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Estratti e segnalazioni

Sviluppo della comunità in Italia Dai « Quaderni di Sociologia » (n. i 0,1961) riportiamo alcuni pas­ si del saggio di Russel L. Langwor- thy dal titolo « Osservazioni sullo sviluppo della comunità in Italia ». Il prof. Langworthy ha trascorso un anno in Italia dedicandosi allo studio dello spirito comunitario, del senso civico e del grado di socialità in alcune zone depresse del Meri­ dione.

« Uno tra i problemi più spinosi ma più fondamentali che ogni pro­ getto di sviluppo deve affrontare riguarda il modo in cui è formu­ lata la politica di fondo ; i program­ mi debbono cioè esser basati su quelli che gli esperti forestieri rico­ noscono come bisogni delle comu­ nità, o non debbono invece operare in quei campi che i membri stessi giudicano più critici? T. R. Batten, uno degli esperti più eloquenti e sperimentati in questo campo, ha dedicato un intero capitolo della sua autorevole opera Communities and their Development al tema ” I pro­ grammi debbono basarsi sui ’ biso­ gni sentiti ’ della popolazione o sugli obbiettivi dell’ente? ” . Il di­

lemma è essenzialmente questo. Se, da un lato, i funzionari o gli enti governativi dopo un lungo studio entrano nelle comunità con un pro­ gramma d’aiuto su larga scala, pos­ sono ottenere dei risultati sorpren­ denti a breve scadenza. Ma questi risultati sono cose che interessano soltanto i forestieri e i membri del­ la comunità non li sentono collegati ai loro stessi interessi o bisogni — in breve, il programma rimane sempre estraneo alla comunità stes­ sa, che non è realmente impegnata né sviluppata. Se d’altro lato gli incaricati entrano nella comunità, parlano con la gente e progettano piani basandosi sui veri ” bisogni sentiti dalla gente ” , l’ente può spre­ care il suo tempo in progetti di assai poco valore per lo sviluppo complessivo della società, anche se atti a sviluppare un forte senso della comunità.

Posso forse illustrare questo di­ lemma con due esempi tratti dal­ l’Italia. Ci sono in Abruzzo due paesi di cui uno è assai sviluppato dal punto di vista turistico mentre l’altro ha un alto potenziale turi­ stico praticamente non utilizzato. Il secondo è collegato al primo da una lunga strada tortuosa. Alcuni

funzionari della Cassa per il Mezzo­ giorno decisero che un sentiero asfaltato tra i due paesi avrebbe contribuito a sviluppare il secondo, e, senza consultare la popolazione, costruirono questa via per le pas­ seggiate turistiche spendendo 20 milioni di lire, e questo in una co­ munità in cui la mancanza di stra­ de anche rudimentali tra le cascine e anche tra i paesi assume un’im­ portanza primaria nella crisi agri­ cola della zona. Non c’è dubbio che questo sentiero contribuirà a lungo andare allo sviluppo turistico del secondo paese, ma la popolazione non lo voleva, esso non corrispon­ deva ai suoi bisogni sentiti e il suo risentimento verso la Cassa è espresso in termini più sostanziali che non col semplice lanciar pietre contro cartelli della Cassa. Questa strada è senza dubbio un fattore di divisione nella comunità anche se a lungo andare potrà rivelarsi utile sul piano economico.

D’altro lato, in una comunità calabrese, gli assistenti sociali della UNRRA-Casas, dopo aver vissuto e lavorato a lungo con gli abitanti, si resero conto che uno dei bisogni importanti da essi sentiti era che le ragazze imparassero a tessere e far merletti per il corredo tradi­ zionale, dato che per varie ragioni si stavano perdendo queste attitu­ dini, ma d’altra parte sussisteva l’usanza del corredo. Di conseguen­ za questi assistenti sociali spesero molto tempo ed energia nel metter su telai e nell’insegnare alle gio­ vani a fare complessi lavori d’ago,

che furono poi messi via per riap­ parire molto di rado e non contri­ buirono per nulla allo sviluppo eco­ nomico della comunità, pur soddi­ sfacendo un importante bisogno sentito dalla popolazione. Questo progetto è stato infatti per essa estremamente importante, ma ha favorito una pratica sociale che a lunga scadenza si rivelerà proba­ bilmente molto dannosa alla vita economica non solo della comunità ma della società.

