• Non ci sono risultati.

3 De-costruzione: duplicità

3.3 Esercizio: di fianco, non di fronte

L’esercizio che si propone a questo punto è parte del processo di sdoppiamento della ricerca: cerca di problematizzare e di collocare assieme i seguenti ‘temi’: il diamante culturale, i modelli di cultura, le teorie di

216

Certo modo possiamo trarre alcuni indizi di questo modo di posizionamento dalla stessa teoria di Cooley quando egli afferma che il confronto dell’individuo con uno specchio non implica, ovviamente, in un giudizio (il secondo aspetto dalla teoria del rispecchiamento - l’immaginazione del giudizio che l’altro farà sull’immagine che gli è stata data a vedere) e al contempo, saremmo interessati a quell’immagine perché fondamentalmente è la nostra. A noi interessa quell’immagine latente che sta fra lo specchio e l’“altro” che potremmo chiamare con Grotowski “spazio vitale”, e che, per gioco di posizione, non permette all’individuo di specchiarsi direttamente né di “specchiarsi” nell’altro.

identità – dalla prospettiva psicologica all’ interazionista. Questa è una semplice proposta di ragionamento sul problema della riflessività dell’individuo (equivalente alla teoria del riflesso) e considera come punti di riferimento le trasformazioni avvenute nel percorso del Teatro Laboratorio e cioè, passando dall’arte come presentazione al Parateatro, e da questo al Teatro delle Fonti.

Come abbiamo visto, la teoria del riflesso, basata sull’assunto per cui la “cultura è lo specchio della realtà sociale”217, si evolve nella proposizione di Weber per il quale entrambi i poli si riflettono a vicenda. Sommariamente queste due posizioni sembrano essere gli appigli concettuali che si diramano nel pensiero di quei campi che cercano di investigare il significato delle relazioni sociologiche, antropologiche e teatrali. La nota espressione “teatro specchio della realtà”218 ancor’oggi echeggia e contrapposta ad essa insorge quella del “teatro come doppio della cultura” il cui riferimento è Artaud.219

217

Griswold, W. Sociologia della cultura… op. cit.: 40. 218

Nella sezione “Specchio della realtà o doppio della cultura?” De Marinis riassume come “immagine archetipica del teatro” che è messa in questione durante tutto il Novecento: “Dico l’idea del teatro come “specchio della realtà”, meglio ancora, come riconferma dello stesso e del già noto, riconferma dell’identità personale e collettiva, celebrazione comunitaria etc. Un’idea che ci ha lasciato in eredità l’Ottocento.” La proposta presentata da De Marinis come tentativo di sovrapporre questo “cliché naturalistico” propone di prendere in causa le lezioni dei maestri che – salvaguardate le differenze, dice De Marinis – “hanno lavorato tutti a un modello che potremmo chiamare (alla maniera di Artaud) del teatro “come doppio della cultura”, e quindi hanno lavorato tutti per un teatro concepito come viaggio verso/nell’altro, e cioè come scoperta, esplorazione e confronto con l’alterità […].” De Marinis, M. Il teatro dell’altro. Interculturalismo e transculturalismo nella scena contemporanea. La casa Usher, Firenze, 2011: 13

219

C’è un passaggio che ci interessa particolarmente in che si può leggere: Perché tutto questo magnetismo, tutta questa poesia, e questi mezzi d’incantesimo non vorrebbero dir nulla se non servissero a portare fisicamente lo spirito sulla via di qualcosa, se il vero teatro non ci sapesse dare il senso di una creazione di cui conosciamo soltanto un aspetto, ma che si completa su altri piani. Poco importa se questi altri piani siano effettivamente raggiunti dallo spirito, cioè dall’intelligenza;

