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ESAME DEI CANALI DISTRIBUTIVI IMPIEGATI DALLE AZIENDE BIOLOGICHE

Il settore biologico è caratterizzato da una supply chain piuttosto complessa. Le ragioni di questa complessità sono da ricercarsi nella storia del settore stesso, il quale è stato per molto tempo trainato dalla domanda dei paesi esteri (soprattutto Germania e Gran Bretagna), a fronte di un mercato interno poco vitale. [Vitaliano Fiorillo, 2015]. Ne è conseguita una scarsa attenzione per la predisposizione di una filiera

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produttori hanno dovuto colmare il vuoto lasciato da una distribuzione intermedia quasi inesistente, e si sono spinti verso i consumatori. Questo ha dato la possibilità di

riscoprire il ruolo del produttore, non più relegato ad un capo della catena distributiva, e di sperimentare alcune modalità distributive alternative, fondate sulla vendita diretta (ad esempio i GAS, i mercatini agricoli e le consegne a domicilio).

Il salto dei passaggi intermedi per arrivare al consumatore, da parte del produttore, ha permesso al mercato interno di svilupparsi, ma è con l’entrata in scena della Grande Distribuzione Organizzata che il biologico ha conosciuto il suo vero “boom”. [Vitaliano Fiorillo, 2015].

Vediamo adesso le molteplici tipologie distributive che il settore agroalimentare biologico impiega. Ovviamente, un’azienda potrà scegliere di attivare

contemporaneamente più canali.  Canali brevi:

- Vendita diretta in azienda;

- Agriturismo biologico con ristorazione; - Vendita diretta sul mercato locale; - Vendita tramite GAS;

- Mense; - Ristoranti; - E-commerce.  Canali lunghi:

- Grande Distribuzione Organizzata (GDO);

- Dettaglio biologico, fra cui quello organizzato in forma di franchising; - Altri canali (farmacie, erboristerie, ecc.).

5.2.1 La vendita diretta in azienda

La vendita diretta in azienda è uno dei canali preferiti dagli agricoltori biologici. Si tratta dell’allestimento di spacci aziendali, attraverso i quali il produttore raggiunge immediatamente il consumatore, senza bisogno di intermediari.

Come in tutti i casi in cui si sceglie di vendere il prodotto direttamente, il produttore assume un ruolo importante e diventa fondamentale la sua competenza nel gestire il rapporto con il cliente.

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Generalmente, le aziende che scelgono di gestire il canale direttamente si trovano a sostenere costi più elevati, in quanto i costi generati dalla distribuzione diventano interamente di loro competenza.

Nel caso dell’allestimento di spacci aziendali, sono i consumatori a raggiungere l’azienda e questo annulla i costi di trasporto che altrimenti il produttore dovrebbe sostenere. Tuttavia, la disponibilità del cliente di recarsi in loco non è affatto scontata. Ne deriva che, in questi casi, l’attenzione al cliente e all’immagine dell’azienda presso i consumatori sono di fondamentale importanza. Il cliente non compirà lo sforzo, a meno che non abbia una buona opinione in merito all’affidabilità dell’azienda e non ritenga l’esperienza di acquisto direttamente in azienda più soddisfacente di quella di un acquisto in un normale punto vendita.

Certamente la vendita in azienda conferisce ai prodotti un radicamento territoriale che si perde man mano che si scende lungo le filiere distributive più lunghe e complesse. I clienti hanno la possibilità di dare un volto a chi produce il cibo che ogni giorno portano sulla tavola e possono anche porre domande e chiedere consiglio.

Quella che emerge è una grande opportunità per le aziende di controllare la percezione che i clienti hanno dei propri prodotti – e quindi di un posizionamento più accurato – e di conoscere la domanda attraverso l’osservazione diretta.

Tutto ciò, naturalmente, comporta maggiori costi operativi (si pensi ai costi di

confezionamento legati alla vendita di lotti adeguati al singolo consumatore, ai costi di magazzino, ai costi di gestione del punto vendita ecc.) e anche dei costi accessori, quali ad esempio i costi di customer care.