Quale sarà allora il giusto mezzo tra il ” purista ” che soddisfa sol­ tanto i bisogni sentiti, da un lato, e il funzionario governativo il cui programma è preparato soltanto con l’intento di inserirlo nel ” qua­ dro totale” , dall’altro? Secondo il parere più generalmente accettato, un ente deve in primo luogo ese­ guire progetti che alleviino real­ mente i bisogni sentiti, ma una volta stabiliti i rapporti, e quando i membri della comunità si rendono conto che l’ente può fare qualcosa per essi, si possono tentare altri progetti più strettamente collegati ai fini dell’ente ».

« A mio parere l’organizzazione che si avvicina di più all’ideale del­ lo sviluppo della comunità è il Pro­ getto Pilota per l’Abruzzo diretto da Angela Zucconi. Esso si basa sui principi di sviluppo della comu­ nità ormai riconosciuti sul piano in­ ternazionale, ma adattato alle ne­ cessità particolari della situazione italiana. Il Progetto è stato inizia­ to in una zona dell’altopiano degli Appennini che ha tutte le caratte­

ristiche tipiche dei paesi sottosvi­ luppati : condizioni di vita inferiori al tenore standard, analfabetismo, resistenza al mutamento e basso morale della comunità. In tale zona esistono quattordici comunità, ad il progetto è detto ” pilota ” poiché si spera che, dopo qualche anno di risultati sicuri accompagnati da una seria documentazione, si possa ripetere questa esperienza in altre parti del Mezzogiorno. E ’ un dato di fatto che la zona è già stata al­ largata e che sono state avanzate da comunità circostanti più richie­ ste di quanto ne possa soddisfare il Progetto con il suo personale li­ mitato. Il Progetto Pilota è speri­ mentale, ma ha già a suo vantaggio alcuni risultati solidi e fonda- mentali ».

« Gli scopi del Progetto Pilota sono quelli della maggioranza di simili progetti, e cioè ” la creazione di una situazione che porti gli abi­ tanti di una data zona ad unire i loro sforzi a quelli delle pubbliche autorità nell’intento di migliorare le condizioni economiche, sociali e cul­ turali della comunità e di inserirla nella vita della nazione ” (Morris Opler). Il programma specifico com­ prende : a) il miglioramento dei ser­ vizi locali e nazionali che già esi­ stono sulla carta ma che in realtà non funzionano nel modo adeguato al livello locale; 6) attività basate sui bisogni sentiti della popolazione, e che comprendono anche un’azio­ ne di stimolo di ” bisogni sentiti adeguati ” mediante l’impiego di mezzi audiovisivi e d’altro tipo ;

c) un programma di indagine e ri­ cerca di fondo.

A differenza di molti paesi sotto- sviluppati in cui non esistono ser­ vizi tecnici e sociali, l’Italia è pro­ tetta, o oppressa, da troppi enti e leggi assistenziali che in realtà non sono operanti. Un’importante fun­ zione di questo Progetto consiste nello spiegare alla popolazione che aiuto essa possa trarre dalle isti­ tuzioni già esistenti e nell’offrire assistenza per l’espletamento delle pratiche lunghe e complesse di una burocrazia ipertrofica. Si è calco­ lato che esistono ventimila enti di assistenza sociale, ma la maggio­ ranza degli abitanti della zona non ne ha mai sentito parlare, oltre a non sapere come sia possibile otte­ nerne l’appoggio. Questo aspetto del Progetto si è rivelato particolar­ mente fruttuoso con molte prove di successo a breve scadenza ».

« Tra i compiti più importanti del Progetto v’è quello di far sì che la comunità stessa fornisca dei capi che possano continuare l’opera quando il Progetto giunga al ter­ mine (ed esso deve terminare per potersi dire riuscito), e che gli abi­ tanti di questi villaggi isolati si rendano conto di non essere soli nella situazione in cui si trovano. A questo scopo il Progetto ha di recente organizzato un convegno dei sindaci di tutti i paesi della zona per un incontro con dirigenti na­ zionali ed esperti agrari. Si sono incoraggiati i sindaci e gli altri dirigenti locali a dire il proprio pa­ rere su una quantità di argomenti.

