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Un esempio di antico regime: corruzione e anticorruzione nel Rina scimento

L’ANTICORRUZIONE NELLA DIMENSIONE STORICO-POLITICA

2. Un esempio di antico regime: corruzione e anticorruzione nel Rina scimento

Nell’Italia di antico regime, la questione è infatti al centro degli sforzi dei maggiori scrittori politici che ripensavano all’architettura istituzio- nale repubblicana, individuando quanti più antidoti possibili al fine di espungere dal pubblico le ingerenze e i tentativi di dominazione del privato. Spinte tutt’altro che idealistiche, se si pensa che anche i giuristi del ‘300, pienamente calati nella realtà del tempo, pensavano che non fosse immaginabile un governante totalmente immune dal perseguire anche un interesse privato nella sua veste pubblica: se esistesse, sarebbe infatti più divino che umano!

6 Penso ai recenti tentativi di riproporre i modelli ‘tribunizi’ elaborati da Machiavelli per limitare e controllare l’eccessivo potere e la hybris dei cittadini più ricchi nella sfera pubblica. Si veda ad esempio J. P. McCormick, Machiavellian Moment, Cambridge, Cam- bridge University Press, 2011.

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L’anticorruzione nella dimensione storico-politica

Nonostante i suoi inevitabili fallimenti, la lotta alla corruzione, intesa nella sua duplice accezione, individuale e istituzionale, così come deli- neata da Dennis Thompson, divenne un tratto caratteristico del buon governo7.

Ciò si manifestò, ad esempio, in modo del tutto nuovo e nitido, proprio attraverso gli scritti di quei teorici politici, che difendevano il modello repubblicano in un contesto come quello fiorentino interamente domina- to dai Medici.

Per quanto splendente la Firenze del Rinascimento restava infatti un perfetto esempio di una comunità politica interamente corrotta, nella quale, alcuni suoi membri, banchieri, avevano oltrepassato così tanto il grado di «privati cittadini», da reggere la repubblica secondo la propria volontà, stando alle parole di Guicciardini8.

Firenze, scrivevano i Fiorentini di primo ‘500, sotto il dominio mediceo, poteva essere considerata solo “formalmente” una repubblica, poiché i magistrati che occupavano le cariche pubbliche obbedivano di fatto al volere di un privato cittadino, da cui dipendevano economicamente. Non è un caso che a Firenze non si considerò mai questo periodo come parte della storia repubblicana della città, ma si preferì piuttosto archi- viarlo sotto la voce della tirannide o sotto quella più edulcorata del prin- cipato.

7 Tra i diversi suoi scritti, si veda ad esempio D. F. Thompson, Two Concepts of Corrup- tion, Edmond J. Safra, Harvard University, Working Papers, n. 16 (August 1, 2013), con-

sultabile sul sito SSRN: https://ssrn.com/abstract=2304419, p. 3: «To combat institutional

corruption, we need to distinguish it clearly from individual corruption. Individual corruption occurs when an institution or its officials receive a benefit that does not serve the institution and provides a service through relationships external to the institution under conditions that reveal a quid pro quo motive. Institutional corruption occurs when an institution or its officials receive a benefit that is directly useful to performing an institutional purpose, and systematically provides a service to the benefactor under conditions that tend to undermine procedures that support the primary purposes of the institution». Si vedano accanto a Thompson i saggi di Emanuela

Ceva, tra i quali in particolare, Il male politico della corruzione, in Ragion pratica, 2018, 1, pp. 232-252.

8 È un’espressione utilizzata da Francesco Guicciardini nell’incipit della Storia d’Italia, per la quale mi permetto di rinviare al mio «Francesco Guicciardini, quello che scrisse questa

istoria, dottore di legge», in La Storia d’Italia di Guicciardini e la sua fortuna, a c. di C. Berra e

A.M. Cabrini, Milano, Monduzzi, 2012, pp. 47-66.

Paolo Carta

Personalità come Savonarola, Machiavelli e Guicciardini dedicarono ogni loro sforzo, concreto e teorico, per istituire una repubblica bene or- dinata, che evitasse la riproposizione di un modello istituzionale perver- so, come quello realizzato dai Medici9.

