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La certificazione biologica come scelta strategica. Analisi di alcune realta' aziendali.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea in Consulenza Professionale alle Aziende

Tesi di Laurea Magistrale

La certificazione biologica come scelta strategica.

Analisi di alcune realtà aziendali

Relatore:

Candidato:

Prof. Riccardo Lanzara

Arianna Boccadifuoco

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INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni, nel panorama dei consumi alimentari si è affacciato un nuovo tipo di consumatore, più attento alla qualità dei cibi acquistati. I frequenti allarmi alimentari e le raccomandazioni provenienti dal mondo della sanità hanno incoraggiato un

maggiore interesse verso le caratteristiche nutrizionali dei prodotti e i metodi di produzione impiegati. Oggigiorno, i consumatori non cercano più di rispondere al bisogno meramente fisiologico di nutrirsi, ma desiderano prodotti che facciano bene alla salute e che siano rispettosi dell’ambiente e delle diverse specie animali. Il cibo è

diventato altresì rappresentazione di uno stile di vita con il quale il consumatore si identifica.

In questo contesto, i prodotti biologici, in ragione delle modalità della loro produzione che escludono la presenza di residui chimici sugli alimenti e le sofferenze animali, hanno acquisito una posizione di primo piano.

Infatti, se, in principio, l’agricoltura biologica aveva una posizione di nicchia nel più generale contesto economico e solo in pochi conoscevano la differenza fra un prodotto biologico e uno convenzionale, oggi le cose sono cambiate. Il merito è in gran parte della Grande Distribuzione Organizzata, la quale ha aperto le porte del biologico ad un gran numero di consumatori, offrendo molteplici referenze tutte in uno stesso punto vendita.

Il presente lavoro muove da un sincero interesse per questo settore economico in espansione. La tesi verte sull’analisi del settore agroalimentare biologico in generale, con un focus su realtà aziendali medio-piccole che fanno del biologico uno stile di vita ed una scelta strategica.

Nel primo capitolo, viene introdotto e approfondito il concetto di agricoltura biologica e se ne ripercorre l’evoluzione storica dalle origini.

Nel secondo capitolo, il tema viene affrontato dal punto di vista normativo, facendo riferimento ai Regolamenti europei attualmente in vigore. Nello specifico, viene analizzato in dettaglio il Reg. 834/2007, sebbene sia già noto che dovremo aspettarci una nuova normativa a partire dal 1 Gennaio 2021.

Il terzo capitolo analizza il settore biologico fornendo dati a livello mondiale, europeo e nazionale, allo scopo di delineare e quantificare le dimensioni del fenomeno.

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Il quarto capitolo si concentra sull’osservazione del consumatore biologico e sulla delineazione di un profilo di riferimento per lo stesso, con un particolare interesse alle sue motivazioni di acquisto. Si mettono altresì in luce i cambiamenti che hanno investito l’atteggiamento di consumo della popolazione.

All’interno del quinto capitolo, viene presentata ed analizzata la rete distributiva dei prodotti biologici in Italia. I diversi canali distributivi vengono esaminati, mettendo in evidenza i vantaggi e gli svantaggi connessi alle differenti scelte di

commercializzazione.

Infine, nel sesto e ultimo capitolo, l’indagine assume connotati pratici attraverso la presentazione di dati raccolti tramite interviste sul campo rivolte ad operatori del settore, nell’ambito di aziende medio-piccole. In questa sezione della tesi, si è voluto verificare la veridicità di ipotesi direttamente derivanti dallo studio della materia e concernenti principalmente la rete distributiva, le fonti alternative di reddito, il rapporto con clienti e altri operatori biologici e il problema dei costi e delle rese nell’agricoltura biologica.

Ringrazio sinceramente Enrico Taggiasco, Maria Angela Foddi e Alessandro Scotti che mi hanno concesso il loro tempo e la loro esperienza permettendomi di raccontare la storia della loro azienda e della loro passione per la natura.

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CAPITOLO 1

AGRICOLTURA BIOLOGICA 1.1 CHE COS’È L’AGRICOLTURA BIOLOGICA

L’agricoltura è una delle attività umane più basilari, poiché tutte le persone devono nutrirsi ogni giorno. La storia, la cultura e i valori delle comunità sono legati ad essa. [Duccio Caccioni e Luisa Colombo, 2012]. Probabilmente, si tratta anche di una delle prime manifestazioni della capacità degli esseri umani di organizzarsi in società, dividendosi i compiti ai fini della sopravvivenza.

In effetti, la scoperta delle tecniche agricole viene collegata alla nascita dei primi insediamenti umani stabili del Neolitico e quindi allo sviluppo delle prime civiltà. [Roberta Paltrinieri e Stefano Spillare, 2015].

Se è vero che il progresso scientifico e tecnologico applicato a questo settore è stato fondamentale per l’aumento demografico e il benessere delle popolazioni, è altrettanto vero che, nel tempo, è maturato un modello di sviluppo alternativo, indirizzato verso una crescita sostenibile e durevole: l’agricoltura biologica.

La Federazione Internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica (International

Federation of Organic Agriculture Movements o IFOAM)1 definisce l’Agricoltura

biologica come “un sistema di produzione che sostiene la salute del suolo,

dell’ecosistema e delle persone. Si basa su processi ecologici, biodiversità e cicli adatti alle condizioni locali, piuttosto che sull’uso di input con effetti avversi. L’agricoltura biologica combina tradizione, innovazione e scienza perché l’ambiente condiviso ne tragga beneficio e per promuovere relazioni corrette e una buona qualità della vita per tutti coloro che ne sono coinvolti”.

L’IFOAM, fin dalla sua costituzione, ha inteso individuare e divulgare i principi cardine in grado di unificare i diversi movimenti di agricoltura biologica, fornendo una base etica condivisa sulla quale costruire le posizioni, i programmi e gli standard da diffondere fra gli agricoltori.

1 L’IFOAM, nata nel 1972, è la più grande ed autorevole associazione internazionale di agricoltura

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I principi che sono stati elaborati dall’associazione hanno alla base un’accezione ampia di agricoltura, che non si limita al “semplice lavorare la terra”, ma si estende a tutte le fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo dei prodotti.

L’insieme di valori che l’IFOAM ha voluto comunicare è stato declinato in quattro principi chiave, di seguito elencati ed esaminati:

 The principle of health (principio della salute o del benessere)  The principle of ecology (principio dell’ecologia)

 The principle of fairness (principio dell’equità)

 The principle of care (principio della cura o della precauzione)2.

Principio del benessere:

L’agricoltura biologica dovrebbe sostenere ed accrescere la salute del suolo, delle piante, degli animali, degli esseri umani e del pianeta come un insieme unico ed indivisibile.

Questo principio evidenzia che il benessere degli individui non può essere distinto e separato da quello degli ecosistemi. Tutto è connesso e da un suolo sano cresceranno alimenti sani che favoriranno la salute degli animali e degli esseri umani.

Salute e benessere non sono intesi come assenza di malattia, ma piuttosto come un benessere fisico, mentale, sociale e ambientale, che si manifesta in una naturale capacità di ripresa e rigenerazione.

L’agricoltura biologica è attiva nel raggiungimento di questo tipo di benessere che deve coinvolgere ogni essere vivente, dal più piccolo al più grande. In particolare, il modello biologico si propone di produrre alimenti nutritivi e di elevata qualità che

contribuiscano alla prevenzione delle malattie e alla salute. Alla luce di questo

proposito, esso dovrà evitare l’impiego di fertilizzanti, fitofarmaci, medicine veterinarie ed additivi che possano avere effetto dannoso sulla salute.

Principio dell’ecologia:

L’agricoltura biologica dovrebbe basarsi sui sistemi e cicli ecologici viventi, lavorare con essi, imitarli e aiutarli a mantenersi.

Questo principio stabilisce che la produzione deve essere basata sui processi naturali e sul riciclo. Nutrimento e benessere sono ottenuti attraverso il rispetto delle

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caratteristiche ecologiche dell’ambiente di ogni specifica produzione. Questo si traduce, nel caso delle coltivazioni, nel suolo; nel caso dei pesci, nell’ambiente acquatico e così via.

Nell’agricoltura biologica, le diverse attività produttive devono inserirsi nei cicli e negli equilibri ecologici esistenti in natura, adattandosi agli stessi.

Nell’ottica della preservazione delle risorse disponibili e del mantenimento della qualità ambientale, l’uso di fattori produttivi deve essere ridotto attraverso il riutilizzo, il riciclo e la gestione efficiente di materiali ed energia.

L’agricoltura biologica dovrebbe conseguire l’equilibrio ecologico, attraverso la progettazione di sistemi agricoli, la creazione di habitat e il mantenimento della diversità genetica e agricola.

