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La teoria della metempsicosi ed il triangolo poemi orfici-Pitagora-Ferecide

III. Fortuna di Ferecide di Siro: influenza ed eredità di pensiero

III.3 La teoria della metempsicosi ed il triangolo poemi orfici-Pitagora-Ferecide

I miti dell’orfismo, come sostenuto dalla maggior parte degli studiosi, riflettono i costumi ed il pensiero del vicino Oriente. West ritiene che i rituali sciamanici, nei quali sono presenti la trasmigrazione delle anime e il motivo dello smembramento, derivino dalla cultura degli Sciti e dai Traci, e che molti elementi abbiano raggiunto il mondo greco- ionico ponendo le basi dei riti e misteri orfici. Il tema della metempsicosi, così caratteristico della dottrina pitagorica, è intuibile e rintracciabile all’interno dell’opera di Ferecide. West88 attribuisce la teoria della reincarnazione anche alla teogonia di Protogono89, che egli colloca in epoca coeva o di poco successiva all’opera del Saggio;

88 M. L. West, op.cit., Napoli, 1993, p.278 ss.

89 M. L. West, op.cit., Napoli, 1993, p.270, "Composta nel 500 circa, essa incorpora la cosmogonia di Tempo

60 quest’ultimo pertanto avrebbe elaborato tale teoria/credenza traendola dai miti ionico- orientali e da teogonie alle quali avrebbe attinto anche la teogonia orfica.

Dalle testimonianze si evince che all’interno del testo ferecideo o, perlomeno, nel complesso del suo pensiero filosofico, veniva trattato un argomento tanto delicato quanto innovativo per l’epoca, ovvero quello della trasmigrazione delle anime. Propongo di seguito le fonti più illuminanti:

Schol. Apollonio Rodio I 645 Φ. δέ φησιν ὅτι δῶρον εἶχε

παρὰ τοῦ Ἑρμοῦ ὁ Αἰθαλίδης τὸ τὴν ψυχὴν αὐτοῦ ποτὲ μὲν ἐν Ἅιδου ποτὲ δὲ ἐν τοῖς ὑπὲρ τὴν γῆν τόποις εἶναι.

Ferecide dice che Etalide ebbe come dono da Ermes che la sua anima fosse ora nell’Ade e ora sulla terra.

Cicerone, Tuscolane, I 16,38 itaque credo equidem etiam alios tot

saeculis, sed quod litteris exstet, Ph. Syrius primum dixit animos esse hominum sempiternos, antiquus sane; fuit enim meo regnante gentili.

APONIUS In Canticum

Canticorum [ed. Bottino et Martini Rom 1843] v p. 95 sq. zu Cant. 3, 5 In priore enim »filiarum Jerusalem adiuratione caprearum et cervorum» personas Thalesianae et Ferecidensis philosophiae intellegi diximus [...]

Ferecides autem vocabulo animam hominis prior om-

nibus immortalem auditoribus suis tradidisse docetur, et eam esse vitam corporis et unum nobis de coelo spiritum, alterum credidit terrenis semi- nibus comparatum. deorum vero naturam et originem ante omnes descripsit.

quod opus multum religioni nostrae conferre probatur, ut noverit turpiter natos turpioremque vitam duxisse, dedecorosius mortuos quos idolatriae

61 “E quindi io credo che anche altri in tanti secoli, ma, per quanto risulta dai documenti

scritti, per la prima volta Ferecide di Siro sostenne che le anime degli uomini sono immortali. E certamente egli è antico: visse infatti quando regnava il mio lontano parente. Aponio in Canticum Canticorum [ed. Bottino e Martini, Roma 1843] v. p. 95 sg. in Cant. 3,5. Nel primo scongiuro delle figlie di Gerusalemme “per le capre e per i

cervi” noi dicemmo essere impersonate le filosofie di Talete e di Ferecide [...]. Di Ferecide poi si tramanda che per primo insegnò a tutti i suoi ascoltatori che l’anima dell’uomo è immortale, che essa è la vita del coro e che uno spirito viene a noi dal cielo

mentre un altro è formato di semi terreni. Prima di chiunque altro descrisse la natura e l’origine degli dèi: la quale opera è provato che molto giova alla nostra religione, perchè

ha fatto sapere che sono nati turpemente e ancora più turpemente sono vissuti e ancora più sconvenientemente sono morti coloro che il cultore dell’idolatria afferma essere

dèi”.