C’è un lungo passaggio del Dialogo del reggimento di Firenze di Francesco Guicciardini, in cui egli descrive il modo in cui la corruzione si era dif- fusa durante il governo mediceo, finendo per minare le stesse finalità per cui le istituzioni repubblicane erano state create, e che val la pena di essere riportato per intero10:

«Io credo che nel governo di una città simile alla nostra si abbino a considerare

principalmente tre cose: come si amministri equalmente la giustizia, come con- venientemente si distribuischino gli onori ed utili publici, come bene si gover- nino le cose di fuora, cioè quelle che appartengono alla conservazione ed augu- mento del dominio.

Quanto alla giustizia, io non voglio già dare carico a’ Medici di essere stati mol- to appetitosi nella civile, perché in verità, dove non è stato qualche interesse che gli abbia stretti assai, sono proceduti con rispetto; pure non si può negare che qualche volta non l’abbino maculata con raccommandare gli amici a’ magistrati o a’ giudici, e quello che loro non hanno fatto, hanno spesso fatto senza saputa sua e’ suoi ministri o chi era grande con loro, le raccomandazioni de’ quali per avere el caldo dello stato potevano assai.

Ed ancora che fussino fatte senza consenso loro, questo non si ha a considerare, perché basta che procedendo dalla loro grandezza, sono de’ difetti che produce la autorità de’ tiranni, le voluntà de’ quali sono avute in tanto rispetto, che ezian- dio tacendo loro, gli uomini cercano di indovinarle, né si pensa di satisfare solo a chi è capo dello stato, ma ancora a tutti quegli che si crede che vi abbino dren- to parte o favore.

9 Su questi aspetti mi limito a rinviare al classico di J.G.A. Pocock, The Machiavellian Mo- ment: Florentine Political Thought and the Atlantic Republican Tradition, Princeton, Princeton

University Press, 1975.

10 Francesco Guicciardini, Dialogo del reggimento di Firenze, a c. di G. M. Anselmi e C. Va- rotti, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, pp. 49-52.

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L’anticorruzione nella dimensione storico-politica

E che effetto crediamo noi che facessi la diligenzia che usò massime Lorenzo ne- gli squittini della mercatantia? Non solo era a proposito, quando lui pure avessi voluto aiutare qualche amico; ma empiendo le borse di uomini dependenti da sé, essi medesimi nelle liti l’uno de l’altro si riconoscevano, in modo che senza altro aiuto dello stato, le cause di chi era del cerchio, andavano con grandissimo van- taggio dagli altri.

Né questo poteva dispiacere a Lorenzo, perché bisognava che avessi caro che le condizioni degli amici suoi fussino cognosciute da ognuno tanto migliori che quelle degli altri, che ciascuno avessi a desiderare di esser capitolato per suo amico; e credo che per la medesima ragione di potere favorire copertamente le cose degli amici, tenessi sempre alla mercatantia uno cancelliere fatto a mano, il che faceva ancora in tutte le Arti ed offici.

E perché credete voi che e’ giudici de’ sei e de’ ricorsi, che solevano a tempo de’ passati nostri essere in tanta riputazione in tutte le parti del mondo, non abbino ora più credito? Non può essere proceduto da altro che dal sospetto del favore; ché già oggi e’ nostri cittadini non intendono manco della mercatantia che fa- cessino gli antichi, né credo che gli uomini della età nostra sieno di sua natura più corruttibili che fussino a quelli tempi.

Ma che potren noi dire della giustizia criminale, dove senza comparazione si procedeva a gratificare con la mano piú larga? Io non negherò che Lorenzo in verità desiderava ordinariamente che la città ed el paese stessi quieto e che nes- suno fussi oppresso e che si osservassino le legge e si vivessi sanza scandoli; ma pure quando e’ delitti erano fatti, gli bisognava fare avere rispetto a’ suoi e pas- sare le cose loro con gli occhi chiusi, overo terminarle molto leggiermente; e questi suoi erano tanti, che infiniti casi nascevano l’anno che si risolvevano con questi fini. Sapete quanti capi, quanti parentadi intratenevano nel dominio per potersene servire a’ bisogni, cioè per avere forze da tenere soffocati e’ cittadini: a tutti questi si conveniva avere rispetto, ed a’ parenti ed amici e partigiani di questi [...]