Tuttavia, vendere i prodotti direttamente permette alle aziende di recuperare dei margini di guadagno che altrimenti andrebbero a disperdersi lungo la filiera e aziende e

consumatori spunterebbero prezzi più equi. Si stima infatti che, “in una supply chain tradizionale, in cui intervengono una molteplicità di attori intermedi tra produttore e consumatore, i costi per la distribuzione (logistica, packaging e promozione) possono essere molto vicini al 30% del prezzo”. [Vitaliano Fiorillo, 2015]. Se consideriamo che, ogni volta che il prodotto passa da un intermediario all’altro, viene praticata una

maggiorazione di prezzo, è facile intuire come il prezzo al consumo possa essere significativamente oneroso.

I limiti insiti in questa tipologia di vendita sono da riscontrarsi nelle difficoltà ad ampliare il mercato, che per sua naturale è locale, e nella difficoltà a commercializzare grandi quantitativi di prodotti. [Paolo Cupo e Francesco Zecca, 2017].

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Le aziende agricole biologiche che effettuano la vendita diretta in azienda sono aumentate nel corso degli anni. Dal 2004 al 2014 si registra un aumento di questo canale di vendita pari al 145%. Tuttavia vi è stata una lieve contrazione nel 2015, in cui le aziende con vendita diretta hanno raggiunto le 2.878 unità (2879 nel 2016). [Tab. 5.1] Delle 2.878 unità del 2015, il 48% circa è rappresentato da aziende con agriturismo, mentre il restante 58% delle aziende agricole si dedica anche all’attività di

trasformazione. La vendita diretta prevale al Nord, con il 42% degli operatori, seguito dal Sud, in cui la commercializzazione lungo i canali tradizionali è meno organizzata. La Regione dove vi è una più ampia diffusione della vendita diretta in azienda è

l’Emilia Romagna. I prodotti più commercializzati per via diretta in azienda sono frutta e verdura (1.332 punti vendita), olio (1.192) e vino (848).

Tabella 5.1: Aziende agricole biologiche con vendita diretta

Circoscrizione 2004 2006 2007 2008 2009 2014 2015 2016 Nord 505 593 722 813 915 1277 1242 1229 Centro 386 407 554 614 680 816 809 821 Sud 198 205 247 352 413 636 827 829 Isole 95 119 122 164 168 174 n.d. n.d Italia 1184 1324 1645 1943 2176 2903 2878 2879 Fonte: BioBank. 5.2.2 I mercatini biologici

Gli agricoltori possono anche scegliere di vendere direttamente i propri prodotti presso i mercati locali. Spesso, questi mercati ospitano sia agricoltori convenzionali che

agricoltori biologici, ma esistono anche realtà prettamente biologiche, dove l’agricoltura convenzionale non trova spazio.

Anche in questo caso, il contatto diretto con il mercato finale permette una

pianificazione della produzione più accorta e coerente con le esigenze espresse dalla clientela.

I mercati contadini un tempo erano un popolare strumento di commercializzazione del prodotto agricolo. Essi hanno però perso importanza al seguito dell’affermarsi di nuove abitudini di acquisto e di consumo del consumatore, spesso un lavoratore, che preferisce

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fare acquisti in unico punto vendita, in fasce orarie che si accordino con il suo stile di vita frenetico.

Oggi, però, questi mercati trovano nuovo slancio, grazie anche agli esempi stranieri, dove i mercati contadini (i cosiddetti “farmers’ market”) hanno avuto una crescita esponenziale. Negli Stati Uniti si contano oltre 4300 farmer’s market e nel Regno Unito ve ne sono più di 500, frequentati da 15 milioni di consumatori all’anno. [Department for Environment, Food & Rural Affairs, 2013].