Tutti gli attori coinvolti nella produzione, commercializzazione e consumo dei prodotti biologici dovrebbero fare propria la missione di proteggere l’ambiente comune.

Principio dell’equità:

L’agricoltura biologica dovrebbe essere costruita su relazioni che assicurino l’equità, in riferimento all’ambiente comune e alle opportunità di vita.

Secondo questo principio, le relazioni poste in essere da tutti gli agenti del sistema (agricoltori, lavoratori, trasformatori, distributori, commercianti e consumatori) dovrebbero essere improntate su equità e giustizia. L’agricoltura biologica dovrebbe garantire a tutti una buona qualità di vita, producendo una quantità sufficiente di alimenti ed altri prodotti di buona qualità, in modo da contribuire alla riduzione della fame nel mondo.

Il principio insiste anche sul benessere degli animali, i quali devono essere allevati in condizioni che sposino la loro fisiologia, il loro comportamento naturale e il loro benessere.

L’equità è vista anche nell’ottica delle generazioni future. Per questa ragione, le risorse naturali ed ambientali, necessarie ai fini produttivi, devono essere gestite in un modo che sia socialmente ed ecologicamente giusto.

Principio della precauzione:

L’agricoltura biologica dovrebbe essere gestita in modo prudente e responsabile, per proteggere la salute e il benessere delle generazioni, presenti e future, e dell’ambiente.

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Chi pratica agricoltura biologica può migliorarne l’efficienza ed aumentarne la produttività, ma non a costo di mettere a rischio la salute ed il benessere. Di

conseguenza, le nuove tecnologie devono essere valutate e i metodi esistenti rivisti. Dal momento che si ha una conoscenza incompleta ed in divenire degli ecosistemi e

dell’agricoltura, bisogna agire con prudenza.

Nello sviluppo e nelle scelte tecnologiche, le preoccupazioni principali devono essere la precauzione e la responsabilità.

La scienza è necessaria per assicurare che l’agricoltura biologica sia sana, senza rischi ed ecologicamente sensata; tuttavia, da sola, non è sufficiente. L’esperienza, la saggezza accumulata e le conoscenze tradizionali e locali offrono soluzioni valide, messe alla prova dal tempo.

L’agricoltura biologica dovrebbe prevenire i rischi significativi, scegliendo tecnologie appropriate e rifiutando invece quelle imprevedibili, come l’ingegneria genetica. Le decisioni dovrebbero interpretare i valori e i bisogni di tutti i soggetti coinvolti, attraverso processi trasparenti e fondati sulla partecipazione.

Da un’analisi della definizione fornita e dei principi che l’accompagnano, emerge in concetto di agricoltura biologica come modello di sviluppo sostenibile e durevole. Un modello teso non soltanto ad offrire prodotti salubri e privi di sostanze potenzialmente tossiche e dannose, ma anche alla tutela dell’ambiente, delle risorse naturali, animali e paesaggistiche, in un’ottica di lungo periodo, a garanzia delle generazioni che verranno. Le pratiche agricole e zootecniche alla base della produzione biologica sono

riassumibili nei seguenti punti3:

 Mantenimento di un elevato livello di biodiversità.

 Sostegno alla fertilità del suolo attraverso pratiche naturali come il riposo e la rotazione delle colture, piuttosto che attraverso l’impiego di sostanze sintetiche.  Crescita e difesa delle piante operata attraverso la scelta accurata delle specie più

resistenti, l’utilizzo di fertilizzanti naturali (preferibilmente provenienti dall’azienda stessa), l’uso di insetti predatori contro i parassiti.

3 Questo vuole essere un elenco sintetico ed esplicativo. Ai fini di una disamina più puntuale delle

pratiche dell’agricoltura biologica, si rimanda al capitolo II sulla normativa del biologico e alla bibliografia sull’argomento.

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 Scelta di specie animali e vegetali adatte al clima e al terreno del luogo di produzione prescelto.

 Divieto assoluto di organismi geneticamente modificati (OGM).

 Rispetto per gli animali, i quali devono essere allevati conformemente alla loro fisiologia e alle loro esigenze.

 Rispetto per l’ambiente in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione.

 Utilizzo razionale e lungimirante delle risorse naturali.

1.2 STORIA ED EVOLUZIONE DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA 1.2.1 LE ORIGINI DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

L’agricoltura biologica è nata come un modello di produzione agricola ed un orientamento di pensiero di reazione rispetto a quello imperante.

Una delle sfide dell’umanità è stata quella di accrescere i rendimenti agricoli, applicando innovazioni scientifiche e tecniche produttive all’avanguardia che hanno raggiunto l’obiettivo, ma hanno anche suscitato dubbi e perplessità nella popolazione, in particolar modo nella parte di essa più istruita.

L’introduzione di nuove sementi e nuove piante ad elevata produttività come il mais, così come la comparsa e diffusione di concimi chimici venne, dai più lungimiranti, associata alla scarsa fertilità del suolo, alla continua flessione del reddito agricolo e ad una percepita non genuinità dei prodotti della terra. [Duccio Caccioni e Luisa Colombo, 2012]

Si è così sviluppato un movimento alimentato da pensatori afferenti a diversi settori del sapere. Agronomi, medici, biologi, filosofi e altri studiosi di vario genere hanno cercato di trovare risposta ai problemi del loro tempo, dando un contributo a quella che è l’agricoltura biologica come oggi la intendiamo. [Duccio Caccioni e Luisa Colombo, 2012]

Le prime critiche all’agricoltura convenzionale affondano le proprie radici già alla fine del 1800, nei paesi del Nord Europa.

Proprio nella seconda metà del XIX secolo, in Germania, si sviluppò un movimento culturale che prese il nome di Lebensreform (“riforme della vita”) i cui pilastri

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consistevano nel condurre uno stile di vita sobrio, fondato su un’alimentazione sana e sul contatto diretto con la natura, rifuggendo ogni approccio moderno alla terra. Nel 1900, fu aperto a Wuppertal (Westfalia) il primo negozio Reformhaus (Casa della riforma), centro di vendita di prodotti naturali nonché punto di diffusione di modelli culturali diversi.4

In questo movimento, si inserì la figura di Rudolph Joseph Lorenz Steiner (1861-1925), fondatore dell’antroposofia. Questa espressione, che deriva dalle parole greche

antrophos (uomo) e sophia (conoscenza), indica un orientamento filosofico i cui principi ispirarono diversi ambiti, tra cui proprio l’agricoltura.

Nel 1924, infatti, Steiner venne invitato a tenere un ciclo di 8 conferenze riguardanti la sua visione di un’agricoltura alternativa, in grado di risolvere le problematiche che già iniziavano a manifestarsi nel Centro e Nord Europa come conseguenza dell’impiego sempre più diffuso di fertilizzanti di origine sintetica. Il suolo risultava essere sempre più “stanco”; il terreno era soggetto al fenomeno dell’erosione e, per usare le parole di Steiner stesso: “i prodotti di cui ci nutriamo stanno degenerando e lo fanno con un ritmo straordinariamente veloce”. [Covino, 2007].

Proprio da queste conferenze, tenutesi a Koberwitz, in Germania, prese vita

l’agricoltura biodinamica di cui Steiner viene riconosciuto il padre, ma che vede anche l’importante contributo di Ehrenfried Pfeifferad, seguace di Steiner, quale scrittore de “Bio-Dynamic Farming and Gardening”, una guida pratica all’agricoltura biodinamica e alle sue tecniche.

Questo tipo di approccio si fonda sull’idea che “non esista campo della vita umana che possa prescindere dall’agricoltura”, la quale deve essere praticata nel rispetto dei cicli della natura e in armonia con il cosmo. L’agricoltura biodinamica, infatti, non è estranea a contenuti spiritualistici, e studia l’interazione fra le diverse forze naturali: terresti, cosmiche ed astrali.

Da questi studi derivano delle linee guida da seguire quali l’utilizzo di preparati biodinamici in grado di rendere le piante più ricettive agli influssi cosmici; l’esclusivo utilizzo di foraggi naturali nell’alimentazione degli animali, i quali devono essere il più possibile allevati all’aperto; la previsione nel disegno dell’azienda agricola di ampi prati ed erbai in abbondanza, allo scopo di provvedere autonomamente ai propri foraggi, in linea con una visione dell’azienda quale sistema chiuso e autosufficiente, in cui i

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contributi dall’esterno sono ridotti al minimo grazie al sistema fondato sul binomio policoltura-allevamento.

Intorno agli Trenta e Quaranta del 900, iniziarono a nascere in tutta Europa le prime associazioni di agricoltura biodinamica.

