una Cosmogonia.

Diogene Laerzio2 ed Eusebio3 riferiscono che era attivo durante la cinquantanovesima olimpiade (544/1 a.C.) e sembra, secondo il primo dei due, che dovesse aver ascoltato Pittaco, mitico sapiente che visse tra il 650 e il 570 a.C. circa.

1 Metaph. N 4 1091b 8 [s. 1 B 9] ἐπεὶ οἵ γε μεμειγμένοι αὐτῶν καὶ τῶι μὴ μυθικῶς ἅπαντα λέγειν οἷον Φ. καὶ

ἕτεροί τινες τὸ γεννῆσαν πρῶτον ἄριστον τιθέασι καὶ οἱ Μάγοι.

Mondolfo (cfr. Zeller-Mondolfo [1932] p.188 nota 1) risolve il problema sollevato riguardo il termine πρῶτον che sembrerebbe contraddire la trinità divina primordiale di cui tratta Ferecide nel suo testo, specificando che dire il primo non significa intendere l'unico generatore.

2 Pherecyd. Syr. Fr.5= A1 D-K 3 Pherecyd. Syr. Fr. 6 = A 1 a D-K

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4 La Suda lo pone come contemporaneo ai Sette Saggi e coevo al regno del re lidio Aliatte (605-560 a.C.) e fissa la sua data di nascita nella quarantacinquesima olimpiade.

Oltre ad essere associato ai Sette Saggi fu anche avvicinato ad alcuni dei primi filosofi come Talete, forse suo contemporaneo, e Pitagora, considerato in molte testimonianze suo discepolo.

È evidente che riguardo questo personaggio ci sia non poca confusione: ad infittire la nebbia che avvolge i dati essenziali della sua biografia, in primis le date ad essa pertinenti, vi è anche la presenza di altri contemporanei che sembrerebbero portare il suo stesso nome. Tutto ciò ha condotto gli studiosi a chiedersi con quali di costoro Ferecide sia identificabile. Già nel passo tratto da Diogene Laerzio troviamo traccia di questo dubbio quando si legge:

Ἄνδρων δ’ ὁ Ἐφέσιός φησι δύο γεγονέναι Φερεκύδας Συρίους, τὸν μὲν ἀστρο- λόγον, τὸν δὲ θεολόγον υἱὸν Βάβυος, ὧι καὶ Πυθαγόραν σχολάσαι. Ἐρατοσθένης

δ’ ἕνα μόνον, καὶ ἕτερον Ἀθηναῖον γενεαλόγον4

Scrive Diogene che secondo Androne di Efeso esistettero due Ferecide di Siro, l’astrologo e il teologo, figlio di Babis, e prosegue aggiungendo che d’altro canto Eratostene ritenne che in realtà i due di cui trattava Androne fossero la stessa persona e che l’altro Ferecide fosse piuttosto un genealogista di Atene.

Jacoby5 rifiuta la tesi di Wilamowitz6 secondo cui i lavori dei mitografi della Ionia erano generalmente ascritti a “Ferecide” allo stesso modo in cui i trattati di medicina erano ascritti a Ippocrate o le leggi a Solone.

Fowler7 in invece sostiene che il lavoro attribuito da Eratostene a Ferecide di Atene, debba ricondursi ad una miscellanea di racconti scritti da mani diverse. Il fatto che fosse ateniese, secondo lo studioso, è deducibile dalla predominanza nei suoi frammenti di miti e temi legati all’Attica.

Jacoby propende per l’idea che invece esistano due autori differenti, quello di Siro e quello di Atene. La questione è dibattuta: è possibile che i frammenti di argomento cosmogonico e

4 Diog. Laert. 1, 116 ss. “Androne di Efeso afferma che ci furono due Ferecidi di Siro, l’astrologo e il

teologo, figlio di Babis, di cui fu scolaro Pitagora. Eratostene ritiene che questi furono una stessa ersona e che l’altro fu un genealogo di Atene”. Trad. Gabriele Giannantoni.

5 F. Jacoby, TheFirst Athenian Prose writer, Mnemosyne, 13, Fasc. 1 (1947), pp. 13-64; 6 U. von Wilamowitz-Moellendorff, Pherekydes, SPAW, 1926, 125-146

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5 i frammenti molto più numerosi attribuiti a Ferecide ateniese riguardanti la mitologia dell’Attica, non fossero altro che parte di uno stesso βιβλίον; se stessero così le cose i frammenti attribuiti a Ferecide potrebbero essere interpretati come l’incipit di tale opera mitografica.

Addentrandoci più a fondo nel problema, possiamo infatti notare che il filologo tedesco innanzitutto sosteneva che non ci fossero regole precise che stabilissero che gli storici o i mitografi dovessero obbligatoriamente aprire le loro opere con una teogonia: questo in alcuni casi avveniva ed in altri casi non si verificava.

Jacoby forniva inoltre sorta di rassegna delle informazioni a noi giunte tramite le fonti

pervenuteci riguardo i vari “Ferecide” nominati.

Il primo è ovviamente Φερεκύδης Βάβυος Σύριος, il nostro teologo, autore dell’Eptamychos o Pentemuchos.

Jacoby ricorda come la sua esistenza non sia mai stata messa in dubbio e, per quanto riguarda la data, sostiene che, per far quadrare il rapporto tra il floruit nella cinquantanovesima olimpiade (544/1) e una nascita dunque intorno alla quarantanovesima (584/81), si debba cambiare il ME della suda in μθ seguendo Rohde. Sembra abbastanza certo che l’aver posto l’anno 544/3 a.C. per l’akmè di Ferecide sia basato sulla sua presunta relazione con Talete.

Questa ipotesi viene avvalorata anche dalla citazione ciceroniana:

itaque credo equidem etiam alios tot

saeculis, sed quod litteris exstet, Ph. Syrius primum dixit animos esse

hominum sempiternos, antiquus sane; fuit enim meo regnante gentili.8

“E quindi io credo che anche altri in tanti secoli, ma, per quanto risulta dai documenti scritti, per la prima volta Ferecide di Siro sostenne che le anime degl uomini sono

immortali. E certamente egli è antico: visse infatti quando regnava il mio lontano parente”. Trad. Gabriele Giannantoni.

Il regnante gentili di cui parla il famoso oratore è Servio Tullio che governò tra il 578 e il 535, date che corrisponderebbero effettivamente alla datazione sopra descritta. Jacoby passa poi a Ferecide di Siro, l’astrologo. Universalmente riconosciuto è che

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6 l’autore del Tripous - Androne di Efeso, personaggio di cui non si sa praticamente nulla ad eccezione del titolo della sua opera che doveva trattare dei Sette Saggi, tra cui Talete, Solone e Pittaco - inventò il Ferecide di Siro più antico sulla base di due dati. Si tratta in primo luogo dei vv. 406 e seguenti dell’Odissea: νῆσος τις Συρίη κικλήσκεται, εἲ που ἀκούεις, Όρτυγίης καθύπερθεν, ὃθι τροπαί ἡλίοιο9 e, secondariamente, una tradizione di Siro che connetteva l’eliotropio in qualche modo con Ferecide. In qualsiasi caso, il fatto che Androne pensasse che l’uomo che aveva usato l’eliotropio non fosse il teologo ma un astronomo che viveva prima di Omero non è un’ipotesi astrusa in toto; sicuramente l’Eptamychos non aveva a che fare con motivi o temi astronomici; sarebbe stato dunque giusto per Androne negare la connessione del teologo con l’eliotropio, ma probabilmente lo storico sentiva la necessità di dare un inventore all’eliotropio. Il più famoso personaggio che veniva chiamato Ferecide è Φερεκύδες Άθηναῖος γενεαλόγος a cui appartengono la maggior parte dei frammenti e che Eratostene conosce accanto al sirano, citato anche dalla Suda:

Φερεκύδης Ἀθηναῖος (πρεσβύτερος τοῦ Συρίου, ὃν λόγος τὰ Ὀρφέως συν- αγαγεῖν) ἔγραψεν Αὐτόχθονας (ἔστι δὲ περὶ τῆς Ἀττικῆς ἀρχαιολογίας) ἐν βιβλίοις ι,

Παραινέσεις δι’ ἐπῶν. Πορφύριος δὲ τοῦ προτέρου οὐδένα πρεσβύτερον δέχεται, ἀλλ’ ἐκεῖνον μόνον ἡγεῖται ἀρχηγὸν συγγραφῆς.

