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4 Laddove gli oceani si incontrano

4.2 Teoria festiva: rovesciamento o riverberazione?

La prima domanda che si impone in modo molto generale è: cosa è una festa? Si possono tracciare molte risposte approssimative a questa domanda, che tuttavia non possono dare conto complessivamente e teoricamente delle realtà festive. In una prima analisi è percettibile che la categoria festiva inserita all’interno di discorsi più ampi come quelli sui rituali o addirittura sulle teorie religiose, oppure orientata in direzione folkloristica, è descritta come reminescenza o sopravvivenza culturale in certi gruppi sociali “primitivi”.

Questi accostamenti sono preziosi ma, ciò nonostante, sono insufficienti alla descrizione delle istituzioni e del contesto correlato al

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Ovviamente la maggior parte di queste feste non sono prive di interessi: l’istanza economica risulta funzionalmente collegata alla Festa di Cappella, in primo luogo perché ha come obiettivo il bene “comunità” – attraverso il capitale monetario sono mantenute le strutture fisiche della stessa comunità, quali il “salone”, le strutture sportive ed in alcuni casi sono acquisiti beni materiali all’usufrutto lavorativo in condivisione. Un ulteriore sdoppiamento è quello dello sviluppo delle feste in ambito turistico il ché da un lato contribuisce all’ampliamento economico mentre dall’altro rinforza le pratiche culturali in senso più o meno negativo, e cioè forzando la rappresentazione identitaria, etnica culturale a livelli puramente capitali. Alcune di queste feste, tuttavia si mantengono al di fuori di questa logica di “vendita- consumo” di un prodotto festivo, o almeno si presentano più dentro la logica di produzione della festa per i propri individui, una celebrazione di loro stessi.

fenomeno festivo – politico, economico, culturale. Inoltre il tentativo di teorizzazione della “festa” si presenta problematico quando diffuso tra le diverse discipline, fra le più note la sociologia e l’antropologia, ma anche all’interno delle discipline storico-letterarie e, possiamo aggiungere anche se moderatamente, correlate al teatro. Un problema che può essere anche una ricchezza. Almeno dal punto di vista del pensiero ibrido e, dunque, nella considerazione della festa come manifestazione vivente in società occidentali che si attribuiscono valori, o meglio che misurano il proprio valore a partire da un sistema lavorativo. E questa è una prima considerazione attinente anche al teatro245.

Non si pretende di mettere festa e teatro sullo stesso piano. Tuttavia, si considera possibilità feconda quella di indicare le intersecazioni o, semplicemente, i paralleli radunati sotto due tipologie di manifestazione che, a ben vedere, esprimono un certo senso (o sensi) del vivere, singolarmente e collettivamente, e che hanno la capacità e l’efficacia di attivare certe forze escluse o precluse da altre realtà.

Cercando di sollevare qualche filo e imprimere qualche lineamento, si osservano le concezioni di festa oscillanti fra i poli della cerimonia e della festività; la festa se posta in relazione con la ‘concretezza’ della vita è considerata la ‘fetta minore’ e però concentrata. Attraverso la loro densità, le feste si distinguono dal semplice divertimento che, a sua volta, è anche contenuto nella festa; la festa si distingue dall’ordine dei riti

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Una relazione minore, si potrebbe dire, che tuttavia è di assoluta importanza. Ricordiamo soltanto quella prospettiva già accennata nel primo capitolo che delega alle manifestazioni festive o artistiche un luogo di minor importanza nello spazio della società; quelle sono il tempo dello svago e giustamente perciò non sono centrali; il centro del pensiero e dell’azione umana si concentra sul versante razionale, economico, lavorativo e contrapposto all’ideologico. Crf. Weber, M. L’Etica Protestante… op. cit.

quotidiani per la sua ampiezza. Entrambi gli aspetti, tuttavia, possono essere affini e coabitare nella stessa festa.

Sulla scia antropologica e sociologica identifichiamo due principali correnti che tendono a considerare la festa come a) rottura, sovversione del quotidiano e b) prolungamento del quotidiano. Le due teorie citate sono, generalmente, concepite come antitetiche e sono sviluppate, rispettivamente, da Jean Duvignaud e da Norberto Luis Guarinello. Dal nostro punto di vista, tuttavia, possono essere, in certa misura, vie complementari poiché ci permettono di accedere alle ragioni e alla composizione dell’individuo, punto centrale per arrivare allo “stato festivo” o allo stato di presenza e, contemporaneamente, di anomia.

La prospettiva di Duvignaud246 considera le feste come spazio di violazione delle regole in cui l’apparente normalità della vita collettiva, l’ordine del quotidiano, sono distrutti, dando spazio alla “sovversione esaltante”. L’essenza della festa, sottolinea Duvignaud, ha la capacità di animare e risvegliare i sensi così che i partecipanti perderebbero il dominio della percezione “regolare” e si immergerebbero nel dominio delle “dimensioni occulte”o dimensione occulta (dimensione dell’esistenza) che rimanda, a sua volta, alla dimensione dell’immaginario. La festa allora, diventa strumento per raggiungere la sua finalità ultima: il mondo riconciliato a partire da uno stato fraterno.