Da parte della sociologia e ancor di più dall’antropologia, l’alterità o lo studio “dell’altro” è stata un elemento tanto propulsore quanto relativamente fallimentare. Abbiamo visto come Barth critichi la posizione del ricercatore nel confronto con l’altro poiché, secondo il sociologo, tale approccio non è altro che una sorta di messa in scena delle proprie afflizioni. La questione dell’alterità è in fondo la stessa delle teorie dell’identità – quelle che, all’inizio del Novecento, già identificavano quali meccanismi sottostavano al processo di composizione del Sé e, complessivamente, dell’immagine del mondo con cui l’individuo interagisce. Da qui le ramificazioni si ampliano nelle specializzazioni: identità culturale, sociale, etnica, etc. Il problema centrale continua ad essere lo stesso: l’identità definita nel confronto con l’altro. Ed è anche nel confronto con l’altro che l’identità è dissimulata.220 Con la dissimulazione emerge l’analogia con il campo teatrale che, però, viene preso come impalcatura o metafora. Accanto a questi intrecci si solidifica una visione “spettacolare” della società.221 E con essa il rinvigorimento di un’utopia festiva che, per così dire, è stata investita da una aspettativa che rovesciasse l’assestamento della società (per non dire, della cultura stessa). Così si potrebbe andare avanti nel ragionamento e toccare tutti quei punti che vanno dalla modernità capitalista, nella divisione del lavoro. alla “concezione del tempo libero”; dalla predominanza borghese, all’opera d’arte totale e all’affermazione del regno registico; dalla postmodernità, i

equivarrebbe a diminuirli, e ciò non avrebbe né interesse né significato. Quel che

conta è valersi di mezzi più sicuri per rendere la sensibilità capace di percezioni più sottili e più approfondite: è questa la ragione d’essere della magia e di quei riti di cui il teatro è semplicemente un riflesso.” Si guardi Artaud, A. Il teatro e il suo doppio, Torino: Einaudi, 1968: 169. Corsivo nostro.

220 Goffman, E. La vita quotidiana come rappresentazione. Bologna: Il Mulino, 1988

221

luoghi non-luoghi, dalla cultura di consumo e della paura, fino ad arrivare ad un’ideologia povera e a procedere verso un incontro disarmato.222 La questione che emerge riguarda un modello di ragionamento che, in fondo, ci sembra, continua ad essere proposto e riproposto, anche se da angoli diversi oppure rovesciati, ma fondamentalmente rimane sempre lo stesso.

Soffermandoci sul “teatro come specchio della realtà” e sul teatro come “doppio della cultura” abbiamo cercato di comprendere come si siano articolati i significati veicolati fra i quattro punti fondamentali del diamante culturale, a partire dall’idea che sia possibile interpretare i legami in teatro – fra attore, spettatore e lo spettacolo in sé – attraverso i significati culturali. In questo ragionamento appare chiaro che i significati veicolati dallo spettacolo dovrebbero avere un qualche legame con il creatore e con il ricevitore e che questo legame ci possa illuminare sui rapporti più vasti con una data cultura. Questo punto di vista sembra essere, nonostante tutto, passibile di analisi. La costruzione che si è imposta è stata di altra natura e cercheremo di sintetizzarla nei punti successivi anticipando che tale ragionamento continuava a guardare il diamante culturale ma ora dal punto di vista delle esperienze e delle trasformazioni che sono state operate da Grotowski con il Teatro Laboratorio e ciò ha comportato un sostanziale cambiamento.

Per quanto sia limitato, giustamente per non dare conto della dimensione dell’esperienza, riportiamo un esercizio che ci ha aiutato a immaginare l’individuo sottraendolo dalla relazione frontale ovvero, cercando di ridimensionare quell’impostazione dello sguardo sull’altro per

222 Questa formulazione sintetica non dà minimante conta delle problematiche che gli stanno alla base, alcune di esse toccate nel corpo di questa ricerca altre soltanto accennate. Comunque sia, questa sintesi ha un solo compito: far per percepire le operazione attraverso i modelli di pensiero che, per quanto ci riguarda, operano a partire da una logica di inversione - continua inversione.

riconoscere se stessi.223 Lo spostamento ottico proposto prende in considerazione anche quella proposta di Meldolesi per il quale “il teatro produce società, aggiunge”. In questi termini consideriamo l’astrazione della componente sociale, nel senso che, il “piccolo”, la cellula culturale riesce, in qualche modo, dimensionare e riflettere l’intero organismo molto meglio che l’intero complesso sociale possa riflettere l’oggetto culturale.224 Tuttavia, il nostro ragionamento vuole evidenziare e riconsiderare la dimensione dell’individuo, molto più vicino della concezione di Essere Umano, relativamente libero dallo sguardo dell’altro ma, ancora condizionato dello sguardo proprio.225

L’esercizio prevede due individui: a) disposti in modo non frontale, b) in rapporto ad una superficie riflettente, c) ognuno vede l’immagine dell’altro riflessa, d) nessuno dei due vede la loro propria immagine e) entrambi hanno la percezione dello spazio contestuale, f) entrambi hanno la

223

Certo modo possiamo trarre alcuni indizi di questo modo di posizionamento dalla stessa teoria di Cooley quando egli afferma che il confronto diretto dell’individuo con uno specchio non implica in un giudizio (il secondo aspetto dalla teoria del rispecchiamento - l’immaginazione del giudizio che l’altro farà sull’immagine che gli è stata data a vedere). Qui non ci interessa l’immagine riflessa, ma sì il processo di ricognizione e percezione. A noi interessa quell’immagine latente che sta fra lo specchio e l’“altro” e che, per gioco di posizione, non permette all’individuo di specchiarsi direttamente né di “specchiarsi” nell’altro.

