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L’esecuzione della pratica ha per risultante la produzione di valore (Arnould 2014). Nell’ambito del consumo questa considerazione prende le mosse dall’uso del prodotto. I fondatori del Service Dominant Logic (SDL), Vargo e Lush (2004), concordando con Gummesson (1998) e Gronross (2000) citano quest’ultimo riportando che “the focus of marketing should be facilitation and support a value creation process.” ma che “value creation is only possible when a good or service is used”, avendo la consapevolezza che “value can only be created with and determined by the user in the consumption process and through use […]” (Vargo e Lush 2016); quindi il valore è “tied the practice of consumption and not to offering” (Holttinen 2010) (grassetto aggiunto) perché si sostanzia attraverso le attività e i processi (Vargo e Lusch 2016): in altre parole, si “concretizza” nel compimento della pratica. Anche secondo Rai (2012) “Value formation is considered as a complex process which reflects the multidimensional nature of practices and consumer behavior within given contexts.” Shau et al (2009) affermano che venga prodotto strutturalmente, per le azioni che sono rese riproducibili e ripetibili: quindi ogni tipo di pratica implica valore. Il valore, quindi, sarebbe intriseco alla pratica.

Tuttavia, non è chiaro quali siano le sue caratteristiche: può essere determinato dalla congruenza tra gli elementi (Eckeverry e Skalen 2011) o dalla stessa anatomia (Shau et al 2009); dalle relazioni sociali che ne conseguono (Boulaire e Cova 2013), o anche dall’aumento delle occasioni di consumo (Shau et al 2009).

Nonostante l’importanza della questione in letteratura non c’è chiarezza, e il concetto resta sostanzialmente indefinito.

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2.10 Conclusioni

Attraverso la revisione della letteratura sono stati individuati i sei elementi che formano la pratica di consumo.

1) Comprensione generale: comprensione pratica e significati.

È conoscenza ad un livello più alto e non osservabile, implicita ed intellegibile, non palese. È il modo abituale di comprendere la realtà circostante, un modo codificato. Sul piano concreto si riferisce al comportamento, il fare e il dire: questa conoscenza, pregressa, determina azioni in modo inconsapevole e si manifesta come abitudini, e non è mai definita nettamente; sul piano astratto è l’abilità di riuscire a capire il senso dell’agire proprio e altrui. Il significato invece fa capo al livello dell’interpretazione, che è culturalmente e storicamente specificata.

2) Conoscenza esplicita.

Conoscenza formale manifesta. Si sostanzia in regole, procedure, prescrizioni. È un precetto e non si interpreta. È la sua attuazione che mostra il modo di compierlo correttamente. Si sostanzia in azioni applicate in modo metodico e generalizzato e che si rifanno a concetti chiari e definiti. Fornisce linee guida che indicano il corretto modo di fare, il modo appropriato di consumare un prodotto.

3) Dimensione emotiva.

Emozioni suscitate dalla pratica, in grado di condizionarne il fine. Stabiliscono l’importanza dell’agire. C’è un pattern emozionale che le appartiene, per cui i soggetti esperienzano quelle emozioni, che variano poi a seconda delle caratteristiche personali. È soprattutto il coinvolgimento emozionale che mantiene, sviluppa e rinnova le pratiche: questa dimensione causa il coinvolgimento delle persone, che così le ripetono. Se è previsto lo sviluppo o il mantenimento di relazioni, la carica emozionale è maggiore: i legami e la maggior esposizione che ne consegue amplifica il sentire, soprattutto se ci sono modelli culturali a cui aderire.

4) Attività fisica e mentale.

Azioni codificate come performance incorporate. Sono il fare e il dire. Esse sono ancorate al corpo tramite la mente. È un pattern fisico/mentale indissolubile, di cui anche il modo di pensare è appartenente alla pratica.

63 È la motivazione che fa compiere quella data pratica. Ha natura normativa: la finalità per cui viene agita prescrive ciò che bisogna porre in essere per raggiungere l’obiettivo. Maggiore è la carica emotiva ad esso congiunta, maggiore è la sua rilevanza.

