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1 In cerca del Sé…

1.3 Il giorno santo ed altri giorn

Ritornando allora al contesto degli anni Sessanta, si nota che Grotowski ha parlato innumerevoli volte e sin dall’inizio del suo lavoro e delle sue ricerche (sebbene la terminologia non fosse sempre identica) dell’individuo come unità prevalente e del lavoro dell’attore come un’imprescindibile e obbligatoria denudazione, decondizionamento sociale e culturale. Nelle parole dell’autore: “noi riteniamo in effetti che la tecnica scenica e personale dell’attore sia il nucleo dell’arte teatrale” e poco più avanti “[…] formare un attore non vuole dire insegnarli qualcosa; noi cerchiamo di eliminare le resistenze del suo organismo al suddetto processo psichico”122. Queste parole sono del ’65; da lì in poi ciò che si verifica nei discorsi di Grotowski è, senz’altro, un tentativo di alludere alla sostanza

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Riguardo al processo e crisi nella costruzione di Apocalypsis cum Figuris abbiamo la testimonianza di Flaszen che afferma: “Dovrei dire che una crisi così profonda può essere anche creativa. La più importante avvenne mentre stavamo costruendo Apocalypsis […]. Circa un anno dopo ci fu un momento in cui sembrava non si potesse creare nulla. […] era un ‘vuoto’, sotto al livello zero. Penso che fu quello ad originare Apocalypsis”. La nostra idea è che quel vuoto non abbia soltanto originato Apocalypsis, ma abbia originato sostanzialmente un desiderio umano, cui termine “solitudine” allude al problema. Cfr. Flaszen, L. Conversation with Ludwik Flaszen op. cit..: 323, e in Kumiega, J. Jerzy Grotowski… op. cit.: 65.

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Grotowski, J. Per un teatro Povero (1965). Roma: Bulzoni Editori, 1970; pp: 21- 22. Il corsivo è dell’autore.

delle ricerche intraprese, al perfezionamento delle tecniche dell’attore, mirando ad una completezza dell’essere umano, raggiungibile a partire da un processo di denudamento, la via negativa fino ad arrivare al abbandono del teatro come presentazione.

Lo scopo di questo processo, possiamo dire, è più meno di facile verbalizzazione ma è quasi impossibile renderlo tangibile attraverso le parole: verso l’incontro con l’altro, con l’individualità totale dell’altro e, perciò, di se stesso.

La prospettiva si fa relativamente più evidente, compiendo un piccolo salto: nel testo Holiday: Il giorno che è santo, composto da più frammenti che risalgono agli anni tra il ’70 ed il ’72, possiamo accedere – alla rovescia – ad un’invocazione di lavoro, ciò che si potrebbe delineare come nuova tonalità della “Via Negativa”. La premessa è, in linea generale, equivalente poiché riconosce che l’uomo rinuncia a vivere e si abitua all’annullamento. Afferma Grotowski: “Questo guscio, questa guaina, sotto cui ci fossilizziamo, diventa la nostra esistenza: ci solidifichiamo e diventiamo duri, e cominciamo a odiare coloro nei quali balena ancora una piccola scintilla di vita”. Queste sono secondo Grotowski, le conseguenze della “paura che è legata alla mancanza di senso”.123

L’operazione che inizia a compiersi dopo Apocalypsis cum Figuris, e dunque nel Parateatro o Cultura attiva è, in certo senso, diversa dall’impostazione “negativa” che ancorava l’ideologia del Teatro Povero. In linea di massima la via che si stabilisce nel Parateatro, in carattere di denuncia e protesta, tramuta il passaggio dalle tecniche sul corpo a quelle su

un certo corpo.

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Detto in altro modo, i materiali che danno testimonianza delle azioni Parateatrali non contengono indicazioni specifiche di esercizi o di un training perché non c’è più il corpo dell’attore. Ciò che rimane è un certo tipo di relazione fra corpi e fra individui: comportamenti, atteggiamenti, condizioni di esistenza, presenza e assenza. Ci sono tuttavia indicazioni abbastanza precise su quanto abbia in mente Grotowski su quest’individuo

in vita. E lì s’instaura una possibilità: “scoprire” significa “trovare” e, allo

stesso tempo, “svelare”124.