Traduzione Gabriele Giannantoni

Porfirio, L’antro delle Ninfe, 31 τοῦ Συρίου Φερεκύδου μυχοὺς

καὶ βόθρους καὶ ἄντρα καὶ θύρας καὶ πύλας λέγοντος καὶ διὰ τούτων αἰνιττομένου τὰς τῶν ψυχῶν γενέσεις καὶ ἀπογενέσεις …

“Ferecide di Siro, parlando di “recessi”, di “fosse” e di “antri”, mediante queste espressioni vuole indicare in forma enigmatica le nascite e le morti delle anime.”

Traduzione Gabriele Giannantoni

La citazione maggiormente corposa e specifica è quella tratta da Cicerone, ma per iniziare mi concentrerò su ciò che viene presentato nello scholion ad Apollonio Rodio. Questa è l’ennesima dimostrazione di come le figure di Pitagora e Ferecide si trovassero spesso ad essere fonte di incomprensioni, e di come quindi fosse facile trovare attribuiti a Ferecide elementi della vita di Pitagora. Siamo a conoscenza del fatto che, secondo Porfirio (VP 26), non solo Pitagora credeva nella dottrina della trasmigrazione delle anime ma sosteneva persino di poter affermare di quale personaggio lui fosse la reincarnazione: “Eraclide Pontico fornisce una lista più dettagliata delle varie reincarnazioni: una volta sarebbe stato Etalide, figlio di Ermes che, avendo ottenuto dal padre di avere tutto ciò che

62 voleva, tranne l’immortalità, scelse di poter serbare la memoria di tutte le cose accadute, capacità che mantenne anche dopo morto [...]”90.

Non credo possa essere una coincidenza il fatto che Etalide sia citato in entrambe le tradizioni: quella riguardante il concetto di metempsicosi in Pitagora e la stessa intorno a Ferecide. È probabile che anche qui sia avvenuto uno scambio di persone, per così dire, e che ciò che si diceva di Pitagora fosse nuovamente stato attribuito a Ferecide, creando ancora più confusione riguardo ciò che sappiamo riguardo la vita e le convinzioni del Saggio di Siro.

Cicerone per noi è fondamentale non solo in quanto afferma che Pherecydes Syrius primum dixit animos esse hominum sempiternos ma, soprattutto per ciò che spiega in seguito, ovvero il modo in cui funzionava questa teoria; ci. parla di semi e di due tipi di spirito diversi et eam esse vitam corporis et unum nobis de coelo spiritum, alterum credidit terrenis seminibus comparatum. deorum vero naturam et originem ante omnes descripsit. West propone una particolare interpretazione, integrando con una ulteriore fonte in cui non si tratta esplicitamente di anima o trasmigrazione di anime, bensì di ambrosia.

Plutarco, De facie in orbe lunae, 24 p. 938 B

εἰ μὴ νὴ Δία φήσομεν, ὥσπερ ἡ Ἀθηνᾶ τῶι Ἀχιλλεῖ νέκταρός τι καὶ ἀμβροσίας ἐνέσταξε μὴ προσιεμένωι τροφήν, οὕτω τὴν σελήνην, Ἀθηνᾶν λεγομένην καὶ οὖσαν, τρέφειν τοὺς ἄνδρας ἀμβροσίαν ἀνιεῖσαν αὐτοῖς ἐφημέριον, ὡς Φερεκύδης ὁ παλαιὸς οἴεται σιτεῖσθαι τοὺς θεούς.

