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INTERVISTA ALL’AZIENDA “APICOLTURA ENRICO TAGGIASCO” La prima intervista è stata condotta presso un’azienda apistica ligure, in provincia di La

CAPITOLO VI INDAGINE SUL CAMPO

6.2 INTERVISTA ALL’AZIENDA “APICOLTURA ENRICO TAGGIASCO” La prima intervista è stata condotta presso un’azienda apistica ligure, in provincia di La

Spezia: Apicoltura Enrico Taggiasco.

Di seguito riporto la trascrizione dell’intervista. Quali sono i beni oggetto della sua produzione?

Vendo vari tipi di miele: miele di erica, miele millefiori, miele di acacia, miele di tiglio, miele di castagno e miele di fiori di bosco. Vendo anche la propoli in soluzione alcolica, con cui mi curo io stesso. La adopero ogni giorno per potenziare le difese immunitarie. Poi faccio anche il miele con il propoli. Un tempo producevo anche il polline e la pappa reale, ma mi sono stancato perché è molto impegnativo. Adesso però c’è mia nipote che è interessata (ndr: le nipoti del signor Taggiasco prenderanno in mano l’azienda) e gliel’ho insegnata. La gente me la chiede, ma non è facile. Ogni tre giorni bisogna occuparsene, per questo ho smesso.

Lei ha dipendenti? No, faccio tutto da solo.

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Potrebbe dirmi qualcosa in merito all’andamento del fatturato negli ultimi anni? Mmm, è una domanda difficile… Non faccio fatture, tengo solo il libro dei corrispettivi. Ma non so il totale. Essendo produttore agricolo io non devo fare lo scontrino, a fine giornata, devo solo scrivere quanto ho incassato. Vado dal commercialista e ci pensa lui, quindi non lo so.

Mi potrebbe raccontare qual è la storia della sua azienda?

Fin da bambino avevo in testa di mettere su le api. Mio padre però era interessato alla vigna e non se ne intendeva di api. Era convinto che le api gli mangiassero l’uva e quindi non ha mai voluto che io mettessi le api. Però mi ricordo che mi ero comprato un libricino, che ho ancora, che parlava di apicoltura. Poi dopo che mio babbo è morto, ero già sposato, ho letto un articolo che parlava delle api e mi è tornata voglia di mettere su le api. E allora sono andato in giro a chiedere per trovare le api. Ma nessuno me le dava. Ai tempi io insegnavo educazione tecnica alle scuole medie e parlando con i bambini delle api, un bambino mi ha detto che a casa di una signora c’era uno sciame d’api nel muro. Il bambino ha sentito questa signora e io allora sono andato là, ma non me ne intendevo ancora di api, e ho fatto una specie di ponte per arrivare sopra la finestra e prendere queste api. Le api avevano fatto un nido, era difficile prenderle. Adesso, non ci andrei nemmeno, era un’impresa impossibile, ma a quel tempo non me ne intendevo. Ci ho messo una cassetta e a sera sono andato a vedere se ci erano entrate dentro, ma non ci erano entrate.

Poi, un bambino mi ha detto che suo padre aveva delle api abbandonate nei campi. Era un’arnia a cui mancava metà tetto, quindi ci pioveva anche dentro. Questo signore aveva abbandonato lì le api. Le tavole erano marcite. Per prenderle ci sono tornato con una retina. Sono andato là con mio suocero e ho aspettato che le api rientrassero tutte dentro e ho chiuso con questa rete. Poi con una portantina abbiamo portato questa vecchia arnia nel mio giardino. Queste api erano cattivissime perché poverine erano alle intemperie e piene di formiche.

Poi ho fatto un corso di apicoltura. Lo studio in tutte le cose è fondamentale. Ho comprato due famiglie di api. A Bologna c’è l’Istituto Nazionale per l’apicoltura e facevano dei corsi per esperti apistici e allora ho fatto domanda e ho partecipato al corso, che è durato più o meno una settimana. Condividevo la camera con altri

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apicoltori e parlavamo di api tutto il giorno. Lì mi sono formato più che altro sulle malattie delle api, che per me è una cosa fondamentale.