La corrente biodinamica ebbe modo di diffondersi nel resto del mondo nel periodo nazista, quando il pensiero antroposofico fu bandito in tutti paesi da questo controllati, e molti tedeschi furono costretti alla fuga, permettendo all’agricoltura biodinamica di arrivare in Australia, negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Sud America.

Oggi, i prodotti biodinamici si riconoscono per avere, oltre al logo Euro-Leaf, indicatore del rispetto della normativa europea sul biologico, anche il marchio internazionale Demeter (da Demetra, la dea della fertilità), nato nel 1927.

Negli anni intorno alla II Guerra mondiale, si inseriscono le opere di una delle figure maggiori all’origine dell’agricoltura biologica: Sir Albert Howard (1873-1947). Questi era uno scienziato e un botanico britannico, laureato in agraria.

Fu un suo viaggio in India allo scopo di diffondere le tecniche agricole occidentali che, quasi per ironia del destino, fece nascere in lui l’interesse per i sistemi di coltivazione orientali e in particolar modo il compostaggio. Di quest’ultima pratica Sir Howard parlò nel 1940 nel suo libro “Un testamento agricolo”. È invece del 1945 la sua opera

successivamente ripubblicata come “Suolo e salute: uno studio dell’agricoltura organica”, in cui salute umana e del suolo vengono indissolubilmente collegate.

Volendo riassumere il pensiero di Sir Howard, dovremmo senz’altro porre accento sulla sua idea che la “migliore pratica agricola” sia quella di imitare i processi naturali. In natura, non esistono le monocolture e gli animali svolgono una loro specifica e importante funzione nella fertilizzazione del suolo. “La madre terra non cerca mai di far crescere qualcosa senza l’aiuto degli animali, mischia sempre le specie, e fa di tutto per preservare il suolo e scongiurare l’erosione. I rifiuti misti, vegetali e animali, sono

trasformati in humus, nulla va sprecato.”5

Nella diffusione dell’agricoltura biologica in Inghilterra fu determinante anche la figura di Lady Eve Balfour, amica e seguace di Howard. Laureatasi alla facoltà di agraria, fu tra i co-fondatori della Soil Association, di cui fu il primo presidente. Suddetta

istituzione fu una delle fondatrici dell’IFOAM. Alla Soil Association, che è ancora oggi una delle principali organizzazioni di produttori biologici britanniche, va il merito di

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aver permesso alla cultura del biologico di affermarsi, facendo nascere le prime forme di certificazione, accompagnate dai relativi standard di riferimento (1967), e

sintetizzando formalmente anche il fine dell’agricoltura biologica che l’associazione

individuava nel benessere del terreno.6

Sempre in Inghilterra, nel 1954, Lawrence D. Hills (1911-1991), giornalista e divulgatore in campo medico-scientifico, fondò la Henri Doubleday Research

Association (HDRA) (oggi, Garden Organic), centro di diffusione del metodo biologico nel paese. Le linee guida da questa promosse facevano riferimento alla tutela della biodiversità, la quale avrebbe effetti repellenti e protettivi rispetto all’attacco di insetti; alla continua copertura del terreno; alla scelta di varietà appartenenti al luogo di

coltivazione; al disegno di un ambiente naturale e produttivo le cui componenti (siepi, alberi, prati ecc.) hanno ognuna una specifica ed importante funzione.

Pressappoco negli stessi anni, lo svizzero Hans Muller (1891-1988), il quale aveva preso un dottorato in biologia, coniò l’espressione “agricoltura biologica” e, insieme alla moglie Maria Bigler (1894-1969), sviluppò il metodo “bio-organico”. Le

considerazioni dei due coniugi però andavano oltre le semplici tecniche agricole ed abbracciavano il mondo della politica e delle rivendicazioni sociali, ponendo l’attenzione sulle conseguenze negative dell’agricoltura moderna sul reddito e sull’occupazione.

La coppia entrò in contatto con Hans Peter Rush, medico della Prussia orientale, il cui interesse verteva sulla vita microbica del suolo e sulle metodologie per verificarne la fertilità e da cui ebbe numerosi consigli.

È interessante notare che, contestualmente alla diffusione di pratiche agricole alternative rispetto alla corrente dominante, nel mondo stava avendo luogo quella che viene

ricordata come “Rivoluzione Verde” (1944). Con questa espressione si fa riferimento all’approccio agricolo promosso dallo scienziato statunitense Norman Borlang, teso a massimizzare le rese agricole attraverso un diffuso impiego della tecnologia.

La messa a punto di nuove specie di grano più resistenti, nonché il largo impiego di pesticidi chimici e fertilizzanti di sintesi portò a rese agricole senza precedenti e ciò fece guadagnare allo stesso Borlaug il premio Nobel per la pace, in nome del suo contributo nella lotta contro la fame nel mondo.

6 “The use of, or abstinence from, any particular practice should be judged by its effect on the wellbeing

of the micro-organic life of the soil, on which the health of the consumer ultimately depends”. https://www.soilassociation.org/aboutus/ourhistory.

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Se all’epoca la Rivoluzione Verde fu accolta dai più con molto favore, c’è da dire che attualmente il suo ruolo è perlomeno più controverso e discusso. La Rivoluzione Verde, infatti, pur selezionando varietà capaci di alte rese, ha fatto diventare le stesse più vulnerabili, sacrificando la loro naturale resistenza a favore della produttività. Negli Stati Uniti, evento determinante per la svolta verso il biologico è stato un prolungato periodo di siccità (1930-1936), denominato Dust Bowl (rotoli di polvere), così definito a causa di tutta la polvere che veniva sollevata quando soffiava il vento. Secondo molti studiosi dell’epoca, la siccità aveva portato alle estreme conseguenze problematiche già esistenti e dovute ad una condotta agricola ad alto impatto, a cui si doveva senza indugio porre correzione.

Come conseguenza a questa presa di coscienza, il presidente Franklin D. Roosevelt fondò il Servizio per la conservazione del suolo.

Le figure americane di maggior rilievo nella lotta verso l’agricoltura convenzionale furono Jerome I. Rodale (1898-1971), Willard W. Cochrane (1914-2012), le cui posizioni prendevano le mosse dai suoi studi di carattere economico e riguardavano la necessità di abbandonare la concorrenza fondata sul prezzo e Rachel Carson (1907-1964), le cui indagini vertevano sull’inquinamento dovuto ai pesticidi, responsabili della morte degli uccelli migratori.

Anche in Francia, il metodo biologico trovò radici fertili. Nel 1958, venne fondata la GADO (Gruppo di Agricoltura Biologica dell’Ovest).

Nel 1964, i vari gruppi dell’agricoltura biologica francese fondarono Nature e Progrés, una delle associazioni che avrebbe poi dato vita all’IFOAM.

L’IFOAM nacque nel 1972, con l’importante scopo di unificare le diverse correnti dell’agricoltura biologica, dando un senso comune agli svariati approcci che si erano sviluppati in tutto il mondo e contribuendo in questo modo alla diffusione del biologico. Per esaurire la rassegna, ancorché non esaustiva, dei diversi centri di elaborazione di metodi per l’agricoltura biologica, bisogna spostarsi in Giappone e in Tasmania. In Giappone, Mochici Okada (1882-1955) sviluppò il cosiddetto “nature farming”. Questo metodo era in linea con la religione fondata dallo stesso Okada e si basava sulla pratica di un’agricoltura naturale. I seguaci di Okada sono generalmente organizzati in gruppo e – aspetto interessante – questo permette loro di organizzarsi in gruppi di acquisto che mettono in contatto produttori e consumatori, di modo che anche questi ultimi abbiano un contatto più diretto con la natura, in linea con i principi che ispirano i GAS anche nel nostro paese.

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Sempre in Giappone, troviamo Masanobu Fukuoka (1913-2008), ideatore del metodo dell’”agricoltura del non fare”, fondata sull’idea che il terreno renda naturalmente, senza bisogno di alcuna lavorazione e di alcun concime chimico. L’obiettivo di questa tecnica è la produzione media e non la massimizzazione delle rese.

In Tasmania, si diffuse la “permacoltura”, metodo basato su colture permanenti

opportunamente organizzate e messe in relazione in modo da costruire un ecosistema in equilibrio, in cui le parti si diano reciproco beneficio e l’intervento esterno e umano sia ridotto al minimo.

Per chiudere il cerchio sulla diffusione dell’agricoltura biologica fino ad oggi e prima di fare un breve approfondimento sulla storia italiana, è fondamentale parlare della

risposta che gli stati hanno dato alle istanze di produttori coscienziosi e di consumatori sempre più sensibili alle tematiche ambientali e salutistiche. I governi hanno infatti iniziato a riconoscere l’agricoltura biologica. È del 1991 la prima regolamentazione ufficiale a livello europeo (Regolamento CEE n°2092/91). Nel 1990, gli Stati Uniti iniziarono a lavorare ad una norma federale per l’agricoltura biologica. Nel 1999, in Giappone, venne emanata una norma specifica ossia il Japan Agricultural Standards, quale standard di riferimento per l’agricoltura biologica.