“A meno che noi non vogliamo dire, per Zeus, che come Atena instillò del nettare e dell’ambrosia ad Achille che non voleva prendere cibo, così la luna, che è detta ed è veramente Atena, nutra gli uomini infondendo loro ambrosia ogni giorno, al modo in

cui il vecchio Ferecide ritiene che si nutrano gli dèi”. Traduzione Gabriele Giannantoni

Il testo di Cicerone è quello che va più nel dettaglio e che quindi ci può meglio aiutare a capire quale potesse essere la dottrina di Ferecide. È probabile che le testimonianze più tarde riguardanti un Ferecide che tratta dell’immortalità dell’anima dipendano da Cicerone.

63 Tuttavia non si parla solo di immortalità, ma anche di trasmigrazione. Come nota Schibli91, non sono presentate due idee distinte riguardanti l’anima; nell’antichità infatti il concetto di immortalità dell’anima andava di pari passo con la credenza nella metempsicosi.

È plausibile che Ferecide fosse stato il primo a parlarne e che poi questa idea fosse stata approfondita da Pitagora, suo allievo, ma è anche vero che tale convinzione era comune anche agli orfici ed è difficile specificare chi abbia influenzato chi. Per prima cosa si deve tentare di capire cosa avesse divulgato riguardo l’anima l’autore della cosmogonia. La possibilità per l’anima umana di separarsi in qualche modo dal corpo non è una novità all’interno della concezione greca.

Nella Grecia post-omerica esisteva una tradizione per cui l’anima durante i periodi di inconscio poteva staccarsi dal corpo e vivere avventure proprie: esempio significativo ne è la storia di Aristea raccontata nel quarto libro delle Storie di Erodoto. Aristea di Proconneso è un personaggio forse realmente esistito, famoso per le leggende che lo vedono protagonista. Si dice che Aristea avesse il dono dell’ubiquità, che potesse separare l’anima dal corpo e che avesse vissuto più di tre vite.

Anche l’immagine omerica della psychè è caratterizzata dalla possibilità che essa ha di staccarsi in alcuni rari casi dal corpo, come ad esempio durante gli svenimenti, gli stati di trance e dopo la morte.

In Ferecide e Pitagora e più in generale per quanto concerne la metempsicosi, non è solo implicata l’esistenza dell’anima dopo la morte, ma anche la sua essenza: essa non è più mero soffio ma si accinge a diventare un nuovo essere vivente. Questa concezione rappresenta dunque un notevole progresso per quanto riguarda questo punto, poiché in Ferecide l’anima umana non è più un’ombra che “svolazza” senza avere una vera e propria capacità vitale, ma l’indagine intorno all’elemento vitale e spirituale viene approfondita, si cerca di capire da cosa derivi l’anima e come si comporti dopo la morte.

Per capire più a fondo cosa poteva aver detto Ferecide riguardo l’anima e la trasmigrazione, è necessario concentrarsi,oltre che sulle fondamentali notizie riferite da Cicerone, anche sulla testimonianza di Aponio. Schibli ha approfondito la questione; a suo avviso Aponio è influenzato dall’insegnamento Cristiano riguardante l’anima e si trova ad attribuire la dottrina delle due anime a Ferecide92.

91 H.S. Schibli, op. cit, Ann Arbor, 1984, p.172 92 H.S. Schibli, op. cit., Ann Arbor, 1984, p.178

64 Dal momento che si parla di immortalità dell’anima, Ferecide potrebbe aver descritto la psychè come vagante di corpo in corpo; ciò secondo Schibli implica una preesistenza dell’anima. Tale concetto portò dunque Aponio a vedere in esso lo stesso significato dello spiritus de coelo, l’anima preesistente come viene concepita nella dottrina della religione cristiana. Aponio parla inoltre di semi, alterum credidit terrenis seminibus comparatum. Ovviamente per l’autore questo sarebbe l’equivalente dell’anima terrena come trattato all’interno di detta dottrina.

