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INTERVISTA ALL’AZIENDA AGRICOLA “IL FRANTOIO DI VICOPISANO”

CAPITOLO VI INDAGINE SUL CAMPO

6.4 INTERVISTA ALL’AZIENDA AGRICOLA “IL FRANTOIO DI VICOPISANO”

La terza è ultima intervista è stata condotta presso l’azienda agricola “Il Frantoio di Vicopisano”, in provincia di Pisa. A rispondere a tutte le mie domande è stato l’agronomo dell’azienda stessa, il signor Alessandro Scotti.

Qual è la storia della vostra azienda?

L’azienda è abbastanza antica. La struttura ha almeno 200 anni. Attualmente appartiene alla famiglia Boboli ed è così da fine anni 70, primi anni 80. Loro hanno restaurato il frantoio che era stato abbandonato. Io sono laureato in Agraria e sono venuto qui nel 2004 come apprendista. L’azienda si compone della coltivazione degli ulivi, della vigna e del frantoio. Negli anni 80 hanno introdotto anche i kiwi, che, al tempo, erano una coltura rara in Italia e avevano un alto valore. Un kiwi costava intorno ad 1 euro. Adesso invece la produzione in Italia è decollata e ora i kiwi si pagano fra i 50/80 centesimi al kilo. Gli ulivi erano già qui in azienda e sono state ampliate

successivamente alcune zone. La vigna, invece aveva circa 50 anni e l’abbiamo rinnovata in parte.

Complessivamente l’azienda occupa circa 10 ettari di terreno. Le piante di ulivo sono intorno alle 2.000/2.100.

Quali sono i beni oggetto della vostra produzione?

Produciamo olio biologico, kiwi biologici e stiamo aspettando l’etichetta biologica per il vino. Abbiamo fatto la richiesta nel 2015, quindi a breve avremo la certificazione biologica anche per questo prodotto (ndr: attualmente il vino ha la certificazione IGP). La vigna, in realtà, è stata sempre gestita in modo biologico, ma fino a qualche anno fa, il 2012 circa, era difficile fare il vino biologico perché c’era una problematica riguardo al contenuto di solfiti. Adesso, hanno trovato la soluzione che i solfiti si possono utilizzare fino ad un certo quantitativo. Perché i solfiti servono per conservare il vino. Fare il vino senza solfiti è molto complicato, lo fanno magari i biodinamici, ma hanno sempre problemi di odori che si possono formare nel vino.

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Vendiamo anche oli di oliva aromatizzati, ma non utilizzando aromi artificiali:

frangiamo direttamente le olive con il prodotto che dà l’aroma, ad esempio le foglie di basilico, il peperoncino ecc.

Ogni tanto vendiamo anche le foglie degli ulivi, della vite e di ortica, che vengono poi impiegate in prodotti cosmetici biologici.

Da quanto avete la certificazione biologica per le altre produzioni?

La certificazione è arrivata nel 2007. È stata richiesta nel 2004, perché ci vogliono tre anni di conversione.

Il nostro olio ha sia la certificazione biologica che IGP. Quest’ultima certificazione è più semplice da ottenere, basta fare la comunicazione ed è più diretta.

Quali sono le ragioni alla base della scelta di operare come produttori biologici? L’azienda è sempre stata gestita in modo biologico. È un punto in più dal punto di vista del marketing. Rispondiamo ad una richiesta di mercato.

Saprebbe dirmi l’andamento del fatturato dell’azienda negli ultimi anni?

Negli ultimi anni il mercato è stato un po’ difficoltoso. Il 2012 è stata una buona annata. Mentre il 2013, in generale, per le olive della zona è stata brutta per questioni

climatiche. Il 2014 lo stesso, le olive sono state colpite dalla mosca dell’ulivo. Poi c’è stata anche un’altra malattia che mummificava le olive. Quell’anno abbiamo fatto anche il frantoio nuovo e quell’anno si incassarono 12.000 euro. Il 2015 è stato un po’ una ripresa.

In realtà, bisogna fare una distinzione perché Azienda agricola e Frantoio sono due aziende diverse, per questioni fiscali, anche se siamo sempre noi. Il Frantoio fa un fatturato molto più alto dell’azienda agricola. L’Azienda agricola risulta come cliente del Frantoio che frange conto terzi.

Nel Frantoio non abbiamo una linea solo per il biologico. Noi facciamo biologico in certe fasce orarie. Le macchine sono sempre le stesse, ma fra un cliente e l’altro c’è una pulizia delle vasche e un cambio di acqua nella lavatrice. Chi è biologico mi porta un certificato e allora io ho la garanzia che sto frangendo olive biologiche.