Sempre nel 1999, la commissione del Codex Alimentarius, che si occupa degli standard alimentari internazionali nell’ottica della difesa dei consumatori, ha sviluppato linee guida per la produzione, la trasformazione, la commercializzazione e l’etichettatura dei prodotti da agricoltura biologica.

Negli ultimi anni, i regolamenti hanno subito delle modifiche che li hanno di volta in volta adeguati alle mutate esigenze; diversi paesi hanno seguito l’esempio dei

predecessori, anche allo scopo di accedere ad una fetta di mercato che appariva redditizia e promettente e l’agricoltura biologica ha potuto conoscere una sempre più ampia diffusione normativa ed una maggiore popolarità.

1.2.2 BREVE STORIA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA Veniamo ora alla storia dell’agricoltura biologica italiana. Si tratta di una storia più recente, caratterizzata più dall’aver colto il pensiero di autori stranieri piuttosto che dall’aver innovato e arricchito la ricerca.

Nel 1947, sulla scia delle idee di Steiner, nacque in Italia, a Milano, per essere precisi, la prima Associazione per l’agricoltura biodinamica, ancora esistente. Essa si poneva obiettivi divulgativi, perseguiti attraverso corsi di formazione e svariate pubblicazioni.

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Fra i nomi di spicco, figura quello di Ivo Totti (1913-1991), uno dei primi sperimentatori del metodo biologico.

In Piemonte, nel 1969, venne fondata, a Torino, l’Associazione Suolo e Salute, che vide il medico Francesco Garofalo (1916) come primo presidente. Questi mise a punto il metodo dell’agricoltura organico-minerale, basato sull’aggiunta di piccole quantità di minerali ai cumuli di letame, allo scopo di aumentarne le proprietà fertilizzanti. Negli anni Settanta e Ottanta, l’agricoltura biologica ebbe diversi stimoli.

Nel 1972, a Milano, nacque il primo negozio biologico italiano. Sempre in quegli anni, presero vita vari centri e fondazioni promotori di un’alimentazione naturale ed

equilibrata, come, ad esempio, il laboratorio torinese KI.

Una svolta importante si ebbe nel 1982, quando nacque la Commissione nazionale cos’è biologico, che sarebbe poi diventata l’AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), la quale, nel 1985, diede alla luce le prime norme italiane per l’agricoltura biologica, permettendo al mercato interno di prodotti biologici di prendere forma. Sempre ad opera di AIAB è la costituzione del primo sistema nazionale di supervisione delle associazioni di certificazione regionali.

È però grazie all’intervento normativo europeo, con il regolamento CEE 2092/91, entrato in vigore nel 1993, che finalmente si ottiene un orizzonte legislativo di

riferimento comune, ponendo fine agli oltre 15 indirizzi di agricoltura biologica che si erano sviluppati in Europa, ognuno con le proprie linee guida e principi cardine.

Sotto l’indirizzo comunitario, nel 2005, viene approvato il Piano d’azione nazionale per l’agricoltura biologica e i prodotti biologici, allo scopo di rafforzare le filiere biologiche italiane, ponendo in essere azioni volte a consentire una penetrazione diffusa a livello nazionale ed internazionale, una migliore organizzazione della filiera e a rafforzare il sistema istituzionale.

Contestualmente, viene adottato il Programma d’azione nazionale per l’agricoltura biologica e i prodotti biologici per l’anno 2005.

Nel 2009, hanno luogo, su iniziativa del MIPAAF e dell’Istituto nazionale di economia agraria (INEA), gli Stati generali per il biologico. Questi sono stati occasione di

confronto fra i protagonisti del mondo del biologico italiano e momento di riflessione su tematiche quale lo sviluppo futuro del settore e le problematiche connesse.

Da questo evento, sono emerse istanze di sostegno al settore, il quale deve essere gestito secondo un approccio differenziato e in modo da garantire un equo compenso ai

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Il Regolamento CEE 2092/91 ha disciplinato il settore fino al 2008. A partire dal 2009, infatti, è subentrato il regolamento 834/07, attualmente in vigore insieme ai regolamenti 889/08 e 1235/08.

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15 CAPITOLO 2

NORMATIVA SULL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

2.1 LA NORMATIVA SULL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN EUROPA E IN ITALIA

L’agricoltura biologica è disciplinata, a livello comunitario, da alcuni regolamenti. Primo fra tutti, vi è il Regolamento (CE) n. 834/2007, il quale è entrato in vigore a partire dal 1 Gennaio 2009 e ha abrogato il vecchio, nonché primo, regolamento sulla materia: il Reg. (CEE) n. 2092/91. È affiancato dal Regolamento (CE) n. 889/2008, recante modalità di applicazione della normativa e dal Regolamento (CE) n. 1235/2008, poi modificato dal Regolamento (CE) n. 2259/2016, riguardante il regime di

importazione di prodotti biologici da paesi terzi. Infine, vi è il Regolamento (CE) n. 203/2012, che si occupa di disciplinare il vino biologico.

Il Regolamento n. 834, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, fa parte di una serie di iniziative a favore dell’agricoltura biologica, tra le quali figura il piano d’azione europeo per l’agricoltura biologica e gli alimenti biologici

adottato dalla commissione nel 2004.7

È importante precisare che, in data 20 Novembre 2017, gli Stati membri dell’Unione Europea, rappresentati nel Comitato Speciale per l’Agricoltura (CSA), hanno approvato una nuova normativa in materia di agricoltura biologica. In seguito all’approvazione del CSA, se lo stesso testo normativo verrà adottato dal Parlamento Europeo in plenaria, il Consiglio Europeo adotterà lo stesso in prima lettura, senza modifiche. Il nuovo Regolamento, se adottato, entrerà in vigore il 1 Gennaio 2021.

Il Regolamento n. 834 nasce con l’intenzione di semplificare un difficile quadro normativo e di curarne la coerenza nelle sue parti.

Gli obiettivi, economici e non, del regolamento si possono riassumere nella volontà di:  Assicurare una concorrenza il più possibile leale tra i produttori

 Accrescere la fiducia dei consumatori verso i prodotti biologici  Predisporre condizioni propizie allo sviluppo del settore.

Il Reg. CE 834/2007 è composto da 42 articoli suddivisi in sette Titoli e presenta la seguente struttura:

7 Fonte: EUR-Lex.

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Titolo I – Oggetto, campo di applicazione e definizioni (artt. 1-2) Titolo II – Obiettivi e principi della produzione biologica (artt. 3-7) Titolo III – Norme di produzione (artt. 8-22), suddivise in 5 capi:

1. Norme generali 2. Produzione agricola

3. Produzione di mangimi trasformati 4. Produzione di alimenti trasformati 5. Flessibilità

Titolo IV – Etichettatura (artt. 23-26) Titolo V – Controlli (artt. 27-31)

Titolo VI – Scambi con paesi terzi (artt. 32-33)

Titolo VII – Disposizioni finali transitorie (artt. 34-42)

Come si può vedere, il Regolamento non contiene solo le norme relative alla

produzione, ma anche definizioni e principi – sia generali che specifici – in modo da favorire la trasparenza e diffondere una visione omogeneizzata di quello che è l’agricoltura biologica e di quali siano i suoi valori di fondo.

Alla base del concetto stesso di agricoltura biologica, c’è l’idea di azienda agricola come insieme, composto da vegetali ed animali, in cui le parti sono legate fra loro anche ai fini produttivi e il Regolamento, nelle sue parti, sostiene questa visione, suggerendo una lettura di insieme, piuttosto che un soffermarsi sulle singole norme.

Nel Regolamento, prima di arrivare agli articoli veri e propri, troviamo una serie di considerazioni, tra le quali figura anche una definizione di “produzione biologica”. Nello specifico, la definizione che ne viene data è la seguente:

“La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle

preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo da un lato ad un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che

contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale”.

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17

Il concetto di agricoltura biologica viene in questo modo, fin da subito, legato a quello di sostenibilità e difesa dell’ambiente.