Schibli prende anche in considerazione una uleriore testimonianza per spiegare il funzionamento ed il modo di concepire l’anima in Ferecide ovvero un passo del Περὶ τοῦ πῶς ἐμψυχοῦται τὰ ἔμβρυα di Porfirio93 in cui viene esposta una teoria attribuita a Numenio, tale testo si basa sulla ricerca del momento in cu l’anima sarebbe entrata all’nterno dell’embrione. Schibli, a partire dall’opera di Porfirio sostiene che l’ekroe che Porfirio dice essere stato presente all’interno del testo ferecideo possa essere considerato analogamente all’Amelete e allo Stige94. Porfirio mostra come secondo la teoria attribuita

a Numenio l’anima entrasse all’interno del corpo esattamente come il seme ed in tale modo si potrebbe osservare, scrive Schibli, una evidente analogia tra la nascita del corpo e la nascita dell’anima. Più interessante però è affermare, come ho anticipato, la somiglianza tra i fiumi infernali e la sorgente ferecidea in quanto entrambi avrebbero a che fare con l’anima. Da Aponio Schibli aveva dedotto che Ferecide poteva aver associato l’ingresso dell’anima del corpo in relazione alla fecondazione e Porfirio sembra

93 Porfirio, Περὶ τοῦ πῶς ἐμψυχοῦται τὰ ἔμβρυα, p. 34, 20—35, (1n)

2 Kalbfleisch in Abhandlungen ... Berlin, 1895) τοῦ μὲν ὅταν καταβληθῇ τὸ σπέρμα τὸν καιρὸν τοῦτον ἀποδι- δόντος ὡς ἂν μηδ’ οἵου τ’ ὄντος ἐν τῇ μήτρᾳ γονίμως κρατηθῆναι μήτι γε ψυχῆς ἔξωθεν τῇ εἰσκρίσει ἑαυτῆς τὴν σύμφυσιν ἀπεργασαμένης—κἀνταῦθα πολὺς ὁ Νουμήνιος καὶ οἱ τὰς Πυθαγόρου ὑπονοίας ἐξηγούμενοι, καὶ τὸν παρὰ μὲν τῷ Πλάτωνι ποταμὸν Ἀμέλητα, παρὰ δὲ τῷ Ἡσιόδῳ καὶ τοῖς Ὀρφικοῖς τὴν Στύγα, παρὰ δὲ τῷ Φερεκύδῃ τὴν ἐκροὴν ἐπὶ τοῦ σπέρματος ἐκδεχόμενοι, τοῦ δ’ ὅταν …

65 ammettere la stessa cosa. Schibli sottolinea che probabilmente questo non significa che l’ekroe ferecidea non fosse un fiume ma che poteva forse essere allegoricamente interpretata in tale modo.

Come abbiamo potuto approfondire nel secondo capitolo, Chronos depositava i suoi semi, rappresentanti gli elementi fisici primordiali, all’interno dei mychoi per dare inizio alla prima generazione divina. Schibli trova conferma di ciò all’interno dell’altro passo sopracitato di Porfirio.

Tale fiume o sorgente (l’ekroe) già nel passo precedente era stata associata ai fiumi infernali e dunque è possibile che questo ekroe fosse inserito in parte nell’aldilà. Anche i recessi, gli antri di cui parla Ferecide, possono in qualche modo ricordare la descrizione dell’Ade. Sembra dunque plausibile che all’interno del testo ferecideo le anime passassero attraverso tali antri infernali, forse per purificarsi e tornare poi alla luce incarnate in una nuova vita. Nel Fedone, Socrate spiega come tutti i fiumi si riversassero all’interno del Tartaro e come ne uscissero nuovamente (Fedone 112A). Questi fiumi avevano una funzione importante per la reincarnazione. Se la funzione della sorgente ferecidea fosse la medesima allora sarebbe appropriato il paragone posto da Numenio, all’interno del passo sopracitato del Περὶ τοῦ πῶς ἐμψυχοῦται τὰ ἔμβρυα, tra l’ekroe e i fiumi infernali come lo Stige e l’Amelete. Schibli conclude sostenendo che l’ekroe non fosse un fiume da attraversare prima della reincarnazione ma come mezzo del loro ritorno alla loro generazione95.

