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Trapianto di modelli e necessità di percorsi: il caso danese nella prospettiva storica di lungo periodo.

L’ANTICORRUZIONE NELLA DIMENSIONE STORICO-POLITICA

3. Trapianto di modelli e necessità di percorsi: il caso danese nella prospettiva storica di lungo periodo.

A questo punto ci si può chiedere: che cosa in concreto può offrire la storia alla lotta alla corruzione e alle politiche dell’anticorruzione?

Oltre che una rassegna di strumenti con cui è stata combattuta la corru- zione e degli effetti prodotti, credo che la storia possa aiutare quanti og- gi, osservando l’anticorruzione in ambito internazionale, tentano di imi- tare modelli efficaci. L’imitazione di modelli che funzionano può garan- tire soluzioni immediate nel breve periodo, ma la storia aiuta a com- prendere anche quanto sia necessario affiancare all’imitazione e al tra- pianto, programmi e percorsi di lungo periodo.

A titolo d’esempio vorrei soffermarmi semplicemente su un caso, consi- derato come uno dei modelli per eccellenza nella lotta alla corruzione: quello danese. Stando ai dati sulla percezione della corruzione, sembre- rebbe, infatti, esistere una sorta di via danese alla felicità, anche in quest’ambito. Non c’è Paese che non desideri arrivare al punto cui è ar- rivata la Danimarca, e anche questo è un dato importante per chiarire l’impatto che la misurazione della percezione ha avuto sulle politiche globali anticorruzione.

Che il modello sia esportabile o meno, poco importa. Quando si tratta di lotta alla corruzione, infatti, non ha molto senso riprodurre vecchie di- stinzioni geografiche o climatiche sull’adattabilità di un modello a lati- tudini diverse. Meno che mai oggi, dato che chiunque può scappare dal- le gabbie di corruzione del proprio Paese per scegliere destinazioni più consone alla realizzazione dei propri ideali di vita.

L’anticorruzione nella dimensione storico-politica

La prova è data dal fatto che in questo momento l’Italia sta sperimen- tando un’emorragia di migrazioni verso l’estero, paesi nord-europei e Stati Uniti innanzitutto, assai difficile da arrestare. Dal 2006 ad oggi c’è stato, infatti, un incremento del 70% degli espatri di cittadini italiani, che sono per lo più giovani, altamente qualificati e in piena attività lavorati- va15.

Che cosa c’entra tutto ciò con la corruzione è presto detto. A spingerli all’estero, come emerge dalle numerose interviste rilasciate a corredo dei recenti rapporti, è soprattutto il fatto che in Italia il merito non venga ri- conosciuto. Ciò che questi giovani cercano sono, nei fatti, proprio i mo- delli di lotta alla corruzione del Nord Europa e che un giorno sperereb- bero di veder trapiantati nel proprio Paese. Quel che a tutti un po’ sfug- ge è la storia, a volte lunghissima che sta dietro quei modelli ottimamen- te funzionanti.

Il modello danese, ad esempio, non nasce oggi o nel recente passato, ma ha una storia lunga di almeno 400 anni. Va benissimo dunque tentare di imitare i modelli che funzionano, ma capire anche quale sia la loro storia può aiutare, se non altro, a costruire percorsi capaci di condurci in modo più consapevole e solido alla ‘meta’.

È una storia controversa, i cui contorni complicano non di poco il qua- dro di un progresso della lotta alla corruzione, che partendo dall’antichità arriva alla Rivoluzione francese, magnificando quell’ideale di «purezza» nella separazione tra pubblico e privato, sentito ancora og- gi come massima aspirazione politica.

Siamo soliti associare la fortuna e l’efficacia delle politiche degli Stati che hanno un basso tasso di percezione della corruzione ad una serie di elementi, che presi insieme definiscono la nostra idea di buongoverno. Questa associazione, tuttavia, appare fuorviante da un punto di vista storico, che può essere testimoniato dal fatto che, in nome del buongo- verno e sotto la bandiera dell’anticorruzione, si riuniscano una serie di movimenti sociali e politici che hanno ben poco in comune, oltre a esprimere idee e finalità incompatibili tra loro. Il punto è che noi asso- ciamo i Paesi con un basso tasso di percezione della corruzione a carat-

15 Si veda ad esempio il Rapporto Italiani nel Mondo 2019, della Fondazione Migrantes.

Paolo Carta

teristiche come lo sviluppo storico della democrazia, la trasparenza, un buon grado di accountability e una burocrazia evoluta.

Il caso della Danimarca esaminato da un punto di vista storico mette in crisi il quadro teorico che ci siamo costruiti16. Per capire il modello da-

nese dobbiamo partire dal 1660, dal momento in cui il re di Danimarca, Federico III, stabilisce di istituire non una repubblica, come noi spere- remmo, ma uno Stato assoluto. Anzi, il più efficace tra gli Stati assoluti d’Europa. Le sue riforme, indirizzate in questo senso, ebbero natural- mente anche effetti importanti sull’anticorruzione, ma va notato che esse furono inizialmente pensate per rendere gli ufficiali pubblici quanto più fedeli al regno e alla corona. Questa forma durò fino al 1849, anno in cui con l’introduzione della Costituzione, la Danimarca divenne una mo- narchia costituzionale, beneficiando della lunga storia di riforme dell’epoca precedente.