Poi ho partecipato a tutti i convegni che c’erano in giro. In questi convegni ho

conosciuto tutti i relatori, perché andavo a mangiare con loro e mi sedevo accanto a loro per parlarci.

Prima abbiamo fondato la cooperativa Apiluni con sede a Sarzana con l’aiuto del comune di Sarzana. È proprio grazie al comune di Sarzana che siamo diventati forti. E abbiamo organizzato la prima Sagra del miele a Sarzana. Mettevamo un trattore davanti al Comune, con le arnie sopra (senza le api) e poi facevamo finta di essere in apiario e io spiegavo tutto con il microfono e c’erano gli apicoltori che facevano finta di essere in apiario, indossavano la tuta, accendevano l’affumicatore, spazzolavano le api ecc. E poi tutta la gente veniva ad assaggiare gli opercoli sporchi di miele. Poi l’apicoltore aveva preparato anche le confezioni, in cui metteva il vasettino di miele da regalare ai partecipanti. La gente era contenta e lo trovava interessante.

Io all’epoca ero presidente delle Cooperativa, ma poi ho dato le dimissioni perché a Spezia l’Associazione degli apicoltori mi ha eletto come presidente e dopo due-tre anni la Cooperativa ApiLuni ha dovuto chiudere, perché quando non c’è passione… io quando organizzavo la Sagra del miele a Sarzana, andavo in giro a cercare la friggitrice per fare gli sgabei, i tavolini, le tende e tutto; perdevo un mese ad organizzare e quando sono andato via io la gente pensava solo ai soldi, mentre io lo facevo per passione. Io allora ho continuato con l’associazione di La Spezia.

Poi è venuto un cofinanziamento, dei soldi per gli apicoltori, 50% dati dalla comunità europea e 50% dallo Stato membro e quindi l’Italia. Allora abbiamo fatto

l’Associazione ApiLiguria che comprendeva le 4 Province liguri (La Spezia, Genova, Savona e Imperia). Piano piano siamo diventati l’associazione più forte della Liguria. Avevamo dei contributi per comprare le arnie, l’acaricida e poi facevo tutti gli anni un convegno di apicoltura, un po’ in tutta la Liguria.

Poi i fondi permettevano di fare dei corsi per migliorare la preparazione.

Quando ho cominciato avevo un’arnia. Quando ho fatto il corso a Bologna, parlavo con una professoressa e le raccontavo delle mi api che, come ho detto, erano cattivissime… e la professoressa mi ha detto “Lo so anche io che sono cattive, ma se sono

sopravvissute con le formiche, con l’arnia a cui mancava metà tetto… se le tenga care!”, perché vuol dire che sono forti. Infatti, quella famiglia lì mi faceva tutti gli anni 50 Kg di miele. Poi l’ho travasata in un’altra arnia e piano piano sono diventate più mansuete.

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Ero sempre intorno alle api, avevo promesso che mi sarei fermato a 10 arnie e ora invece ne ho 101.

Io adesso ho più di 80 anni, mi fa bene alla salute, anche se sarei bugiardo a dire che non ci guadagno niente, ma non l’ho mai fatto con quell’istinto lì. Quando facevo i corsi per gli apicoltori, c’è sempre stato uno che a prima lezione mi chiedeva “a quanto dovrò venderlo il miele?”. E io pensavo “Quel tipo lì farà senz’altro più soldi di me, ma non sarà mai un apicoltore”. Per essere un apicoltore ci vuole tanto amore per la natura e non pensare ai soldi. Poi magari verranno anche quelli. Per essere apicoltori non basta avere le api, bisogna saperle allevare, conoscerle e amarle. Io ci ho perso tanto tempo. Ho fatto quel corso a Bologna, e poi ho fatto amicizia con alcuni professori universitari. Poi andavo a convegni da tutti le parti, anche mondiali. Li fanno ogni due anni, un anno in Europa e quello successivo in altre parti del mondo. Due anni fa sono andato in Corea del Sud. Mi sono formato un po’ di esperienza. Ma con le api non è facile perché, oggi, ci sono un sacco di malattie che una volta non c’erano in Italia. Sono arrivati un sacco di parassiti che distruggono gli alveari: la Aethina tumida, la Varroa e la Vespa velutina per esempio.