Ferecide ateniese (più vecchio di quello di Siro, di cui è tradizione che abbia raccolto gli scritti di Orfeo) scrisse un’opera Sugli autoctoni (concerne l’archeologia dell’Attica), in dieci libri, ed Esortazioni, in versi. Porfirio non è d’accordo che vi sia un altro Ferecide più

antico del precedente, ma soltanto quello ritiene sia stato l’iniziatore dello scrivere in prosa.

Traduzione Gabriele Giannantoni

La Suda, dunque, ci parla di un Ferecide di Atene che trattò argomenti riguardanti l’Attica e che precedette Ferecide di Siro. Anche nella porzione di testo di Diogene già citata si tratta della presenza di più personaggi di nome Ferecide.

È un fatto indiscusso che, almeno da Eratostene in poi, il genealogista ateniese fosse universalmente distinto dal teologo di Siro. Inoltre la distinzione conscia dei due scrittori

9 “Sirìa chiamano un’isola, se mai tu l’udivi, sotto Ortigia, dov’è il calare del sole” Trad. Rosa Calzecchi

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7 potrebbe essere attestata ancora prima se l'enumerazione degli storici antichi, a cui si appoggiarono Cicerone e Dionisio, fosse stata derivata in ultima analisi da Teofrasto. D'altra parte, non abbiamo notizia dell’identiciazione da parte di alcuno del teologo e del genealogista e, di nuovo, a giudicare dai dati in nostro possesso, è ragionevole ritenere che nessuno l’abbia operata.

Contro l’argomento di Wilamowitz, basato sul fatto che i frammenti riguardanti la mitografia dell’Attica sono scritti in dialetto ionico, Jacoby sottolinea che ciò non esclude una collocazione della sua origine ad Atene.

È vero che in questo caso Ferecide viene definito con l’aggettivo Ἀθηναῖος, ma è pur sempre vero, seguendo la spiegazione di Jacoby, che non è strettamente necessario che fosse nativo di Atene. Erodoto viene detto “di Turi”, ma nacque ad Alicarnasso.

Secondo Jacoby, Ferecide potrebbe pure essere nato a Siro ma essere ateniese per adozione e per questo sarebbe stato naturale per lui scrivere in dialetto ionico; qualora invece si accetti che egli era ateniese di nascita, l’adozione dello ionico si spiega in quanto nelle prime cinque decadi del quinto secolo il dialetto attico non sarebbe stato usato per un lavoro di letteratura. Acusilao non scrisse nel dialetto argivo, nemmeno Ellanico scrisse in eolico, e tutti i libri medici delle scuole di Cos e Cnido erano stati scritti in ionico.

Jacoby10 ribadisce dunque che il fatto che Eratostene parlasse apertamente del genealogista ateniese è sufficiente per accertare il fatto che il suo nome fosse elencato nelle Pinakes, e questo rende probabile che il nome ed il paese nativo fossero specificati nelle Historiai. Wilamowitz afferma che il lavoro è confuso e poco coerente e che quindi non può essere stato fonte di una sola mano; Jacoby ribatte sostenendo che questo non ha rilevanza e che se di Erodoto ci fossero arrivati solo frammenti casuali del suo testo, di lui avremmo potuto dire la stessa cosa, ovvero che il testo non era coerente e che vi si alternano passi riguardanti racconti mitici o perlomeno fantasiosi, come quello riguardante il re di Lidia Gige ed altri, per così dire, più propriamente storici.

Per giungere a una conclusione della lunga discussione sulla ipotesi di Wilamowitz sull'ateniese Ferecide e sui rapporti tra quest’ultimo e il teologo di Siro, possiamo affermare, in accordo con l’ipotesi di Jacoby, che non ci sono relazioni. È concepibile che i due omonimi autori siano stati confusi in epoca pre-ellenistica, ma non vi sono sostegni plausibili per tale ipotesi. La tradizione mostra evidentemente che c'erano due autori e due libri.

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8 L’ultimo Ferecide di cui tratta Jacoby è Ferecide Lerio, lo storico.

C’è almeno una citazione per cui l’autorità del leriano deve essere considerata molto seriamente. Clemente11 propone un passo di Ferecide di Siro che narra un avvertimento dato dal re scizio a Dario quando attraversò il Danubio. È risaputo che l’autore di questa storia non possa essere il siro non solo per ragioni di cronologia, ma anche perchè non ha alcun rapporto con l’oggetto del Pentemychos/Eptamychos.

Fowler sottolinea acutamente che la maggiore tendenza a citare quello di Siro specificando la sua etnia potrebbe indicare eventualmente che la menzione di Ferecide senza ulteriore specificazione

doveva rimandare, nell’opinione dei più, all’ateniese.

Toye12 tentò di riconoscere nel siro uno storico proprio come l’ateniese, sostenendo che l’assenza di specificazione etnica nella maggior parte delle citazioni sembra indicare che molti autori non fossero capaci di distinguere un Ferecide dall’altro ed inoltre, secondo il suo parere, ciò suggerirebbe che loro conoscessero solo un autore con quel nome. Secondo lo studioso, infatti, l’assenza della specificazione etnica nella maggioranza delle citazioni pare indicare, che molti autori antichi non fossero capaci di distinguere un Ferecide dall’altro, suggerendo pertanto che loro conoscessero solo un autore con quel nome.

Su tre punti della tesi di Jacoby si sofferma Toye, dicendo che per prima cosa essa non spiega l’assenza di informazioni biografiche riguardo l’ateniese; in secondo luogo che non bisognerebbe avere totale fede nelle parole di Eratostene, a suo parere molto poco attendibili; ed infine che la spiegazione della mancanza di qualificazione etnica nelle citazioni di “Ferecide”.

Toye inoltre sostiene, diversamente da Jacoby, che l’antica teologia e la genealogia non erano molto distinte come campi di studio nell’antichità. Bisogna però tenere presente che Ferecide di Siro era sì definito come il primo autore a scrivere in prosa, ma non il primo storico.

A Schibli13 si deve la distinzione tra Ferecide, primo prosatore, e Cadmo di Mileto, primo storico, basata su un passo di Plinio (H.N. 7, 205)14.

In verità, personalmente, sono dell’idea che Jacoby si sia espresso a ragion veduta. Non è possibile dare per scontato che ci fosse un solo Ferecide e che questo autore abbia scritto un testo sia

11 Strom. 5, 8, 44 = FGrHist 3 F 174.

12 D.L., Toye, Pherecydes of Syros: Ancient Theologian and Genealogist, Mnem., 59, 1997, 530-560;

13 H.S. Schibli, Pherekydes of Syros, Ann Arbor; 1984

14 Prosam orationem condere Pherecydes Syrius instituit Cyri regis aetate (559-529), historiam Cadmus

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9 cosmogonico che mitografico, dal momento che abbiamo testimonianze che ci parlano di due testi e di due autori distinti.

Inoltre non mi pare plausibile mettere insieme una cosmogonia particolare come quella ferecidea con una genealogia o mitografia legata strettamente ad Atene: i temi sono troppo diversi non tanto per tipologia di trattato ma proprio per argomento.

Di Ferecide sappiamo inoltre che fu figlio di un certo Babys, nome appartenente ad un gruppo di nomi dallo stemma Βαβ-, attestato in regioni che vanno dalla Frigia e dalla Galazia alla costa

ionica e alle isole.

Secondo L. Robert15, i nomi con la radice Βαβ- erano forme ipocoristiche, non solo nelle regioni asiatiche ma anche in Ionia, ad esempio, a Chio Βαβῆς e a Mileto Βάβων. West sottolinea l’origine anatolica di tale nome, utilizzando questo come prova a sostegno della sua ipotesi secondo cui su Ferecide doveva aver fatto presa l’influenza del pensiero e della cultura orientali. Intorno a questa figura quasi mitica della storia letterario-filosofica dell’antica Grecia si instaurarono, quindi, anche leggende fantasiose, che rendono chiaro quanto doveva essere stato famoso Ferecide non solo in quanto scrittore ma anche in quanto uomo straordinario.

Dal materiale a nostra disposizione, la figura di Ferecide si qualifica nel senso di un taumaturgo, autore di mirabilia. Come afferma Diogene Laerzio πολλὰ δὲ καὶ θαυμάσια λέγεται περὶ αὐτοῦ16 , molte e meravigliose cose si dicono riguardo costui. Diogene racconta come Ferecide passeggiando Ferecide sulla spiaggia di Samo, notò una nave che veleggiava e disse che dopo non molto tempo sarebbe affondata: ed essa andò a fondo proprio davanti a lui; una volta, dopo aver bevuto acqua tratta da un pozzo, predisse un terremoto; che andando da Olimpia a Messene, consigliò il suo ospite Perilao di andarsene e che dopo che questo si rifiutò, Messene fu conquistata.