2.2 OGGETTO, CAMPO DI APPLICAZIONE E DEFINIZIONI

Il presente regolamento propone un modello di produzione in grado di raggiungere obiettivi sia di natura ambientale che di natura economica, soddisfacendo in questo modo le richieste dei consumatori e della società intera. [Duccio Caccioni e Luisa Colombo, 2012]

Il Reg. fornisce norme che riguardano tutte le fasi di produzione, preparazione e distribuzione dei prodotti biologici, nonché il loro controllo. Viene inoltre disciplinato l’utilizzo di termini come “bio” o equipollenti nell’etichettatura e nella pubblicità. I prodotti a cui il Reg. si applica sono i seguenti:

 Prodotti agricoli vivi o non trasformati

 Prodotti agricoli trasformati destinati ad essere utilizzati come alimenti  Mangimi

 Materiali di propagazione vegetativa e sementi per la coltivazione (ad es. radici ed innesti)

 Lieviti utilizzati come alimenti o mangimi

Sono esclusi i prodotti della caccia e della pesca di animali selvatici. Non sono soggette al regolamento tutte le operazioni di ristorazione collettiva; tuttavia sono consentite norme nazionali o addirittura norme private, fatta salva la conformità delle stesse alle regole comunitarie (art. 1).

Il regolamento pone fin da subito una serie di definizioni, in modo da meglio chiarire la terminologia che verrà in seguito impiegata nel testo normativo (art. 2).

2.3 OBIETTIVI E PRINCIPI DELLA PRODUZIONE BIOLOGICA L’agricoltura biologica persegue i seguenti obiettivi generali (art. 3):

 Stabilire un sistema di gestione sostenibile per l’agricoltura, nel rispetto dei cicli naturali, che sia in grado, da un lato, di migliorare la salute del suolo, delle acque, delle piante e degli animali e l’equilibrio fra essi, e, dall’altro, di

mantenere un alto livello di biodiversità, rispettando il benessere degli animali e tenendo conto delle specifiche esigenze di ogni specie.

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 Ottenere prodotti attraverso procedimenti che non danneggino l’ambiente o la salute umana, vegetale o animale.

L’art. 4 del Reg. pone i principi generali dell’agricoltura biologica, che verranno declinati nell’articolo successivo in principi specifici.

I principi generali si focalizzano sull’impiego ai fini produttivi, in via prevalente, di risorse naturali interne ai sistemi ecologici. L’uso di fattori di produzione esterni è fortemente limitato alle situazioni in cui non siano possibili alternative. Si tratta

comunque di fattori produttivi che devono rispondere a certi requisiti, quali ad esempio la provenienza da agricoltura biologica.

Ancora più rigorosa è la limitazione dell’uso di fattori di produzione ottenuti per sintesi chimica.

I principi specifici dell’agricoltura biologica costituiscono un lungo elenco, le cui prescrizioni riguardano:

 L’impegno a mantenere ed incrementare la fertilità naturale del suolo e la sua biodiversità, in modo da prevenire fenomeni come l’erosione.

 Il perseguimento della sostenibilità ambientale, attraverso un impiego minimo di risorse non rinnovabili e il riciclo di rifiuti e sottoprodotti di origine vegetale e animale.

 La salute e il benessere degli animali, le cui difese immunologiche naturali devono essere stimolate, di modo che siano più resistenti alle malattie, senza bisogno di intervenire con metodi allopatici. Lo scopo è raggiunto sia attraverso il ricorso a pratiche zootecniche quali un regolare esercizio fisico e l’accesso a spazi all’aria aperta, sia attraverso la scelta di razze animali adatte alle specifiche condizioni locali. Sempre legata alla salute degli animali è la selezione di

mangimi biologici per il loro nutrimento.

 Il mantenimento, per la produzione da acquacoltura, della biodiversità degli ecosistemi acquatici naturali, nonché della qualità degli stessi e degli ecosistemi terrestri circostanti.

 La cura della salute della produzione vegetale attraverso misure profilattiche, quali la scelta di specie appropriate e varietà resistenti ai parassiti e alle malattie vegetali, il riposo dei terreni, la rotazione delle colture e l’impiego di antagonisti utili dei parassiti.

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Altri principi specifici sono previsti per la trasformazione di alimenti e mangimi biologici. Il nucleo essenziale di tali principi riguarda la provenienza degli ingredienti da agricoltura biologica e la limitazione nell’uso di additivi e ingredienti non biologici con funzioni principalmente sensoriali e tecnologiche.

2.4 NORME DI PRODUZIONE

Le norme generali di produzione biologica vietano l’uso di qualsiasi tipo di organismo geneticamente modificato (OGM) o di prodotti derivati o ottenuti da organismi

geneticamente modificati. Sono consentite presenze accidentali e tecnicamente inevitabili, nel rispetto di massimali molto stringenti pari allo 0,9% del prodotto. È altresì vietato l’uso di radiazioni ionizzanti per il trattamento di alimenti o mangimi biologici, o di materie prime utilizzate in alimenti o mangimi biologici.

L’art. 12 del Reg. 834/07 e gli artt. 3, 4 e 5 del Reg. 889/08 descrivono le pratiche agricole di riferimento per le produzioni vegetali biologiche.

La produzione vegetale biologica deve rispettare alcune norme attinenti alla fertilità del suolo, la quale deve essere incrementata attraverso l’adozione di rotazioni pluriennali che includano la coltivazione di leguminose e l’uso di letame e vegetali di scarto. Le tecniche di produzione devono evitare o quantomeno limitare al minimo l’inquinamento ambientale.

La salute delle piante è mantenuta facendo ricorso prioritariamente a misure preventive che riguardano la scelta delle varietà, la protezione dei nemici naturali, processi termici e altre tecniche ritenute idonee.

L’art. 13 del Reg. 834/07 e gli artt. da 6 bis a 6 sexies del Reg. 889/07 si occupano della produzione di alghe marine, le quali sono assimilabili a prodotti biologici

subordinatamente al rispetto di determinate condizioni riguardanti la zona di produzione e raccolta, che deve essere, innanzitutto, di elevata qualità ecologica.

Seguono, agli art. 14 del Reg. 834/07 e dall’art.7 all’art.25 del Reg. 889/07, le norme relative alla produzione animale, ivi comprese le norme relative all’apicoltura. È innanzitutto stabilito un legame funzionale diretto tra produzioni animali e coltivazioni agrarie. Ne consegue che la conduzione di allevamenti animali senza disponibilità terriere è vietata. Produzioni vegetali ed animali sono integrate, in ragione dei reciproci benefici derivanti dalla produzione di foraggio, da un lato, e dal riutilizzo agricolo degli effluenti animali, dall’altro.

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Sono previste determinate condizioni di stabulazione per gli animali allo scopo di soddisfare le loro esigenze fisiologiche e di sviluppo.

Per le stesse ragioni, la densità degli animali non deve essere eccessiva e questi devono avere accesso a spazi all’aria aperta.

La riproduzione deve avvenire con metodi naturali – è però ammessa l’inseminazione artificiale – e non deve essere indotta da trattamenti ormonali o simili, a meno che non si tratti di terapie destinate ad un singolo animale.

Agli animali sono risparmiate sofferenze inutili e le malattie sono trattate

tempestivamente con metodi naturali (omeopatici e fitoterapici) e solo in casi specifici è consentito il ricorso a rimedi allopatici, compresi gli antibiotici.

Vietato è anche l’uso di stimolanti della crescita e di amminoacidi sintetici. Gli animali devono essere nutriti con mangimi biologici.

Analoghe norme specifiche si applicano alla produzione di animali d’acquacoltura (art. 15 Reg. 834/07 e dall’art 25 bis all’art 25 unvicies del Reg. 889/08).

La Commissione autorizza l’impiego di un numero limitato di prodotti e di sostanze. Si tratta di prodotti fitosanitari o destinati all’alimentazione degli animali o anche prodotti per la pulizia e disinfezione di impianti ed edifici per la produzione animale e vegetale. La Commissione fissa inoltre le condizioni e i limiti per l’utilizzo di tali prodotti (art. 16).

L’art. 17 affronta il tema delle aziende che scelgono di convertirsi al metodo biologico. Queste sono sottoposte ad un periodo di conversione, specifico per tipo di coltura o produzione animale, durante il quale tutte le misure previste dal regolamento sul biologico devono essere rispettate.

Infine, l’art. 22 introduce il principio di flessibilità, in base al quale è consentito, in determinati e circoscritte casistiche, di derogare alle sopracitate regole di produzione. Tali deroghe sono subordinate al verificarsi di eventi calamitosi, all’indisponibilità in forma biologica di certi fattori di produzione e ad altre situazioni particolari che vengono descritte nell’articolo.

2.5 ETICHETTATURA

Il titolo IV del Reg. 834/07 ed il titolo III del Reg. 889/08 normano l’uso delle indicazioni riferite alla produzione biologica nell’etichettatura e nella pubblicità dei prodotti biologici.

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Queste disposizioni tutelano l’affidamento del consumatore, il quale ha così certezza che determinati termini e marchi sono indici del rispetto dei regolamenti sulla

produzione biologica.