224

La tesi su quale lavora Meldolesi espone: “abbiamo avanzato la tesi che il piccolo, il teatro, possa rapportarsi al grande, la società, meglio di quanto la società possa fare col teatro”. E continua: “L’esito della sfida di Grotowski o del Living Theatre ne è la più pertinente dimostrazione.” Sulla l’impostazione di Meldolesi, non possiamo non condividere dell’avvertenza, per cui, la nostra ipotesi cerca di proseguire provocando lo sguardo sulle frontiere: “Ma guai a dimenticare, poi, che il teatro non è la sociologia […]” Meldolesi, C. Ai confini del teatro… op. cit. 143 225 Questa è anche parte dell’elaborazione concettuale per cui cerchiamo di accostare l’idea di decostruzione al lavoro dell’attore/Performer. La decostruzione allora sarebbe il lavoro che l’attore/performer/individuo deve eseguire nel senso di riconoscere e agire sulle strutture che lo condizionano a percepire e a comportarsi in un certo modo – modo culturalmente e socialmente condizionato.

percezione della presenza dell’altro accanto e g) ognuno può costruire una percezione di se stesso in modo indiretto.

A B Produttore Consumatore Attore Spettatore Partecipante partecipante X Oggetto/Azione Culturale/specchio/Realtà Spettacolo, Performance, Festa, “Azione”

1- Il primo di questi cambiamenti è stato assumere che l’oggetto culturale e il mondo sociale coabitano, ad esempio, nello stesso spettacolo (si potrebbe pensare alle drammaturgia che si rapportano direttamente alla realtà ma anche ad altre possibilità). Da qui si sommano tre vertici sui quali pensare – attore, spettacolo (prodotto) e spettatore. Si è indotti a pensare nello spettatore che, guardando all’attore e allo spettacolo nella sua complessità, può percepire un rispecchiamento – di identificazione o di differenza. Teoricamente lo stesso vale per l’attore, ma forse molto di più nella fase delle prove in cui ha come punti di contatto il partner e il regista.

2- Con la proposta Parateatrale, essenzialmente si elimina l’idea di oggetto culturale ovvero, non esiste più la dimensione dello spettacolo (che teoricamente riflette e fa riflettere la realtà). Ma anche non esiste più l’attore e lo spettatore. E qui si entra più

propriamente in quel campo dell’individuo. Orientati dunque dall’idea di eliminazione della divisione fra attore e spettatore, abbiamo considerato che fosse possibile eliminare la polarità fra creatore e ricevitore proprio perché non esiste più la divisione: tutti sono allo stesso tempo partecipanti. Ma fatta questa considerazione, non ci siamo convinti che fosse possibile eliminare le singole posizioni (di individuo): quel ragionamento può essere valido se applicato in una generalizzazione e dunque a livello dell’organizzazione sociale, ma qui stiamo pensando soprattutto alla dimensione degli individui. Perciò è sembrato logico che la relazione fra individui si mantiene e ciò che va modificato è il tipo de legame. Il legame, come concepito nell’idea generale, è dettato dall’oggetto culturale, dunque: è ovvio che l’eliminazione del prodotto corrisponde ad una re-significazione dei rapporti. Il legame ora è possibile nel confronto/incontro fra “Io –Tu”. E questo tipo di legame corrisponde all’idea generale dell’identità cui confronto rivela somiglianze e differenze. Qui siamo al livello “individuo – individuo” ma a differenza del processo di identità in cui il processo è di tipo riflessivo (l’“io” che si rispecchia nell’altro) le esperienze parateatrali non prevedono frontiere di identificazione. Nel Parateatro l’alterità sembra essere vista alla rovescia e al contempo come continuità: un modo per stare insieme e non per costruire l’immagine di se stessi ma avere la percezione di se stessi. La premessa di questo effetto, dell’Incontro, è dunque il “disarmo”. Ma disarmarsi in quel contesto sembra indicare un necessario processo per cui si identifica l’“armatura”.