Alcuni di questi racconti sembrano coincidere con miracoli attribuiti a Pitagora, come si può riscontrare sempre nello stesso passo quando Diogene riferisce che Teopompo nei suoi Mirabili scrisse che il nostro teologo esortò gli Spartani a non onorare nè l’oro nè l’argento; che questo gli era stato ordinato in sogno da Eracle, il quale nella stessa notte aveva ordinato ai re di ubbidire a Ferecide.

Secondo West tutti i racconti legati ad un possibile rapporto Ferecide-Sparta potrebbero derivare da Teopompo e, dunque, considera questa relazione “manifestamente astorico”. Ferecide non

15 L. Robert, Noms Indigenes in L'Asie-Mineur Greco-Romaine, Parigi, 1963. 16 Diog. Laer. 1.116.

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10 potrebbe aver avuto nulla a che fare con la riforma di “Licurgo” o con la guerra messenica. Il motivo di questa invenzione sarebbe più facile da comprendere se esistesse una qualche tradizione precedente su Ferecide a Sparta. Si tratterebbe così di una delle tante leggende sui visitatori famosi di Sparta nel settimo e sesto secolo. L’elenco include anche Epimenide e Anassimandro”17.

Interessante passo riguardante la confusione che vi era tra la figura di Pitagora ed il suo presunto maestro è quello di Teopompo riportato da Porfirio (Eusebio, Praeparatio Evangelica, x 3,6):

[...] ‘ταῦτ’ οὖν τοῦ Ἄνδρωνος περὶ Πυθαγόρου ἱστορηκότος πάντα ὑφείλετο Θεόπομπος [FGrHist. 115 F 70 II 549], εἰ μὲν περὶ Πυθαγόρου λέγων, τάχα ἂν καὶ ἕτεροι ἠπίσταντο περὶ αὐτοῦ καὶ ἔλεγον ‘ταὐτὰ <ἃ> καὶ αὐτὸς εἶπεν’· νῦν δὲ τὴν κλοπὴν δήλην πεποίηκεν ἡ τοῦ ὀνόματος μετά- θεσις. τοῖς μὲν γὰρ πράγμασι κέχρηται τοῖς αὐτοῖς, ἕτερον δ’ ὄνομα μετενήνοχε· Φερεκύδην γὰρ τὸν Σύριον πεποίηκε ταῦτα προλέγοντα· οὐ μόνον δὲ τούτωι τῶι ὀνόματι ἀποκρύπτει τὴν κλοπήν, ἀλλὰ καὶ τόπων μεταθέσει· τό τε γὰρ περὶ τῆς προρρήσεως τοῦ σεισμοῦ ἐν Μεταποντίωι ὑπ’ Ἄνδρωνος ῥηθὲν ἐν Σύρωι εἰρῆσθαί φησιν ὁ Θεόπομπος, τό τε περὶ τὸ πλοῖον οὐκ ἀπὸ Μεγάρων τῆς Σικελίας, ἀπὸ δὲ Σάμου φησὶ θεωρηθῆναι, καὶ τὴν Συβάρεως ἅλωσιν ἐπὶ τὴν Μεσσήνης μετα- τέθεικεν· ἵνα δέ τι δοκῆι λέγειν περιττόν, καὶ τοῦ ξένου προστέθεικε τοὔνομα Περίλαον αὐτὸν καλεῖσθαι λέγων.’18

Porfirio riporta che Teopompo si impossessò di tutto ciò che Androne aveva raccontato riguardo a Pitagora e che attribuì tutti i fatti della sua vita a Ferecide, cambiando alcuni dettagli come ad esempio i luoghi in cui erano avvenuti certe imprese per nascondere questa sorta di plagio. Ribadisce infatti che la predizione del terremoto a Metaponto Teopompo disse che fu espressa a Siro e che la navigazione non fu vista da Megara di Sicilia ma da Samo, e al posto della conquista di Sibari parla della conquista di Messene.

Dunque, da questo passo si evince che Porfirio non doveva essere troppo convinto della autorevolezza di Teopompo. West sostiene che l’unico che potrebbe rivendicare la posizione di primo autore greco di prosa potrebbe essere Anassimandro. Nel 547/6 a.C.

17 West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente, 1993, trad. ed ed. italiana a cura di Giovanni Giorgini p.32 18

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11 infatti doveva avere circa sessantaquattro anni, lasciò un’opera come è evidente non solo dalla menzione di Diogene di una “esposizione sommaria dei suoi dogmi”19 ma anche dalla citazione testuale di Teofrasto (DK 12 a9)20. Non si sa quando pubblicò il suo libro, probabilmente alla fine della sua vita ma, considerando l’assenza di qualsiasi testimonianza che lo individui come primo autore di prosa, è ragionevole seguire la tradizione dossografica che supporta Ferecide e ipotizzare una sua influenza su quello di Mileto.

Il titolo della sua opera viene citato in tre versioni dalla Suda:

ἔστι δὲ ἅπαντα ἃ συνέγραψε ταῦτα· Ἑπτάμυχος ἤτοι Θεοκρασία ἢ Θεογονία. ἔστι δὲ Θεολογία ἐν βιβλίοις ι [?] ἔχουσα θεῶν γένεσιν καὶ διαδοχάς.

“Queste sono tutte le cose che scrisse: Heptamychos o Teogonia o Teologia. Vi è una Teologia in dieci libri [?], che contiene la nascita e le successioni degli dèi”

Trad. Gabriele Giannantoni.

La prima opzione citata, ovvero Ἑπτάμυχος, è accolta da Kirk-Raven, Walcot, e Lisi, mentre West considera questa versione errata proponendo anzi la lettura di Pentemychos, come fecero anche Jaeger e Diels basandosi su quanto riferisce Damascio nelle righe seguenti:

Φερεκύδης δὲ ὁ Σύριος Ζάντα μὲν εἶναι ἀεὶ καὶ Χρόνον καὶ Χθονίαν τὰς τρεῖς πρώτας ἀρχάς ... τὸν δὲ Χρόνον ποιῆσαι ἐκ τοῦ γόνου ἑαυτοῦ πῦρ καὶ πνεῦμα καὶ

19 Diog. Laer. 2, 2.

20 SIMPLIC. Phys. 24, 13 (Z. 3-8 aus Teophrasts Phys. Opin. fr. 2 Dox 476) τῶν δὲ ἓν καὶ κινούμενον καὶ

ἄπειρον λεγόντων Ἀ. μὲν Πραξιάδου Μιλήσιος Θαλοῦ γενόμενος διάδοχος καὶ μαθητὴς ἀρχήν τε καὶ στοιχεῖον εἴρηκε τῶν ὄν- των τὸ ἄπειρον, πρῶτος τοῦτο τοὔνομα κομίσας τῆς ἀρχῆς. λέγει δ’ αὐτὴν μήτε ὕδωρ μήτε ἄλλο τι τῶν καλουμένων εἶναι στοιχείων, ἀλλ’ ἑτέραν τινὰ φύσιν (5) ἄπειρον, ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους· ἐξ ὧν δὲ ... τάξιν [B 1], ποιητικωτέροις οὕτως ὀνόμασιν αὐτὰ λέγων. δῆλον δὲ ὅτι τὴν εἰς ἄλληλα μεταβολὴν τῶν τεττάρων στοιχείων οὗτος θεασάμενος οὐκ ἠξίωσεν ἕν τι τούτων ὑποκείμενον ποιῆσαι, ἀλλά τι ἄλλο παρὰ ταῦτα· οὗτος δὲ οὐκ ἀλλοιουμένου τοῦ στοιχείου τὴν γένεσιν ποιεῖ, ἀλλ’ ἀποκρινομένων τῶν (10) ἐναντίων διὰ τῆς ἀιδίου κινήσεως.

“Di quanti dissero uno e mobile e indefinito (il principio), Anassimandro figlio di Prassiade, di Mileto, che fu successore e discepolo di Talete, “principio” ed elemento ha detto “delle cose che sono

l’indefinito” il primo ad avere introdotto questo nome del principio. E di esso non dice né che è acqua né un altro dei così chiamati elementi, ma una diversa natura indefinita, da cui proverrebbero tutti quanti i cieli ed i mondi in essi. “I fattori da cui…la disposizione del tempo” [B1], dicendo di queste cose così con noi alquanto poetici. Ed è chiaro che costui, all’osservazione del cambiamento dell’uno nell’altro dei quattro elementi pensò che non meritasse fare di uno di essi i sostrato, vensì di un atro oltre essi; costui poi non fa avvenire la generazione per alterazione dell’elemento fondamentale, ma col distaccarsi dei contrari nel corso dell’eterno movimento”. Trad. A. Lami.

