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2 Sulle frontiere della cultura

2.2 L’immagine di mezzo: fra arte e scienza e il “diamante culturale”

“Cultura è una di quelle parole che la gente usa sempre ma ha difficoltà a definire”. Con tale sentenza si apre il libro di Griswold. Nel campo della sociologia della cultura, Griswold rintraccia i principali approcci alla cultura facendo un ampio resoconto anche dei riferimenti antropologici. Ciò che l’autrice rileva è, giustamente, l’orientamento

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La risposta di Grotowski tocca anche un altro punto, quello del lavoro in gruppo come si è sviluppato nel contesto degli anni ’60. A questo proposito Grotowski dichiara: “io non sono molto interessato alla nozione di gruppo, anche se penso che il fenomeno della cultura di gruppo, come la propone il Terzo Teatro, è molto importante, un fatto veramente salutare.” Grotowski, J. Vent’anni di attività… op. cit.: 39.

complementare fra gli ambiti sociologico e antropologico delle scienze sociali, che sono soliti inglobare al termine cultura. Con tale orientamento ci indirizza a “leggere” la sua proposta avendo presente la prospettiva “umanistica” come contrappunto necessario, sennonché complementare alla disciplina delle scienze sociali.

Per intendere questa complementarietà, nell’esposizione dell’autrice, è necessario comprendere che “cultura”, così come “società”, sono astrazioni operate in modo da stabilire oggettivamente lo studio di un determinato “oggetto”. Queste astrazioni dunque, sono schematizzate secondo due principi: l’espressivo e il relazionale. In altre parole, la separazione fra ambito culturale e sociale, fra cultura e società è un’operazione analitica che non riscontra una corrispondente in termini concreti nella realtà. Una distinzione accettata fra sociale e culturale, rispettivamente, indica che la cultura “disegna l’aspetto espressivo dell’esistenza umana, mentre la società indica l’aspetto relazionale (e spesso pratico).”155

Questa premessa è fondamentale per quanto ci riguarda. Come si è potuto verificare, non abbiamo eseguito finora una schematizzazione generale per cui avvenisse la separazione fra ambito antropologico e sociologico. Questa scelta ha come basamento la strutturazione che stiamo per verificare con il diamante culturale, e fa riferimento al punto di arrivo nell’interconnessione “individuale – collettivo” che è tradotto come “culturale – sociale”.

Certo il nostro interesse si indirizza verso gli aspetti più precisamente culturali, tuttavia, ciò non può escludere il contesto cui i fenomeni culturali sono insiti. Quello che si può verificare, in linea di

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massima, è uno slancio iniziale, da un lato o dall’altro. Come abbiamo segnalato precedentemente, sulle tracce dell’interpretazione di Lyotard, è possibile percepire che nel dopo seconda guerra si sia accentuato il gap fra sociale e culturale, almeno per quanto riguarda taluni aspetti di questi due ambiti. Forse allora potremmo trarre qualche indizio su come avvicinarci e interpretare le “ramificazioni” sporgenti da quel rapporto che è, appunto, fra struttura e individuo, società e cultura.

Seconda premessa necessaria, d’accordo con Griswold: è fondamentale chiarire qual è il concetto di cultura attraverso il quale si opera. In questo senso, riportiamo la definizione data dall’autrice: “la cultura si riferisce al lato espressivo della vita umana – comportamenti, oggetti, e idee che possono essere visti come esprimenti, o rappresentati di qualcos’altro.”156

Il concetto adoperato dall’autrice è in consonanza alla linea interpretativa di Geertz, e cioè all’idea che la cultura “implica il significato”, per cui è possibile comprendere una cultura attraverso i “modelli di significato”, i “sistemi” di comportamento e i simboli investiti di valore che sono, al contempo, matrice circoscrivente del pensiero. Secondo Griswold:

L’influente definizione di Geertz è più accurata di quelle avanzate dagli scienziati sociali che concepiscono la cultura come complessivo-modo-di-vivere, perché si incentra sui simboli e sul comportamento che deriva dai modi di pensare e sentire simbolicamente espressi.157

Rendiamo nota una delle definizioni di cultura asserite da Geertz: una struttura di significati trasmessa storicamente, incarnati in simboli, un sistema di concezioni ereditate espresse in forme simboliche per mezzo di cui gli uomini

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Griswold, W. Sociologia della Cultura… op. cit.: 25. 157

comunicano, perpetuano e sviluppano la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita.158

Geertz, a sua volta, prende parte alle teorie di Weber, come possiamo asserire, di carattere più individuale. Quest’orientamento all’individuale non deve essere inteso come un’esacerbazione dell’ambito individuale ma, soltanto, come un rifiuto alla determinatezza strutturale precedente e, dunque, come prospettiva che cerca di mettere in rapporto di uguaglianza le parti struttura e individuo.