L’insistenza di Grotowski sul “rivelamento” dell’individuo allude alla dicotomia presente in esso – l’uomo diviso - ma anche alla possibilità di scelta che esso ha. Libertà che è assunta alle volte come condanna, alle volte come redenzione. E in questo stesso senso di libertà e di ciò che l’individuo può fare con essa, identifichiamo la scommessa del lavoro di Grotowski e la proposta concernente al Performer – uomo di azione: allora, i segni di rottura, la mancanza di senso o la ricerca di “cosa è essenziale nella vita” echeggiano come concreta possibilità di “lavoro su se stessi”, di “decondizionamento”. La sensazione di “discontinuità nel tempo” o di “frammentazione del tempo”, di un mondo fatto da “simulazioni” o della realtà trasformata in immagine (di consumo) assieme ad aspetti come desiderio di appartenenza e di identificazione, sono impronte di un’epoca125

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Grotowski, J. Holiday e Teatro delle Fonti… op. cit.: 65 125

Grotowski difende che “qualcosa rimane uguale in tutte le epoche”. D’altronde, afferma anche che gli esseri umani sono risultanti del proprio tempo. È questa percezione che ci permette di indagare il legame fra il lavoro di Grotowski e l’epoca stessa, ma senza che ciò significhi inseguire i postulati epocali o le “azioni di moda”. Sembra che, proprio perché consapevole della condizione umana, Grotowski riesca ad offrire, con il suo lavoro, la possibilità di rintracciare e combattere quei segni che si instaurano nel quotidiano, che ricoprono qualcosa di essenziale nell’atto di vivere. Cfr. Grotowski, Holiday e Teatro delle Fonti… op. cit.: 67; Grotowski: Vent’anni di attività. A cura di Ugo Voli. In: Sipario – Trimestrale monografico di Teatro; n. 404, 1980; pp: 33-41: 36.

che si solidificano negli individui, ma anche, in modo più generale, avviano e riproducono costrizioni collettive.

Il torpore degli anni ’60, come accennavamo anteriormente, ha a che vedere principalmente con il sistema capitalista estremo, con gli effetti della globalizzazione e l’instaurazione di una realtà ‘virtuale’. È evidente la logica del “consumo, dunque sono”126. In poche parole, sembra che il sottofondo su cui si impostano i discorsi e pratiche possa essere riassunto nella seguente formula: meno significa di più - almeno per quanto riguarda la possibilità di essere anziché avere. E questa è, secondo noi, la parabola accentuata nei progetti parateatrali e posteriormente nelle iniziative del Teatro delle Fonti. E tutto ciò si rivela come sottile amplificazione della stessa via negativa, o meglio, di sovrapposizione di strati – coesistenti ma autonomi – e tale operazione non è più diretta all’attore in scena ma, piuttosto, al Performer in vita.

Abbiamo insistito così a lungo sulla condizione postmoderna perché ci sembra fondamentale per capire la reazione e la condotta del lavoro di Grotowski. A questo punto, ci sembra necessario fare un’ulteriore precisazione. Dovrebbe essere chiaro che lo stato di “malessere” procurato dalle trasformazioni socio-culturali si manifesta in maggiore o minore proporzione negli e attraverso gli oggetti culturali, compresa l’arte. Tuttavia, “come” questo insieme di trasformazioni venga affrontato è diverso. Che i teorici siano in grado di riconoscere le caratteristiche generali della postmodernità o le sue manifestazioni negli individui è molto chiaro e rientra nelle loro competenze. Grotowski non si accontenta, ma va oltre:

noi abbiamo cercato nel corso della nostra attività, in maniera più o meno inconscia, ma fondamentalmente

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Bauman, Z. Consumo, dunque sono (2007). Roma - Bari: Laterza & Figli Spa, 2008.

coerente, il modo di non essere nel “trend”, nelle tendenze culturali in voga. In una certa maniera abbiamo cercato di andare come in una omeostasi, verso la complementarità. Io trovo che in fondo la cultura come totalità è complementare rispetto la vita abituale o materiale delle società127.

Troviamo in questo passaggio una strategia fondamentale con cui Grotowski sostiene il proprio lavoro, vera e propria arma antropologica che gli dà la possibilità di individuare il problema e agire su di esso. Per capire più appropriatamente l’affermazione precedente e la strada della Cultura Attiva, abbiamo bisogno di un concetto fondamentale, quello di cultura nel pensiero di Grotowski. Parlando dell’Istituto Bohr e di un confronto con il Teatro Laboratorio, Grotowski formula un’interessante analogia:

[…] la parola ricerca, che ha il suo senso nelle scienze, lo perde completamente nella cultura. Per questa ragione, quando parliamo delle attività del nostro istituto, non parliamo di Istituto di ricerche sulla cultura o della cultura (in Polonia abbiamo due parole diverse per indicare la cultura: per ciò che riguarda la cultura d’élite si dice kulturalny, mentre per la cultura in senso etnologico si dice kulturowy: a noi interessa la seconda accezione). Noi parliamo piuttosto di azione culturale. Dato che oggi tutti parlano di ricerca, il problema è quello che ha posto giustamente Picasso: il problema non è cercare, ma trovare. Oggi io uso spesso come terminologia l’idea di praticare la cultura.128