E che sdegno, anzi disperazione crediamo noi che si generassi nelli animi degli altri, quando vedevano che quello che in loro era peccato mortale si trattava in una sorte di uomini come veniale; che l’uno era trattato come figliuolo della pa- tria, l’altro come figliastro? E quanto era inumana e tirannica quella parola con la quale pareva loro scaricare, anzi per dire meglio ingannare la conscienzia, e che già era venuta come in proverbio: che negli stati si avevano a giudicare gli inimici con rigore e li amici con favore; come se la giustizia ammetta queste di-

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stinzioni e come se la si dipinga con le bilancie di dua sorte, l’una da pesare le cose delli inimici, l’altra quelle degli amici!

Non voglio aggravare piú questo capo, perché si aggrava da se stesso abastanza; però non ne dicendo altro veniamo al secondo che è la distribuzione degli onori ed utili publici [che] appartengono a tutti noi e sono commune.

Come questi siano stati distribuiti dalla casa de’ Medici lo sa ognuno, perché el principale obietto non è mai stato di dargli a quelle persone che […] per le virtù o altri meriti se gli convenghino, ma fargli girare in chi hanno riputato amico e confidente, e contentatone ancora spesso gli appetiti più leggieri. Lo sappiamo tutti, che non solo le mogli, e’ cagnotti e molte persone basse loro domestiche hanno avuto autorità in questo, ma se ne è satisfatto insino agli amori. E quello che importa più ed è manco tollerabile in una republica, una parte grande della cittadinanza ne è stata esclusa quasi per legge. Di che è riuscito el male doppio, perché non solo si è tolto a chi si doveva dare, ma ancora mancando questi, si è dato a chi non si doveva... ».

Non c’è bisogno di commentare questo che appare come un rapporto sulla corruzione e sulla sua percezione nella Firenze tra il 1434 e il 1494, dominata in modo surrettizio dai Medici. E poco importa, che al tempo di Lorenzo il Magnifico, la città risplendesse in molti campi: siamo nel pieno del Rinascimento.

La tradizionale avversione verso le forme di corruzione politica, come nel caso della tirannide, non è stata necessariamente ispirata dalla sua crudeltà o dalla violenza con cui può manifestarsi. Si dà il caso di tiran- ni, despoti e leader corrotti che sono stati benevoli e piacevoli. La repul- sione per la corruzione politica riguarda piuttosto la futilità e l‘impotenza alla quale essa riduce tanto i governati, quanto i governan-

ti11. Nel lungo rapporto presentato da Guicciardini, un giurista tra

l’altro, ciò che conta sottolineare è infatti la percezione che i cittadini eb- bero della corruzione a Firenze e la netta consapevolezza di come questa distruggesse a cascata l’intera sfera pubblica, con evidenti e drammati- che ripercussioni su quella privata.

11 Su questi aspetti ben delineati da Montesquieu nell’Esprit des Lois, si veda H. Arendt, The Human Condition, Chicago, The University of Chicago Press, 1998, pp. 202-203.

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L’anticorruzione nella dimensione storico-politica

Ciò che la corruzione produce è infatti una riduzione della sfera pubbli- ca e dello spazio pubblico, al quale dovrebbero accedere tutti i cittadini. Agli scrittori politici dell’epoca fu chiara l’irreversibilità del processo, che una volta avviato all’interno di una repubblica avrebbe condotto alla rovina delle istituzioni cittadine, senza alcuna possibilità di rimedio, se non attraverso una riforma radicale dell’assetto costituzionale della cit- tà12.

La nascita della repubblica fiorentina del 1494, seguita alla cacciata dei Medici, fu una reazione alla corruzione e insieme un tentativo di impe- dirne la sua riproposizione. Quella forma di governo civile, che oggi può far sorridere, fu considerata per lungo tempo un modello da imitare agli occhi dei padri fondatori delle moderne democrazie: si pensi alla novità delle sue istituzioni e in particolare al Consiglio grande, caratte- rizzato da una larghissima partecipazione popolare e a cui fu affidato il compito di distribuire le magistrature, “gli onori” a cittadini «netti di specchio». Un’innovazione che nasceva dall’esigenza di creare un anti- doto contro il sistema corruttivo mediceo che aveva minato le fonda- menta istituzionali della repubblica.

Le pagine di Machiavelli e Guicciardini sono non a caso ancora oggi let- te e studiate con attenzione dai teorici della politica, anche perché i due furono tra i primi a comprendere che se la lotta alla corruzione è sino- nimo di buon governo, è vero anche che ogni antidoto dà vita inevita- bilmente a nuove forme di corruzione.