La lotta contro i parassiti è difficile, perché bisogna impiegare un veleno che non uccida l’ape, che uccida il parassita, ma non inquini il miele. È qui che sta il biologico.

Fin da quando ha iniziato lei ha seguito il metodo biologico? Non c’era ancora il biologico quando ho iniziato io.

Da quanto tempo lei ha la certificazione?

Mmm, non so, sarà una ventina d’anni. Con le api ho iniziato nell’1982 e ho fatto biologico fin dall’inizio, anche se senza certificazione. Io ho cercato subito, quando è uscito il biologico, di differenziarmi dicendo “io faccio il miele così”, che poi è come ho sempre fatto.

Io però vedo tanta gente, durante la fiera agroalimentare, che sceglie il miele che costa meno.

Quando ha deciso di vendere il miele che produceva?

Eh, un alveare me ne faceva 50 kg, poi aumentando non sapevo dove mettere il miele. Inizialmente sono andato nei negozi a Spezia e dicevo di essere un apicoltore e cercavo di vendere il miele, ma non potevo fare fattura, avrebbero dovuto farmela i negozianti

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ed era una scocciatura, quindi nessuno lo prendeva. Allora sono passato al regime fiscale superiore per poter emettere fattura e a quel punto potevo venderlo nei negozi. Poi hanno iniziato a fare la fiera agroalimentare a Spezia e io ero presidente della cooperativa. Io ho fatto in modo che qualcuno si mettesse in regola con la legge, per poter vendere il miele. Serviva la partita IVA, il libretto sanitario ecc. e poi dopo ci serviva il locale di invasettamento. Quelli che si sono messi in regola – io sono stato il primo – poi vendevano il miele.

Tornando al biologico, per la Varroa serviva un veleno che uccidesse la Varroa ma non uccidesse l’ape e non inquinasse il miele. In commercio ci sono dei prodotti registrati, però costano cari e la maggior parte degli agricoltori usa prodotti vietati dalla legge, sia per il biologico che per il convenzionale.

Poi c’è la peste americana e contro quello, per non bruciare le arnie, si può usare l’antibiotico, dietro prescrizione veterinaria; ma questo non è un battericida, è un batteriostatico, e quindi la peste rimane lì ferma. I residui devono essere 0 però. La terapia va fatta due volte all’anno e la peste può essere attaccata a tutte le altre arnie. È pericolosa la peste perché le api volano e possono attaccare la peste americana a tutte quelle nei dintorni.

Tornando al biologico, a parte che il miele me lo mangiavo io, i bambini. Lo davo ai miei figli. Poi, anche onestamente, io non ho mai usato i prodotti vietati, anzi, quando ero presidente ho sempre sconsigliato e vietato come potevo di usare i prodotti vietati. Infatti, quando mi sono accorto che avevano iniziato ad adoperarli, ho dato le dimissioni e non sono più nemmeno socio degli apicoltori. Ho fatto sempre apicoltura biologica, da quando ho iniziato con un alveare. Mi va giù male una cosa, ho sempre fatto così però, per poterlo scrivere sull’etichetta, devi avere la certificazione e, a parte i soldi, che nel mio coso sono 300/400 euro all’anno, devi stare a farti fare i controlli e perdi una giornata a far scartoffie ecc.

Lei viene controllato una volta l’anno, giusto?

Sì, ma sono venuti anche i carabinieri del NAS. Tutti gli anni vengono a prendere i campioni di miele. Anche la Regione Liguria è venuta una volta.

Hanno controllato anche la zona dove sono le api, per vedere che non sia inquinata. Il biologico non riguarda solo la zona di produzione che non deve essere inquinata, ma soprattutto il trattamento che uno fa alle api. Antibioitici ecc. Io sono stato in Tunisia, e lì c’era un professore che spiegava come curare la Varroa, che in Italia non c’era ancora.

