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PRODOTTI AGROALIMENTAR

2.7 L’ETICHETTATURA E I PRODOTTI A DENOMINAZIONE DI ORIGINE: ALCUNE CONSIDERAZION

Nelle relazioni di mercato l’etichettatura dei prodotti alimentari svolge la funzione di rendere conoscibile la natura e le caratteristiche del bene, veicolando una serie di informazioni utili che permettono al consumatore sia una scelta corretta (sotto il profilo nutrizionale, etc.), sia la possibilità di comparare gli alimenti anche in ordine alla loro qualità e al loro prezzo [6]. La decisione di acquisto del consumatore dipende infatti, anche dalle modalità di percezione delle informazioni in suo possesso, modalità che a loro volta sono legate all’apprendimento dei diversi elementi che rilevano in merito alla qualità del prodotto[17].

In questo processo di apprendimento e di percezione l’etichetta assume un ruolo fondamentale, finendo per incidere sugli aspetti più importanti del mercato, ovvero sulla libera circolazione dei prodotti e sulle condizioni di concorrenza. In tal senso essa finisce con l’acquisire la qualificazione di “regola tecnica” ovvero di regola adottata dai pubblici poteri, e come tale obbligatoria, che ha come fine la disciplina delle modalità di produzione e commercializzazione degli alimenti.

Su questo terreno l’UE è dovuta intervenire per armonizzare la disciplina degli Stati membri e rimuovere gli ostacoli tecnici agli scambi. Va tuttavia sottolineato che l’intervento in tale materia è abbastanza complesso in quanto le informazioni commerciali espresse nell’etichetta possono essere sia di tipo obbligatorio (e gravano su tutti coloro che offrono il bene sul mercato) sia di tipo volontario spesso informazioni che il produttore segnala al pubblico, fondamentalmente per acquisire clientela, “evocando” (più che rappresentando oggettivamente) qualità che inducano a scegliere quel determinato prodotto e non un altro.

Tenuto conto della necessità dell’armonizzazione delle indicazioni da riportare sull’etichetta dei prodotti alimentari, la UE ha emanato a più riprese diverse norme che hanno portato alla Direttiva CE n. 2000/13 sull’etichettatura, la presentazione e la pubblicità. Si tratta di una normativa di tipo orizzontale che interessa tutti i prodotti alimentari e che ha cercato di superare l’asimmetria informativa che affligge i consumatori, che certo non sono in grado di accollarsi i costi per procurarsi le informazioni necessarie a conoscere l’esistenza di più produttori di quell’alimento, delle clausole contrattuali, della presenza o assenza di determinati ingredienti, e così via [6].

Secondo tale Direttiva per etichettatura di un prodotto alimentare s’intende: “l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di

fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo, o sui documenti di

L’attuazione di tale direttiva nell’ordinamento nazionale è avvenuta con il D.lgs. n.181/03 che ha introdotto sostanziali modifiche ed integrazioni al precedente D.lgs. n. 109/92. Per inciso va precisato che tra le finalità della revisione della normativa in materia vi era anche quella di evitare confusioni con le norme di tipo prettamente sanitario [18]. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 401/92, aveva, infatti, riconosciuto la preminente natura commerciale delle norme in materia, in quanto non attinenti alla protezione della salute ma alla protezione degli interessi dei consumatori diversi da quelli igienico-sanitari.

La normativa in materia di etichettatura, di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, quindi, è finalizzata ad assicurare: a) la protezione degli interessi dei consumatori attraverso una corretta informazione;b) la correttezza delle operazioni commerciali;c) la libera circolazione dei prodotti alimentari all’interno dell’UE.

L'etichettatura dei prodotti alimentari deve riportare, come già anticipato,alcune menzioni obbligatorie. Queste, devono essere facilmente comprensibili e visibili, chiaramente leggibili e indelebili. Le indicazioni obbligatorie comprendono:la denominazione di vendita;l’elenco degli ingredienti; la quantità di ciascun ingrediente o ciascuna categoria di ingredienti espressa in percentuale; la quantità netta espressa in unità di volume per i prodotti liquidi e in unità di massa per gli altri prodotti; il termine minimo di conservazione. Nel caso di prodotti alimentari rapidamente deperibili, il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza;le condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione;il nome o la ragione sociale e l'indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella Comunità; il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore;le istruzioni per l’uso devono essere indicate in modo tale da consentire un uso appropriato del prodotto alimentare e l’indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2 % in volume.

