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In questa fase la sintesi dei risultati è di tipo tematico, poiché finalizzata allo sviluppo di un modello sulla base del quale procedere alla definizione delle domande di ricerca e relative ipotesi.

Per questo motivo, dopo aver esposto le teorie degli autori principali, vengono presentati i temi, ossia gli elementi che, sulla base di quanto evinto dalla produzione scientifica individuata con criterio sistematico, sono risultati fondamentali per una corretta ed esaustiva concettualizzazione della pratica di consumo.

2.4.1 Gli autori principali

Gli autori della PT emersi con grande preponderanza sono Theodore Schatzki, Andreas Reckwitz e Alan Warde. I loro contributi teorici ricorrono in modo “prepotente” nell’ambito del consumo: sulla base della frequenza di richiamo dei loro concetti e di utilizzo dei rispettivi modelli, questi autori sono stati identificati come quelli di maggiore influenza.

2.4.2 Theodore Schatzki

Schatzki (1996) è il primo in ordine cronologico ad aver dato un contributo sostanziale alla PT: egli infatti ha dato forte input alla seconda fase.7

7 Postill individua due fasi nella PT: la prima fase è caratterizzata da autori come Bourdieu, Focault, Giddens e De Certau, i quali gettano le basi teoriche di ciò oggi conosciamo sulla pratica. La pratica viene sostanzialmente

considerata per la capacità di risolvere il contrasto tra individualismo ed olismo metodologico; la seconda fase invece si caratterizza per il testing effettuati circa gli assunti teorici della frase precedente e per la volontà di sviluppare ed ampliare “l’edificio teorico” che riguarda le pratiche. Warde (2014) aggiunge una terza fase nella quale vede gli accademici che “are trying to apply the theory to substanive explanation in diverse empirical settings” (pag. 285).

39 Il filosofo afferma che: “practice is a temporally unfolding and spatially dispersed nexus of doings and sayings […] To say that the doings and sayings forming a practice constitute a nexus is to say that they are linked in certain ways. Three major linkages are involved: through understandings, for example, of what to say and do; through explicit rules, principles, precepts and instructions; and through what I will call “teleaffective” embracing ends, projects, tasks, purposes, beliefs, emotions and moods.”

La comprensione (understandings) va presa nel senso di un “sapere come” performativo: “what to do and say”, che comprendente, è riferito al saper agire e alla capacità di dar senso all’agire stesso.

Questa comprensione pratica ha bisogno delle regole e della teleoaffettività per sussistere: le regole sono formulazioni esplicite mentre la teleoaffettività è “l’orientamento verso uno scopo e il modo in cui le cose acquistano importanza” (Schatzki, 1997, p. 302). Le azioni sono sempre orientate ad un fine ma questo fine dipende dal contesto; e nelle azioni è sempre coinvolta una componente emotiva che ne da rilievo o meno; l’emozione viene espressa dalla attività umana e giace nelle diverse condizioni concrete della vita; queste condizioni non sono stati mentali ma pratiche, poiché “comprendere o credere” non sono rappresentazioni ma stati concreti dell’esistenza.

L’autore distingue le pratiche in due tipologie (Schatzki 1996):

 le pratiche diffuse (disperse practices): sono disperse nei diversi domini della vita sociale per cui “seguire una regola, obbedire, comandare e spiegare” sono trasversali;

 le pratiche integrative (integrative practices): costituiscono domini specifici e sono organizzate e complesse, e sono identificate sostanzialmente nella definizione data in apertura paragrafo.

Le pratiche integrative non sono da considerarsi come un insieme di pratiche diffuse; e le pratiche diffuse non esistono solo in quelle integrate.

Schatzki spiega ciò con un esempio.

“Descrivere” secondo il suo vocabolario è una pratica diffusa. Un individuo solitamente descrive mentre è impegnato a portare avanti una pratica integrativa come, ad esempio, cucinare; si potrebbe assumere che si stia descrivendo una ricetta. Visto che non sempre ciò deve accadere di conseguenza, oltre a comprende il descrivere come forma che si concretizza in una pratica integrativa, si comprende anche il descrivere come azioni e discorsi legati alla pratica generale del descrivere, quindi come pratica diffusa.

40 L’autore compie un’ulteriore importante distinzione, tra “practice as entity” e “practice as performance”:

 la pratica come entità è “temporally unfolding and spatially dispersed nexus of doing and saying”;

 la pratica come performance è “a process of doing through which practice as entity is sustained reproduced and potentially changed” (Schatzki et al 2001; Shove, Watson, Hand, Ingram 2007).

Quest’ultima “actualizes and sustains practices in the sense of nexuses” (Schatzki, 1996) e fa sì che l’entità venga performata.

2.4.3 Andreas Reckwitz

Il secondo autore è Reckwitz (2002a), un sociologo che ha tentato di fornire un idealtipo di teoria delle pratiche.