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12 ὕδωρ ..., ἐξ ὧν ἐν πέντε μυχοῖς διηιρημένων πολλὴν ἄλλην γενεὰν συστῆναι

θεῶν, τὴν πεντέμυχον καλουμένην, ταὐτὸν δὲ ἴσως εἰπεῖν, πεντέκοσμον. 21

“Ferecide di Siro sostiene che Zas, Chrono e Chtonia sono eternamente i tre principi primi… che Chrono produce dal proprio seme fuoco, aria e acqua… e che da essi, divisi

in cinque recessi, derivi tutta la stirpe degli dèi, chiamata appunto πεντέμυχος o, che è la stessa cosa, di cinque mondi”

Trad. Gabriele Giannantoni.

Lisi accetta, tralasciando gli altri titoli come semplici riferimenti al contenuto dell’opera, il titolo della Suda dunque Eptamychos, ma di questo parleremo in seguito a proposito del significato e l’interpretazione dei mychoi.

Fino ad ora abbiamo considerato le poche informazioni che ci sono giunte riguardo la vita e i miracoli dell’autore di questa cosmogonia, ma la leggenda avvolge anche la sua morte. Riguardo ciò abbiamo tre testimonianze; la prima ci viene esposta da Diogene Laerzio:

φησὶ δ’ Ἕρμιππος [fr. 19 FHG III 40] πολέμου συνεστῶτος Ἐφεσίοις καὶ Μάγνησι βουλόμενον τοὺς Ἐφεσίους νικῆσαι πυθέσθαι τινὸς παριόντος πόθεν εἴη, τοῦ δ’ εἰπόντος ‘ἐξ Ἐφέσου’, ‘ἕλκυσόν με τοίνυν, ἔφη, τῶν σκελῶν καὶ θὲς εἰς τὴν τῶν Μαγνήτων χώραν, καὶ ἀπάγγειλόν σου τοῖς πολίταις μετὰ τὸ νικῆσαι αὐτόθι με θάψαι, ἐπεσκηφέναι τε ταῦτα Φερεκύδην’. ὁ μὲν <οὖν> ἀπήγγειλεν· οἱ δὲ μετὰ μίαν ἐπελθόντες κρατοῦσι τῶν Μαγνήτων καὶ τὸν Φερεκύδην μεταλλάξαντα θάπτουσιν αὐτόθι καὶ μεγαλοπρεπῶς τιμῶσιν. ἔνιοι δέ φασιν ἐλθόντα εἰς Δελφοὺς ἀπὸ τοῦ Κωρυκίου ὄρους αὑτὸν δισκῆσαι. Ἀριστόξενος δ’ ἐν τῶι Περὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν γνωρίμων αὐτοῦ [fr. 3 FHG II 272] φησι νοσήσαντα αὐτὸν ὑπὸ Πυθαγόρου ταφῆναι ἐν Δήλωι. οἱ δὲ φθειριάσαντα τὸν βίον τελευτῆσαι· ὅτε καὶ Πυθαγόρου παραγενομένου καὶ πυνθανομένου, πῶς διακέοιτο, διαβαλόντα τῆς θύρας τὸν δάκτυλον εἰπεῖν· ‘χροῒ δῆλα’. καὶ τοὐντεῦθεν παρὰ τοῖς φιλολόγοις ἡ λέξις ἐπὶ τῶν χειρόνων τάττεται, οἱ δ’ ἐπὶ τῶν βελτίστων χρώμενοι διαμαρτάνουσιν. ἔλεγέ τε ὅτι οἱ θεοὶ τὴν τράπεζαν θυωρὸν καλοῦσιν [B 12].

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13 In questo passo si narra che essendovi stata guerra tra gli Efesini e Magnesi, Ferecide chiese, per far vincere gli Efesini, di trascinarlo per le gambe e lasciarlo a Magnesia, annunciando ai suoi concittadini che dopo la vittoria lo seppellissero lì. Dopo l’annuncio, sconfissero i Magnesi e dunque lo seppellirono con grandi onori. Diogene prosegue raccontando poi una seconda versione, secondo cui l’autore dell’Eptamychos si recò a Delfi e si gettò dal monte Coricio. La terza versione sarebbe riportata da Aristosseno che sembrerebbe aver affermato che Ferecide, dopo essersi ammalato, fu seppellito da Pitagora a Delo. Infine vi è menzionata la morte per colpa dei pidocchi e si sottolinea che quando Pitagora si recò a Delfi, il saggio maestro fece passare un dito attraverso l’apertura della porta e disse “Appare la pelle”.

La Suda riporta che τελευτᾶι ὑπὸ πλήθους φθειρῶν, morì per una gran quantità di pidocchi. In Diodoro si legge:

ὅτι Πυθαγόρας πυθόμενος Φερεκύδην τὸν ἐπιστάτην αὐτοῦ γεγενημένον ἐν Δήλωι νοσεῖν καὶ τελέως ἐσχάτωςἔχειν, ἔπλευσεν ἐκ τῆς Ἰταλίας εἰς τὴν Δῆλον. ἐκεῖ δὲ χρόνον

ἱκανὸν τὸν ἄνδρα γηροτροφήσας πᾶσαν εἰσηνέγκατο σπουδήν, ὥστε τὸν πρεσβύτην ἐκ τῆς νόσου διασῶσαι. κατισχυθέντος δὲ τοῦ Φερεκύδου διὰ τὸ γῆρας καὶ διὰ τὸ μέγεθος τῆς νόσου, περιέστειλεν αὐτὸν κηδεμονικῶς, καὶ τῶν νομιζομένων ἀξιώσας ὡσανεί

τις υἱὸς πατέρα πάλιν ἐπανῆλθεν εἰς τὴν Ἰταλίαν. PORPH. V. Pyth. 56 (nach ἐπιβουλῆι c. 14, 16) Φερεκύδην γὰρ πρὸ τῆς ἐκ Σάμου ἀπάρσεως τελευτῆσαι.22

Questo passo ricorda quello di Diogene poiché racconta di come Pitagora, avendo saputo che Ferecide, suo maestro, era malato a Delo avesse navigato fino all’isola e di come si fosse preso cura di lui. Diodoro prosegue riferendo della sepoltura del maestro da parte del suo allievo. Importante anche la conclusione del passo, in cui si dice che Φερεκύδην

22 DIOD. X 3, 4 [aus Aristoxenos s. c. 14, 8] “Pitagora, avendo saputo che Ferecide, suo maestro, era malato

a Delo ed era in fin di vita, navigò dall’Italia alla volta di Delo. Lì si prese cura per qualche tempo di quel vecchio e gli prodigò ogni cura per salvarlo dalla malattia. Ma Ferecide fu vinto dalla vecchiaia e dalla gravità della malattia e Pitagora lo seppellì con ogni zelo e, avendogli reso tutti gli onori che di norma un figlio attribuisce al padre tornò in Italia. Porphyr. V. Pyth. 56 [dopo ciò che è riportato al cap. 14,16]. Ferecide morì prima della partenza da Samo”. Trad. Gabriele Giannantoni

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14 γὰρ πρὸ τῆς ἐκ Σάμου ἀπάρσεως τελευτῆσαι, Ferecide morì prima della partenza da Samo.

Alla luce di queste testimonianze bisogna considerare alcuni punti. Innanzitutto che il conflitto tra Efeso e Magnesia di cui tratta Diogene è precedente al periodo in cui Ferecide era in vita per cui non può essere considerato un fatto accertato.

Bisogna poi chiedersi se la tradizione dei contatti tra Ferecide ed il suo celebre allievo sia frutto o possa avere fondamento, anche se i fatti possono essere stati poi, in maniera più o meno accentuata, romanzati.

Circa la presenza di Pitagora vicino a Ferecide nei suoi ultimi giorni, la notizia citata è oggetto di attenzione al fine di chiarire la datazione dell’evento, che spiegherebbe, secondo Nicomaco (VP 251,2), l’assenza di Pitagora alla riunione tenuta dai suoi seguaci nella casa di Milone in quanto recatosi a Delo per assistere Ferecide. Secondo una discussa tradizione, i seguaci di Cilone, eminente politico antipitagorico crotoniate, diedero alle fiamme la casa e solo due discepoli di Pitagora si salvarono: Archippo e Liside, quest’ultimo, maestro di Epaminonda, morto nel 379.