Il termine “biologico”, così come i rispettivi derivati e abbreviazioni “bio” e “eco” possono essere impiegati nell’etichettatura, nella pubblicità e nei documenti

commerciali per caratterizzare un prodotto, i suoi ingredienti o le sue materie prime, quando questi rispettino interamente la regolamentazione del settore.

Nel caso di un prodotto agricolo vivo o non trasformato si possono impiegare questi termini soltanto se, oltre al rispetto del metodo di produzione biologica, anche tutti gli ingredienti di tale prodotto sono stati ottenuti conformemente alle prescrizioni del regolamento sul biologico.

Per quanto riguarda gli alimenti trasformati, vi sono tre diverse possibilità di utilizzo dei termini di cui sopra:

 Nella denominazione di vendita del prodotto: gli alimenti trasformati devono essere conformi all’art. 19 del Reg. 834/07 relativo alle norme di produzione di alimenti trasformati e almeno il 95% in peso degli ingredienti di origine agricola deve essere biologico. Il restante 5% deve comunque fare riferimento agli ingredienti ammessi, elencati nell’allegato IX del Reg. 889/08, oppure ad ingredienti temporaneamente autorizzati da uno Stato Membro.

 Soltanto nell’elenco degli ingredienti (in corrispondenza degli ingredienti biologici): quando gli alimenti siano ottenuti in conformità ad alcune delle regole previste dal sopracitato art. 19. In questo caso deve essere data

un’indicazione della percentuale totale di ingredienti biologici in proporzione alla quantità totale di ingredienti di origine agricola.

 Nell’elenco degli ingredienti e nello stesso campo visivo della denominazione di vendita: qualora il principale ingrediente sia un prodotto della caccia o della pesca, l’alimento contenga altri ingredienti di origine agricola che siano tutti biologici e rispetti le stesse regole di produzione di cui alla categoria precedente. Anche in questo caso è previsto che venga data un’indicazione della percentuale di ingredienti biologici sul totale.

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Il Reg. (CE) n. 271/2010 ha reso obbligatorio, a partire dal 1 Luglio 2010, l’utilizzo del logo biologico europeo, detto EURO-Leaf [Fig. 1]. Tale logo, che rende subito

riconoscibile un prodotto conforme alla normativa, non può essere impiegato per i prodotti in conversione e per i prodotti che riportino le indicazioni relative al biologico negli ingredienti.

Figura 1: Il logo di produzione biologica nell’Unione Europea

Sono previste anche altre indicazioni obbligatorie quali il numero di codice dell’autorità o dell’organismo di controllo cui è soggetto l’operatore che ha effettuato la produzione o la preparazione più recente. Esso deve comparire nello stesso campo visivo del logo biologico europeo. Tale codice inizia con la sigla identificativa dello Stato Membro (in Italia, “IT”); segue un termine che rinvia al metodo di produzione biologico (in Italia, “BIO”) e termina con un numero di riferimento, attribuito, in Italia, dal MiPAAF (Fig. 2).

Ai fini della tracciabilità, deve essere anche riportato il codice identificativo attribuito all’operatore sottoposto a controllo dall’organismo di controllo stesso.

Quando viene usato il logo comunitario, è obbligatorio dare anche un’indicazione del luogo di origine delle materie prime agricole di cui il prodotto è composto. Questa informazione, che deve comparire nello stesso campo visivo del logo, assume una delle seguenti forme:

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 Agricoltura non UE, quando la materia prima agricola è stata coltivata in paesi terzi

 Agricoltura UE/non UE quando parte della materia prima agricola è stata coltivata nella Comunità e l’altra parte è stata coltivata in un paese terzo. Può altresì essere data indicazione di un paese specifico, nel caso in cui tutte le materie prime agricole di cui è composto il prodotto siano state coltivate in quel paese; così come anche è possibile omettere l’indicazione, in riferimento a piccoli quantitativi - in termini di peso - di ingredienti; purchè la quantità totale di questi sia inferiore al 2% della quantità totale di materie prime di origine agricola.

Tutte queste indicazioni devono essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed indelebili. La figura seguente è un esempio dei diversi dati che devono essere forniti in etichetta.

Figura 2: Esempio di etichetta di prodotto da agricoltura biologica

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24 2.6 IL SISTEMA DI CONTROLLO

Fondamentale per tutelare l’affidamento del consumatore è l’istituzione di un sistema di controllo che assicuri il rispetto delle disposizioni stabilite dai Regolamenti in materia di produzione biologica.

Il titolo V del Reg. n. 834/07, che si occupa di disciplinare questi controlli, prevede la necessità di effettuare delle verifiche, la cui natura e frequenza sono determinate sulla base di una valutazione del rischio. Inoltre, viene stabilito che ogni operatore, fatta eccezione per i grossisti che trattano esclusivamente prodotti in imballaggi

preconfezionati e per gli operatori che vendono al consumatore o all’utilizzatore finale, sia sottoposto ad una verifica dell’osservanza almeno una volta l’anno.

Il Reg. lascia la facoltà alle autorità competenti responsabili dei controlli designate dagli Stati membri di scegliere fra l’affidare le proprie competenze ad autorità di controllo pubbliche o piuttosto ad organismi di controllo privati. In questo secondo caso, è necessario prevedere un’autorità incaricata del riconoscimento e della sorveglianza degli organismi stessi. La scelta operata dal legislatore italiano è stata quella di avvalersi di organismi privati.

Tali organismi ricevono la delega e l’autorizzazione ad operare dall’autorità preposta, il MiPAAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali). Essi vengono poi scelti e pagati dagli stessi operatori che intendono porre sotto controllo la propria attività (condizione necessaria per poter commercializzare i propri prodotti come biologici).

Prima di poter essere autorizzato, l’organismo di controllo deve essere accreditato. L’attività di accreditamento viene svolta da ACCREDIA, unico organismo nazionale autorizzato, su richiesta del proponente organismo di controllo. L’avvenuto

accreditamento indica il rispetto della norma europea EN 45011 o della guida ISO 65 “Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione dei prodotti”.

L’organismo di controllo, per poter ricevere l’autorizzazione e dunque svolgere la propria attività, deve possedere un numero sufficiente di personale qualificato,

possedere l’esperienza e le attrezzature necessarie allo svolgimento dei propri compiti, nonché essere libero da qualsiasi conflitto di interessi. L’autorità competente, ai fini dell’autorizzazione, prende in considerazione la procedura ispettiva standard

predisposta dall’organismo di controllo, nonché le misure che quest’ultimo intende applicare in caso di accertamento di irregolarità e/o infrazioni.

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L’autorità competente, se necessario, organizza audit o ispezioni degli organismi di controllo delegati e, in caso di accertate carenze, la delega può essere ritirata.

Gli operatori che producono, preparano, immagazzinano o importano da un paese terzo prodotti biologici devono notificare la loro attività alle autorità competenti dello Stato membro in cui l’attività stessa è esercitata e devono assoggettare la propria impresa al sistema di controllo.

L’organismo di controllo ha l’obbligo di comunicare gli esiti dei controlli effettuati all’autorità competente. La segnalazione deve essere tempestiva qualora i risultati dei controlli rivelino una non conformità, anche solo sospettata.

In caso di irregolarità, la conseguenza può riguardare l’intera partita o l’intero ciclo di produzione in cui è stata riscontrata l’irregolarità, che non potranno fare riferimento al metodo di produzione biologico; ma, nei casi più gravi, è prevista l’esclusione

dell’azienda dal sistema di controllo.

A seguito di controlli aventi esito positivo, gli organismi di controllo rilasciano dei documenti giustificativi che servono anche a garanzia di tutti i fornitori facenti parte della filiera del biologico.

Tale documento autorizza l’operatore ad utilizzare nell’etichettatura, nei documenti commerciali e nella pubblicità dei prodotti i termini relativi al metodo di produzione biologico.

2.7 SCAMBI CON PAESI TERZI

Essendo i Reg. comunitari vincolati per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, i consumatori possono fare affidamento sul fatto che i prodotti provenienti da qualsiasi altro paese membro soddisfino le stesse prescrizioni minime.

Cosa si può dire invece in merito a quei prodotti che vengono importati da paesi esterni rispetto all’Unione Europea? Anche questi prodotti possono essere venduti nel mercato europeo come prodotti biologici, qualora siano giudicati prodotti conformi o prodotti che offrono garanzie equivalenti.

 L’importazione in regime di conformità (art. 32 Reg. 834/07) prevede che il prodotto importato sia conforme alle disposizioni di cui ai titoli II, III e IV del Regolamento stesso, nonché alle norme di attuazione relative. In questa fattispecie, tutti gli operatori coinvolti nella produzione, preparazione ed esportazione, devono essere soggetti a controllo e certificazione da parte di

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autorità o organismi di controllo riconosciuti dalla Commissione e da questa inseriti nell’allegato I del Reg. n. 1235/08. Al momento, tuttavia, non esiste un elenco di organismi di controllo designati ai fini della conformità, per cui non è possibile importare prodotti conformi.