Egli sostiene che la PT possa essere considerata una famiglia di racconti (accounts) composta dalle varie teorie delle pratiche; e ancora una teoria culturale poiché fonda la propria spiegazione su simboli e significati, a differenza di altre da lui considerate (come la rational choice theory, che si basa su una concezione di azione orientata allo scopo e quelle afferenti alla sociologia classica (Durkheim e Parsons), basate sulla norma). Sicuramente ciò che si evince è che egli non considera la PT come un framework unitario ma un insieme di concetti comuni e sensibilizzanti (Blumer 1969).

Reckwitz definisce la pratica come segue:

“A ‘practice’ (Praktik) is a routinized type of behavior which consists of several elements, interconnected to one other: forms of bodily activities, forms of mental activities, ‘things’and their use, a background knowledge in the form of understanding, know-how, states of emotion and motivational knowledge”.

La pratica va a formare un “blocco” (block) ed esiste sulla base della specifica interconnessione degli elementi che la formano, ed in quel determinato modo: va compresa nel suo insieme e concepita come configurazione non riducibile ai singoli elementi. Tuttavia, questo pattern può essere “unico” poiché un certo modo di agire, in questo caso di consumare, si compone di azioni singole e puntuali.

41 Altro elemento fondamentale che caratterizza il pensiero del sociologo è quello di “carrier of practice” (Reckwitz, 2002a, p. 256) ossia di un soggetto che “stratifica” (carry) e “compie” (carry out) la pratica.

Inoltre l’autore, considerando i concetti comuni di questa famiglia di teorie, fornisce un vero e proprio vocabolario prasseologico di riferimento:

 corpo: le pratiche sono attività routinizzate e incorporate, ed incorporare una pratica implica, per certi aspetti, allenare il corpo ad agire in un determinato modo;

 mente: nella PT le pratiche consistono non solo in attività incorporate ma anche mentali e questo in modo indissolubile tale per cui, di fatto, non c’è distinzione fra mentale e corporeo;

 cose: nelle pratiche è sempre previsto il coinvolgimento di oggetti e il loro utilizzo;  conoscenza: la conoscenza che c’è nella pratica non è proposizionale quindi un

“sapere che” ma è conoscenza complessa come, ad esempio, quella tacita;

 discorso/linguaggio: le pratiche discorsive sono al pari delle altre e perdono il loro status privilegiato;

 struttura/processo: nella PT le strutture sociali esistono in quanto anch’esse sono pratiche routinizzate; il concetto di routine immette nelle strutture sociali la temporalità e quindi una natura processuale;

 agente/individuo: nella PT l’agente perde la centralità che deteneva nelle teorie dell’azione classiche; il mondo sociale è composto non più da agenti ma da pratiche; gli agenti, essendo corpi/menti, diventano esecutori, così come punto d’incrocio delle diverse pratiche che compiono e alle quali partecipano.

2.4.4 Alan Warde

Il terzo autore, Alan Warde, è colui che ha collegato la Practice Theory al consumo in modo esplicito. Innanzitutto:

“Practices consist of both doings and sayings, suggesting that analysis must be concerned with both practical activity and its representations. Moreover […] the components form a ‘nexus’, the means through which doings and sayings hang together and can be said to be coordinated. For a variety of reasons, including ease of reference, I refer to these three components as understandings, procedures and engagements.” (Alan Warde 2005).

42 Warde concettualizza la pratica ricalcando il pensiero di Schatzki, riferendosi agli stessi elementi individuati dal filosofo: understandings (what to do and say), procedure (rules, principles, precepts and instructions) e engagement (teleoaffective structure).

Ciò che è particolarmente interessante nel suo pensiero è il concetto di consumo: egli sostiene che quest’ultimo sia implicato in quasi tutte le pratiche ma che non possa essere definito tale. Secondo Warde il consumo è “a process whereby agents engage in appropriation and appreciation, whether for utilitarian, expressive or contemplative purposes, of goods, services, performances, information or ambience, whether purchased or not, over which the agent has some degree of discretion” (Warde 2005 pag. 137): per l’autore quindi è un fatto che “accade” nel momento dell’appropriazione del bene; per questo motivo, per comprenderlo, bisogna guardare alle pratiche, poiché è in esse che questa appropriazione si realizza. È un processo che si dispiega “nelle” e “attraverso” (…) mentre qualcos’altro viene compiuto (Hui 2012). Di conseguenza può essere ritenuto, se non una pratica parte della pratica, momento di appropriazione che avviene quasi sempre; pertanto, nel definire gli elementi, bisogna che siano considerati anche “things and their use” (Reckwitz 2002a), anche perché quasi sempre vengono coinvolti.

Secondo il tipo di coinvolgimento le pratiche possono essere distinte in dirette e indirette: le prime hanno come obiettivo principale il consumo del prodotto o servizio, le altre invece hanno una finalità diversa, ma è previsto l’utilizzo di beni e servizi a supporto dello scopo principale della pratica.