Stante la difficoltà innanzitutto di chiarire se le rivolte furono più di una e in che periodo siano avvenute, bisogna considerare quanto segue: datare il rogo intorno alla metà del quinto secolo, che appare la tesi più avvalorata dalle testimonianze, esclude la presenza del Maestro per motivi puramente anagrafici. La morte di Ferecide pertanto non può essere contemporanea a tali avvenimenti.

È possibile che la morte di Pitagora fosse già avvenuta agli albori del quinto secolo, subito dopo la presa di Sibari, e probabilmente durante il suo volontario esilio a Metaponto23. “Aristosseno colloca il seppellimento di Ferecide negli anni giovanili di Pitagora”24. Anche le notizie anzidette sulla premura di Ferecide nei confronti del suo maestro ben si addicono a un’età giovanile di quest’ultimo. E’ in ogni caso congruente e possibile la presenza a Delo di Pitagora in una data non precisata ma collocabile tra il 544 (data della akmè di Ferecide secondo quanto riportato da Diogene) e i due decenni successivi (530/20 a.C.). Von Fritz argomentò tuttavia che la connessione fosse un prodotto di fantasia, Ferecide doveva essere più giovane di Talete e contemporaneo di Anassimandro. Si deve purtroppo constatare che, in base alle testimonianze rimaste, la cronologia della

23 Per tutti i dati riguardo le testimonianze cfr. B. Centrone, Introduzione ai Pitagorici, Roma, 1996 24 B. Centrone, Introduzione ai Pitagorici, Roma, 1996, p.42

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15 vita di Ferecide risulta incerta, ma che un’interazione di qualche genere tra i due, per contatto diretto o no, è ampiamente possibile.

Dunque, la cosa che risulta chiaramente dai numerosi racconti riguardanti la morte del taumaturgo è che sicuramente doveva essere stato un personaggio di spicco, conosciuto e connesso bene o male ai pitagorici; sicuramente questa relazione con il filosofo di Samo che abbiamo già potuto sottolineare parlando dei suoi leggendari miracoli, è dovuta proprio a un’affinità oggettivamente esistita. Entrambi considerati taumaturghi, quasi santoni, che si occupavano di questioni filosofiche ma anche spirituali.

La dottrina che giustifica una connessione storica è quella della metempsicosi che sarà oggetto di attenzione nei prossimi capitoli.

II. La cosmogonia ferecidea

Dopo aver trattato in generale della vita di Ferecide, non certamente in maniera risolutiva, attraverso una analisi che indica vari approfondimenti possibili, prenderemo ora in considerazione le testimonianze e i frammenti che ci sono pervenuti riguardanti la sua cosmogonia o teologia. L’importanza di quest’opera è che doveva trattarsi di una cosmogonia atipica, fuori dagli schemi, totalmente slegata dalla tradizione arcaica in cui figurava una concezione prettamente antropomorfizzata delle divinità.

Iniziamo con l’osservare che, rispetto alle divinità orientali, il ricorso all’etimologia del nome per ciò che riguarda gli dèi greci non consente di capirne la funzione connessa al mondo fisico, come pure la raffigurazione degli stessi ha un rapporto assai ridotto con il mondo reale, in particolare con quello animale, laddove i popoli confinanti hanno tratto dalla fauna per le loro divinità non solo le caratteristiche prevalenti, ma anche l’insieme della figura, ed il nome ha uno stretto legame con l’essere rappresentato.

Nella cultura religiosa greca le divinità sono rappresentate con caratteristiche sia fisiche che psichiche prettamente umane, seppur elevate ad una super essenza, alla loro massima espressione: rappresentano un ideale irraggiungibile.

Per i Greci dunque gli dèi, con i loro nomi, rappresentavano personaggi con specifiche caratteristiche: in Omero questa visione del mondo emerge con evidenza. Nei poemi omerici, e soprattutto nell’Iliade, gli dèi prendono parte attiva alle vicende umane, scendendo dal loro piedistallo fino ad assumere i tratti e i comportamenti più deteriori dell’uomo.

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16 In Omero il confine tra nome e concetto è ben limitato. Le personificazioni omeriche greche arcaiche creano divinità a metà tra dèì individuali e sfere della realtà, come avviene per le divinità primordiali all’interno della Teogonia di Esiodo. Solone per primo sembra criticare questa posizione religiosa arcaica, considerando gli dèi omerici come anti-educatori, come controproducenti ai fini dell’educazione e della crescita di una società. Così scrive Burkert25: “Il paradosso diventa così il tratto essenziale: gli dei greci sono persone, e non astrazioni, idee, concetti; theòs può essere predicato, il nome di un dio nel racconto mitico è soggetto”. In Ferecide questa ambivalenza tra persona e divinità-concetto sembra intrecciarsi straordinariamente in un mescolamento di parti che ha del meraviglioso per l’epoca in cui doveva essere stata concepita e scritta la sua opera.

Le divinità sono personaggi mitici, spiriti concettuali, rappresentano una mitologia precisa; elementi esiodei, orfici e pitagorici si rimescolano in una cosmogonia tutta personale che sta in bilico tra il mitologico e il razionale. In questo capitolo ci soffermeremo dunque a guardare più da vicino come i personaggi citati nelle fonti, anche se limitati nel numero, e le loro vicende, possano risultare affascinanti.

II.1 Il βιβλίον

Il testo aveva forma narrativa e tramite un lungo lavoro di mitopoiesi doveva poi spiegare non solo la nascita del mondo ma anche tutte le sue fattezze e la sua effettiva struttura, specificare i compiti degli dèi e concentrarsi sulla questione del destino delle anime dopo la morte.

Della composizione dell’opera sappiamo poco; ci si interroga su quanto spazio avrebbe dovuto occupare: probabilmente l’intera opera non era particolarmente estesa, anche se la testimonianza di Diogene Laerzio che la definisce come βιβλίον non deve per forza essere intesa come opera formata da un unico volume. Giuseppe Flavio26 a tal riguardo afferma che vi era un generale accordo sul fatto che Ferecide, Pitagora e Talete avessero imparato dagli Egizi e dai Caldei ed avessero scritto poco. La Suda è di tutt’altra idea quando ci parla della presenza di ben dieci libri dello scritto ferecideo. Ma è ampiamente accettato che tale affermazione rappresenta una mera confusione con l’omonimo storico ateniese del quinto secolo, dal momento che poche righe più avanti su di lui vengono riferite le stesse informazioni.

25W. Burkert, La religione greca, Milano 2003, p. 353;

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17 Abbiamo già accennato ai problemi che sorgono quando si prova a definire con precisione quale titolo dovesse aver avuto l’opera cosmogonica. Il lessico della Suda ci offre più di una opzione: Ἑπτάμυχος ἤτοι Θεοκρασία ἢ Θεογονία. West ritiene che Ἑπτάμυχος sia un errore e che andrebbe sostituito con Πεντέμυχος; sostiene inoltre che questo termine sia da interpretare come un aggettivo attributivo riferito ad uno dei termini che seguono. ἤτοι, poi, a questo stadio della lingua greca doveva significare “o…(oppure)” o, in alternativa “cioè”, e questa seconda traduzione risulterebbe inadatta.

A suo parere Πεντέμυχος di per sè sarebbe alquanto strano come titolo per un libro. Concentrandosi sul termine Θεοκρασία West porta prove del fatto che tale espressione sembra non essere stata inventata se non in epoca posteriore e che quindi sarebbe stato difficile trovarla al principio dell’opera ferecidea.

Ma cosa si intende con μυχός? I termini composti Πεντέμυχος ed Ἑπτάμυχος, infatti, non possono essere compresi se non a partire dal contenuto del βιβλίον, in quanto i μυχοί (recessi) erano una parte fondamentale della struttura e della creazione del cosmo descritto dal sapiente di Siro. Per chiarire la questione dei recessi bisogna fare un salto in avanti e per fare questo anticiperemo brevemente alcune questioni riguardanti il contenuto del testo. Secondo le testimonianze che ci sono pervenute, la prima e principale fase della creazione cosmica è messa in atto da Chronos, divinità che ricorda per nome il Krono esiodeo ma che evidentemente se ne distacca per quanto riguarda il ruolo che rappresenta. Considerato uno dei primi tre dèi e/o principi esistenti, Chronos sparge il suo seme ἐν πέντε μυχοῖς, in cinque recessi.