Anche nel nostro paese, i mercati biologici28 sono in crescita e la situazione italiana si presenta eterogena a seconda della zona geografica di riferimento. Nel 1998, si svolgevano in Italia 92 mercatini biologici, ma per oltre due terzi nel Nord Italia, un terzo al Centro e solo 3 nel Sud e nelle Isole. [Paolo Cupo e Francesco Zecca, 2017]. Negli anni successivi, questo canale commerciale ha registrato una crescita, ma il divario geografico è rimasto: nel 2016, su un totale di 221 mercatini (+150% rispetto al 1998), 166 si svolgevano nel Nord, 51 nel Centro e 13 nel Sud e nelle Isole. In base ai dati 2015, l’Emilia Romagna – quasi sempre al primo posto sui vari canali commerciali – conferma il suo primato per numero di mercatini; tuttavia, in base alla densità di questi ultimi rispetto agli abitanti, la leadership spetta alla Valle d’Aosta. [Tab. 5.2]

Tabella 5.2: Mercatini biologici

Circoscrizione 1998 2000 2005 2009 2014 2015 2016 Nord 63 89 144 153 158 155 166 Centro 26 26 33 52 49 52 51 Sud e Isole 3 4 8 20 14 14 13 Italia 92 119 185 225 221 221 230 Fonte: BioBank.

Le cadenze temporali dei mercati biologici possono essere anche molto diverse. Si va da mercati a cadenza settimanale, fino ad arrivare a mercati che si svolgono una volta l’anno. A seconda della loro frequenza, i mercati biologici possono assumere ruoli molto differenti. Tanto più essi sono ravvicinati nel tempo, tanto più possono

28 Risulta importante sottolineare che si dispone esclusivamente di dati ed informazioni riguardanti i

mercati esclusivamente biologici. La mancanza di informazioni statistiche riguardanti gli operatori biologici che sono presenti nei mercati ibridi, al fianco di quelli convenzionali, rende ovviamente il quadro incompleto.

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rappresentare un vero e proprio canale che l’azienda può utilizzare per

commercializzare i propri prodotti; viceversa, i mercati a cadenza annuale fungono principalmente da eventi pubblicitari e culturali, utili a sensibilizzare il territorio in merito alla questione ambientale e salutistica.

Nel 2015, si svolgevano in Italia 221 mercatini; il 44% dei quali sono aperti almeno una volta all’anno, mentre quelli aperti almeno una volta alla settimana ne rappresentavano poco più del 26%. [Bioreport 2016]

I mercatini contadini presentano molti dei vantaggi prima menzionati a proposito della vendita diretta in azienda: permettono e anzi incoraggiano la relazione con il cliente – il quale può ottenere molte più informazioni che semplicemente leggendo l’etichetta del prodotto in un supermercato - e consentono di vendere i beni ad un prezzo più equo sia per i produttori che per i consumatori, il tutto senza dover provvedere alla gestione a tempo pieno di uno spazio fisico in azienda. Il consumatore avrà quindi la possibilità di reperire i prodotti freschi che cerca, in un luogo presumibilmente a lui più vicino, da un produttore con cui può istaurare un rapporto di fiducia. Anche in questo caso, il

produttore diventa testimonial della sua stessa azienda ed è per ciò altamente responsabilizzato.

Acquistando presso un mercatino biologico o presso uno spaccio aziendale, il

consumatore ha accesso a prodotti raccolti in tempi recenti (da uno a pochi giorni prima dell’esposizione al pubblico) e per questo più sani. Infatti, sebbene acquistare presso gli agricoltori non sia necessariamente sinonimo di sicurezza alimentare, i prodotti venduti per via diretta non necessitano degli additivi e dei conservanti normalmente impiegati per estendere la shelf-life di un prodotto e per mantenerlo fresco nei trasporti a lunga distanza. [Vitaliano Fiorillo, 2015]. I prodotti che vengono venduti nelle filiere lunghe, devono essere raccolti per tempo e vengono fatti maturare durante il trasporto e

direttamente al supermercato. In questo modo, perdono parte del loro sapore e le loro proprietà nutrizionali vengono compromesse.