Questa concezione di cultura assieme alla posizione intrapresa di fronte alle possibilità in essa contenute sembrano essere un filo che conduce il lavoro di Grotowski. Nella citazione precedente leggiamo: “abbiamo

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Grotowski, J. Grotowski: Vent’anni di attività… op. cit.: 34 128

cercato di andare come in una omeostasi”. Omeostasi129 sta per un processo di autoregolazione e, cioè, di mantenimento di caratteristiche vitali a prescindere dalle variazioni esterne. Autoregolazione è, inoltre, una capacità di agire mantenendo autonomia rispetto alle regole, per cui possiamo presupporre che “la cultura come totalità” è uno spazio di azione, in cui l’intero organismo di un essere vivente si colloca in posizione di “equilibrio indipendente” rispetto alla “vita abituale o materiale della società”. Con tale riferimento si può allora avere una comprensione più ampia dell’idea di “praticare la cultura” e contemporaneamente di quale processo si fosse innescato nelle azioni o progetti Parateatrali. Da questo punto di vista ci sembra chiaro il riferimento all’idea di “equilibrio” sottinteso e che, da un lato, le azioni del Teatro Laboratorio si collocarono “complementarmente” rispetto alle “tendenze”. Dall’altro lato, con le azioni Parateatrali l’attenzione si rivolge ai “processi umani” e al “lavoro interumano”, l’abbandono delle maschere, il de-addestramento, la solitudine, sono anche azioni verso la totalità.

Cercando di chiudere questo ragionamento, riportiamo in seguito un brano in cui, secondo noi, è evidente la posizione di Grotowski come ricercatore e provocatore, come attore e spettatore (di una data realtà, soprattutto). All’interno di questa postura ci interessa sottolineare quanto sia

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Omeostasi è un termine ricorrente nel vocabolario medico, introdotto dal fisiologo W. Cannon nel 1929: indica sostanzialmente un processo dell’organismo o il comportamento di dati sistemi, “rappresenta la capacità dell'organismo nel suo insieme o di sue sub-componenti di conservare costanti, o meglio variabili entro determinati limiti, dei parametri biochimici o delle funzioni in modo che tali parametri e tali funzioni concorrano al buon funzionamento dell'organismo nel suo insieme un equilibrio indipendente dalle variazioni esterne”. Bellavite, P.; Andrighetto, G.; Zatti, M. Omeostasi, Complessità e Caos: Un’introduzione. Università di Verona (versione ridotta). Il materiale ampliato è stato pubblicato da: Franco Angeli Edizioni, Milano, 1995.

importante la lettura del lavoro di Grotowski in termini antropologici- culturali:

[…] Il principio è sempre quello della coiunctio oppositorum. Il nostro addomesticamento ha evidentemente la funzione di permettere la possibilità di esistenza della civiltà in cui viviamo. La civiltà ha forti svantaggi, ma noi le siamo abituati, e fino al momento in cui gli svantaggi non si scoprono completamente, è la nostra civiltà. Non si può proporre di uscire dalla civiltà e tornare allo stato di natura che c’era prima, non è reale. Ma è possibile cercare un equilibrio, un secondo polo. Se siamo in uno stato di addomesticamento, di civiltà, bisogna cercare anche lo stato in cui cade il processo di assuefazione in cui siamo, di denaturalizzazione. In fondo è il problema della non recitazione. La cosa è analoga a quel che chiamiamo de-training, de-allenamento. Ma per poter fare il de-training, noi abbiamo fatto un bel po’ di training, ci siamo allenati molto. Si può rinunciare a qualcosa solo quando la si possiede.130

L’evidenza è banalmente sconcertante da un certo punto di vista: intraprendere un nuovo percorso, intendere che la via stessa non è separata dal proprio contesto – sociale, culturale, naturale (ecologico) - richiede la complessiva consapevolezza dell’individuo, per poter agire sulla complessiva ‘realtà’. La denaturalizzazione è insieme meta e fine, è possibilità ed è, in sé, risultato. In quel momento la cultura ha la possibilità di essere “praticata”.

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Grotowski, J. Grotowski: Vent’anni di attività… op. cit.: 36. Questo brano, inoltre, serve da sopporto fondamentale all’idea di decostruzione come possibilità di lavoro al Performer: per poter agire su qualcosa è necessario conoscerla. Questo sarebbe il precetto base della vigilanza per cui niente può essere eliminato senza prima essere conosciuto e, più specificatamente riguardo all’attore o al Performer, deve essere in grado di riconoscere ma anche di dominare quelle costruzioni che, fondamentalmente, lo condizionano.