Dal proprio seme Chronos creò il fuoco, il vento e l’acqua che furono distribuiti in cinque recessi, e da essi sorse un certo numero di dèi27. I recessi sembrano dunque rappresentare antri bui che richiamano alla mente una sorta di grembo materno in cui si troverebbero a svilupparsi i “figli” di Chronos. Dunque nel testo riportato si parla di cinque μυχοί, non sette.

Ferecide però, secondo West, se avesse voluto intitolare la sua opera “I cinque recessi” non avrebbe usato il termine proposto dalla Suda ma piuttosto avrebbe scritto Pentamuchos. West solleva problemi sia di traduzione sia di numeri: infatti la Suda parla di sette recessi, non di

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18 cinque. Prestando fede a Damascio, West suppone che Ferecide potesse aver unito un’idea puramente teologica - il seme del Tempo che in cinque grembi produce cinque dèi differenti - ad un modo di pensare fisico: il seme contiene fuoco, vento, acqua, ovvero caldo, bagnato ed animato. Sembrerebbe quindi riportare più ad una unione, una commistione che farebbe tornare in mente la parola Θεοκρασία.

La nozione di krasis, così familiare nell’insegnamento stoico e neoplatonico riguardo l’anima, non era estranea alla speculazione cosmogonica arcaica. Empedocle derivava tutte le cose dalla combinazione, unione, di quattro elementi primari, mentre Anassagora aveva postulato innumerevoli semi del mondo che esistevano in un originario stato di

mescolamento. Probabilmente la teoria del mescolamento di fuoco aria e acqua nella Teogonia di Ferecide potrebbe costituire la premessa di una più sviluppata idea di krasis da cui i cosmogonisti più tardi trarranno spiegazione circa l’origine e la composizione del cosmo. Walcot però riprende tale questione e, utilizzando paralleli con la mitologia orientale, propende per l’utilizzo di Ἑπτάμυχος. Lo studioso si chiede se West avesse a ragione optato per ridurre il numero dei recessi riportato dalla Suda (i sette recessi a cui si riferirebbe la definizione Eptamuchos) o se invece si fosse trovato nel torto. Walcot trova un parallelo della mitologia ferecidea all’interno del ciclo ugaritico di Baal Ugarit in cui la dea Anat fa visita ad El, e le viene risposto facendo riferimento a sette camere (Baal 5.5.11-12 ). Aggiunge che il mito di Baal include vari punti di incontro con la cosmogonia ferecidea: lo scontro tra Baal e Yam, un dio del mare figlio di El, ed addirittura la

costruzione di un palazzo per lui. Questa somiglianza viene spiegata tramite la

testimonianza della Suda in cui si può leggere che Ferecide usò i libri segreti dei Fenici e Filone di Biblo dice che derivò la sua ispirazione da essi per quanto riguardava la storia di Ofione e degli Ofionidi. Secondo Walcot dunque Filone avrebbe comparato El a Chronos.

A mio parere, mettendo insieme ciò che si conosce dell’argomento del testo ed i possibili titoli proposti dalla Suda, è inevitabile dover riconoscere che esistano varie opzioni. È possibile che in parti del testo non pervenuteci la trattazione concernesse la presenza di ulteriori recessi, sorti in fasi posteriori del processo di creazione del mondo; ma almeno per ora, in assenza di testimonianze relative, questa rimane una supposizione. Peraltro non è da escludere che, come suggerisce Preller28, sia da sottoporre ad emendamento il termine

28 L. PRELLER, Studien Zur Griechischen Litteratur, in <Rheinisches Museum für Philologie>, 4, 1845, pp.

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19 Eptamuchos riferito dalla Suda, e pertanto la stessa citerebbe i cinque recessi. In tal caso il titolo si riferirebbe a quei recessi di cui abbiamo notizia e che, effettivamente, fanno parte della prima generazione di dèi secondo Ferecide, posti presumibilmente all’inizio dell’opera. È pur probabile che Ferecide non abbia dato un titolo all’opera ma che abbia scritto una sphragis di cui non ci è arrivata notizia.

II.2 I principi primi del mondo

L’uomo ha passato la sua millenaria esistenza ad interrogarsi su una grandissima varietà di questioni: i nostri perchè sono infiniti, ma fin dalla fanciullezza dell’umanità si è cercato di dare risposta a queste domande. Munitz29, si concentra proprio sullo sviluppo e sull’evoluzione che ha compiuto la ricerca della cosmologia dall’epoca più antica, che coincide con quella qui in esame, fino ai giorni d’oggi.

Munitz pone i Presocratici ed in particolare i primi Ionici, i Pitagorici e gli Atomisti, nella prima fase di questa grandiosa storia. Costoro fecero il primo salto verso una spiegazione diremmo oggi scientifica della nascita del cosmo. Dal mito alla ragione, dal dionisiaco all’apollineo, ma è proprio con il mito che essi riuscirono a staccarsi da una visione prettamente ingenua del mondo.

Ferecide sta dunque in bilico tra queste due fasi, ancora agganciato alla tradizione antropomorfica delle religioni più antiche, ma con lo sguardo fisso verso un futuro più, per così dire, illuminato.

La sua diversità, la peculiarità della sua opera, ciò che lo distingue dagli altri cosmogonisti e mitografi dell’epoca, è evidente fin dall’inizio; Diogene Laerzio riporta le prime righe del testo:

Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, I, 119 [S. I 44, 7] Ζὰς μὲν καὶ Χρόνος ἦσαν ἀεὶ καὶ Χθονίη· Χθονίηι δὲ

ὄνομα ἐγένετο Γῆ, ἐπειδὴ αὐτῆι Ζὰς γῆν γέρας διδοῖ.

“Zas dunque e Chronos furono sempre ed anche Chtonia: ma a Chtonia toccò il nome di Ge, dopo che Zas la onorò dandole la terra in dono”.

Traduzione di Gabriele Giannantoni

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20 Con l’incipit della cosmogonia, riportato da Diogene, ci si apre un mondo nuovo per la Grecia del sesto secolo: c’è un enorme distacco dalla teogonia più puramente ellenica, ovvero quella di Esiodo. Qui si vuole stabilire il nascere di una cosmogonia e della teogonia che ne consegue, si vuole dare inizio a una genealogia divina, ad una creazione cosmica, partendo però da presupposti eminentemente filosofici. Esiodo infatti non scrisse che “in principio fu il cosmo”, bensì si accinse a creare una genealogia divina proprio a partire dalla generazione, o perlomeno utilizzò il verbo γίγνομαι: ἤτοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ’. Il fatto che Ferecide abbia voluto utilizzare il verbo essere ed abbia posto queste tre divinità come eterne ci colpisce in maniera particolare. Zas, Chtonie e Chronos sembrano infatti non essere pure divinità, ma veri e propri principi. Tra questi è ovviamente il Tempo.

II.2.1 Chronos.30

Kronos è una delle divinità più importanti per le teogonie antiche. Nacque insieme alle razze mostruose dall’unione di Gea ed Urano e dunque di Terra e Cielo. Urano, avendo in odio i figli, li trattenne nel grembo materno fino a che la dea Terra non istigò l’ultimo di essi, il nostro divino Crono, a vendicarsi. L’evirazione del padre da parte del figlio diede vita ad altre divinità come le Erinni, i Giganti ed Afrodite. Crono venne poi a sua volta spodestato dal figlio Zeus e con questo iniziò la generazione ed il potere degli dèi classici.

Questa è la versione esiodea31 in cui Crono inizia ad esistere in una fase sicuramente arcaica della genealogia degli dèi, ma sicuramente non primaria e primordiale come il Chronos ferecideo. Ci si domanda quale rapporto ci fosse tra queste due rappresentazioni del divino Kronos. La terminologia classica alterna l’uso dei due nomi associati a tale divinità, Kronos e Chronos. Sembra che all’interno della mitologia tradizionale non ci fosse alcuna differenza, e che dunque si usassero alternativamente senza alcuna ripercussione sulla storia della figura mitica. Il punto qui però è che Ferecide non usava per niente le terminologie e le definizioni in maniera casuale: tutto appare essere studiato nel minimo dettaglio.

30 P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque : histoire des mots, 1968, s.v. χρόνος, ὁ:

Evidenzia il diverso valore semantico che pone χρόνος in opposizione a καιρός ed a αὶών, suggerendo una accezione simile all’avestico zrvan “tempo, durata

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21 È risaputo che nella mitologia greca il nome del padre di Zeus veniva alternato nella sua grafia. si può trovare indistintamente Kronos e Chronos, ma sembra che questo debba restare slegato dal concetto del tempo. Kronos è stato riportato in alcuni casi alla stessa radice del verbo kraino (governare), ma già nell’antichità lo si può vedere associato superficialmente al termine Chronos, ovvero tempo. Nella cosmogonia ferecidea invece notiamo che l’utilizzo di un nome piuttosto che un altro è legato ad un attento esame etimologico.