In Italia, e più in generale in Europa, gli operatori che vendono ai mercati contadini devono coltivare entro una distanza massima dal mercato di vendita. Generalmente, entro un raggio di 30-40 km (di più se il mercato si trova in una grande area urbana). In base al D.D.L. del 1 Marzo 2010, è considerato a “Km 0” un bene il cui luogo di produzione non dista più di 50 Km dal luogo dove è effettuata la vendita ovvero ove è ubicato il mercato. Il concetto di “Km 0” è spesso confuso con quello di filiera corta, ma le due cose non coincidono. La filiera corta, come abbiamo visto, è quella tipologia

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distributiva caratterizzata dalla presenza di un solo intermediario, mentre la vendita a “Km 0” riguarda il rispetto di una distanza massima fra luogo di produzione e luogo di vendita, ed è quindi indipendente dal numero di intermediari coinvolti nella

distribuzione.

L’idea alla base dell’orientamento al “Km 0” è quella di ridurre le cosiddette food miles, ossia i Km che il cibo deve percorrere prima di raggiungere le nostre tavole. Il rispetto di questa “regola”, porterebbe la popolazione a consumare prodotti più freschi e a sostenere l’economia locale. Tuttavia, il tema delle food miles è controverso, soprattutto per quanto riguarda la presunta valenza ambientale positiva.

Al di là delle considerazioni ambientali, il mercato biologico può, tra le altre cose, sortire l’effetto positivo di riaffermare l’identità del luogo e costituire un canale di prova per l’azienda che voglia testare nuovi prodotti, prima di avviarne una produzione

consistente. In base a tutte le osservazioni fino ad ora effettuate, il mercato contadino risulta essere un canale distributivo molto valido dal punto di vista sociale, ambientale e culturale.

5.2.3 I Gruppi d’Acquisto Solidale

I Gruppi d’Acquisto Solidale, o GAS, sono una delle forme di vendita diretta più originali. Gruppi di consumatori effettuano acquisti collettivi direttamente dal

produttore, saltando dunque le varie intermediazioni commerciali, per finalità etiche, di solidarietà sociale e sostenibilità ambientale. Sono proprio i principi di equità e

solidarietà che ispirano questo modello di acquisto a differenziare i GAS dai gruppi di acquisto tout-court, i quali possono essere dei semplici espedienti per conseguire un risparmio.

Dal punto di vista organizzativo, generalmente, si tratta di organizzazioni non profit, gestite in forma volontaria, che possono avere un numero molto variabile di soci. In alcuni casi, l’iniziativa parte da un gruppo di amici che decidono di dare vita ad una cooperativa informale; altre volte, si tratta di cooperative di consumo più strutturate. Il modello del GAS deriva da paesi quali Svizzera, Germania e Giappone. [Groh, McFadden, 1997; Suput, 1992]. Dal punto di vista teorico, i GAS si fondano su una solida collaborazione tra l’agricoltore e i consumatori locali. Questi ultimi dovrebbero partecipare alla vita contadina, condividendone i costi e i rischi e ottenendo in cambio prodotti freschi e di qualità. [Vitaliano Fiorillo, 2015]. Tuttavia, la realtà dei fatti è un po’ diversa.

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I GAS esprimono solidarietà verso il venditore, garantendogli condizioni di vendita più convenienti rispetto a quelle praticate sul libero mercato e ricevono in cambio una parte del raccolto dell’agricoltore. Il consumatore ha poca libertà di scelta ed è vincolato all’acquisto entro un paniere limitato di prodotti. Il produttore ha quindi la sicurezza di vendere tutto quanto da lui prodotto, anche i pezzi non ottimali e i tagli meno pregiati. [Duccio Caccioni e Luisa Colombo, 2012].

Una delle versioni più diffuse di GAS prevede l’acquisto, prima della stagione agricola, da parte di ogni membro del gruppo, di una quota del raccolto. Al momento della raccolta, gli acquirenti riceveranno quanto accordato, con cadenza settimanale o quindicinale.

Quel che contraddistingue i GAS dalle altre forme di vendita diretta è il senso di comunità che si crea all’interno della rete di acquisto, coinvolgendo produttori e

consumatori. In questo senso, il GAS si pone come un’alternativa molto diversa rispetto alle modalità tradizionali di acquisto, fondate su relazioni limitate e circoscritte nel tempo. In base a questa logica, l’abbattimento dei costi di transazione sembra passare in secondo piano rispetto ai benefici sociali.

