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Lo sviluppo dell’artigianato artistico nelle zone arretrate

di R a m y Alexander

La stragrande maggioranza delle popolazioni nelle zone industrialmente arretrate prende poca parte alla vita quotidiana del resto del mondo, pochissima poi in un modo diretto ed attivo. E’ un isolamento economico e tecnico, e culturale anche, in quanto include una visione prevalentemente statica della società, visione che spesso* sfocia in un miscuglio di fatalismo e di miracolismo spicciolo. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che i rapporti fra tali zone e quelle progredite, più dinamiche e razionali nelle imposta­ zioni economiche, siano ostacolati da reciproca incomprensione e sfidu­ cia. Si tratta di un problema sociale in un senso ampio della parola, che non può essere risolto senza che si trovi il modo, per una molti­ tudine di uomini e donne, di partecipare ogni giorno ed effettivamente — e non già solo attraverso i malintesi della televisione e della retorica degli altri — alla vita complessa del mondo esterno; partecipare contri­ buendo ad uno scambio di conoscenze e di valori oltreché di denaro, merci e mano d’opera.

E’ chiaro che gli effetti, che si vorrebbero il più possibile benefici, dipen­ deranno dal grado di autenticità delle conoscenze e dei valori che dovrebbero formare l’oggetto di scambio, come pure dalla scelta che permetta la loro reciproca accettazione ed il loro assorbimento.

Quando si cerca la soluzione di questo problema per quanto riguarda l’artigianato artistico di tipo tradizionale, si notano due elementi parti­ colari al settore, uno dei quali facilita ravviamento alla soluzione, mentre l’altro l’ostacola. L’elemento positivo è questo : più che per altri ceti umili è possibile per l’artigianato, partendo anche dalle basi tradizionali, di arrivare a trasmettere dei valori alla società esterna, nazionale ed interna­ zionale, in molti casi perfino di influenzare, per lievemente che sia, il gusto ed il modo di vivere di tale società. Ed è bene ricordarsi che il desiderio di dare in qualche misura la propria impronta agli altri — e non già di subire soltanto le influenze esterne — è fra le aspirazioni più naturali e più intense delle popolazioni delle aree sottosviluppate.

Per l’artigianato artistico ciò è possibile. A condizione, però, di conser­ vare e sviluppare (in collaborazione anche con artisti di cultura) le carat­ 37

teristiche ostati cemento essenziali della tradizione che gli è propria e di aggiornarsi, nello stesso tempo, mediante l’assistenza di specialisti, nelle tecniche e nell organizzazione. In questo' modo è possibile non solo trovare mercati nuovi ed ottenere i conseguenti vantaggi economici per la parte vitale dell’artigianato, ma anche aprire la strada agli artigiani più dotati verso un notevole sviluppo' personale ed un’adeguata posizione sociale.

Questa azione è fattibile se vi è un’assistenza competentemente program­ mata ed attuata; purtroppo, ai molti e facilmente intuibili problemi ad essa connessi e alla sua intrinseca complessità, si aggiungono di frequente resi­ stenze di apparenza, diciamo, culturale ideologica, e qui sta quella difficoltà, particolare al campo dell’artigianato artistico, alla quale si è accennato in precedenza. Difficolta che diventa un ostacolo vero e proprio' quando' tali resi­ stenze provengano anche da parte di amministratori responsabili di assi­ stenza pubblica allo sviluppo dell’artigianato.

L’opposizione si verifica in parte a causa di un’illusione ingenua che 1 arte popolare di una volta possa sopravvivere o essere fatta sopravvivere più o meno tale e quale, in barba alle comunicazioni di massa ed alle neces­ sità economiche dei nostri giorni — e ciò è dovuto, fra l’altro, ad una lettura alquanto superficiale della storia sia dell’arte che dell’artigianato. E molto è dovuto ad una disattenzione, difficilmente perdonabile, verso le esigenze e personali e economiche e sociali degli artigiani viventi, che non si esiterebbe a relegare al ruolo di una curiosità etnografica.

Un’esperienza recente fatta in Sardegna nell’ambito del Progetto OECE- OCSE (1) serve a provare, comunque, che nonostante le difficoltà, un piano d azione che risponda ai criteri menzionati sopra può essere un mezzo valido per lo sviluppo costruttivo (ed anche più rapido di quel che normalmente si pensa possibile) dell’artigianato nelle aree depresse.

Il Servizio Artigianato del Progetto OECE-Sardegna iniziò una serie di azioni pilota poco più di quattro anni fa. L’obiettivo finale del programma era quell’inserimento sociale ed economico di cui si è parlato al principio di queste note.