Un mese più tardi un gruppo di sindaci ha organizzato di propria iniziativa un convegno simile per procedere concretamente allo svi­ luppo del turismo. Mentre il Pro­ getto in sé non si interessa parti­ colarmente del turismo, è incorag­ giante il fatto che ora i dirigenti siano consapevoli di poter fare qual­ che cosa per contribuire dal canto loro alla soluzione dei loro proble­ mi, e se essi otterranno buoni ri­ sultati nel campo del turismo, non potranno tardar molto altri e simili convegni sull’agricoltura, i traspor­ ti e l’istruzione ».

Attrezzatura domestica e azione sociale

II numero 4 - 5 , 1961, di « Infor­ mations Sociales » è in gran parte dedicato al problema dell’arreda- mento-tipo in relazione all’azione sociale. La pubblicazione ha più che altro carattere informativo, e questo ne rappresenta il limite: i problemi sostanziali vengono qua e là timidamente enunciati, piuttosto che denunciati e affrontati. Cer­ cheremo tuttavia in questa breve rassegna di sottolinearli, perché, anche se in forma meno acuta, sono i nostri stessi problemi in questo settore della vita sociale.

Gli aspetti trattati sono: 1) socia­ li ; 2) sociologici e psicologici ; 3) economici; 4) tecnici.

Particolare interesse ha il pun­ to 1) che illustra ciò che si è fatto

e si va facendo in Francia in cam­ po sociale nei riguardi del proble­ ma dell’attrezzatura domestica.

La Caisse centrale d’AUocations familiales (CCAF) ha creato nella regione parigina, rispondendo al­ l’appello degli organismi costrut­ tori, dei centri di informazione (permanences d’accueil) dove i nuo­ vi locatari possono chiedere e tro­ vare consiglio e aiuto da assistenti sociali e da esperti nei più vari campi riguardanti la vita domesti­ ca. Essi operano specialmente nei quartieri a locazione modesta (HLM). Attualmente sono 32, e ognuno di essi è in funzione per un periodo di tre mesi circa, fintanto, cioè, che gli appartamenti siano stati tutti occupati. In media si crea un centro ogni 200 apparta­ menti.

Un appartamento viene tempo­ raneamente concesso alla CCAF, ed è da questa messo in piena ef­ ficienza come abitazione, arredato di tutto punto, sulla base di una famiglia-tipo di cinque persone (padre, madre, tre figli). Il centro, quindi, aperto due volte alla set­ timana, offre alle famiglie non sol­ tanto assistenza sociale, tecnica e finanziaria (la CCAF non solo stu­ dia i piani di rateizzazione per le famiglie in base alla loro entrata e ai loro bisogni, ma in alcuni casi concede anche prestiti), ma è anche un esempio concreto di come risol­ vere i problemi dell’arredamento. Generalmente i mobili impiegati non sono di serie, ma fatti apposi­ tamente da un artigiano (allarman­

te la diffidenza verso i mobili in serie anche da parte di organismi responsabili). Questo appartamen­ to-tipo, bisogna tener presente, non è un « appartamento-modello », in quanto variano le dimensioni delle famiglie, le loro attività, le loro abitazioni. Inoltre esso viene pen­ sato secondo una certa disposizio­ ne dei muri, che non sempre cor­ risponde in tutti gli appartamenti. Un caso da tener presente, poi, data la sua frequenza, è che il lo­ catario già possiede della mobilia. La tecnica mostrerà allora un piano di arredamento concepito differen­ temente dall’appartamento-tipo, ma capace delle possibilità di adatta­ mento di questo (specialmente per quanto riguarda ralleggerimento del lavoro casalingo).

Quando non è possibile avere a disposizione un appartamento per sistemare un centro, dei plastici, opportunamente studiati, offrono dei modelli di soluzioni altrettan­ to validi. Pensati in tempo, poi, permettono di influenzare, con sug­

gerimenti e con l’offerta di un mer­ cato reale e immediato, i fabbri­ canti di mobili. Tuttavia le inchie­ ste condotte nelle permmences d’accueil non sono certo delle piu incoraggianti. Infatti la maggior parte dei consigli richiesti si limi­ tano alla scelta o alla sistemazione di tendaggi, tappeti o altri oggetti non di prima necessità. La famiglia considera generalmente la scelta dei mobili come problema privato, per­ sonale, e diffida degli estranei. Le interviste condotte rivelano