Per l’appunto, la prospettiva in precedenza dominante è quella cui appartiene Émile Durkheim e, prima di lui, Karl Marx159. Sostanzialmente lo sfondo su cui la tesi di questi ultimi si poggia, è quella della prevalenza della struttura sociale, ovverosia, che la cultura è un prodotto del mezzo sociale. Dal punto di vista sociologico e antropologico è interessante valutare come, in senso diacronico, la cultura abbia acquisito importanza di fronte alla ‘solidità’ sociale. In altre parole, si può ragionare sulla linea che intende il sociale come base solida, un modello concreto, che risponde alle domande e rispecchia l’uomo, che perde forza, mentre l’individuo acquista centralità nelle discussioni, da quelle sociologiche e antropologiche a quelle filosofiche e teatrali. Del resto, non sempre sono compatibili né condivisi gli avanzamenti “sull’individuo”. Cerchiamo di veder questa “evoluzione” o

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Geertz, Interpretazione di Culture,op. cit. : 113. 159

Durkheim parlava di “rappresentazioni collettive” in questo senso, e cioè della cultura come prodotto del collettivo. Dalle teorie di Marx, invece, possiamo richiamare in causa quell’ideai che è l’appartenenza ad una classe e, in termini più ampi, l’“essere sociale” che determina l’essere individuale. La posizione di Marx, solitamente inquadrata come “determinista” è molto discussa e difesa da alcuni teorici che ripropongono la lettura in termini non deterministi, ovvero, che Marx avesse soltanto accennato a “limiti” per cui sarebbe possibile intendere che le pratiche culturali fossero influenzate invece di determinate. A questo proposito si veda: Williams, R. Base and Superstructure in the Marxist Cultural Theory, in: Problems in Materialism and Culture. London: Verso, 1980, pp: 31- 49.

meglio, trasformazione, rivolgendoci alla “teoria del riflesso” che è, appunto, il nodo che ci interessa.

La cultura come riflesso o la cultura come specchio, è la grande linea che si è presentata storicamente e che ha determinato quell’idea che: “la cultura è lo specchio della realtà sociale. Pertanto, il significato di un particolare oggetto culturale sta nelle strutture sociali e nei modelli che esso riflette”160. Questo modello “classico”, afferma l’autrice, è rafforzato dal senso comune, quello che tende a considerare come culturale “una sfera di valore superiore e universale”. In questo senso, abbiamo a che fare inoltre con meccanismi che mettono sullo stesso piano cultura e arte e che, perlopiù, contano con l’arbitrio indiscriminato dei suoi autori (e artisti) che non esitano in riprodurre tale “immagine”.

Per capire un po’ meglio come il concetto di cultura è stato impiegato in linea sociologica, Griwswold suggerisce un percorso che, partendo da Platone, arriva a Weber. Seguendo le indicazioni dell’autrice, ricapitoliamo questi passaggi.

Secondo l’autrice, la teoria riflessiva è rintracciata sin da Platone, o meglio, a partire dalla teoria platonica delle forme.161 In essa, Platone esprime la sostanziale differenza fra apparenza e realtà, e cioè la proiezione in un’idea, in una forma, dell’apparenza e quindi, di ciò che è visto. Va introdotta tuttavia la terza componente che, nell’esposizione di Platone, completa la tripartizione, ed è l’arte. Essa è un terzo livello della realtà ed

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Griswold, W. Sociologia della Cultura… op. cit.: 40. 161

È citato da Griswold, op. cit.: 42, il X Libro della Repubblica, di Platone. Ci sembra inoltre sia possibile apprendere, nel senso del discorso platonico, un richiamo all’aspetto mnemonico ravvisato nell’arte. Attraverso la discussione della riproduzione, dunque, l’autore avverte la forza contenuta in queste espressioni – che le si consideri come arte o cultura - nella perpetuazione di certi modelli. In questo senso, allora, possiamo congetturare che la sua postura verso l’arte, più chiaramente manifestata come “forma educativa”, si opponesse giustamente all’impossibilità di cambiamenti.

ha, nella concezione dell’autore, un senso negativo poiché non è in grado di esprimere né la forma né l’apparenza e, perciò, è doppiamente lontana dalla realtà.