3- A questo punto, sembra che si debba fare un fondamentale “passo indietro” che prevede un re-inquadramento (pur indiretto) di

tutti gli elementi esclusi – dal mondo sociale, la sfera del culturale e degli oggetti in quanto contenitori di significati/simboli. Ciò non significa che essi siano reinseriti ma piuttosto riesaminati nei termini delle modalità attraverso cui essi si riflettono sull’individuo. D’altro canto quella che era una prospettiva fondamentalmente bidimensionale – io – tu – acquista una terza dimensione.

4- Ipoteticamente, sottraendo l’aspetto frontale del rapporto fra “io – tu” e però mantenendo una superficie riflettente – uno specchio ad esempio -, in una disposizione di tipo triangolare, dà la possibilità all’individuo di avere un tipo di percezione diversa: l’uno vede l’immagine dell’altro riflessa, ma non vede la sua. Al contempo ha la percezione dell’altro accanto a sé. Da questo “spazio” potrebbe derivare un altro tipo di coscienza e cioè, il riflesso che l’uno vede conterrebbe tutti e tre i complessi precedenti – l’immagine dell’altro, lo stesso specchio e il contesto che vi è riflesso. Dunque, l’uno indirettamente costruisce la percezione di se stesso. Ma alla fine, qual è la superficie riflettente se sottraiamo a questa dialettica la dimensione dello spettacolo? 5- La questione che emerge come rilevante è quella della percezione: E se non ci fosse nessun tipo di superficie riflettente? E se tutto fosse riflesso all’interno dello stesso individuo? Allora, forse la percezione potrebbe acquisire un’altra dimensione – esterna ma anche interna. Essere accanto all’altro è la componente fondamentale di questa relazione, ma la costruzione dell’immagine è personale e solitaria.

Questo è stato un semplice percorso di ragionamento in cui partendo dall’idea della triangolazione, dove due individui posizionati in fronte ad una superficie riflettente potrebbero avere una percezione diversa da quella che impone un tipo di rapporto frontale. Tuttavia, conviene ribadire, è un esercizio per cui abbiamo pensato i rapporti fra gli individui (e in termini più ampi, la questione dell’identità) in connessione con alcune delle indicazioni centrali al Parateatro e arrivando al Teatro delle Fonti. E come tale è incompleto poiché infattibile dare conto delle variabili che sono proprie dell’esperienza. E lì allora conviene sottolineare l’intimo e complesso rapporto fra esperienza e percezione.

Ognuno di noi è in certa misura un mistero. In teatro può accadere qualcosa di creativo – fra il regista e l’attore – proprio allorché ha luogo il contatto fra due misteri. Conoscendo il mistero dell’altro, si conosce il proprio. E al contrario: conoscendo il proprio, si conosce quello dell’altro.226

La proprietà principale che si enuncia in questo passaggio e che è a lungo svolta nel testo citato, è quella dell’“incontro” - fra l’attore ed il regista, fra l’attore e lo spettatore, insomma, fra due essere umani. Questa “formula” per cui avviene la consapevolezza è delineata nella duplicità appunto, dell’incontro per cui, Grotowski formula la seguente questione: “Cosa cerchiamo nell’attore?” e la risposta non è altro che: “lui stesso”. È complementare e fondamentale, tuttavia, la posizione seguente:

Ma cerchiamo in lui anche noi stessi, il nostro “io” profondo, il nostro sé. La parola “sé” o “si”, che è assolutamente astratta se riferita a se stessi, se immersa nel mondo dell’introversione, ha senso invece quando si

226 Grotowski, J. “Sulla Genesi di Apocalypsis”, In: Holiday e Teatro delle Fonti. Op. cit.: 33. Il riferito testo, nella versione polacca di Leszek Kolankiewicz, ha come base la trascrizioni di incontri avvenuti fra gli anni ’69/70.

applica a qualcun altro. Quando si cerca “se stesso” in qualcun altro – ma non in un ordine, per così dire, morale, nobile, relativo a tutto il genere umano – bensì quando si usa in tutta la sua serietà, escludendo nel contempo la grande, nobile ipocrisia. […] Sicuramente agisce qui il medesimo meccanismo della vita privata, nei rapporti fra le persone, dove tutto ciò che è troppo spirituale, troppo ideale, in fondo non è autentico. Comunque lo si voglia chiamare, esiste una sorta di scambio: una specie di penetrazione nell’attore e ritorno a se stessi, e viceversa227.