La posizione adottata da Duvignaud discende chiaramente dalle teorie di Émile Durkheim247 sul confronto fra rituale e ricreazioni collettive. A questo proposito, evidenzia Duvignaud:

246 Duvignaud, J. Festas e Civilizaçoes.. op. cit.: 23. 247

Nonostante si veda la discendenza teorica, a nostro avviso, le teorie di Durkheim non sono alla fine così dicotomiche poiché l’idea che regge il complesso durkheimiano è la preponderanza del sociale, tutto parte e torna ad esso; visione circoscrivibile alla scuola francese a cui appartiene l’autore.

La festa spezza una sequenza. Rompe con l’incatenamento degli accadimenti che l’ideologia storica europea ci presenta come logico ed insuperabile. Tuttavia, nella pratica antropologica o sociologica, comproviamo che la vita collettiva è fatta con l’imprevedibile e l’ineluttabile e che l’esperienza comune fa rompere in frammenti, nel tempo e nello spazio, le belle costruzioni unitarie, strutturali e funzionali. Le feste, non sono l’esercizio irrazionale. 248

Sia in Durkheim che in Duvignaud vediamo la netta separazione fra festa e dimensione quotidiana; rispetto quest’ultima, la festa si configura come momento alla rovescia, di trasgressione. Ma c’è una differenza fondamentale. A partire dall’ambito religioso, Durkheim osserva le dimensioni connesse attraverso le differenti categorie – festa, rito, gioco, ricreazione, celebrazione (nel senso religioso) e premette le basi delle teorie festive posteriori. Il punto di vista di Durkheim riconosce la separazione fra tempo festivo e tempo quotidiano (o tempo serio), ma esalta il primo come un momento di (relativa) libertà, in cui il tempo quotidiano viene oltrepassato, la ricreazione prende forma e, di solito, è associata ad una forma di rappresentazione più o meno drammatica e accentua lo stato di allegria. Questa prospettiva è, come possiamo vedere nel brano che segue, disegnata in accordo con la stessa teoria religiosa a cui si attiene Durkheim, che assevera:

Un rito dunque è un’altra cosa dal gioco; appartiene alla vita seria. Ma, se l’elemento irreale e immaginario non è essenziale, esso ha però una funzione tutt’altro che trascurabile. Entra in parte quel sentimento di conforto che il fedele trae dal rito compiuto; la ricreazione è una delle forme di questo rinnovamento morale che è lo scopo principale del culto positivo. Una volta che ci siamo

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sdebitati dei nostri doveri rituali, ritorniamo alla vita profana con maggior coraggio e ardore, non solo perché ci siamo messi in rapporto con una fonte superiore di energia, ma anche perché le nostre forze si sono ritemprate, vivendo, per qualche istante, una vita meno tesa, più facile e più libera. Per questo la religione ha un fascino che non è una delle sue minori attrattive. Ecco perché l’idea stessa di una cerimonia di qualche importanza evoca naturalmente l’idea di festa. Inversamente, ogni festa, quand’anche puramente laica nelle sue origini, presenta alcuni caratteri della cerimonia religiosa, perché, in ogni caso, ha l’effetto di avvicinare gli individui, di mettere in movimento le masse e di suscitare uno stato di effervescenza, talvolta anche di delirio, non privo di affinità con lo stato d’animo religioso. L’uomo è trasportato fuori di sé, distratto dalle sue preoccupazioni ordinarie. Così si osservano ovunque le stesse manifestazioni: grida, canti, musica, movimenti violenti, balli, ricerca di eccitazione che rialzino il livello vitale, ecc. Spesso si è osservato che le feste popolari trascinano eccessi, facendo perdere di vista il limite che separa il lecito dall’illecito; lo stesso avviene per le cerimonie religiose che provocano come un bisogno di violare le regole abitualmente più rispettate.249

Ci sono almeno due passaggi di grande importanza per la nostra discussione in questo enunciato durkheimiano: il primo che, a prescindere dell’impostazione della dimensione festiva come mero tempo di svago, ci

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Durkheim, Le Forme Elementari della Vita Religiosa [1912]. Roma: Meltemi Editore, 2005: 446. Corsivi nostri. Con le parole evidenziate vogliamo sottolineare le idee fondanti delle successive teorie sulla festa nonché, indicare l’assemblaggio fra le dimensioni religiose e quelle festive che hanno come punto di riferimento un tempo “ordinario” in rapporto al quale fanno da contrappunto. Ciò significa, al contempo, attribuire importanza, ma anche ridurre, sia la festa che il rito, al funzionale “tempo di svago”. Questa componente è importante per comprendere ad esempio i movimenti nati negli anni Sessanta e Settanta, in cui si accenna un rifiuto all’idea della festa (e dell’arte) come tempo e attività di svago, quasi come se esse fossero un’elemosina, una ricompensa per il tempo prioritariamente serio. Al contempo, in questo periodo si verifica un sostanziale incremento nelle manifestazioni festive, in esse aggregati aspetti ideologici e rivoluzionari, ma anche affetti e realtà materiali.