Queste tre divinità sembrano nascere, o meglio, esistere come principio e svilupparsi come dèi. Primo tra tutti Chronos, il Tempo. La discussione riguardante questo termine in Ferecide raramente omette la citazione del frammento di Anassimandro κατά τήν τοῦ χρόνου τάξιν. La base della comparazione in linea massima riposa sulla menzione del tempo da parte di entrambi gli autori in un contesto cosmologico. Plutarco32 aveva già affermato che la connessione tra i due termini era comune tra i greci: ὥσπερ Ἕλληνες Κρόνον ὰλληγόρουσι τόν χρόνον.

Martinez Nieto33 intravede nella capacità di produrre propria di Chronos l’elemento concreto di questo dio-principio-entità. Inoltre a partire dall’evoluzione degli altri tre principi che man mano che compiono azioni si trasformano e cambiano anche nome, la studiosa arriva a sostenere che la stessa cosa potrebbe essere accaduta al termine Chronos dopo la creazione primordiale dei cinque recessi. Nello specifico il principio demiurgico Χρόνος muta il suo nome in Κρόνος e dunque una volta avvenuta la creazione, si passa da una concezione filosofico razionale del Tempo alla figura mitica. In tal modo si crea un gioco etimologico che porta alla definizione di due principi: il Χρόνος come principio primordiale e Kronos come divinità antropomorfa.

Interessante notare in questo passo come la Martinez Nieto abbia interpretato Chronos quale principio creatore e demiurgico quando di solito, all’interno dell’opera ferecidea, tale principio viene associato di norma a Zas in quanto Chronos sembrerebbe più creare nel senso di dare vita mentre, come vedremo in seguito, Zas plasmerà, creerà in un senso più artistico un vero e proprio mondo, procedendo ad una effettiva opera demiurgica nel senso platonico del termine.

32 Plut., De Iside et Osiride 363, D

33 R.B. Martinez Nieto, La aurora del pensamiento griego: las cosmogonias prefilosoficas de Hesiodo,

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22 Schibli sostiene che sia nel sistema cosmico di Anassimandro sia in quello di Ferecide, Chronos è un principio ordinatore. Rimane la differenza che in Ferecide il tempo è un creatore originario dell’ordine mondiale, mentre in Anassimandro è preservatore e regolatore dell’ordine del mondo ma lontano dalla vera e propria creazione.

Damascio, De principiis 124b [I 321 R. aus Eudemos fr. 117] Φερεκύδης

δὲ ὁ Σύριος Ζάντα μὲν εἶναι ἀεὶ καὶ Χρόνον καὶ Χθονίαν τὰς τρεῖς πρώτας ἀρχάς ... τὸν δὲ Χρόνον ποιῆσαι ἐκ τοῦ γόνου ἑαυτοῦ πῦρ καὶ πνεῦμα καὶ ὕδωρ ..., ἐξ ὧν ἐν πέντε μυχοῖς διηιρημένων πολλὴν ἄλλην γενεὰν συστῆναι

θεῶν, τὴν πεντέμυχον καλουμένην, ταὐτὸν δὲ ἴσως εἰπεῖν, πεντέκοσμον.

Chronos produsse dal proprio seme fuoco, soffio e acqua e da questi, dopo essere stati divisi in cinque recessi, si costituì un’altra progenie di dèi, quella chiamata dei “cinque recessi”. Tutto ciò riporta alla mente vari paralleli all’interno della mitologia greca (una per tutte la famosa storia di Urano dal quale, dopo che era stato evirato, nacque Afrodite dai suoi soli genitali) ma anche altre situazioni sottolineate da West34, rilevabili nella mitologia orientale.

Schibli, andando a ritroso e considerando da vicino i passi ferecidei, sostiene la possibilità che l’autore tenesse in considerazione il mondo descritto da Omero divisibile in cinque regioni abitate dai vari dèi del mito. Sostiene infatti che la nascita nei cinque recessi degli dèi comporterebbe di conseguenza anche la simultanea creazione delle cinque regioni in cui essi si trovano; dunque la divisione del cosmo è una sorta di ordinamento in cui i μυχοί potrebbero essere considerati come principi strutturali simili ai kosmoi di Anassimandro.

L’ordine presuppone anche un materiale che può essere modellato e distribuito. Da ciò risulta che anche solo con la presenza dei primi tre principi e con la prima generazione

34M. L. West, La filosofia greca arcaica e l’Oriente, Bologna, 1993, trad. Giovanni Giorgini p. 63;

"Consideriamo ora la cosmogonia zoroastriana. Essa viene esposta con maggiore completezza dagli scrittori armeni Eliše Vardapet e Eznik di Kolb (quinto secolo d.C.), ma è possibile dimostrare come gli elementi più rilevanti per la nostra indagine siano molto più antichi. In principio non esisteva nulla tranne Zurvān, cioè il Tempo, concepito come un agente divino. Egli, unendosi sessualmente con se stesso, generò i fratelli gemelli Ohrmazd e Ahriman. Ahriman creò i demoni e tutto ciò che è male, mentre Ohrmazd creò il cielo e la terra e tutto ciò che è bene. " Del lavoro di West e del suo tentativo di creare uno stretto legame tra l'oriente e le cosmogonie orfiche tratteremo poi nel terzo capitolo;

(23)

23 degli dèi Ferecide ottiene ipso facto una definizione, tramite il mito, della nascita spontanea dello Spazio attraverso il Tempo. I recessi, presentati come delle caverne buie, potevano apparire un luogo appropriato per il mescolamento degli elementi, quasi un vero e proprio fenomeno di riproduzione. Questi recessi del mondo corrisponderebbero ad un grembo materno.

Ferecide dunque riporta ad una accezione mitica quello che in realtà sembrerebbe riconducibile ad una spiegazione naturale della nascita del mondo, ovvero generazione prodottasi da elementi nati dal tempo e che con la loro iniziale commistione produssero un infinito cosmo diviso in porzioni specifiche. Schibli però va oltre e, nel tentativo di dare una vera e propria natura a questi recessi, si addentra più a fondo nel problema alla ricerca di cosa doveva essere nato in quegli antri.

Secondo Schibli si possono individuare alcune regioni del mondo che erano anche considerate divinità dai Greci, e vere divinizzazioni di elementi naturali, che si sposerebbero bene con questa concezione bipartita di divinità-concetti, divinità-luoghi, divinità-entità: Urano, Tartaro, Caos ed Etere o Aer.

Origene Contra Celsum, VI 42 [II 111, 13 K.]

Φερεκύδην δὲ πολλῶι ἀρχαιότερον γενόμενον Ἡρακλείτου μυθοποιεῖν στρατείαν στρατείαι παραταττομένην καὶ τῆς μὲν ἡγεμόνα Κρόνον <ἀπο>διδόναι, τῆς ἑτέρας δ’ Ὀφιονέα, προκλήσεις τε καὶ ἁμίλλας αὐτῶν ἱστορεῖν, συνθήκας τε αὐτοῖς γίγνεσθαι, ἵν’ ὁπότεροι αὐτῶν εἰς τὸν Ὠγηνὸν ἐμπέσωσι τούτους μὲν εἶναι νενικημένους, τοὺς δ’ ἐξώσαντας καὶ νικήσαντας τούτους ἔχειν τὸν οὐρανόν. τούτου δὲ τοῦ βουλήματός φησιν ἔχεσθαι καὶ τὰ περὶ τοὺς Τιτᾶνας καὶ Γίγαντας μυστήρια θεομαχεῖν ἀπαγγελλομένους, καὶ τὰ παρ’ Αἰγυπτίοις περὶ Τυφῶνος καὶ Ὥρου καὶ Ὀσίριδος.