Sotto il profilo più generale, in quanto legata al contenuto essenziale degli obblighi informativi inerenti ai prodotti (sicurezza, composizione e qualità), il D.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 Codice del

consumo, a norma dell’art. 7 della Legge n. 229/03, ha disposto, d’altra parte, l’estensione della stessa nozione di consumatore, ai sensi dell’art. 5, fino a comprendere “anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali” precisando che esse devono risultare adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile così da favorire la consapevolezza dei relativi diritti [17].

Sul piano dell’informazione ai consumatori assume significativo rilievo ai fini del presente lavoro la questione dell’apposizione, in etichetta, della dicitura riguardante il luogo di origine o di provenienza

(geografica) del prodotto, apposizione che nell’ordinamento comunitario

è lasciata, sotto certi aspetti, alla discrezionalità del produttore in quanto giuridicamente non vincolata [17]. Laddove, infatti, si è avvertita la necessità di rendere obbligatoria l’origine geografica, la Commissione Europea, ne ha previsto l’indicazione solo per i prodotti freschi, quali ortofrutticoli, prodotti ittici, carne bovine, miele, oli extravergini di oliva; tale obbligatorietà non è stata mai affermata invece per i prodotti trasformati [29]. In effetti l’obbligo di indicare sempre il paese di origine, in assenza di particolari necessità, potrebbe configurarsi per certi versi anche una forma di discriminazione commerciale.

Va comunque premesso che il termine “origine” dei prodotti agroalimentari è rimasto non del tutto definito e privo di un univoco significato sotto il profilo giuridico [30]. In questo campo dottrina e giurisprudenza non sono pervenute a risultati condivisi, neppure in paesi che vantano una tradizione in prodotti di territorio. Inoltre, rimane ancora irrisolta la distinzione tra le due indicazioni: origine e provenienza. In generale, potrebbe proporsi una distinzione di stampo semantico nella quale il primo termine indicherebbe un legame di casualità tra il territorio e le caratteristiche del prodotto [30] ed il termine “origine” esprimerebbe, così in senso complessivo, proprio il collegamento tra un prodotto ed un territorio [6]; per converso la “provenienza” esprimerebbe la semplice indicazione del luogo geografico da cui arriva un prodotto, senza alcuna implicazione tra le caratteristiche del prodotto e tale provenienza [30]. La stessa normativa comunitaria, pur essendo intervenuta più volte nella regolamentazione degli scambi, nel corso degli anni, non offre

indicazioni omogenee propone le indicazioni “origine” e “provenienza” come diciture equivalenti [29].

La parola “origine” conserva nella normativa comunitaria la sua natura di nome con significato polisenso [6]. Basterà ricordare, in tal senso, alcune disposizioni [30]. Ad esempio la Direttiva CEE n. 79/112 sulla etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari, (ora sostituita dalla Direttiva CEE n. 2000/13) utilizza genericamente la formula origine o provenienza senza specificarne il contenuto pur insistendo sull’esigenza di non indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. Un altro caso significativo è la Direttiva CEE n. 84/450, sulla pubblicità ingannevole e comparativa, (poi sostituita dalla Direttiva CEE n. 2006/114) che fa riferimento alla origine geografica o commerciale, confermando la possibile natura polisenso del termine riferibile sia ad un territorio che ad un’impresa;Infine la Direttiva CEE n. 89/104 sui marchi (poi sostituita dalla Direttiva CE n.2008/95) la quale non fa menzione specifica dell’origine, ma utilizza l’espressione provenienza geografica del prodotto o del servizio, attribuendogli un significato territoriale (e non riferendola all’impresa).

Probabilmente la scelta di non sciogliere l’ambiguità sopra segnalata in materia di origine e/o provenienza non è casuale e né può essere liquidata come frutto di cattiva tecnica legislativa [30].

In questo quadro comunitario, complesso, articolato ed attraversato da linee evolutive significative, si inseriscono le iniziative del Parlamento italiano che sono state oggetto di continue censure comunitarie [30]. Infatti occorre prendere atto dell’insuccesso di una serie di provvedimenti legislativi, intesi ad introdurre una disciplina di generale applicazione in tema di comunicazione al consumatore dell’origine dei prodotti, non solo agricoli e alimentari.

