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Galimberti e la concezione della tecnica come fine assoluto

CAPITOLO 2: IDENTITÀ , TECNICA , SOCIALITÀ NEL LAVORO

2.2. Galimberti e la concezione della tecnica come fine assoluto

La lettura che Galimberti dà dell’intera cultura Occidentale è percorsa dall’idea che, sin dalle sue origini più remote, essa è cresciuta sotto il dominio incontrastato della tecnica, che, nel corso dei secoli, facendosi forte dei paradigmi della razionalità, dell’efficienza e della scientificità, si è mutata in cieco costrutto autorizzato a delegittimare qualsiasi forma di umana libertà.

Secondo Galimberti, già la simbologia della tragedia greca, nell’emblematica figura di Prometeo, incatenato a causa dei risvolti della sua stessa scoperta, intuisce, in maniera lungimirante, il possibile scenario futuro dischiuso dalla potenza tecnica. È nell’autonomia della tecnica, nel «suo operare indipendentemente dal retto consiglio e dal buon uso della saggezza che per il mito sono prerogative di Zeus, e per la successiva filosofia prerogative del “politico”»152

coltivando «la cieca speranza»153 di poter sciogliere l’azione umana dai vincoli posti da Ananke, la Necessità propria dell’ordine cosmico cui ogni essere è sottomesso, che è possibile riscontrare il suo stesso potenziale deleterio capace di imprigionare l’uomo nel momento in cui si accarezza l’illusione di una sua liberazione. In altre parole, è nella disposizione, da parte della tecnica, unicamente di una ragione di tipo strumentale o calcolante in grado di controllare «l’idoneità di un mezzo a un fine, senza pronunciarsi sulla

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F. TOTARO, Non di solo lavoro, op. cit., p. 18.

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U. GALIMBERTI, Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 253.

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scelta dei fini»154 che sono contenuti, in nuce, gli sviluppi successivi riassunti nel panorama descritto dall’autore:

Nell’universo delle azioni possibili, la tecnica inaugura quell’agire in conformità a uno scopo in cui è riconoscibile il tratto tipico della razionalità, il cui procedere non è regolato dall’arbitrio, ma dal calcolo che valuta l’idoneità dei mezzi in ordine a fini prefissati. In questo quadro […], si visualizza l’uomo come soggetto dell’azione e la tecnica come strumento a sua disposizione.

Accade però che l’ordine degli strumenti condiziona la scelta dei fini, rigidamente vincolata dalla quantità e dalla qualità dei mezzi a disposizione, con la conseguenza che il perseguimento dei mezzi, senza di cui nessun fine è raggiungibile, diventa il primo fine, per il conseguimento del quale tutti gli altri fini vengono subordinati e, se necessario, sacrificati. Così, […], il raggiungimento di un adeguato apparato tecnico diventa il primo fine per il conseguimento del quale, se è necessario, si sacrifica anche la produzione dei beni e la soddisfazione dei bisogni.

È questo il modo in cui la tecnica da mezzo si capovolge in fine e, […], si pone come il primo bisogno, il primo desiderio e il primo motivo orientante l’azione umana. […]. La tecnica diventa autonoma da tutte le finalità soggettive che subordina a sé, e così impone la sua legge oggettiva […]. Detta legge prende il nome di ragione strumentale il cui principio regolatore è l’efficienza che vale da criterio selettivo per le azioni da compiere rispetto a quelle da non compiere, per le realtà da porre in essere (efficio) rispetto alle realtà da non porre in essere […]. Per effetto di questo capovolgimento, meccanismi impersonali prendono il posto delle valutazioni personali individuali o collettive, mentre le cose che ci circondano perdono il significato ad esse conferito […] per diventare semplice materia prima o strumento dell’apparato tecnico […].155

Secondo Galimberti, il primato del “fare” -che è stato originariamente giustificato dalla tradizione giudaico-cristiana per la quale l’orizzonte naturale è alla mercé della potenza prima divina e poi umana, robustamente suffragato dalle procedure scientifiche proprie dell’epoca moderna per la quale il dominio della natura, ambito di progettualità umana, è opera di verità, definitivamente suggellato dall’irreversibile assorbimento della natura nella pianificazione della soggettività umana con la fondazione dell’umanismo- trova la sua più compiuta espressione nel concetto marxiano di “prassi”.

Quest’ultima ha dischiuso uno scenario che, vedendo inizialmente il primato della natura quale unica preziosissima fonte di valore d’uso e, in seguito quello del mercato quale meccanismo atto a creare valori di scambio aventi la peculiarità non tanto di soddisfare bisogni ma di permutarsi con altri beni e creare denaro, culmina con l’affermazione assoluta della tecnica. In questo quadro, se la strumentazione tecnica è condizione universale per la produzione di ogni bene, lo scopo cui il “fare” umano è proiettato diventa il potenziamento

154 U. GALIMBERTI, Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, op. cit., p. 253. 155

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illimitato della strumentazione stessa. In questo modo, la tecnica da mezzo assoluto diventa fine assoluto.

La cultura capitalistica occidentale ha fatto del dominio della razionalità tecnica in termini di ragione calcolante la propria ragion d’essere tanto da venirne essa stessa -nella sua espressione politica e ideologica- travolta. Ma a venir fagocitate non sono solo la sfera della politica e dell’ideologia quali forme più tipiche di un’umanità turbolenta e colorata, ma anche quella dell’etica sancendo, in questo modo, il definitivo vantaggio del «fare come produzione di risultati»156 sull’ «agire, come scelta di fini»157. L’unica etica possibile, arrendendosi alla pura processualità e ai criteri della più rigorosa razionalità, non solo non trae la propria normatività dalla moralità insita nell’uomo ma nemmeno dall’ordine della natura non più vista come «organismo che ha in sé il principio del proprio dispiegamento»158 ma come «materiale da organizzare»159 secondo schemi e calcoli matematici. Infine con l’imporsi dell’afinalità caratteristica della tecnica, si dissolve anche il tempo come configurazione di senso, di storia e di autocomprensione umana per ricomporsi nell’inconsistente sagoma di pura accelerazione ai ritmi dello sviluppo o della crescita, ovvero «di un processo evolutivo che si dice tale in riferimento agli stadi precedenti, senza alcun riferimento a giudizi di valore»160.

2.3. Severino e la relazione tra volontà di potenza, alienazione e apparato

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