Nelle parole di Griswold “la teoria del riflesso nelle sue origine platoniche presuppone che la cultura sia meno che reale, meno fondamentale di ciò che essa riflette” pertanto, l’arte, intesa come espressione simbolica della cultura, è una riproduzione imperfetta della riproduzione della realtà. S’impone, inoltre, anche la nozione che l’arte come mimesi è elaborata dal pittore (nell’esempio di Platone) sempre ed esclusivamente in modo prospettico, e cioè, da un punto di vista parziale. Allora, l’arte “rappresenta un ostacolo” nel “pellegrinaggio dall’apparenza alla realtà” e ciò “perché seduce la gente conducendola ad un falso e rozzo sapere, attraverso cui gli uomini pensano che ciò che vedono sia reale”162.

Quest’ultima è, fondamentalmente, l’idea alla quale si oppone Aristotele che difende l’arte come elevazione dello spirito: “l’arte non imita il regno delle idee, ma le verità universali circa l’esistenza umana” e perciò, “qualcosa di più profondo del mondo sociale e può rappresentare gli universi umani”163. L’arte, la cultura e infine il riflesso, non sono un qualcosa di spregevole, ma possono essere anche un’arma, uno strumento attraverso il quale “guidare” gli uomini, facendoli riflettere sulla propria condotta per mezzo dell’azione dei personaggi o della stessa immagine presentatagli, che deve essere obbligatoriamente verosimile alla realtà.

La prospettiva sulla cultura che abbiamo appena accennato ha a che fare, da un lato, con il senso comune, quello della riproduzione, o dell’aspettativa di un’immagine che coincida con l’oggetto rispecchiato; dall’altro invece, ha a che fare con le fondamenta del funzionalismo e dello

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Griswold, W. Sociologia della Cultura… op. cit.:43 - 44. 163

stesso marxismo. La figura presentata in seguito esemplifica, con il diamante culturale, la linea di “lettura” o la direzione cui influenza sociale/culturale si esercitava secondo le linee di pensiero appena citate:

D’accordo con Griswold, fino alle teorie di Weber, prevale quell’idea secondo cui “se una entità ne “riflette” un’altra, allora essa deve essere molto simile a quest’ultima”. L’idea di riproduzione e copia, e quindi dell’idea di cultura all’immagine e somiglianza della società, come prodotto del sociale, prepondera fino a quando si è verificata una rottura, ossia la presa in considerazione degli aspetti culturali – o oggetti culturali - come ugualmente produttori di una certa struttura.

Nell’analisi di Weber sulla religione viene rilevata questa componente. Nella sua analisi su L’Etica Protestante e lo Spirito del

Mondo Sociale

Oggetto Culturale

Creatore Ricevitore

Direzione di lettura

Capitalismo164 egli dimostra come gli elementi culturali (ed il significato in

essi racchiusi) orientano le azioni degli individui che, a loro volta, determinano una certa struttura, in causa, quella economica. Weber assevera allora come la religione avesse influito nella formazione dello spirito capitalista, sia in termini di credenze che in termini pratici e operativi. Una parentesi: tale prospettiva tende ad evidenziare inoltre, come si accentua dentro la logica dello spirito del capitalismo, la divisione fra il tempo del lavoro e il tempo dello svago, essendo quest’ultimo investito di significati (culturalmente determinati) antitetici ai valori ‘veramente’ pregevoli nel riquadro sociale/culturale, e cioè il valore del lavoro e del denaro. In questa logica si ritrovano inquadrati i generi di arte, come il teatro e anche le feste, che sono posizionati all’interno della categoria “tempo dello svago”.

Ciò che è evidenziato e teoricamente trasformato nella teoria weberiana è l’accento del vettore che, in precedenza, indicava la preponderanza dello strutturale-sociale sul significativo-culturale. Si comprende che, anche se il marxismo, il funzionalismo e il materialismo storico non negavano l’importanza del ‘culturale’, esso era piuttosto un “riflesso su” che un “riflesso di”: sulla società e non della società. Con la tesi di Weber, le frecce passano a indicare la mutua influenza fra sociale e culturale che però, a differenza del funzionalismo, non pretende che il riflesso sia identico fra società e cultura165.