poi come sia il pubblico che i tec­ nici non abbiano ancora affrontato il problema di un arredamento mo­ derno, di buona qualità, e a prezzi modesti, rispondente alle esigenze di una vita e di una architettura moderna. La soluzione che viene offerta e preferita a maggioranza è quella del ricorrere al rigattiere o all’artigiano « all’angolo della strada », soluzione non soltanto de­ terminata dalle deficienze della fab­ bricazione in serie in Francia, ma anche e più pericolosamente, da una mancanza di « educazione » e di serietà nell’affrontare il proble­ ma; soluzione che sostiene e inco­ raggia una produzione deteriore per qualità e per gusto, non po­ tendo certamente l’artigiano o la piccola fabbrica affrontare le spese necessarie alla produzione di un mobilio che si avvantaggi delle tec­ niche di lavorazione dei più diversi materiali, tecniche che nel mobile moderno sono così strettamente legate alla sua funzionalità e alla sua armonia.

Gli articoli di Raymond Oleina (« L a production du meublé en France. Orientations et perspecti- ves») e di Marie-Anne Febvre- Desportes (« Recherches, réalisa- tions et propagande en faveur d’un équipement mobilier pratique et économique ») trattano invece dei dati economici e tecnici della pro­ duzione e distribuzione del mobile in Francia.

La Francia dovrà tra brevissimo tempo affrontare il problema delle sue insufficienze nel campo dell’in­

dustria del mobile in serie. Già l’importazione di prodotti esteri — esempio principe quelli svedesi — ha acutizzato il problema. Il gior­ no che, grazie al MEC, le impor­ tazioni saranno facilitate, il mobi­ le tedesco, per esempio, a parità di qualità potrà essere venduto a un prezzo inferiore a quello fran­ cese dal 25 al 50%.

Nelle abitazioni moderne il mo­ bile non è più l’elemento che indi­ vidualizza, personalizza l’ambiente. Ciò è oggi dato o dalla divisione architettonica dello spazio, o dal gusto stesso della padrona di casa. Oggi i mobili sono pensati in fun­ zione di un’abitazione, le cui nor­ me si avvicinano da un paese al­ l’altro, quasi da un continente al­ l’altro. Il mobile diventa sempre più parte strutturale della casa. In questo senso la fabbricazione in serie si pone come necessaria.

Cosa è successo invece in Fran­ cia? Da un lato una tradizione che non ha saputo cogliere e vede­ re gli spunti e le prospettive più vitali da essa stessa prodotti (la Febvre-Desportes ricorda le indi­ cazioni di Le Corbusier ancora del 1923), relegando in secondo piano il problema arredamento (è rivelatore di questa situazione la posizione del disegnatore di mobi­ li, che — tolte rare eccezioni — non proviene dai ranghi degli ar­ chitetti, ma è più semplicemente, e come tale viene classificato, un « decoratore »), e vedendolo scisso dal problema delle strutture. Dal­ l’altro lato una produzione che,

al-Ia fine della guerra, di fronte a un mercato aperto, ha scelto la via che sembrava allora più facile, ma che si è ormai rivelata la più caotica, e, tra breve, anche finanziariamen­ te la più disastrosa; cioè quella di una produzione a buon mercato, indipendentemente dal rinnovamen­ to delle strutture produttive, a di­ scapito della qualità, degli investi­ menti e dell’organizzazione della produzione. Quest’ultimo punto, poi, ha voluto dire il trionfo dell’arti- gianato, ma anche la fine come organismo creatore.

Alcune cifre riportate da R. Ol­ eina chiarificano il problema. In Francia esistono oggi 30.350 pro­ duttori di mobili, per un totale di 100.000 salariati; 28.500 produt­ tori sono artigiani, e assorbono 31.100 salariati; 1.250 impiegano da 11 a 20 operai; 600 hanno un personale superiore alle 20 unità; tra questi, tre (una fabbrica di seggiole e due di letti) hanno 600 operai ciascuno. Poiché il commer­ cio del mobile conta 10.000 negozi all’incirca, risulta che in Francia vi son tre produttori di mobili per ogni rivenditore.

Per risolvere e rendere più ra­ zionale questa situazione qualcosa si comincia a fare in settori estra­ nei all’industria, ma capaci di in­ fluenzarla. E’ sorto così un Centro tecnico del legno (CTB) sotto con­ trollo dello stato, che abbraccia tutte le professioni legate in qual­ che modo al legno: dallo sfrutta­ mento delle foreste allo sfrutta­ mento del più piccolo derivato del

legno. Ha vasti programmi che vanno dall’organizzazione di viag­ gi all’estero a scopo di studio e documentazione, al promuovere ri­ cerche, ecc.

