CAPITOLO 2: IDENTITÀ , TECNICA , SOCIALITÀ NEL LAVORO
1.6. L’esaltazione marxiana del lavoro liberato da ogni forma di alienazione
Marx (1818-1883) fa propria la premessa hegeliana secondo cui la peculiare essenza dell’uomo si estrinseca nel lavoro. Egli infatti si trova in perfetta sintonia nel concepire «l’uomo oggettivo, l’uomo vero perché reale, come il risultato del suo proprio lavoro»95
. Insistendo nel sottolineare le connotazioni oggettivistiche dell’uomo, Marx non esita a rintracciarle nel prodotto del lavoro. Con tale espressione, si addita non solo l’ampia dimensione della cosalità oggettuale ma anche, più estesamente, l’insieme di attività che si concretizzano in rapporti sociali, istituzioni, servizi, prestazioni, bisogni, scienza, arte ecc… Ecco dunque che «il lavoro, coincidendo con l’attività e quindi con l’essere dell’uomo, è legittimato a ricoprire la totalità dello spazio antropologico»96.
Ma, come scrive Totaro, «l’assunzione del lavoro come cespite unico ed esclusivo ha però in se stessa il suo rovescio negativo»97: ovvero «se la realizzazione dell’universalità e della totalità umana è solo quella che passa attraverso il lavoro e la sua potenza strumentale, allora l’uomo stesso correrà il rischio di assumere la logica di tipo strumentale come la norma
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F. TOTARO, Non di solo lavoro, op. cit., p. 62.
94
Ibid.
95
K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, tr. it. di con Prefazione di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1970, p. 167.
96 F. TOTARO, Non di solo lavoro, op. cit., p. 64. 97
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principale del suo agire e quindi del suo essere»98. Rischio, questo, acuito dal fatto che la potenza pervasiva della strumentalità ha come effetto collaterale l’azzeramento dei fini che comporta «una mortificazione di prospettive […], una restrizione dell’orizzonte del senso in cui l’agire umano riconosce ed esperisce le sue chances»99
.
Inoltre, è noto che per Marx vi è «una contraddizione lacerante tra il lavoro come dovrebbe essere, cioè “attività libera e consapevole” […] e il lavoro come di fatto è nelle condizioni di appropriazione della relazione sociale capitalistico-borghese»100. Infatti, il meccanismo diabolico su cui quest’ultima si fonda, presuppone che, quanto più la produzione cresce in potenza, estensione, volume, tanto più incrementa l’impoverimento non solo economico ma anche e soprattutto spirituale dell’operaio il quale si trova in una condizione di totale estraneità ed espropriazione nei confronti del prodotto del proprio lavoro.
Ma, secondo la fondata osservazione di Totaro, è altrettanto vero che, gli sviluppi del pensiero di Marx ritengono possibile un’uscita dalla condizione di lavoro alienato «in virtù delle stesse potenzialità contraddette del lavoro». L’intera critica marxiana al fenomeno dell’alienazione infatti, non è altro se non una critica «all’appiattimento che l’individuo subisce sulla propria condizione lavorativa e di classe»101 all’interno della società capitalistica.
Il progetto di una società comunista quale quella profetizzata nella seconda parte della
Critica al programma di Gotha, prevede -in un primo momento- il passaggio per la
condizione di società di produttori associati in cui ogni singolo produttore riceve, in altra forma, esattamente ciò che dà conformemente a una piena proporzionalità tra prestazione fornita e compenso ricevuto. In essa, il lavoro non si presenta più come destino subìto e soggiogante ma come un qualcosa di voluto come apporto ad un’opera sociale. Quest’ultima è rappresentata da una comunità all’interno della quale «al posto dello scambio che si compie a
posteriori sul mercato, viene ipotizzato uno scambio originario […] di attività determinate da
bisogni e scopi comuni, in virtù del quale i diversi lavori acquistano in partenza un carattere generale o sociale»102; una comunità in cui «la socialità della produzione consiste innanzitutto in questa determinazione volontaria delle attività in riferimento a bisogni e scopi comuni»103 e in cui, per tal motivo, ogni lavoratore ha ugual diritto di partecipare al prodotto comune.
98 Ibid. 99 Ivi, p. 66. 100 Ivi, p. 64.
101 F. ANDOLFI, Lavoro e libertà. Marx, Marcuse, Arendt, Reggio Emilia, Diabasis, 2004, p. 129. 102
Ivi, p. 132.
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Ma, lo sguardo lungimirante di Marx va oltre la socialità della produzione, oltre il concetto di società di produttori associati che, pur vedendo cessare l’anarchia della produzione capitalistica e i privilegi della proprietà privata mediante la soppressione di quest’ultima, reca con sé il marchio della riduzione della complessità e della diversità della vita di ciascuno, assieme a quello della persistenza della doverosità sociale del lavoro il quale, dunque, non si può considerare piena espressione della personalità dell’uomo.
Esso si spinge fino ad un’organizzazione sociale che, in virtù dello sviluppo della scienza e della produzione, non è più basata «sul rigido calcolo delle prestazioni»104 ma, anzi, risponde perfettamente all’esigenza di «corrispondere ai bisogni differenziati degli individui e di consentire la loro libera esplicazione nel lavoro»105, congiungendo in unità lavoro e godimento. Nella stadio più avanzato della società comunista coincidente con un vero e proprio “umanesimo” inteso come «compiuta riappropriazione dell’essenza umana»106
, oltre a dissolversi l’asservimento degli individui al principio della divisione del lavoro e della prestazione obbligatoria, s’istaura un’armonica adesione tra lavoro -non più votato esclusivamente alla riproduzione sociale- e personalità di chi lo compie, nonché «uno sviluppo onnilaterale degli individui»107. Dalla molteplicità delle libere inclinazioni o attività umane, occasione di esplicazione delle diverse capacità individuali, deriva l’organismo della libera società umana, delle libere occupazioni umane perfettamente sovrapponibili alla sfera del piacere.
Questa configurazione sociale, pur definendo il lavoro primo bisogno vitale, non ricade nelle maglie della degenerazione sociale, culturale, economica cui inevitabilmente è andata incontro la società capitalistica in quanto, ciò che viene ad acquisire una rinnovata centralità in riferimento al sistema di vita, è un modello di lavoro liberato da ogni elemento da considerarsi spersonalizzante e umanamente mortificante/sfibrante.