Il fatturato comunque è molto vario da un anno all’altro. Dipende dalla produzione. Quest’anno abbiamo solo fatto 400 l di olio. L’anno scorso 1.500 l, perché la resa era bassa, altrimenti ne avremmo fatti magari 2.000.

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L’Azienda agricola vende il proprio olio a 30 euro al litro, ma rivende anche l’olio del Frantoio (fatto con le olive di altri che frangono da noi e parte delle nostre) e questo ha un prezzo più basso e va a 15 euro al litro. Complessivamente noi smerciamo intorno ai 2.000/3.000 litri di olio, sommando il nostro più quello degli altri (mediamente la nostra produzione è di 1.500 all’anno). Fra l’olio biologico e quello normale, ci saranno circa 2/3 euro di differenza.

Poi c’è il vino: produciamo circa 3.000 litri di vino all’anno. Grossomodo in un anno e mezzo lo faccio fuori. Poi ci sono annate più buone. Vendiamo circa 8 euro la bottiglia singola. Una media intorno ai 5/6 euro.

Il Frantoio è indispensabile per sopravvivere economicamente.

Qual è stato l’andamento del numero dei dipendenti negli ultimi 3 anni?

I dipendenti sono aumentati. Attualmente siamo in 4, mentre, nel 2015, eravamo 2/3. Qual è stato l’andamento della produzione?

La produzione dell’anno scorso è stata molto buona. Mentre quest’anno poco. Il

problema è che l’anno scorso, pur essendo buona la produzione, era bassa la resa, ossia quanto olio ottengo dalle olive.

La produzione media di olio, nelle annate buone, è di 1.500/2.000 litri.

Per il vino ci aggiriamo intorno ai 30 quintali, abbiamo solo un ettaro di vigna. Quali sono i canali attraverso cui commercializzate i vostri prodotti?

Per la maggior parte, la vendita diretta qui in azienda. Abbiamo poi dei contatti via Internet con alcuni clienti che hanno provato l’olio qui e glielo spediamo. Abbiamo una pagina Internet, attraverso cui è possibile acquistare i nostri prodotti. Poi

commercializziamo i prodotti anche attraverso negozi di alta gastronomia. La rete di vendita comprende la GDO?

La Grande Distribuzione non è più un punto di mercato. Abbiamo lavorato un

pochettino con Coop e Conad per delle iniziative di prodotti del territorio. Inizialmente andava bene, ma poi volevano pagare meno e il gioco non valeva la candela.

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Quale canale direbbe che pesa maggiormente (% di produzione venduta attraverso quel canale) e quale direbbe che è il più remunerativo?

Il canale che pesa di più è quello della vendita diretta perché il prodotto viene venduto a prezzo pieno e subito. Mentre andare a cercare ad esempio ristoranti a cui vendere… o si è una grossa azienda che può permettersi un commerciale per andare in giro, o altrimenti è un problema anche per riuscire a mantenere i diversi contatti per avere ordini costanti e poi soprattutto riscuotere i soldi. Con i ristoranti è un grosso problema. Il raggio di vendita dei vostri prodotti è nazionale o raggiunge anche i mercati esteri?

Abbiamo contatti con gli Stati uniti tramite una compratrice italiana che acquista prodotti italiani di qualità che poi rivende a ristoranti e gastronomie di lusso a New York. Ogni anno ci fanno 2 o 3 ordini di olio. Abbiamo anche un contatto con la Cina, con una ragazza che accompagna anche persone in Italia per far conoscere il luogo. Compra qui o fa arrivare i prodotti là. A livello burocratico è un delirio per mandare le cose lì.

Al di là dei proventi derivanti dalla vendita della produzione agricola, nel vostro caso, vi sono altre fonti di reddito legate all’attività biologica?

Sì, abbiamo un agriturismo e facciamo visite con degustazione. Il nostro obiettivo è di portare la gente in azienda, tramite le visite turistiche, da un minimo di 5 fino ad

arrivare ad un massimo di 50 persone. Vengono anche dalle scuole, di solito alberghiere o agrarie.

L’obiettivo di quest’anno sarebbe di introdurre dei corsi di cucina, dando disponibilità di location e dei nostri prodotti.

Quanto pesano queste fonti integrative di reddito sul vostro fatturato? Queste fonti integrative sono importanti. Non saprei dire in percentuale, forse un

20/30%. Chi viene qua comunque compra sempre qualcosa. Gli stranieri che vengono in visita sono molto ben predisposti.