Prima, però, si dovevano raggiungere tappe più immediate di avanza­ mento sociale, più modeste in apparenza forse, ma fondamentali per le tessitrici e le cestinaio dei villaggi sardi sui quali si era concentrata l’azione assistenziale di questo Servizio del Progetto. Formare gruppi di lavoro, costituire e gestire cooperative, assumersi responsabilità aziendali di fronte allo Stato, alle banche, ai clienti, ai fornitori, dividersi le responsabilità 1

(1) Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ente interna­ zionale con sede a Parigi, al quale partecipano diciotto governi europei, oltre agli Stati Uniti e al Canadà.

entro un dato gruppo — tutto questo era stato fino allora un complesso di situazioni e relazioni ignote alle artigiane. Si doveva aiutare le artigiane ad afferrarne il significato- e le regole principali e ad imparare a muoversi entro questo contesto nuovo.

Nel metodo di assistenza usato dal Progetto l’aspetto sociale era intima­ mente legato a quello economico. Nell’offrire la propria assistenza il Pro­ getto semplicemente prospettava alle artigiane le possibilità obiettive di ottenere col loro lavoro, se meglio organizzato e riorientato, un’occupazione più continua e meglio rimunerata. Non si celavano i sacrifici ed i rischi che avrebbero dovuto affrontare; anzi, i funzionari del Progetta sottolinea­ vano le future difficoltà.

Naturalmente, le situazioni nuove che si sarebbero andate creando non potevano essere immaginate che vagamente dalle artigiane del paese. Ma quando si sono trovate poi di fronte anche a difficoltà alle quali non si senti­ vano preparate in precedenza, hanno dato in pratica prove di perseveranza degne della fama di cui i sardi godono in quanto a serietà d’impegno.

Nel suo complesso l’esperienza è stata, senza dubbio, positiva. Dove tre anni fa non c’erano che tessitrici sparse che tessevano un paio di mesi all’anno, ci sono oggi cooperative, piccole società ed aziende. Si lavora sui grandi telai a mano moderni, per forniture regolari alle migliori ditte in Italia ed all’estero-, per tutto l’anno, con guadagni notevolmente superiori al passato per ogni ora di lavoro, con risparmi che cominciano- ad accu­ mularsi. Analogo è il progresso fra le cestinaie.

A poco a poco questi gruppi vengono guidati verso una sempre maggiore capacità di autogestione, e la consulenza del Progetto viene gradualmente diradata. I risultati in questo senso dipendono, naturalmente, dalle doti naturali, che variano molto non solo da persona a persona, ma anche da gruppo a gruppo, e sono lenti e mediocri in certi casi e sorprendenti in altri. Ma anche nei casi meno felici si può notare un’abilità del tutto nuova nell’affrontare problemi tecnici ed organizzativi. Queste donne, infatti, vengono- oggi considerate dai loro compaesani stessi qualche- cosa di piu che non delle artigiane che hanno semplicemente aumentato i propri guadagni, al punto da essere invitate — tessitrici con appena un istruzione elemen­ tare — a far parte delle commissioni per il piano di sviluppo comunale.

Si discute attualmente la costituzione di un ufficio vendite comune o di un consorzio di vendite per questi gruppi di artigiani, che nel frattempo sono diventati una dozzina.

Per raggiungere gli obiettivi che il Servizio Artigianato del Progetto Sardegna si era posto, è -stato usato il metodo -dell assistenza coordinata applicata ad un piano verticale di sviluppo. Si è data, cioè, assistenza tecnica nel senso stretto della -parola, assistenza aziendale, assistenza artistica, assistenza commerciale. Lo si è fatto però attraverso un dialogo continuo

con le artigiane, spiegando loro il meglio possibile ogni problema singolo — tecnico o di gestione o di vendita •— e il perché di quel problema, le possibili soluzioni, i rischi delle varie alternative ed i probabili vantaggi; facendole partecipare ad ogni occasione propizia alle ricerche di mercato, all elaborazione dei disegni. In collaborazione con gli altri servizi del Pro­ getto Sardegna si sono organizzate conferenze, corsi, azioni particolari — per chiarire le questioni inerenti alle cooperative, per esempio, quando ragioni anche commerciali esigevano una decisione da prendersi in merito.

Per caratterizzare l’azione svolta si dovrebbe parlare di educazione tanto quanto di assistenza: educazione organizzativa, istruzione tecnica, educa­ zione artistica, educazione commerciale.

Se l’assistenza data dal Progetto Sardegna agli artigiani fosse stata collegata (come idealmente dovrebbe) con gli investimenti pubblici, i tempi di sviluppo si sarebbero potuti accelerare anche di più. E così anche se l’obiettivo fosse stato volto verso un miglioramento puramente economico'. Ma è certo che in questo caso la situazione oggi sarebbe meno promet­ tente di altri sviluppi ulteriori, meno sana dal punto di vista sociale e meno soddisfacente dal lato umano. Per tornare all’argomento iniziale di queste note, fra le artigiane di cui si è parlato ve ne sono oggi diverse che non solo hanno una conoscenza incomparabilmente maggiore del mondo esterno di quel che non avessero due, tre anni fa, ma hanno anche la coscienza di farne parte in un modo reciprocamente utile, e cominciano ad impadronirsi dell’arte di tenere questo loro posto con dignità.

Ramy Alexander

Consulente per VArtigianato dell’O C S E

“ Design ” - sviluppo di oggetti

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