Per loro si trattava di considerare la corruzione e l’anticorruzione come un unico meccanismo complesso. La dialettica tra corruzione e anticor- ruzione è infatti sempre e in costante movimento: ogni tentativo di fre- nare la corruzione, trasforma le pratiche corrotte e ogni nuova pratica richiede nuove misure di contrasto. Ed è proprio questa correlazione che segna la storia politica e sociale di un Paese13.

12 Si veda ad esempio Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 18, laddove si interroga sulla possibilità o meno di mantenere o introdurre un governo libe- ro in una città interamente corrotta.

13 S. Muir-A. Gupta, Rethinking the Anthropology of Corruption, cit., suppl. 18, p. 7.

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All’anticorruzione, ad esempio, si lega la breve durata delle cariche pubbliche nella Firenze di primo ‘500. Benché si iniziasse a ventilare già all’epoca la necessità di garantire una certa stabilità al governo, di fatto la rotazione delle principali cariche della repubblica era fulminea, repen- tina. E ciò accadeva affinché fosse impossibile associare l’ufficio a colui che lo svolgeva per un determinato periodo di tempo.

Si pensi che ci si poteva ‘sedere’ nella Signoria, la magistratura principa- le di Firenze, solo per due mesi. E la breve durata era una garanzia: i Fiorentini erano pronti a sacrificare la governabilità della città in nome della libertà, aspirazione questa che si traduceva anche nella dura lotta contro la corruzione degli ufficiali e delle istituzioni.

Infatti, per come la vedevano i Fiorentini, a chi ricopre le più alte cariche della repubblica per due mesi, servirà almeno un altro mese per riadat- tarsi a vivere come privato cittadino. Sembra quasi un monito, valido ancora oggi: è necessaria la metà del tempo trascorsa ad occupare una carica pubblica, per riadattarsi alla vita di un ‘normale’ cittadino. Ciò naturalmente per via del prestigio, ma anche per via dei privilegi diretti e indiretti che immancabilmente una carica procura. Più è lungo il man- dato, più l’ufficiale è esposto alla corruzione e con lui le istituzioni. Questa è un’idea interessante, che ci fa comprendere come il problema dell’anticorruzione, anche nel contesto di antico regime, precedente dunque alla Rivoluzione francese, fosse particolarmente sentito.

L’intera storia dell’anticorruzione, direttamente o indirettamente, per- mea dunque tutta la storia delle nostre istituzioni. Di qui la necessità di considerare la lotta alla corruzione non solo come cifra essenziale della nostra vita civile, come reazione a un fenomeno intollerabile nell’ambito pubblico, ma soprattutto come una vera e propria forza generatrice, sul piano istituzionale. E ciò indipendentemente dal fatto che essa sia, così come è sempre stato, una lotta impari.

L’anticorruzione nella dimensione storico-politica

Non è un caso che abbia scelto a corredo della mia relazione un bozzetto di Thomas Rowlandson, un caricaturista inglese, che risale al 178414.

Il disegno raffigura il politico britannico Charles James Fox, presentato come “The champion of the people”, il campione del popolo intento a lotta- re contro l’Idra, il mostro a più teste, che personifica il tentativo del re d’Inghilterra di influenzare il parlamento.

È evidente come non ci sia alcuna partita tra il campione del popolo e il mostro. Egli riesce a tagliare una testa, tra cui quella che simboleggia la corruzione. Esattamente nel punto in cui è stata recisa, ne punta un’altra, che con nuove sembianze riaccende la sfida, fiaccando il cam- pione.

14 Per la copia colorata a mano conservata a Londra si veda https://www.rct.uk/collection/810042/the-champion-of-the-people; la versione qui riprodotta è conservata al Metropolitan Museum di New York: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/736037. Vedi anche R. Kroeze, A. Vitória, G. Geltner, Anti-corruption in History: From Antiquity to the Modern Era, Oxford, Oxford University Press, 2017.

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È una lotta impari, come si è detto, ma è una lotta che vale la pena di es- sere combattuta, per tante ragioni. Fosse anche solo per il fatto che ogni processo anticorruttivo genera effetti, alle volte non prevedibili e calco- labili in anticipo. E farne esperienza è fondamentale. Non è un caso che i Paesi nei quali la percezione della corruzione è bassa, siano anche quelli che hanno una storia istituzionale ben radicata in un risalente percorso anticorruttivo, affinato e corretto nel tempo.

3. Trapianto di modelli e necessità di percorsi: il caso danese nella

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