6) Beni di consumo

Possono avere: 1) un ruolo centrale: il soggetto ha come principale obiettivo il loro uso e ne fa un utilizzo diretto; 2) un ruolo collaterale: il loro uso non è il principale obiettivo, tuttavia, sono necessari per compiere la pratica e se ne fa un utilizzo indiretto. Nel primo caso, lo scopo è il consumo del bene; nel secondo, il fine è un altro, ma l’uso dei prodotti è necessario per raggiungerlo. Possono essere consumati -artefatti, materiali, tecnologie e prodotti commerciali-. Anche i prodotti possono essere il centro di gravità di una pratica; possono avere capacità agentica quindi d’azione; possono costringere o abilitare, stabilire vincoli ed essere normativi di determinati comportamenti; possono avere impatto economico, sociale e culturale. Essi sono in relazione con tutte le altre dimensioni e possono influenzarle, ma ne vengono anche influenzati: hanno caratteristiche di passività per cui possono “subire” la pratica, che ascrive loro valore e significato.

Le dimensioni sono tutte fondamentali e vanno a costituire il “blocco” (Reckwitz 2002a) che ne definisce l’anatomia (Shau et al 2009).

All’esterno di quest’unità d’analisi vi sono il consumatore e il contesto socio culturale:

1) il consumatore è il suo “esecutore” (Reckwitz 2002a) e da essa viene guidato. Tuttavia, possiede caratteristiche personali e capacità d’attivazione tali per cui la pratica possa subire significative variazioni nel suo dispiegamento –la performance- (Schatzki 1996): per questo motivo se la pratica influenza il consumatore, anche il consumatore va ritenuto capace, nei limiti, di fare altrettanto.

2) il contesto socio culturale si compone di dimensioni in grado di incidere sulla pratica come “entità” -gli elementi costitutivi- e sulla pratica come “performance” –il dispiegamento- (Schatzki 1996) quali (Crivits e Paredis 2013; McCracken 1986):

 categorie culturali: genere, età classe sociale, etnia;  principi culturali: idee, valori, convinzioni;

 norme sociali;

 costumi culturali e tradizioni;

 market device (es: marketing e media);

64 Tra queste variabili ambientali troviamo anche quelle del mercato (es: marketing, advertising ecc…) che, usate sapientemente dagli attori economici, possono veicolare i (voluti) significati dal contesto (che influenza le caratteristiche della pratica) al prodotto il quale, usato nella pratica, li farà pervenire al consumatore (McCracken 1986).

Pratica di consumo Consumatore

Dimensioni socio culturali

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3 La pratica di consumo alimentare e la PT

L’alimentazione è un argomento che da sempre ha destato grande interesse: le caratteristiche materiali e simboliche del cibo hanno fatto sì che diventasse oggetto di ricerca in svariati campi. Tra le discipline che hanno dato i maggiori contributi, per natura o priorità, sono da annoverare l’agricoltura, la farmacologia, la medicina, la nutrizione, l’economia, la psicologia, il marketing e le scienze socio culturali (Warde 2014); tuttavia, l’elenco potrebbe essere assai più lungo. Oggi la “food explosion” (Stajcic 2013) sta caratterizzando soprattutto il sistema mediatico.

Il cibo è infatti diventato soggetto privilegiato di programmi televisivi, riviste e canali tematici, trasformandosi in argomento di conversazione ed interesse quotidiano (Rousseau 2012), al di là della mera necessità fisiologica; anche gli scrittori professionisti stanno contribuendo a tale successo (Warde 2014).

A livello accademico, invece, la ricerca si è tipicamente polarizzata su due prospettive: una interessata agli aspetti razionali e oggettivi -come nell’economia politica con gli agri-food studies-, l’altra invece a quelli simbolici e culturali -alla quale tipicamente si riconduce l’area dei food studies- al cui interno si incontrano scienze socio culturali e umanistiche.