Tuttavia, nemmeno il GAS riesce a sottrarsi totalmente dalle logiche di mercato. Infatti, nel momento in cui i consumatori non si accontentano di un numero limitato di

referenze e iniziano a chiedere una maggiore varietà, l’azienda – generalmente di piccole dimensioni – non riesce a far fronte alla richiesta in maniera efficiente e si trova ad alzare i prezzi dei prodotti facendo diventare il GAS un canale di acquisto poco conveniente per l’acquirente. [Vitaliano Fiorillo, 2015].

Nella Tab. 5.3 si può notare come, dai soli 15 GAS del 1998, si sia arrivati a 891, nel 2014, con un aumento del 5840%. Tuttavia, nel 2015, il numero di GAS ha subito una flessione rispetto all’anno precedente in quanto, il numero dei nuovi gruppi d’acquisto non è riuscito a compensare quello dei GAS che hanno cessato la loro attività (in tutto 30 unità). Ulteriori flessioni nel 2016, quando il numero di GAS è sceso a 841 unità.

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Tabella 5.3: Gruppi di acquisto solidale

Circoscrizione 1998 2000 2005 2009 2014 2015 2016 Nord 12 31 154 349 559 552 531 Centro 2 5 48 176 232 229 214 Sud 1 3 14 43 65 96 96 Isole 2 1 6 30 35 n.d. n.d. Italia 15 40 222 598 891 877 841 Fonte: BioBank.

La rilevazione di BioBank non comprende però i GAS informali, per cui il dato è probabilmente sottostimato, mentre considera circa 20 reti che aggregano più gruppi. Nel 2015, si conferma il primato di Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna per numero di GAS costituiti. Il Trentino-Alto Adige, invece si segnala per la più elevata densità di GAS rispetto agli abitanti, seguito da Toscana e Friuli-Venezia Giulia. La città che presenta la maggiore concentrazione di GAS è Milano. [Bioreport 2016] 5.2.4 Gli agriturismi biologici

Le aziende agrituristiche biologiche associano alla produzione agricola l’offerta di ospitalità rurale, spesso legata alla ristorazione.

In questo modo, l’agriturismo si pone come sbocco naturale della produzione aziendale ed è un utile mezzo per diversificare il reddito dell’azienda.

Gli agriturismi, oltre ad offrire in loco la possibilità di gustare gli alimenti provenienti direttamente dal campo, spesso vendono i propri prodotti ai turisti, raggiungendo in questo modo dei segmenti di domanda lontani geograficamente.

Il soggiorno in un agriturismo biologico può diventare anche un’esperienza stimolante, grazie alle iniziative, promosse da alcuni, di allestimento di fattorie didattiche,

caratterizzate da finalità educative, prevalentemente indirizzate al pubblico infantile. La maggior parte degli agriturismi si trova nelle regioni del Centro Italia, dove vi è una solida tradizione agrituristica e si contano 631 agriturismi. Segue il Nord con 503; mentre il Sud e le Isole ospitano i restanti 419. Rispetto al 1997, nel 2014, si registra un aumento percentuale del numero di agriturismi pari al 314%. Tuttavia, nel 2015, gli agriturismi biologici diminuiscono dell’1,7%, assestandosi intoro alle 1527 unità, di cui il 93% con pernottamento e il 79% con ristorazione. Il 30% degli agriturismi è anche

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fattoria didattica. Al primo posto per numero di operatori agrituristici, troviamo la Toscana, al secondo nuovamente l’Emilia-Romagna e al terzo le Marche. Nel 2016, si registra un ulteriore peggioramento, con un calo degli agriturismi che scendono alle 1.504 unità. Talvolta la causa di ciò è da ricercarsi negli elevati oneri di certificazione che portano gli agricoltori a praticare agricoltura biologica non certificata, basandosi sulla “fiducia” dei clienti. [Tab. 5.4]