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E lì ho imparato un metodo naturale che impiega il timolo, il mentolo e la canfora, sciolti in olio d’oliva. Io ho sempre curato la Varroa così. Faccio anche delle lezioni in Liguria, per insegnare questo metodo. Adesso fanno un prodotto che è praticamente lo stesso, ma è già pronto.

C’è un prodotto che è talmente velenoso che in Italia ne è vietata la vendita, e alcuni apicoltori vanno a comprarlo in Spagna, perché lì è ancora legale.

Mi potrebbe spiegare perché ha scelto il biologico piuttosto che il convenzionale? Nello scenario attuale dei consumi, si sta affermando sempre più la ricerca di prodotti sani e genuini, ottenuti nel rispetto dell’ambiente. L’attenzione per la qualità e una corretta alimentazione sono i principi di una fetta sempre più ampia di consumatori, attenti alla propria salute e a quella dei loro bambini. Fare apicoltura biologica è la giusta risposta perché prevede un insieme di tecniche di allevamento che escludono l’uso di antibiotici e medicinali e non consentono di alimentare le api con sostanze zuccherine.

L’apicoltore è controllato in ogni fase: dall’ambiente ove sono gli alveari, ai materiali usati nelle tecniche di allevamento delle api. Viene analizzato il miele e la cera prodotta e tutto è certificato. Fare apicoltura biologica non è solo un modo per produrre cibi sani in accordo con l’ambiente. È anche fatto di cultura e stile di vita.

Attraverso quali canali di vendita commercializza i suoi prodotti?

Prima portavo il miele in qualche negozio qui in Liguria, ma ora non lo do più ai negozi. Partecipo a dei mercatini settimanali: il Giovedì in piazza a La Spezia e, il Martedì, faccio il mercatino del biologico, sempre a Spezia ma in un’altra zona, però siamo in pochi a produrre biologico e quindi ci sono poche bancarelle. Lo vendo anche qui in azienda, ma tanti trovano più comodo venire al mercato.

Come mai ha scelto di non rivolgersi più ai negozi?

Perché guadagno di più se lo vendo per conto mio, dato che lavoro tanto. Però anche lì… lavoro tanto, ma dipende dal tempo meteorologico. Sto dalla mattina alla sera intorno alle api, però poi capitano ondate di freddo e la produzione si abbassa

drasticamente. Il clima sta cambiando e i castagni, ad esempio, stanno seccando, per la siccità. Da tutte le parti questo.

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Quindi lei non ha mai provato a vendere nei supermercati? Non le interessava? Non mi interessava perché me lo pagano poco. Ad esempio, io ora vendo il miele di fiori di bosco a 11 euro al Kg; se lo dovessi dare ad un supermercato dovrei metterlo a 7/8 euro. Così guadagno di più. Magari alcuni apicoltori fanno tanto miele…

Ha mai pensato di vendere il miele sempre direttamente ma online? Magari non lei in prima persona (ndr: il signor Taggiasco ha già affermato di non avere interesse per i computer), ma le sue nipoti?

Eh, ma poi magari non ho il miele. Preferisco venderlo così anche per il discorso dei pagamenti ecc. Una volta un signore aveva visto il mio miele in un negozio e mi ha chiamato per chiedermi di spedirglielo e qualche volta l’ho fatto, ma poi una volta mi ha mandato meno soldi, e così ho detto basta.

Comunque, in realtà, il miele che faccio potrebbe non bastarmi. Mi basta per fare queste fiere che ti ho detto. Non voglio comprarlo fuori e poi rivenderlo, come fanno alcune aziende. Se poi non è buono si fa una brutta figura.

L’anno scorso com’è andata la produzione? Quanto miele ha fatto?

D’acacia 180 Kg. Idem di fiori di bosco, ma di questo ne facevo anche 13 quintali, dipende dal tempo (se piove sempre di miele non ne fai) e dai parassiti. L’anno scorso c’è stata un’ondata di freddo che ha bruciato i fiori d’acacia, e quindi in tutta Italia si è fatta pochissima acacia. Poi si è aggiustato il tempo e non è più piovuto fino a settembre e quindi i fiori non davano nettare. Quindi, avrò fatto complessivamente 15 quintali di miele.