“Ferecide, che è molto più antico di Eraclito, favoleggia di un esercito contrapposto ad un altro esercito, e dell’uno mette a capo Crono e dell’altro Ofioneo; e narra delle loro sfide e delle loro lotte, e come tra loro intercorressero accordi tali, per cui quelli di loro

che li avevano cacciati e sconfitti, questi possedessero il cielo. Al disegno di costui si attengono sia i misteri riguardanti i Titani e i Giganti che annunciano la guerra contro

gli dèi, sia, presso gli Egiziani, i misteri riguardanti Tifone, Oro e Osiride”. Traduzione di Gabriele Giannantoni

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24 Viene qui riferito che Ferecide raccontò di una battaglia tra Chronos ed Ofioneo per il possesso del cielo, di οὐρανός. Secondo la teogonia esiodea Urano è il secondo nato, dopo Gea sua madre e moglie, ed ha dunque un posto tra i creatori dell’universo: i miti che gli ruotano intorno sono tanto particolari quanto affascinanti, ma sempre legati alla visione antropomorfica delle divinità.

Urano non è propriamente citato come un dio, ma piuttosto come una regione ed è per questo che Schibli lo avvicina alla distribuzione dei recessi ed alla prima generazione di divinità. Effettivamente, come abbiamo visto, Urano è sia una regione che una divinità primordiale. In Omero, Urano è disegnato sullo scudo di Achille che è stato avvicinato e paragonato al mantello che, come vedremo in seguito, Zas donerà a Chtonia durante il loro matrimonio, mantello su cui, per l’appunto, è disegnata la terra. Sul manto di Chtonia si dice essere rappresentata la terra ed Oceano ma non Urano, questo perchè Uranos non inizia ad esistere durante la seconda generazione (che nascerebbe proprio con questo gesto del dono del mantello), ma, sostiene Schibli, nella prima, come uno dei μυχοί durante la generazione dei cinque recessi.

Origene, Contra Celsum, VI 42 [II 112, 20 K.] ταῦτα δὲ τὰ Ὁμήρου ἔπη οὕτω νοη-

θέντα τὸν Φερεκύδην φησὶν εἰρηκέναι τὸ ‘κείνης δὲ τῆς μοίρας ἔνερθέν ἐστιν ἡ ταρταρίη μοῖρα· φυλάσσουσι δ’ αὐτὴν θυγατέρες Βορέου Ἅρπυιαί τε καὶ Θύελλα· ἔνθα Ζεὺς ἐκ-

βάλλει θεῶν ὅταν τις ἐξυβρίσηι’.

“Dice inoltre che Ferecide, avendo inteso a questo modo questi versi di Omero, affermò: Sotto questa parte di terra vi è la regione del Tartaro: sorvegliano le figlie di

Borea, le Arie e la Procella; qui Zeus scaccia chi tra gli dèi insuperbisca”. Traduzione Gabriele Giannantoni

È evidente che, scorrendo i nomi delle divinità citate, la caratteristica che le unisce è l’elemento aria. Da questo si potrebbe evincere secondo Schibli che la loro nascita potrebbe essere avvenuta durante la generazione dei cinque recessi tramite la preponderanza dell’elemento ventoso, e da qui deriverebbe che il loro recesso madre sarebbe costituito dalla regione del Tartaro.

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25 Il terzo recesso Schibli lo individua nel Chaos per la sua identificazione con l’acqua. Gli stoici infatti interpretavano questo elemento, se così può essere definito, con l’acqua per una sua connessione etimologica con χέεσθαι. Utilizzando questa interpretazione Achille Tazio tentava di collegare Talete con Ferecide, ma su questo punto torneremo nel capitolo terzo.

Achille Tazio, Isagoge, 3 (31, 28 Maass) Θαλῆς δὲ ὁ Μιλήσιος καὶ Φ.

ὁ Σύριος ἀρχὴν τῶν ὅλων τὸ ὕδωρ ὑφίστανται, ὃ δὴ καὶ Χάος καλεῖ ὁ Φ., ὡς εἰκὸς τοῦτο ἐκλεξάμενος παρὰ τοῦ Ἡσιόδου οὕτω

λέγοντος [Th. 116] ‘ἤτοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετο’.

Il termine Chaos è sempre stato difficile da interpretare, a partire da Esiodo, nel quale spesso viene tradotto considerandone il significato in senso prettamente moderno; bisognerebbe invece soffermarsi sulla sfumatura etimologica che lo permea. Chaos non è da intendersi nel senso di confusione, disordine, come noi siamo abituati a concepire, bensì la sua derivazione può essere legata al verbo χαίνω “aprirsi”. Da ciò la frase ἤτοι μέν πρώτιστα Χάος γένετο non dovrebbe essere considerata solo come una sorta di presentazione di una divinità, o come se si intendesse sottolineare che prima di Gea e del resto del mondo non ci fosse altro che disordine. La parentela di Chaos con χαίνω qui ci apre un mondo, nel vero senso della frase. Il chaos sarebbe da intendersi come lo spazio in cui si dipanano tutte le cose del mondo, la terra, il cielo, il tartaro e tutto il resto: l’apertura, una sorta di big bang ante litteram. Interpretandolo in questo modo il Chaos potrebbe essere raramente e con difficoltà rapportabile ad un recesso ma Schibli diversamente osserva che nel periodo arcaico Chaos era dipinto come una vasta e oscura caverna oppure come un divario arioso tra la terra ed il cielo. Dunque l’unico modo in cui il Chaos potrebbe essere inserito tra i cinque recessi sarebbe considerarlo o prodotto dell’aria o dell’acqua, ma entrambe queste opzioni sono molto più ipotetiche e teoriche che realistiche.

La quarta regione cosmica individuata da Schibli è quella di Etere o Aria. L’aria è considerata tra le divinità primordiali nella religione arcaica greca, come possono testimoniare le Rapsodie Orfiche. Ma anche questa regione appare avere una

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26 preponderanza di elemento ventoso in quanto sembrerebbe essere considerata senza una collocazione fissa e non una parte della struttura del mondo, dunque al massimo della sua estensione aer estenderebbe il suo significato fino a denotare e comprendere l’ambiente della terra.

Infine il quinto recesso sarebbe identificato nella Notte. Nella cosmogonia orfica riportata da Eudemo la notte è preminente: anche nelle Rapsodie Orfiche si individua la notte come una figura regale e quindi di grande importanza. Epimenide pose la Notte e l’Aer come genitori del Tartaro35, Museo sostenne che tutti e tre fossero i principi primi36. Schibli tenta quindi di fare un riassunto di quali recessi originari dovevano essere ipotizzati nel pensiero cosmogonico del VI sec, con quali elementi preponderanti e quali fondamenti caratterizzano gli dèi dei μυχοί originari. Ripropongo qui lo schema proposto dallo studioso37: Ouranos (πῦρ): Etere (πῦρ): Chronos Zeus Terra: Ogenos: Ge?

Ophioneos and Ophionidai Tartaro (πνεῦμα)

Chaos (ὕδωρ) Notte (πνεῦμα)

Dèi e dèe del vento ?

Divinità Infernali?

In questo modo arriva a considerare ben sette regioni cosmiche che ben spiegherebbero l’Ἑπτάμυχος della Suda.

II.2.2.Zas

Lo Zeus esiodeo nasce da Rea e Crono. Rea, per far sì che Crono non divorasse Zeus

35 Damasc. De princ. 124 τὸν δ' Ἐπιμενίδην δύο πρώτας ἀρχὰς ὑποθέσθαι Ἀέρα καὶ Νύκτα

36 Bisogna però considerare che tale fatto non risulta chiaro nelle fonti. Philod. Piet. 137,5 ss. 14.) — —137,

5 π. 61 Γ. ἐμ μέν τισιν ἐκ Νυκτὸς καὶ Ταρτάρου λέγεται τὰ πάντα, ἐν δέ τισιν ἐξ Ἅιδου καὶ Αἰθέρος· ὁ δὲ τὴν Τιτανομαχίαν γράψας ἐξ Αἰθέρος φησίν, Ἀκουσίλαος [8 Β 1] δ' ἐκ Χάους πρώτου τἆλλα· ἐν δὲ τοῖς

ἀναφερομένοις εἰς Μουσαῖον γέγραπται Τάρταρον πρῶτον <καὶ Ν>ύκτα. “Alcuni autori sostengono che tutte le cose derivano dalla Notte e dal Tartaro, altri dall’Ade e dall’Etere, Acusilao [8 B 1] dal Caos primigenio; nei versi attribuiti a Museo è scritto che in principio era il Tataro e la Notte” Traduzione di Gabriele Giannantoni. La Martinez Nieto aggiunge al frammento sopracitato un’ulteriore informazione e scrive: […] καὶ [τρίτον] Ἀέρα γεγο[νέναι], ponendo in tale modo tre divinità al principio della Teogonia di Museo. Per maggiori informazioni cfr. R.B. Martinez Nieto,op. cit. , Madrid, 2000, pp.139-180;

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