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Quali sono i costi maggiori per un’impresa che produce con certificazione biologica?

Il costo delle certificazioni, che si aggira intorno ai 300 euro per l’Azienda agricola e 500/600 per il Frantoio, all’anno. Poi si perdono ore per fare i controlli. Il biologico è tanta tanta carta e quando fanno prelievi da far analizzare, il costo ricade sull’azienda. Poi ci sono i concimi biologici che costano molto di più.

È vero che le aziende biologiche hanno dei rendimenti produttivi inferiori rispetto alle aziende convenzionali?

La resa grossomodo non cambia. Più che altro la produzione annua potrebbe essere leggermente più bassa e meno costante.

Lei coopera con altri agricoltori che utilizzano i metodi della coltivazione biologica?

Sì, fra biologici ci si conosce. Si fa amicizia. Poi alcuni frangono da noi. Comunque non siamo tantissimi.

Per quanto riguarda il rapporto con i clienti? Chiedono consigli e informazioni? Sì, quando vengono in visita presentiamo l’azienda. Dai kiwi e agli ulivi al frantoio. Raccontiamo la storia di come si fa l’olio e di come è cambiato questo procedimento. Si spiega il prodotto e lo si fa degustare. Si spiega come lo si può abbinare e i suoi

benefici. Si spiegano anche le problematiche della produzione.

La vostra azienda ha avuto accesso ai contributi europei del Fodo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale?

Abbiamo avuto accesso ai contributi del PSR per il frantoio. Ora abbiamo un PIF (ndr: Progetti Integrati di Filiera) che è simile. È stato attivato ma mancano ancora alcune cose. Partirà con la parte operativa per rifare i muretti a secco, le strade interne e le canalizzazioni dell’acqua. Dovrebbe iniziare l’anno prossimo.

Abbiamo avuto altri contribuiti fino all’anno scorso per la potatura. Li riprenderemo magari fra qualche anno. Riescono a coprire parte dei costi di potatura. Il PSR del frantoio ha coperto ¼ del costo del frantoio. Il PIF, essendo manutenzione straordinaria, dovrebbe coprire il 100%. Servirebbero dei finanziamenti non una tantum, magari potrebbero finanziare direttamente aziende che, con un costo molto più basso, possono

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fare manutenzione, tenere puliti i canali, riparare i muretti… le aziende con tutti i costi che hanno non fanno le riparazioni se non strettamente necessarie. Serve anche per mantenere il territorio.

Ci sono aspetti che secondo lei limitano lo sviluppo del settore biologico? C’è molta burocrazia, perché bisogna compilare i registri e cose varie.

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CONCLUSIONI

Le interviste svolte hanno permesso di osservare da vicino e più concretamente un settore economico che i sostenuti tassi di crescita hanno reso appetibile ad agricoltori e commercianti.

Nello specifico, le interviste miravano ad analizzare realtà aziendali medio-piccole, in modo da verificare le ipotesi presentate nel capitolo precedente e derivanti dallo studio della letteratura sull’argomento. La scelta di aziende medio piccole è in linea con la particolare configurazione geografica italiana che favorisce la nascita di molteplici aziende familiari, di piccole dimensioni, piuttosto che l’insediamento di grandi coltivatori monocolturali.

Facendo riferimento ai gruppi di ipotesi di cui al capitolo VI, si possono trarre le seguenti conclusioni e i seguenti spunti di riflessione.

Il primo gruppo di ipotesi verteva sui canali di distribuzione impiegati dalle aziende biologiche di piccole dimensioni.

Dall’indagine effettuata emerge che i piccoli agricoltori tendono ad operare una vendita multicanale, prediligendo tuttavia il canale della vendita diretta, in quanto consente una remunerazione maggiore. Le vendite dirette in azienda sono apprezzate dai produttori per il minor dispendio di tempo e per la mancata necessità di movimentare il materiale, tuttavia, questo è tanto più fattibile quando l’acquisto in azienda non è l’unico scopo del cliente, il quale si avvicina all’azienda mosso da volontà socio-gastronomiche (come nel caso della degustazione nell’Azienda il Frantoio di Vicopisano) o turistiche (come nel caso in cui l’azienda disponga di un agriturismo). Il signor Enrico Taggiasco, infatti, non offrendo questi servizi nella propria azienda apistica, effettua la vendita diretta nei mercatini che si svolgono a cadenza settimanale nella sua città.