In conclusione Ferecide sembra stare a metà tra gli orfici e i pitagorici. L’opera ferecidea si distingue dal pensiero orfico in quanto si protende verso una concezione maggiormente filosofica, ricercando le origini del mondo nella natura, diversamente da quanto si può estrapolare dalle informazioni che abbiamo riguardo l’orfismo e i poemi orfici. Le teogonie orfiche si concentrano infatti maggiormente sulla figura di Zeus e delle divinità in generale, dando luogo a testi più religiosi che filosofici. A partire dalle laminette orfiche Luisa Breglia96 sostiene che qualora fosse stata presente all’interno della sua opera una concezione di l’idea della metempsicosi, allora essa doveva servire ad avvicinarsi ad un livello più elevato di conoscenza piuttosto che, nello stile orfico, come

95 H.S. Schibli, op. cit., Ann Arbor, 1984, p.185

96L. Breglia Pulci Doria, Ferecide di Siro tra orfici e pitagorici, in Tortorelli Ghidini M., Storchi Marino A.,

66 una sorta di punizione dell’anima. Nelle laminette sono stati individuati elementi orfici, ma anche elementi pitagorici.

La Tortorelli propone una interpretazione in chiave pitagorica delle laminette dette mnemosynie. In alcune di esse si trova la descrizione dell’Aldilà, con particolare attenzione a due corsi d’acqua. Una fonte è preclusa agli iniziati, ossia la krene. La krene è quella a cui si fermano le anime dei morti che ancora hanno sete di vivere e, attingendo acqua da essa, vengono immessi nuovamente all’interno del ciclo vitale. Si presuppone, dunque, che le anime di coloro che non sono stati iniziati siano ancora legate al lato più terreno e corporeo della vita. Gli iniziati invece, pronunziando le rituali parole “sono figlio della Terra e del Cielo”, potevano accedere alla seconda fonte, ossia la Limne. In questo modo gli iniziati uscivano dal ricircolo delle anime e dal ciclo della vita non reincarnandosi più. In questa descrizione è possibile scorgere una funzione punitiva o salvifica delle due fonti. La limne sarebbe dunque “acqua di ricompensa, che consente all’anima, ubbidiente al divieto, di raggiungere la via sacra dei backhoi”97. Punti di contatto possono essere riscontrati tra questa concezione e la filosofia di Pitagora; l'opposizione limne-krene, infatti, potrebbe essere associata alla struttura binaria della dottrina pitagorica dei numeri e degli opposti; inoltre, il fatto che tale contrapposizione limne-krene sia sottolineata maggiormente nelle laminette ritrovate nella Magna Grecia, mentre nelle altre la presenza del termine limne è assai più limitata, potrebbe confermare che all'interno delle laminette mnemosynie è possibile trovare elementi della sua filosofia.

Rimane difficile, al di là delle ipotesi proposte, specificare esattamente come Ferecide abbia sviluppato la sua teoria intorno all’anima; non sappiamo con precisione neppure quale legame ci fosse tra Ferecide e l’orfismo ma, stando ad alcune ipotesi, Ferecide doveva aver tratto spunto dalle teogonie orfiche98. Ma la sua vicinanza agli orfici non implica necessariamente che fosse un iniziato o che seguisse la religione ed anzi, si dice che si vantasse della sua saggezza avendo vissuto felice senza aver fatto sacrifici agli dèi. Eliano99 che narra questo aneddoto aggiunge che la terribile malattia che portò alla morte Ferecide, veniva imputata dagli abitanti di Delo ad Apollo per punire queste parole tracotanti del Saggio: non è accusato di ateismo ma di empietà come poi sarà per Socrate. Questo suo

97 M. Tortorelli Ghidini, Acque e anime nell’escatologia orfico-pitagorica, Metis, 12, 2014, p. 226; 98L. Breglia Pulci Doria, op. cit., Napoli, 2000; p. 193

67 atteggiamento critico verso la religione tradizionale lascia anche supporre che non avesse avuto affinità con la spiritualità degli orfici, pur avendo conoscenza della loro dottrina.