 L’importazione in regime di equivalenza (art. 33) prevede che il prodotto

importato sia stato ottenuto secondo norme di produzione equivalenti a quelle di cui ai titoli III e IV. Gli operatori coinvolti devono essere stati assoggettati a misure di controllo la cui efficacia sia stata valutata come equivalente dalla Commissione a quelle di cui al titolo V. Tali misure di controllo, che devono essere esplicate da sistemi di controllo riconosciuti dalla Commissione, devono aver investito tutte le fasi di produzione, preparazione e distribuzione. Infine, il prodotto deve essere munito di un certificato di ispezione rilasciato dalle autorità competenti o dai sopracitati organismi o autorità di controllo del paese.

La differenza fra le due fattispecie risiede nel fatto che, nel primo caso, viene richiesto il rispetto delle norme specifiche del Regolamento, mentre, nel secondo, è riconosciuta l’equivalenza della normativa applicata dal paese terzo.

La Commissione ha, infatti, stilato un elenco di paesi terzi ritenuti equivalenti ai fini della normativa sulla produzione biologica (allegato III del Reg. 1235/08). Ha altresì composto un elenco di organismi di controllo riconosciuti alle medesime finalità (allegato IV del sopracitato Regolamento). È quindi possibile importare in regime di equivalenza non solo dai paesi terzi inclusi nell’allegato III del Reg. 1235/08, ma anche da tutti gli altri paesi in cui operano gli organismi di controllo inclusi nell’elenco di cui all’allegato IV del medesimo Regolamento.

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27 CAPITOLO 3

I NUMERI DEL BIOLOGICO 3.1 Il biologico nel mondo

Il settore agroalimentare biologico ha avuto negli ultimi vent’anni una forte e costante espansione, in netta controtendenza rispetto al più generale comparto alimentare, nel quale la recessione economica ha manifestato i suoi effetti contraendo i consumi. L’agricoltura biologica ha registrato incrementi sia sul fronte della superficie agricola dedicata, sia su quello dei consumi. A confermarlo sono i numeri che emergono dal

rapporto redatto dall’IFOAM e dal FIBL8, “The World of Organic Agricolture 2017”, i

cui dati si riferiscono alla fine del 2015.

I risultati del report attestano che l’agricoltura biologica è praticata in 179 paesi e interessa una superficie pari a 50,9 milioni di ettari. [Fig 3.1 e Fig. 3.2]

Figura 3.1: Numero di paesi che praticano l’agricoltura biologica

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

8 Il FiBL (Forschungsinstitut fur biologischen Landbau) è un istituto di ricerca che si occupa

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Figura 3.2: Crescita delle terre coltivate ad agricoltura biologica (1999-2015)

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

I dati a disposizione partono dal 1999, anno in cui, per la prima volta, i dati riguardanti l’agricoltura biologica sono stati disponibili a livello globale.

Dal punto di vista della superficie destinata all’agricoltura biologica, l’Oceania è il continente con una maggiore percentuale di area certificata (45%), per un totale di 22,8 milioni di ettari. A seguire, troviamo l’Europa (25%; 12,7 milioni di ettari) e l’America Latina (13%; 6,7 milioni di ettari). [Fig. 3.3]

Quasi la totalità delle aree biologiche dell’Oceania si trovano in Australia (più del 99%), la quale rappresenta il paese con la maggior area agricola coltivata con metodo biologico (22,7 milioni di ettari), seguita da Argentina (3,1 milioni di ettari) e Stati Uniti d’America (2 milioni di ettari). L’Italia si colloca al sesto posto della classifica, con i suoi 1,5 milioni di ettari. [Fig. 3.4]

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Figura 3.3: Ripartizione percentuale per continente delle superfici coltivate a biologico (2015)

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

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In generale, dal 2007 al 2015, quasi ogni continente ha registrato un aumento della superficie destinata alla coltivazione biologica [Fig. 3.5]. Le uniche lievi flessioni si riscontrano in America Latina e Nord America, dove la superficie dedicata è sì aumentata rispetto al 2007, ma è diminuita rispetto ad anni più recenti. Infatti, in

America Latina, si è passati dai 7,66 milioni di ettari del 2009, ai 6,74 milioni di ettari (-12,01%); mentre, in Nord America, si è passati dai 3,05 milioni di ettari del 2013, ai 2,97 del 2015 (-2,62%).

Figura 3.5: Crescita delle terre coltivate secondo il metodo biologico per continente

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

L’Italia è fra i primi undici paesi al mondo con la più alta percentuale di superficie

agricola (SAU) dedicata al biologico nel 20159. La classifica vede alle prime tre

posizioni il Liechtenstein, l’Austria e la Svezia, rispettivamente con il 30,2%, il 21,3% e il 16,9%. [Fig. 3.6]

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Figura 3.6: I primi 11 Paesi al mondo con la più alta percentuale di SAU dedicata al biologico

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

Oltre alle terre dedicate all’agricoltura biologica, vi sono altre superfici biologiche destinate ad altre attività. La maggior parte di queste è costituita da aree per la raccolta selvatica e aree per l’apicoltura. Alcune aree sono impiegate per l’acquacoltura e altre sono foreste o pascoli. L’insieme di queste aree ha raggiunto i 39,7 milioni di ettari, così che l’insieme di tutte le aree, agricole e non, dedicate al biologico ammonta a 90,6 milioni di ettari.

Non tutti i Paesi diffondono i dati riguardanti le aree biologiche non agricole, pertanto le informazioni sono incomplete. In base ai dati raccolti, si può arrivare a ripartire la superficie biologica mondiale come rappresentato in Figura 3.7.

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Figura 3.7: Distribuzione di tutte le aree biologiche

Fonte: Report FiBL, 2017.

Nel 2015, sono stati registrati ben 2,4 milioni di produttori appartenenti al settore biologico. Secondo i dati, più dei ¾ dei produttori sono in Asia, Africa e America Latina. [Fig. 3.7] Il Paese con il maggior numero di produttori è l’India, seguita dall’Etiopia e dal Messico. L’Italia è decima nella classifica mondiale, ma prima a livello europeo, con 52.609 produttori. [Fig. 3.8 e 3.9]

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Figura 3.8: Distribuzione dei produttori biologici per continente

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

Figura 3.9: I 10 Paesi con il più alto numero di produttori biologici

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Confrontando i dati con il 2014, c’è stato un incremento pari a circa il 7% nel numero di produttori biologici. La maggior parte di questo incremento è ascrivibile ai seguenti Paesi: Repubblica democratica del Congo, Perù, Messico e Kenya.

Per quanto riguarda le altre tipologie di operatori biologici, ci sono più di 72.000

trasformatori e almeno 4.000 importatori, la maggior parte dei quali in Europa. Tuttavia, non tutti Paesi riportano i propri dati relativi a importatori, esportatori e altre tipologie di operatori. Ad esempio, mancano i dati provenienti dagli Stati Uniti, pertanto si può ragionevolmente desumere che il numero globale di operatori sia in realtà maggiore. In base alle stime effettuate da parte di Organic Monitor – un istituto di ricerca

specializzato nel settore biologico – il mercato globale del settore biologico ha superato, nel 2015, gli 80 miliardi di dollari (circa 75 miliardi di euro). [Fig. 3.10]

Figura 3.10: Sviluppo del mercato biologico globale (2000-2015)

Fonte: Organic Monitor.

In base all’indagine di FiBL10, il Paese con il mercato più ampio per la produzione

biologica sono gli Stati Uniti (35,8 miliardi di euro), seguiti da Germania (8,6 miliardi di euro), Francia (5,5 miliardi di euro) e Cina (4,7 miliardi di euro). L’Italia è al settimo posto con un mercato di 2,3 miliardi di euro. [Fig. 3.11]. Sebbene l’agricoltura biologica sia praticata in 179 Paesi, due regioni generano la maggior parte delle vendite: Nord America ed Europa. Tuttavia, la loro percentuale rispetto alle vendite globali sta

10 I dati sulle vendite di prodotti biologici sono stati disponibili per più di 50 Paesi. L’indagine di FiBL,

non può pertanto ritenersi completa, in quanto altri Paesi, in cui il metodo biologico trova applicazione, non rientrano nell’analisi.

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leggermente calando, dal momento che alcuni mercati regionali stanno mettendo radici in Asia, America Latina e Africa.