In genere, gli argomenti più battuti dalle scienze sociali riguardano prodotti, produzione e fornitura (Warde 2014), anche se è innegabile un certo interesse per il consumo. I primi tentativi a riguardo sono riconducibili all’esperienza, ai temi della manipolazione e controllo da parte dei service provider -nello specifico all’influenza dei ristoratori sui consumatori (Campbell-Smith 1967)- capaci di determinare la soddisfazione del cliente o di modellare la socialità che tipicamente si innesca durante la fruizione del servizio (Wood 1995; Filkenstein 1989). Ad oggi, l’aspetto più studiato è comunque quello simbolico e culturale, relativamente al quale lo scenario è ancora molto ampio e confuso (Warde 2016).

Ciò è dovuto anche alla mancanza di una “Theory of Eating”, come sottolineato da Warde (2014) in “The practice of eating”. Egli riconosce tale carenza (anche) negli ambiti tipicamente più interessati al food: pertanto l’autore presenta e promuove un approccio teorico, basato sulla PT. La Practice Theory indubbiamente possiede caratteristiche tali da poter essere paradigma di riferimento per lo studio delle pratiche alimentari; tuttavia, nonostante le sue evidenti potenzialità, solo di recente sono stati presentati lavori strutturati a riguardo. Inoltre, non sono state proposte valide alternative.

66 Un primo approccio al food consumption è “Sociology of food consumption” di Holm (2013) in “Handbook of Food Reseach” (Murcott, Belasco e Jackson 2013). È una rassegna che cerca di dar senso ai contributi più recenti di una sociologia che guardi al consumo come pratica. Tuttavia, il “practice theoretical framework” sul quale poggia è molto generico: questo perché il fine principale della revisione è quello di prendere le distanze dai classici focus di ricerca proposti dall’economia e dalla psicologia (Warde 2014); Holm infatti non offre un’alternativa teorica, ma solo organizza la produzione scientifica secondo criteri diversi; viene presentata una conoscenza che si sta consolidando in direzione del momento di consumo; però l’autrice si focalizza sull’analisi dei meal pattern, comparazioni spazio e tempo, convivialità e family meal, differenziazione sociale, disposizione e preferenze; esamina il ruolo dell’habitus, delle maniere e regole di ospitalità; raccoglie i contributi sociologici su: origine delle preferenze, organizzazione e importanza del contesto sociale, comportamenti e ruolo del cibo per mantenere le relazioni; nel far ciò attinge dalla più generica sociologia dei consumi (Sassatelli 2007).

La raccolta The Practice of the Meal: Food, Families and the Market Place di Cappellini, Marshall e Parsons (2016) è invece il tentativo reale di confezionare un lavoro che si basi espressamente sui principi della PT. È sistematica ed organica e molto più analitica.

Il volume elegge il pasto ad unità d’analisi; la pratica viene esplorata in base ad una modellizzazione che la vede composta da quattro sub unità: acquisizione, appropriazione, apprezzamento e eliminazione; la raccolta guarda quindi all’insieme delle (sub) pratiche, implicate nel consumo della cena; l’obiettivo è comprendere come siano influenzate dal mercato, come i produttori e i distributori le guidino e come il consumatore reagisca. Di chiara ispirazione socio culturale, il lavoro si rifà ad una più ampia gamma di discipline, come il marketing e il consumer behaviour, per cui viene analizzato il ruolo del mercato, l’interpretazione dei suoi discorsi da parte dei consumatori e la loro interazione con esso.

Le ricerche presentate sono suddivise e mostrate in successione, dall’acquisto all’eliminazione, in considerazione di una pratica di consumo che si realizza in un ambiente domestico e relativa al nucleo famigliare.

Anche l’esame delle principali riviste di riferimento (es: Journal of Consumer Culture;

Consumption Markets & Culture) conferma quanto sia recente il binomio PT/food

consumption: la maggior parte delle ricerche sull’alimentare è succesiva al 2010; pure in questo caso la pratica è stata studiata in prevalenza nell’ambiente domestico, rimarcando

67 la considerazione essenzialmente famigliare (Warde e Martens 2000) che si ha dell’eating; il fuori casa invece trova di gran lunga meno riscontro.

Nell’insieme, la letteratura esaminata (Tab 1) mostra due trend di base: uno si caratterizza per gli aspetti socio culturali mentre l’altro per l’interesse agli aspetti materiali.