Dal 1661 al 1683 ci fu un lungo lavoro di revisione della legislazione da- nese, ad opera di una commissione nominata dal re. L’esito fu un codice che sanciva il governo della legge e che introduceva, pur in assenza di una precisa definizione, pene durissime per i reati di corruzione e pecu- lato, che andavano dai lavori forzati all’ergastolo.

La finalità che il sovrano intendeva perseguire non era però la lotta alla corruzione. Accanto a queste misure, il sovrano ne adotta, però, anche un’altra molto efficace: ben prima della Rivoluzione francese egli elimi- na dalla sfera pubblica i nobili. Stabilisce, insomma, che alle cariche pubbliche non si possa accedere semplicemente per nascita. In questo modo l’aristocrazia finisce per perdere il proprio monopolio politico e molti dei suoi privilegi. Il divario sociale si riduce, ma soprattutto, l’accesso alla sfera pubblica, ora ampliata, richiede ulteriori misure. È evidente che queste azioni erano rivolte a rendere più sicuro il potere del sovrano, ma finirono in certo qual modo per produrre ben altri effet- ti, destinati a durare nel tempo. Il re sostituisce gli ufficiali della vecchia aristocrazia con persone altamente qualificate e fedeli, favorendo l’ingresso della meritocrazia nella sfera pubblica. Tutto ciò si traduce

16 M. Frisk Jensen, Statebuilding, Establishing Rule of Law and Fighting Corruption in Den- mark 1660-1990, in Anti-corruption in History, cit., pp. 197-210.

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L’anticorruzione nella dimensione storico-politica

ben presto anche in un piano istituzionale volto a formare i pubblici uf- ficiali.

Solo chi ha una qualifica – che diventerà ben presto (1821) anche una laurea o un dottorato in diritto – potrà accedere alle cariche pubbliche. Si viene a creare in tal modo un contesto sociale di grande mobilità, con una burocrazia stipendiata. È allora che la corruzione viene stigmatizza- ta, al punto che il dovere di denuncia si lega indissolubilmente all’esigenza di garantire la stabilità dell’ordine costituito.

La Danimarca sperimenta prestissimo un accesso immediato alla sfera pubblica da parte del popolo, attuato mediante petizioni e denunce, che vengono raccolte da una burocrazia altamente qualificata e presentate al sovrano, il quale ha l’obbligo di rispondere. Questi infatti deve necessa- riamente interagire con i cittadini che pagano le tasse, essenziali per fi- nanziare le continue guerre con la Svezia.

Tra le varie cose che completano il quadro si aggiunga anche il grande impatto che la Riforma Luterana ebbe nell’educazione civica. Fin dalle scuole elementari i bambini leggono e imparano su testi che propongo- no duri attacchi contro la corruzione, presentata non solo come un reato, ma anche come un grave peccato. Da ricordare inoltre, che al tempo il regno di Danimarca comprendeva anche la Norvegia, la Groenlandia e l’Islanda: insomma parte di quel Nord, a cui noi guardiamo come ad un modello di lotta alla corruzione.

Questa, insomma, è a grandi linee la storia del modello danese, le cui so- lidissime basi etiche e morali, su cui ancora oggi poggia, sono state co- struite nell’arco di diversi secoli.

Che cosa possiamo imparare da questa vicenda storica? Va benissimo osservare il modello danese, va benissimo imitare i modelli che funzio- nano, ma a tutto ciò è necessario affiancare progetti di lungo periodo, per creare un percorso culturale, che aiuti e accompagni le riforme isti- tuzionali e legislative. Cerchiamo di individuare ad esempio un percor- so partendo dal modello danese. Quali sono gli elementi che la sua sto- ria ci chiede di prendere in considerazione per rendere efficace un pro- cesso anticorruttivo?

Paolo Carta

Mettiamo da parte il sovrano assoluto, che non ci interessa affatto – che anzi, non ci piace per niente – e vediamo quali sono i pilastri su cui sto- ricamente è sorto. La meritocrazia, innanzitutto; la competenza e la for- mazione di competenze; l’investimento nella formazione; l’educazione all’etica professionale; l’educazione civica fin dalle prime classi elemen- tari; la possibilità concreta di accedere alla sfera pubblica; una qualità della vita dignitosa e naturalmente la certezza della pena, cui si accom- pagna il dovere di denuncia dei reati.

Tutte queste caratteristiche storicamente hanno portato alla realizzazio- ne del modello danese. Se un suo trapianto non è semplice, più agevole può essere pensare un percorso di lungo periodo indirizzato a sensibi- lizzare i più giovani sui singoli elementi di cui si compone. Gli storici possono essere di grande aiuto in questo processo, per donare un po’ più di profondità ai diversi modelli percepiti come ideali cui tendere e per ricordare che le conquiste istituzionali nel lungo periodo sono state propiziate proprio da politiche di lotta alla corruzione.

IL FENOMENO CORRUZIONE VISTO DALLA PROSPETTI-

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