Con questo riferimento indichiamo quindi la dimensione del riflesso, in un primo livello poiché conseguenza dello “scambio” e, al contempo, riflesso che svella il mistero di sé stessi nell’esistenza dell’altro, ovvero quando del confronto con l’altro. Questo argomento è centrale nel discorso grotowskiano e, come si può percepire, sia attraverso la terminologia utilizzata – attore – regista, ecc. - è connesso all’esperienza dell’ultimo spettacolo del teatro Laboratorio, Apocalypsis Cum Figuris. Tuttavia, essa è anche la formulazione che porterà il lavoro del Teatro Laboratorio ad altri ambiti, quello del Parateatro in cui le barriere o le frontiere fra “posizioni” (professionali, culturali, sociali) sono abbattute così che, il lavoro si è indirizzato a quell’ambito della cultura attiva.

Detto ciò, vogliamo sottolineare un ultimo aspetto e cioè, quello per cui interpretiamo il cambiamento nel lavoro del Teatro Laboratorio, sotto la guida di Grotowski, e cioè l’abbandono della dimensione degli spettacoli. Perciò ci assestiamo su due argomenti correlati e una proposizione: i cambiamenti culturali e la forma come questi abbiano

227

Grotowski, J. “Sulla genesi di “Apocalypsis”. In: Holiday e Teatro delle Fonti… op. cit.: 33-34. Questa secondo noi, è una prospettiva che si accosta a quella di identità come la argomentiamo e difendiamo, un’identità che è passibile di ricognizione delle differenze e somiglianze nel confronto/incontro con l’altro. Questa prospettiva sembra essere la porta di ingresso e fondamento di quelle idee che sarebbero sviluppate nelle attività parateatrali.

interferito nella stessa concezione di cultura e, di conseguenza, nella comprensione di oggetto culturale. La proposta allora si circoscrive nel pensare in modo decostruivo gli elementi di base e le categorie in sé standardizzate del binomio teatro-attore che, sostanzialmente, riconducono ai cambiamenti operati dal Teatro Laboratorio, sia in termini di lavoro, di metodologia quanto di terminologia.

Riguardo ai cambiamenti, chiamati anche innovazioni culturali, si possono segnalare due interpretazioni che, secondo noi, devono essere lette congiuntamente. La prima, impostata sulle tracce interazioniste e simboliste a partire da Mead, afferma che ci sono periodi in cui la “creatività culturale” si mantiene stabile e altri invece, in cui esplode:

I pensatori avanzano nuove idee e sistemi di idee, che circolano tra uomini e donne interessati alla cosa pubblica. Gli artisti rifiutano le convenzioni dei loro generi. […] I comportamenti cambiano in ogni cosa, dall’abbigliamento agli stili di vita alle mete occupazionali. In molte parti del mondo gli anni sessanta hanno significato un tale periodo di intenso fermento.228

La seconda ipotesi che richiamiamo in causa è data da Williams che cerca di rispondere a questi impulsi creativi affermando che i cambiamenti sono una reazione a certe condizioni. Secondo l’interpretazione della Griswold:

[…] le vecchie regole, culturali e sociali, non sembrano più applicabili. Si crea un vuoto morale, e in questa situazione la gente cerca nuove linee di condotta, nuovi significati con cui orientarsi nella vita. L’incapacità di trovare questi significati porta all’esperienza dell’anomia, del disorientamento che Durkheim attribuiva al rapido mutamento sociale. L’innovazione culturale – la produzione di nuovi significati – emerge come risposta

228

all’incipiente anomia. Essa riorienta la gente e dà ad essa sostegno nelle nuove circostanze.229

Questo ragionamento si ritrova alle basi di quei cambiamenti e della produzione di “nuovi” oggetti culturali, come abbiamo visto, ma non li spiega in definitiva. O meglio, dà risposte purché sia possibile inquadrarli in un certo parametro conosciuto o almeno riconoscibile. Altrimenti, le “forme” innovatrici spesso sono incorniciate in quel campo dell’abominabile e dell’innominabile, spesso messe in croce e/o riportate a campi mistici poiché ‘impredicibili’. E qui tanto ci riferiamo alla dimensione della cultura non conosciuta, esplorabile ad esempio sotto forma di “riserva”, di cui parla Grotowski quanto al decondizionamento della percezione.

Se l’idea e, più che idea, la concretezza dell’istituzione teatrale è deceduta, almeno per quanto riguarda gli aspetti “fissi” della messa in scena