Lei ha una fattoria didattica giusto?

Lo faccio volentieri. Ho fatto l’insegnante e stare con i bambini mi piace. Ci sono diverse classi che vengono. A Settembre/Ottobre c’è un weekend in cui è aperta a tutti e possono venire anche le famiglie ecc. Io l’ho sempre fatto indipendentemente dai soldi, ma la Regione Liguria impone che tu faccia pagare. Io faccio pagare 6 euro, però regalo un vasetto di miele da mezzo chilo, quindi praticamente non pagano niente. Anche per fare la fattoria didattica ho dovuto fare un corso a Genova, serve l’assicurazione obbligatoria, mettere i servizi igienici ecc. non è mica facile.

Però se non si semina non si raccoglie niente, penso che se gli dico qualcosa a questi bambini, poi qualcosa gli rimane, si sensibilizzano.

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Riguardo al rapporto con i suoi colleghi, mi pare di capire che lei abbia quindi sempre cooperato con altri apicoltori, giusto?

Sì, io facevo il presidente. Facevo i corsi agli apicoltori. Tanti apicoltori a Spezia ci sono grazie a me, perché io avevo studiato della Varroa prima ancora che venisse in Italia.

E invece, in merito al rapporto con i suoi clienti? Ha dei clienti affezionati? Sì, tanti vengono al mercato, tanti sono pensionati e si chiacchiera, stanno lì. Mi chiedono consigli sul miele e gli dico quale fa bene per cosa…

Secondo lei, quali sono le maggiori problematiche del fatto di fare una produzione biologica piuttosto che una convenzionale?

Problematiche non ce ne sono. Devi usare certi prodotti, mentre nel convenzionale puoi usare quello che vuoi. Quelli che usano tanti apicoltori, e che sono vietati, costano anche poco, ma costano poco perché sono anche cancerogeni. Se sono vietati qualcosa vuol dire! La gente poi deve mangiare quei prodotti.

Inoltre, mi dà un po’ noia tutta la burocrazia. Poi, io ogni anno ho un modulo da compilare dove scrivo che miele faccio, quanti alveari ho e l’ho sempre fatto cartaceo. Adesso invece bisogna fare il PAP (Programma Annuale per le Produzioni biologiche) per via elettronica e io non ho nemmeno il computer.

Direbbe che le rese dell’agricoltura biologica sono inferiori?

No, c’è più lavoro, nel senso che se ci metti quei prodotti lì hai finito, mentre questi “approvati” costano più cari, ma sei tranquillo su quello che mangi.

La quantità di miele però non è inferiore. Solo che i trattamenti per i prodotti biologici sono diversi e costano di più. Però ne vale la pena: so quello che vendo.

Nel biologico, devi usare le pitture a base di olio di lino per l’arnia; non puoi usare arnie di plastica ecc. poi ci sono i costi di certificazione…

Lei ha avuto modo di accedere ai contributi europei per il PSR?

No. Un anno, quando ho fatto il locale per le scuole, ho comprato uno smielatore e due maturatori. E il Cidaf di Sarzana, che ora non c’è più, mi ha dato un po’ di contributo. Quando ero presidente per le arnie e l’acaricida qualche contributo me lo dava la regione. Le arnie che magari costavano 80-100 euro, le prendevo a 35 euro.

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Ora non prendo contributi. Ormai ho tutto e non mi serve più niente.

Lei ha per caso qualche suggerimento? Ritiene che il biologico avrebbe bisogno di qualche miglioria?

Nel mio caso, no. Per i materiali magari uno che inizia… ma c’è il PSR. Io sono soddisfatto, non ho mai chiesto niente a nessuno. L’unica volta è stata quello che ti ho raccontato.

6.3 INTERVISTA ALL’”AZIENDA AGRICOLA DI MARIA ANGELA FODDI”