Figura 3.11: I Paesi con il più vasto mercato di prodotti biologici (2015)

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

Per quanto riguarda i consumi pro capite, Svizzera, Danimarca e Svezia guidano la classifica, con un consumo pro capite rispettivamente di 262, 191 e 177 euro. L’Italia, invece, non rientra nella lista dei primi dieci paesi per consumo pro capite. [Fig. 3.12]

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-Figura 3.12: Le prime dieci nazioni per consumo pro capite di prodotti biologici (2015)

Fonte: Report FiBl-IFOAM 2017.

3.2 Il biologico in Europa

Dall’analisi del report di FiBL-IFOAM 2017, emerge che in Europa, come nel resto del mondo, vi è stato un costante aumento delle superfici coltivate a biologico e del valore del mercato dedicato allo scambio di questa tipologia di prodotti.

Nel 2015, l’area complessivamente dedicata alla produzione biologica è arrivata ai 12,7 milioni di ettari (11,2 milioni di ettari nell’Unione Europea); mentre le vendite di prodotti biologici sono triplicate, rispetto al 2005, passando dagli 11,8 miliardi di euro a 29,8 miliardi di euro (27,1 miliardi di euro nell’Unione Europea).

Secondo il report, nonostante questa crescita di mercato molto dinamica, i trends attuali mostrerebbero però come la produzione biologica europea non stia tenendo il passo con la domanda, il che potrebbe rappresentare una sfida per il futuro sviluppo del biologico in Europa.

Molti Paesi europei mostrano tassi di crescita di mercato a doppia cifra e il consumo pro capite di prodotti bio è raddoppiato nel 2015 rispetto al 2006, arrivando ai 36,4 euro (53,7 euro nell’Unione Europea).

Nonostante il mercato stia crescendo così velocemente, la produzione agricola biologica non va di pari passo, come mostrano i tassi di crescita delle superfici coltivate secondo

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il metodo biologico e del numero dei produttori. Il timore è che la sempre più sostenuta domanda di prodotti alimentari biologici verrà quindi soddisfatta dai Paesi stranieri, attraverso le importazioni, senza che i produttori europei ne traggano beneficio. [Fig. 3.13]

Figura 3.13: Europa: crescita cumulativa dell’area dedicata al biologico e delle vendite a confronto (1999-2015)

Fonte: Report FiBL-IFOAM 2017.

Sono 12,7 milioni gli ettari di terreno dedicati all’agricoltura biologica, costituendo il 2,5% (6,5% in EU) del totale dei terreni agricoli. Con quasi 2 milioni di ettari (15% del totale), la Spagna mantiene il suo primato in Europa per superficie coltivata a biologico. Al secondo posto, vi è l’Italia (12%). Seguono Francia (11%) e Germania (8%). [Fig. 3.14]

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Figura 3.14: Distribuzione dei terreni agricoli biologici in Europa

Fonte: FiBL-AMI survey 2017.

Per quanto riguarda l’utilizzo dei terreni biologici, i terreni seminativi rappresentano la maggior parte dei terreni agricoli biologici (5,5 milioni di ettari), seguiti dai pascoli permanenti (5,3 milioni di ettari) e infine dalle colture permanenti (1,4 milioni di ettari). Quest’ordine risulta diverso se ci si focalizza sulla sola Unione Europea, dove infatti i pascoli permanenti sono in testa, con 5,1 milioni di ettari, contro i 4,7 e gli 1,2 milioni dei terreni seminativi e delle colture permanenti. [Fig. 3.15]

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Figura 3.15: Distribuzione dei terreni agricoli biologici per utilizzo

Fonte: FiBL-AMI survey 2017.

In merito al numero di produttori biologici, nel 2015, vi erano circa 350.000 produttori biologici in Europa (270.000 in UE), la maggior parte dei quali in Turchia (quasi 70.000) e in Italia (quasi 53.000). Nell’arco temporale 2006-2015, la crescita del numero di operatori è stata del 72% (50% in UE).

Il numero di trasformatori, nel 2015, era pari a 60.000 (più di 58.000 in UE) e quello degli importatori era di quasi 3.700 (quasi 3.500 in UE). Il Paese con il più alto numero di trasformatori era l’Italia (quasi 15.000), mentre la Germania era il Paese con il maggior numero di importatori (più di 1.400). [Fig.3.16]

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Figura 3.16: Distribuzione dei produttori e dei trasformatori bio in Europa

Fonte: FiBL-AMI survey 2017.

Dal punto di vista delle dimensioni del mercato, come anzidetto, nel 2015, quello europeo è stimato essere pari a 29,8 miliardi di euro (27,1 in Europa). Con questi valori, l’Unione Europea rappresenta il secondo più grande mercato per i prodotti biologici, dopo gli Stati Uniti (35,8 miliardi di euro).

Ad avere il mercato più vasto è la Germania, pari a 9,5 miliardi di dollari (8,6 miliardi di euro). Seguono Francia, Regno Unito, Italia e Svizzera. Questi cinque Paesi generano circa i ¾ delle vendite europee. [Fig. 3.17]. Altri mercati rilevanti per i prodotti

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Figura 3.17: Distribuzione percentuale delle vendite di prodotti biologici

Fonte: FiBL-AMI survey 2017.

L’Europa centrale ed orientale ha un piccolo, ma in crescita, mercato di prodotti biologici. Importanti consumatori sono la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ungheria. In generale, questa regione è una significativa produttrice ed esportatrice di materie prime biologiche, come il grano e i cereali. Queste vengono esportate in Europa occidentale, da cui invece vengono importati i prodotti biologici finiti e trasformati.

Un indicatore importante è il peso dei prodotti biologici sul totale degli acquisti alimentari di un Paese. La più alta quota di mercato è in Danimarca, dove l’acquisto di prodotti agroalimentari biologici rappresenta l’8,4% degli acquisti di prodotti

alimentari. A seguire vi sono la Svizzera, dove la percentuale è invece del 7,7%, e il Lussemburgo, con una percentuale del 7,5%.

Alcune categorie di prodotto hanno conquistato elevate quote di mercato: ad esempio, le uova biologiche hanno una quota di mercato superiore al 10% in molti Paesi, e, in Svizzera, esse raggiungono il 24,3%. I prodotti caseari presentano una quota di mercato di oltre il 10% e il latte da solo può raggiungere percentuali anche maggiori (ad

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Figura 3.18: Quote di mercato di prodotti/categorie di prodotti biologici per Paese

I consumi pro capite di prodotti biologici risultano essere molto diversificati. I

consumatori europei spendono in media approssimativamente 36,4 euro per persona in prodotti biologici (53,7 euro in EU). Svizzera, Danimarca, Svezia e Lussemburgo sono in testa, con un consumo pro capite che supera i 150 euro, mentre Paesi quali la

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Figura 3.19: I 10 Paesi con il più alto consumo pro capite di prodotti bio

Fonte: FiBL-AMI survey 2017.

3.3 Il biologico in Italia

In questo paragrafo si vuole fare il punto sulla situazione del comparto agroalimentare biologico italiano. Dal momento che per il nostro Paese sono disponibili dati più aggiornati, si noterà una discrepanza fra i valori riportati nei due paragrafi precedenti (dati aggiornati al 31/12/2015) e quelli presenti in questa sezione (dati aggiornati al 31/12/2016 e talvolta dati riferibili ai primi mesi del 2017).

I dati a cui si fa riferimento sono tratti dal recente convegno “Tutti i numeri del bio in Italia”, tenutosi in occasione del SANA 2017, il Salone internazionale del biologico e del naturale organizzato a Bologna e sono stati raccolti dagli istituti di ricerca che

annualmente partecipano all’iniziativa: ISMEA11, SINAB12, Nomisma13 et al.

L’immagine del biologico che le analisi più recenti restituiscono è quella di un settore vitale e in espansione, in controtendenza rispetto alla contrazione che ha

complessivamente caratterizzato l’agroalimentare nello stesso periodo.

11 Istituto dei Servizi per il Mercato Agricolo alimentare. 12 Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica.

13 Nomisma è una società indipendente che realizza attività di ricerca e consulenza economica per

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In linea con il trend di crescita ormai consolidato, nel 2016, le superfici coltivate con il metodo biologico aumentano ancora rispetto agli anni precedenti, e con esse il numero di operatori coinvolti. [Fig. 3.20 e 3.21]

Figura 3.20: Andamento di operatori e superfici in Italia (1990-2016)

Fonte: Sinab.

Figura 3.21: Variazione di operatori e superfici 2015-2016

Fonte: Sinab.

Superfici e operatori crescono per rispondere all’aumentare della richiesta di prodotti biologici del mercato.

L’incidenza percentuale della SAU (Superficie Agricola Utilizzabile) biologica sulla

SAU totale è pari al 14,5%.14

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