La scelta del canale di vendita diretto che non contempla la Grande Distribuzione Organizzata e, talvolta nemmeno la vendita online (eccezione fatta per l’Azienda il Frantoio di Vicopisano), è strettamente correlata alle quantità prodotte, spesso non sufficienti a coprire questi ulteriori canali di vendita.

Il secondo gruppo di ipotesi riguardava le fonti alternative ed integrative di reddito che sovente gli agricoltori biologici pongono in essere.

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In tutti e tre i casi esaminati, l’azienda biologica arricchiva la propria offerta con proposte aggiuntive che spaziavano dall’agriturismo, alla fattoria didattica fino anche a percorsi gastronomici istruttivi. Ad eccezione del caso dell’azienda apistica del signor Enrico Taggiasco – il quale offre il servizio di fattoria didattica a scopo puramente educativo – le altre due aziende esaminate hanno espresso l’importanza che queste fonti aggiuntive di reddito hanno sul fatturato aziendale. Emerge infatti che aziende medio- piccole necessitano delle entrate derivanti da queste iniziative per poter coprire gli oneri aggiuntivi derivanti dalla certificazione biologica e, più in generale, i costi di gestione che una qualsiasi azienda agricola deve sostenere.

Il terzo gruppo di ipotesi si rivolgeva al piano sociale delle relazioni fra agricoltori biologici e altri operatori biologici e clienti.

Dalle interviste emerge chiaramente che i produttori biologici sono molto fieri di offrire sul mercato prodotti di qualità e rispettosi dell’ambiente e, come conseguenza, hanno la premura di evidenziare questi aspetti, fornendo consigli di consumo e informazioni sui metodi di produzione ai propri clienti.

Per quanto concerne il rapporto con i colleghi agricoltori, la cooperazione risulta essere una naturale conseguenza di uno stile di vita condiviso e permeato dagli stessi valori. Il quarto e ultimo gruppo di ipotesi verteva sulla sostenibilità economica del biologico dal punto di vista dei costi e delle rese agricole.

Contrariamente alle aspettative, sembra che le rese agricole non risentano della coltivazione con il metodo biologico, sebbene spesso sia questa una delle ragioni ritenute alla base del premium price che i consumatori pagano su questa categoria di prodotti. Tuttavia, è bene sottolineare che alcune delle aziende intervistate (l’azienda apistica di Enrico Taggiasco e l’Azienda agricola di Maria Angela Foddi) sembrano più interessate alla promozione di uno stile di vita sano e rispettoso dell’ambiente piuttosto che all’aumento della produzione. In generale, le aziende biologiche intervistate non fanno proprio il modello produttivista che si basa su uno spinto incremento della produzione, per cui ritengo che il loro giudizio sulle rese produttive possa essere influenzato dalla mancanza di un obiettivo vero e proprio in termini di produttività. Ciò non è vero per l’Azienda Agricola il Frantoio di Vicopisano, la cui impostazione è più economicamente orientata.

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Per quanto riguarda i costi derivanti dalla scelta di operare nel settore biologico, si evidenzia che effettivamente gli operatori biologici sostengono dei costi maggiori da riferirsi sia all’ottenimento e mantenimento della certificazione biologica, sia

all’impiego nella produzione di elementi ammessi nel regime biologico spesso molto costosi, soprattutto se confrontati con i prodotti impiegati nell’agricoltura

convenzionale.

Alla luce di ciò, il biologico è una scelta onerosa, ma è forse l’unico modo che le piccole medie aziende agricole hanno per recuperare dei margini di guadagno che si sono dispersi lungo la filiera agroalimentare. Il fatto di fare agricoltura in un modo diverso, rispettoso dell’ambiente e degli animali, e il fatto di poterlo attestare attraverso una certificazione, dà una marcia in più ai piccoli produttori agricoli, il cui ruolo viene riscoperto. In un contesto quale quello attuale, non c’è spazio per i piccoli agricoltori, a meno che questi non puntino tutto sulla qualità, che gli permette di praticare prezzi superiori rispetto a quelli di prodotti analoghi ma meno pregiati in quanto sprovvisti di certificazioni o la cui marca non è forte presso il pubblico di consumatori. In questo senso, il biologico diviene una scelta strategica perseguibile che, seppur non redditizia quando si parla di piccole dimensioni, consente la sopravvivenza laddove altrimenti non sarebbe possibile.

Potrebbe essere interessante, ma esula dalle circoscritte finalità della presente tesi, studiare quali dovrebbero essere le dimensioni minime, in termini di terreno impiegato e produttività, per un’azienda agricola che voglia operare nel settore biologico con

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