A titolo di esempio si può qui ricordare la cosiddetta legge finanziaria 2004 (Legge del 24/12/2003 n. 350) che ha disposto: “L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la

commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del

Codice penale”,precisando che “Costituisce falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di

origine italiana”, e che “Le fattispecie sono commesse sin dalla

presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in

consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio”.

La norma così introdotta ha operato secondo una logica additiva, con il dichiarato fine di espandere le fattispecie di rilevanza penale disciplinate dall’art. 517 del Codice penale, ma ha omesso di affrontare il problema, decisivo, della definizione di cosa debba intendersi per provenienza e per origine di un prodotto. La Corte di cassazione con diverse sentenze (n.3352 del 21 ottobre 2004-2 febbraio 2005 e sentenza n. 13712 del 17 febbraio – 14 aprile 2005) ha di fatto confermato l’inadeguatezza degli interventi legislativi di tipo additivo e non sistematici, ma per altro verso ha evidenziato possibili distinzioni tra prodotti industriali e prodotti agricoli e alimentari [30].

Con la sentenza n. 13712 del 17 febbraio 2005 depositata il 14 aprile 2005 della Corte di cassazione si è, difatto, introdotto una distinzione tra prodotti industriali in ordine dei quali ha ribadito che per “origine del prodotto deve intendersi la sua origine imprenditoriale, cioè la sua fabbricazione da parte di un imprenditore che assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo produttivo” e prodotti agricole e alimentari che “sono identificabili in relazione all’origine geografica. La cui qualità essenzialmente dipende dall’ambiente naturale e umano in cui sono coltivati, trasformati e prodotti”per tali intendendo quelli di cui al Regolamento (CEE) n.2081/92, in riferimento ai quali “per origine del prodotto deve intendersi propriamente la sua origine geografica e territoriale”.Vale a dire – secondo la Corte – che per i prodotti agricoli e alimentari l’origine geografica rileverebbe soltanto in quanto riconosciuta come elemento connotante del prodotto alla stregua di una specifica normativa, quale

quella comunitaria sui prodotti DOP e IGP. Al contrario, per la generalità dei prodotti non beneficiari di riconoscimento ai sensi del Regolamento (CEE) n. 2081/92 (ora sostituito, come illustrato in precedenza, dal Regolamento (CE) n. 510/06), viene implicitamente negato rilievo all’origine territoriale.

Esiti analoghi d’irrilevanza sono derivati da un’altra iniziativa legislativa, la Legge n. 204/2004, di conversione di un decreto legge, che andava a disciplinare la dichiarazione di origine nell’etichettatura dei prodotti alimentari ed a legare tale indicazione a quella dell’origine della materia prima agricola impiegata [30]. Il criterio così adottato determinava evidentemente una valorizzazione, all’interno della filiera agroalimentare e nella comunicazione sul mercato, della componente agricola. Questo criterio ha suscitato, le critiche delle imprese di trasformazione alimentare che, con l’adozione di un unico canone di origine - identico per i prodotti trasformati e per quelli non trasformati, e basato esclusivamente sulla materia prima - vedevano gravemente svalutato il ruolo attribuito al “saper fare” ed alla fase della trasformazione. Su questa norma comunque è intervenuta poi la censura comunitaria per violazione dell’art. 28 del Trattato, che ha fatto sì che la nuova normativa non trovasse alcuna applicazione.

Ulteriori episodi di confronto tra innovazione legislativa ed interpretazione del giudice di legittimità, si sono verificati dopo il 2005 accrescendo le incertezze sul tema dell’origine [30]. L’inadeguatezza di interventi di regolazione singolari e meramente additivi, dunque, se per un verso ha lasciato aperto il problema della ricerca di risposte adeguate, per altro verso sollecita all’indagine circa possibili strumenti giuridici di valorizzazione della qualità degli alimenti, che superino al ristretta area dei prodotti già beneficiari del riconoscimento di una DOP o di una IGP, e che siano idonei a comunicare sul mercato insieme l’origine dei prodotti e la loro qualità intrinseca [3].