Più specificatamente per quanto riguarda il nostro problema, ha indetto fin dal 1954 concorsi per la realizzazione di tre arredamen­ ti-tipo (razionali, di qualità, a prez­ zo di vendita fisso), indicando la via che dovrebbe seguire l’industria del mobile francese. L’AFNOR ( Association française de Norma­ lisation), che fa parte del CTB, promuove studi e ricerche sulle norme e misure basi essenziali al mobile moderno. Non intralcia nei suoi intendimenti il gusto del crea­ tore, offre soltanto- quel minimo di dati scientifici appositamente e ac­ curatamente studiati da speciali­ sti, indispensabili oggi alla crea­ zione di un mobile in cui il comfort, unione di utilità e buon gusto, è il dato essenziale. Principi base non nazionali, ma internazionali. A cura dell’AFNOR viene regolata l’applicazione del marchio NF (Normes françaises) ai mobili a garanzia esclusivamente di un mi­ nimo di qualità: ottima guida per il compratore inesperto. Purtroppo non se ne è fatta sufficiente pub­ blicità. Solo ottanta produttori han­ no domandato e ottenuto il control­ lo dell’AFNOR; 700 sono i modelli contrassegnati dal marchio, in ven­ dita presso 300 negozi : troppo poco!

M. G.

Per un concetto dinamico della famiglia

Un articolo assai significativo, contenuto nello stesso fascicolo di « Informations Sociales », anche se posto in una sezione a parte, è quello di P.-H. e M.-J. Chombart De Lauwe (« L’évolution des be­ soins et la conception dynamique de la famille »J, sia per il suo va­ lore intrinseco, sia per i suggeri­ menti e l’inquadratura che potreb­ be offrire allo specifico problema dell’ arredamento domestico trat­ tato nella prima parte della pub­ blicazione. Il saggio è già apparso nella « Revue Française de Socio­ logie », vol. I, n. 4. Anche se già pubblicato e conosciuto, ne diamo un breve schema ugualmente, per il particolare valore di invito al­ lo studio e alla discussione che ci sembra rivestire.

Polemico punto di partenza è la condanna della concezione tradi­ zionale della famiglia come stati­ cità, rifugio, garanzia di stabilità e ordine sociale, e la denuncia del­ le false lacrime versate su una sua presunta decadenza come istitu­ zione e come struttura valida e vitale della società. In realtà l’isti­ tuto familiare non è decaduto, ma al suo dinamismo ha corrisposto un mutarsi delle funzioni sue proprie, dei compiti dei suoi membri, delle loro relazioni, e dei suoi bisogni.

1) Funzioni fisiche e biologiche: apparentemente la riproduzione e conservazione della specie rimane la funzione meno soggetta a mo­

dificazioni. In realtà la concezione della coppia come unità spirituale e sociale, va distinguendo sempre più, malgrado i legami profondi, la funzione della procreazione dal- 1 amore. Il matrimonio è prima di tutto l’unione tra due persone.

Funzioni economiche: la fami­ glia — ad eccezione di alcuni grup­ pi artigianali — non è più produt­ trice per l’esterno. Solo all’interno conserva tale funzione, nell’esple­ tamento dei lavori casalinghi, de­ legati generalmente alla madre. Come consumatrice, invece, ha an­ cora un’enorme importanza. Lo stu­ dio dei bilanci familiari non è solo indispensabile ai pianificatori eco­ nomici, ma anche illumina i muta­ menti interni subiti dalla famiglia.

2) Evoluzione dei compiti e delle relazioni : « Ogni membro della fa­ miglia ha il compito di espletare certe funzioni. Ma il compito non si limita a questo aspetto funzio­ nale, è legato piuttosto a un’imma­ gine di padre, di madre, di figlio che risponde a un’attesa. I model­ li a cui si riferiscono i personaggi cambiano con il cambiare delle for­ me di cultura. Nei periodi di tra­ sformazioni sociali rapide, le con­ traddizioni tra il comportamento quotidiano e le immagini stereo­ tipe creano delle incertezze e dei conflitti ».

Uno studio sull’evoluzione dei

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