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Weber, M. L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Firenze, Sansoni, 1970.

165

Si guardi Griswold, W. Sociologia della cultura… op. cit.: 66, cui immagine appare con il seguente riferimento: “Il riflesso e il diamante culturale”.

Il contributo fondamentale di Weber dunque sarebbe quello di mettere in relazione aspetti culturali e struttura sociale, convenendo che la cultura non è solo specchio della realtà o, in altri termini, anche il mondo sociale si trasforma con i significati culturali.

Un tale approccio presuppone l’interazione fra le parti. Abbiamo dunque un’indicazione della teoria interazionista: se la cultura è una struttura di significati, è legittimo allora dimostrare che ogni “oggetto culturale” agisce ed è agito, fa parte e configura un certo sistema culturale. Il sistema culturale, in questa stessa logica è tanto prodotto quanto produttore di un sistema sociale. Se con Weber arriviamo a comprendere che la dimensione culturale influisce sulla dimensione sociale, allora è possibile ragionare in termini di una continua interferenza fra entrambi i campi, sociale e culturale.

Mondo Sociale Direzione accentuata da Marx e dal funzionalismo Direzione accentuata da Weber Oggetto Culturale

Rispetto le teorie passate in revisione, la proposizione del diamante culturale, dalla parte della Griswold, vuole mettere in causa i punti intermedi fra il mondo sociale e quello culturale, ovvero vuole fare causa all’azione umana, all’individuo - creatore e ricevitore. Per eseguire quest’operazione, l’autrice si concentra sull’idea di “oggetto culturale” che non è altro che una forma di astrazione (e riduzione) della cultura stessa. Per “oggetto culturale”, l’autrice intende “un significato condiviso incorporato in una forma” – “udibile, visibile o tangibile” – che inoltre comunica o “racconta una storia.”166 L’oggetto culturale, in questi termini, è un pezzo, una piccola particela dello stesso sistema che è, appunto, la cultura.

L’oggetto culturale presuppone creazione da parte di un individuo e, analogamente, suppone che esso sia “consumato”, ricevuto da parte di un altro individuo. Il fatto che stiamo esponendo il discorso al singolare non significa che un oggetto culturale non possa essere prodotto e consumato da un gruppo, ma è importante distinguere, in quest’approccio, che l’operazione si delinea a partire del singolo e cioè, da come ognuno dei singoli individui di un gruppo è investito di autonomia nei processi di significazione e, pertanto, di composizione culturale.

Quando l’autrice si riferisce ad un oggetto culturale come qualcosa che “racconta una storia”, esso non deve essere inteso come portatore di un “testo” di per sé, bensì come un qualcosa che contiene significati, che è portatore di valori, che raccoglie in sé importanza ed efficacia all’interno dei discorsi degli individui e delle loro proprie esperienze. Non significa tuttavia che lo stesso oggetto avrà lo stesso valore per tutti gli individui membri del gruppo, ma è sostanzialmente un elemento che aggrega valori in cui lo stesso gruppo si riconosce, si identifica e si differenzia da altri. È

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insomma un oggetto che solo può essere “prodotto” e “consumato” in accordo con le strategie adottate da un certo gruppo167.

Il diamante culturale proposto da Griswold si presenta con quattro punti e sei connessioni, così stabiliti:

Con il diamante culturale, Griswold sottolinea la produzione e ricezione di un oggetto culturale, quel legame trasversale. Per chiarire tale prospettiva l’autrice indica come esempio una poesia che ha, ovviamente,

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È possibile che sia il motivo per cui avviene lo sdoppiamento del sé (sia esso il produttore che il consumatore) quando di fronte all’oggetto culturale e nel confronto con l’altro. L’oggetto culturale, perciò, è soltanto un mezzo, una “superficie” sulla quale si confrontano gli sguardi obliqui. Siamo convinti che l’eliminazione delle barriere, o meglio della ‘rappresentazione’ del ruolo di attore e del ruolo di spettatore così come idealizzato nel Parateatro e successivamente, possano contribuire all’elaborazione di un nuovo tipo di approccio, e forse anche di pensiero, nell’antropologia e nella sociologia.

Creatore Ricevitore

Mondo Sociale

un creatore, ma essa solo può essere considerata un oggetto culturale dal momento che diventa pubblica, quando è fruita da un “pubblico”. Il diamante culturale non è allora un modello di cultura, è piuttosto uno strumento con il quale possiamo indagare i legami fra oggetti culturali e mondo sociale.