La vicenda evolutiva della disciplina sull’origine con specifico riferimento alle peculiarità dei prodotti alimentari ha infine visto l’emanazione della Legge n.4/2011recante “disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari”, volta a rafforzare la

qualità e la tracciabilità dei prodotti agroalimentari, nonché a garantire una maggiore tutela dalle contraffazionianche aumentando le informazioni indirizzate al consumatore. E’ in particolare su quest’ultimo punto che la Commissione Europea ha sollevato alcune perplessità in merito alla sua compatibilità con le norme che regolano il mercato europeo [19].

L’etichettatura degli alimenti attiene alle competenze comunitarie [29] e gli Stati membri possono legiferare in materia in due casi: definizione delle denominazioni di vendita (in quanto la denominazione di vendita è quella prevista dalle norme vigenti nel Paese di commercializzazione del prodotto) e modalità di vendita dei prodotti non preconfezionati (in quanto non riguardano la circolazione comunitaria – art. 16 del D.lgvo n. 109/92). Negli altri casi (ingredienti, quantità nominali periodo di validità, origine e provenienza, etc.) è competente la Commissione con proprie proposte di regolamento o di direttiva. Nel caso in cui l’Italia intende adottare norme specifiche è tenuta comunque a rispettare la procedura di notifica di cui alla Direttiva CE n. 98/34 (trasmettere, cioè alla Commissione, tramite l’ufficio competente, la proposta allo stato di progetto) In tutti i casi occorre attendere, comunque, il completamento dell’iter procedurale.

Nel caso di specie il legislatore italiano ha stabilito nuove regole obbligatorie sull’indicazione di origine, ignorando volutamente la competenza esclusiva dell’UE in materia di etichettatura. L’Italia, come gli altri Stati membri, può intervenire entro un ristrettissimo spazio, al fine di completare il quadro giuridico delle direttive comunitarie. E’ in questo spazio che si è mosso il nostro Paese seguendo le indicazioni dell’art. 4 della Direttiva CE n. 2000/13 che consente di legiferare circa le altre indicazioni non comprese tra quelle previste all’art. 3, anche se, in tal caso, si sarebbe dovuta osservare la procedura di notifica.

La legge n. 4 del 3 febbraio 2011 si compone di sette articoli dei quali quelli che fanno riferimento all’origine geografica sono gli artt. 4 e 5. Il primo stabilisce, al 1° comma, che è obbligatorio riportare sull’etichettatura dei “prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati (quindi su tutti i prodotti

alimentari preconfezionati sul cui packaging sia apposta una etichetta) […] l’indicazione del luogo di origine o di provenienza” del prodotto stesso, vale a dire del luogo dove il prodotto è stato realizzato o quello di partenza di esso situato lungo un percorso geografico [20]. In particolare, per i prodotti alimentari non trasformati (cioè per i prodotti agricoli) l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese, cioè lo Stato, di produzione dei prodotti. Invece, per i prodotti alimentari trasformati l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale ed occorre altresì indicare il luogo di coltivazione o di allevamento (se si tratta di carni di animali) della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti alimentari trasformati (2° comma).

Le modalità attuative delle indicazioni in tema di etichettatura vengono demandate alla emanazione di appositi decreti da parte del Mi.P.A.A.F. e dello Sviluppo Economico, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni previo espletamento della procedura prevista dal paragrafo 2 dell’art. 4 e dall’art. 19 della Direttiva CE n.2000/13sulla etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari e la pubblicità di essi (comma 3°) [20].

Il comma 12 dell’art. 4 della legge prescrive che “Gli obblighi stabiliti

dal presente articolo hanno effetto decorsi novanta giorni dalla data di

entrata in vigore dei decreti ministeriali”. Questo comma è di grande

importanza perché chiarisce che gli articoli relativi all’etichettatura non entreranno mai in vigore, in assenza dei suddetti decreti ministeriali [29]. Nel successivo art. 5 è poi previsto che l’omissione delle informazioni relative al luogo di origine o di provenienza delle materie prime integra una ipotesi di pratica commerciale ingannevole ai sensi dell’art.22 del codice del consumo, di cui al d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, atteso che si tratta di informazioni finalizzate a non indurre in errore il consumatore.

SEZIONE

II

GLI

ORGANI

DI

CONTROLLO

E

CAPITOLO 3- I CONTROLLI NEL SETTORE