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Questa ricerca cerca si costruisce su due parti. La prima parte è costruita in linea generale come una costruzione del pensiero. In questa prima parte si intenta di rintracciare alcuni nodi sui quali si articola l’idea di postmodernità e di cultura che corrispondono, in senso generale, ai modelli sui quali si fondano e ai quali si riportano le grandi narrative dello statuto scientifico. Fa parte inoltre, la presentazione del pensiero decostrutivista che, nonostante si accomuni con le costruzioni di pensiero, contiene in sé una fondamentale premessa quale sia della critica alla stabilizzazione concettuale. La seconda parte di questa ricerca avanza un accostamento fra le esperienze in un contesto festivo e le esperienze che hanno luogo nel Parateatro e nel Teatro delle Fonti. In questa parte si cerca di articolare il pensiero in modo di porre in questione i modelli esposti nella prima parte e ciò attraverso la discussione delle teorie sulla festa le teorie dell’identità oltre a questioni correlate. La base fondamentale di questa provocazione è tratta dal tema dell’“origine”.

Queste due parti sono in verità l’inversione di quanto si avessi pianificato all’inizio della ricerca. La proprietà essenziale per cui abbiamo presentato prima la parte concernente le costruzioni e in seguito le possibilità di disarticolazione, è equivalente alla nostra ipotesi concernente al lavoro del Performer: quella per cui la decostruzione come lavoro su di sé solo è possibile se esso è in grado di riconoscere le costruzioni di cui è soggetto. Le due nozioni fondamentali in questa elaborazione si radicano nel pensiero di Grotowski e, più precisamente nell’idea di “complementarietà” e nella precisa indicazione di che “si può rinunciare a

qualcosa solo quando la si possiede.”60 Questa nozione, infine, è quanto vogliamo alludere come immagine riflessa la quale è, in un primo livello, corrispondente al lavoro sull’individuo nei termini in cui si è sviluppato durante il Parateatro e il Teatro delle Fonti. Tuttavia l’immagine riflessa è anche un invito alla riflessione sui modelli, attraverso i quali siamo abituati a ragionare e ricreare le nostre interpretazioni.

Nel primo capitolo discuteremo alcuni dei cambiamenti storici rilevanti nel contesto concepito come postmodernità a partire dagli anni Cinquanta. Di conseguenza, faremo alcune considerazioni riguardo le disposizioni postmoderne in contrapposizione al periodo precedente, la modernità, che si accostano attraverso alcune tematiche le quali le frontiere geografiche e culturali, il linguaggio, il rapporto individuo - società e la conformazione e percezione del tempo. Da qui derivano gli sviluppi conseguenti, la questione della globalizzazione e del consumo e la condizione dell’individuo in mezzo a questi processi. Ciò che segue è una prima approssimazione al lavoro di Grotowski

Il secondo capitolo tratta specificatamente del concetto di cultura e perciò si passa in esamine alcuni dei principali sviluppi dello stesso concetto nell’ambito dell’antropologia, con particolare attenzione alla dissociazione di esso dalla sfera biologica. In un secondo momento si presenta un dispositivo di analisi sociologica, il “diamante culturale” ideato da Griswold. Parallelamente si discute la nozione di “cultura come specchio della realtà” che riconduce ad alcuni dei principali modelli del pensiero e fino ad arrivare alla formulazione di Weber per il quale sfera sociale e sfera culturale si rispecchiano mutuamente.

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Nel terzo capitolo si cerca di affrontare la questione della decostruzione e, facendo uso del concetto del filosofo Jacques Derrida, ma proponendo – in accordo con la stessa idea di decostruzione – di sradicarlo del contesto primario e quindi pensandolo analogamente come un processo di lavoro per l’attore o per il performer. In questa sede si invertono le proposizioni: prima si propone la decostruzione come una possibilità concreta di lavoro e in seguito si passa alla considerazione di una delle prime teorie sulla costruzione dell’identità, cui punto fondamentale è quello del’Io riflesso (da Cooley). Lì ci interessa indagare uno dei possibili processi per cui l’individuo costruisce una certa identità. L’ultimo punto è allora un esercizio che abbiamo proposto. Questo è stato fondamentalmente il punto di partenza delle nostre ricerche in cui si cercava di comprendere i legami possibili fra gli individui – attore e spettatore e di essi con la realtà sociale e la cultura. La nozione iniziale che è stata ripensata alla luce delle trasformazioni interne al Parateatro e al Teatro delle Fonti è ridimensionata indicando dunque un altro punto di vista sia sui rapporti fra gli individui, ma anche e fondamentalmente, tracciando una nuova prospettiva da cui pensare il processo di lavoro del Performer.

La seconda parte come abbiamo anticipato, si concentra sull’accostamento di una manifestazione festiva circoscritta in termini identitari fondata in un’idea del mito dell’origine. Si espone dunque la radice storica e storiografica per cui la festa si afferma fra un gruppo di discendenti immigrati italiani. Per cercare di inquadrarla si ricorre alle teorie festive che tuttavia si dimostrano insufficienti per dare conto delle esperienze che sono suscitate nella festa. E è da qui che si parte verso l’ultimo capitolo che infatti è stato il propulsore di questo ragionamento.

L’ultima parte dunque si costruisce per mezzo di tre immagini che abbiamo scelto per il loro valore nel senso che, inquadrano alcuni dei

principali momenti della festa, ma anche del contesto quotidiano su cui si basa la celebrazione. La prima immagine, infatti, appartiene alla categoria del quotidiano, con la quale si cerca di dare conto dei processi di memoria e costruzione identitaria che si riflettono nel corpo, nel comportamento e nella

mind structure degli individui. Con la seconda immagine cerchiamo di

discutere più specificatamente la fase Parateatrale cui punto nodale è l’incontro e l’esperienza nel contatto fra gli individui. In questo senso è fondamentale l’idea contatto e d’incontro che possono puntualmente essere interpretate nell’esperienza festiva. Con la terza immagine invece si cerca di elaborare un ragionamento sulla fase del Teatro delle Fonti. il confronto fra i due rivelano alcuni aspetti che possono essere interpretati in correlazione. Nonostante ciò, le differenze e le somiglianze non possono essere poste sulla stessa superficie: prevale l’ambito esperienziale. Detto ciò si conclude questa ricerca riassumendo le possibilità di accostamento fra la festa e quelle esperienze che hanno avuto luogo con il Teatro Laboratorio. E evidenziando per quanto riguarda il processo di decondizionamento alluso da Grotowski. Questa sarebbe la nozione fondamentale e tuttavia, per arrivare al decondizionamento è necessario un lavoro di ricognizione dei condizionamenti. È in questo senso che intendiamo la decostruzione dell’identità del Performer.

Da capo: se la vita non è fatta di poesia, come mantenere una linea di pensiero e azione che non trascuri il carattere poetico della e nella vita quotidiana? Parlare del lavoro di Jerzy Grotowski o degli attori del Teatro Laboratorio senza essere trascinati dal loro fascino sembra quasi impossibile. Forse perché in fondo è possibile riconoscere nel loro percorso una maturazione professionale e personale, etico-estetica e poetica; forse perché riconosciamo nella loro figura la capacità e sapienza di

“verticalmente” accedere ad aree ignote o comunque meno esplorate e di sconfiggere le frontiere fra quotidiano e extraquotidiano, individuale e collettivo e quante altre coppie binari oppositive si volessi enumerare. Forse allora è anche vero che certi aspetti di del Parateatro e del Teatro delle Fonti (ma complessivamente nell’intero percorso) possono offrirci un’altra lettura sull’uomo che inciderebbe sull’idea stessa di cultura.