È evidente tuttavia che il diamante culturale si pone su una base bidimensionale. E partendo da questa ovvietà si pongono alcuni problemi. È comunque scontato che uno spettacolo teatrale, o una performance, o una festa, si possano inquadrare come oggetti culturali dal punto di vista che 1) sono comunque un prodotto dall’azione umana; 2) sono destinati ad un pubblico che lo riceve. 3) È chiaro che, così come il suo creatore, quell’oggetto culturale appartiene ad una certa struttura sociale ed, 4) è inoltre ragionevole che il ricevitore, appartenente anche esso a un mondo sociale, quando entra in contatto con l’oggetto culturale, metta a confronto certe “variabili”, e cioè i codici a cui appartiene e, di conseguenza, 5) possa interferire nella struttura cui è membro.

Se la struttura a cui appartengono creatore e ricevitore è la stessa, possiamo pensare in termini che esista una possibilità che si crei una specie di cerchio che, come tale, fomenti un circuito di sovrapposizioni e re- significazioni. È legittimo dunque che si avanzino trasformazioni sociali e culturali attraverso un oggetto culturale, e propriamente con l’azione degli individui in relazione ad esso. Ma rimane pur sempre relegato ad un ambito “di mezzo”, un qualcosa di più o meno riflesso. In questo senso, conveniamo con Flaszen che

ogni opera d’arte è una distanza, un medium che non è la vita, ma l’ombra o l’immagine della vita. È qualcosa che

si trova tra di noi; noi non siamo uniti. Ha bisogno di passaggi, di mediazione.168

La nostra ipotesi, nonostante parta da questa prospettiva - della produzione e ricezione degli oggetti culturali, cerca in qualche misura di decomporre gli strati di questo processo. Prendiamo in considerazione la seguente dichiarazione di Grotowski:

Nel periodo degli spettacoli 1959 – 1969 la nostra evoluzione ha avuto diversi aspetti. Da un lato abbiamo cercato di sapere che cos’è il nocciolo o l’assoluto della situazione drammatica, qual è il suo germe, il seme. Abbiamo preceduto allora per eliminazione. Abbiamo eliminato la scenografia, abbiamo eliminato la divisione della sala fra spettatori e scena, abbiamo eliminato la musica esterna allo spettacolo, abbiamo eliminato il gioco delle luci; a un certo punto abbiamo eliminato anche la composizione dei costumi. Abbiamo tolto tutto quello che in apparenza ci era possibile togliere. Che cosa è rimasto?169

Dunque, se uno spettacolo teatrale (così come una festa, sostanzialmente) può essere considerato un oggetto culturale, esso ci permetterebbe, lato senso, di esaminare i legami fra società e cultura proprio perché è parte di un più vasto sistema culturale. Tuttavia, l’esperienza condotta da Grotowski nel post-teatro non può essere valutata con quei prescritti legami del diamante culturale. In verità, il diamante culturale ci permette di rivalutare la stessa esperienza post-teatrale in termini ampi, facendoci ragionare in quali termini è possibile che il Parateatro si ricongiunga alla sfera sia culturale che sociale. Al contempo il processo per cui dagli spettacoli si passa al Parateatro, sommariamente indicato sopra,

168 Flaszen, L. Conversations with Ludwik Flaszen apud Kumiega, J. Jerzy Grotowski… op. cit.: 122.

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indica un’interessante prospettiva da cui “guardare” l’individuo e lo stesso lavoro di Grotowski, nonché getta una luce ad una comprensione diversa di cultura.

Le eliminazioni sopra indicate dicono rispetto ad elementi dello spettacolo, che possiamo chiamare sub-oggetti e, in un primo momento, non indicano l’eliminazione dell’oggetto culturale, ma sì di alcuni legami e fra questi l’eliminazione della frontiera fra attore e spettatore. Attore che diverrà Performer/Uomo di Azione e spettatore che diventerà partecipante come dà a intendere Grotowski nella risposta alla domanda posta – “cosa è rimasto?”: “L’uomo di azione (come vuole dire etimologicamente attore:

actor è l’uomo in azione) e l’uomo in connessione, spettatore o

partecipante, colui che è di fronte.”170

In questa linea su cui ha operato Grotowski, in un primo momento