Tabella 5.4 Agriturismi biologici

Circoscrizione 1997 2000 2005 2009 2014 2015 2016 Nord 109 160 251 375 503 n.d. n.d. Centro 182 251 343 573 631 n.d. n.d. Sud 53 133 148 199 324 n.d. n.d. Isole 31 47 62 75 95 n.d. n.d. Italia 375 591 804 1222 1553 1527 1504 Fonte: BioBank. 5.2.5 L’E-commerce

Un canale di vendita pionieristico per i prodotti alimentari è costituito dal commercio elettronico. Anche in questo caso, si tratta di una forma di vendita che consente di aggirare gli anelli della distribuzione tradizionali e arrivare direttamente al consumatore. La vendita on-line offre la possibilità ai consumatori di effettuare le proprie scelte comodamente da casa e ricevere il prodotto nella propria abitazione. Nonostante la sua indiscussa comodità, è comunque uno strumento considerato da molti poco valido sotto il profilo dell’acquisto di prodotti alimentari.

Le ragioni della sua invalidità risiederebbero nella mancata possibilità di “toccare con mano” e vedere il prodotto, nonché nella frequenza di acquisto di beni alimentari, che spesso possono essere necessari all’ultimo minuto, non consentendo di effettuare acquisti attraverso la rete Internet.

Tuttavia, si può sostenere che l’e-commerce non sia uno strumento da sottovalutare, grazie anche al progresso dal punto di vista della processazione degli ordini on-line – ormai sempre più veloci – e ad alcune iniziative innovative, volte a favorire questo canale.

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Nello specifico, mi riferisco alla costituzione di ditte di home delivery, le quali effettuano vendite a catalogo, o consegne porta a porta di cassette miste di prodotti freschi (box schemes). Alcune aziende somministrano pasti pronti biologici ai lavoratori, direttamente nei loro uffici, soddisfacendo una domanda di pasti caldi già pronti, ma senza rinunciare alla salute e al gusto.

La tendenza dell’ultimo periodo è quella di sfruttare il social media marketing, allo scopo di raggiungere target di consumatori ben specifici. Il canale che consente il conseguimento di questo obbiettivo è ad esempio Instagram, un’applicazione nata per la condivisione di foto. All’interno di questa App, ogni iscritto ha un proprio profilo e può sia condividere foto e video di breve durata sia vedere quelle degli altri iscritti. Dal momento che alcuni profili – non solo quelli di personaggi di spicco – hanno molti seguaci, alcune aziende hanno scelto di avvicinare questi soggetti e proporre una collaborazione: in cambio di prodotti gratuiti, questi soggetti hanno il compito di pubblicizzare i beni venduti dall’azienda, offrendo anche degli sconti ai propri seguaci (pari generalmente al 20% del prezzo di vendita), ottenibili inserendo il codice sconto del soggetto che sponsorizza l’azienda.

Dal punto di vista dei prodotti alimentari, questa pratica sta avendo molto successo. Molti profili su Instagram sono basati sulla tenuta di diari alimentari e sulla

condivisione di uno stile di vita sano; e la crescente attenzione verso queste tematiche rende molto interessante per i consumatori la diffusione di opinioni sui prodotti: i consumatori ricevono informazioni – anche organolettiche – da chi ha già testato il prodotto e possono quindi orientare meglio le proprie scelte, ricevendo anche uno sconto. Senza considerare che, spesso, i profili che fanno da sponsor sono tenuti da soggetti carismatici, popolari e rappresentativi di stili di vita con cui il target di riferimento si identifica e suscitano quindi in quest’ultimo un senso di fiducia e il desiderio di utilizzare gli stessi prodotti utilizzati dal suo “idolo”.

Esempi di aziende che offrono prodotti alimentari biologici e che utilizzano la tecnica appena descritta sono: MyProtein, FoodSpring e Netbody.

Sembra dunque che dovremo aspettarci svolte interessanti sotto il profilo dell’e-

commerce, il cui peso, in una società sempre più tecnologica e connessa come quella in