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PRODOTTI AGROALIMENTAR

2.3 LE FUNZIONI DI GARANZIA SVOLTE DAL MARCHIO Il marchio è un qualunque segno distintivo capace di riconnettere

2.3.1 I TIPI DI MARCHIO

2.3.1.1 MARCHIO D’IMPRESA

L'Art. 7 del Codice della Proprietà Industriale precisa che “Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese”.

Il marchio d’impresa, dunque, può essere classificato, in relazione ai contenuti, come denominativo (parole di fantasia); figurativo (emblemi, colori o rappresentazioni elaborate come disegni); complesso (elementi figurativi e denominativi); sonoro (sigla di programmi radiotelevisivi); olfattivo (odore riproducibile attraverso formula chimica o composizione galenica) [17].

Affinché uno dei segni sopra indicati possa essere validamente registratocome marchio ènecessario che esso abbia i seguenti requisiti: a) novità (art. 12 del Codice della Proprietà Industriale): va intesa come l’assenza sul mercato di prodotti o servizi contraddistinti da segnouguale o simile. La novità peraltro non difetta qualora il marchio precedente siascaduto da oltre due anni (tre se trattasi di un marchio collettivo) o sia

decaduto per mancato uso ultra quinquennale [25]. La novità costituisce un limite alla appropriabilità del segno in termini relativi e, cioè, con riguardo all’esistenza di diritti anteriori altrui [17].

b) capacità distintiva(art. 13 del Codice della Proprietà Industriale): è la capacità di distinguere un prodotto o servizio da quello di altri [25]. In particolare non possono essere oggetto di registrazione come marchi quei segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o quelli costituiti esclusivamente da denominazioni generiche dei prodotti o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono: come ad esempio, i segni che in commercio siano diretti a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, l’epoca di fabbricazione, o altre caratteristiche del prodotto [17].

c) liceità (art.14 del Codice della Proprietà Industriale): ovvero la non contrarietà alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume e, soprattutto, la non idoneità a trarre in inganno i consumatori sulla provenienza geografica, sulle caratteristiche e le qualità dei relativi prodotti e servizi [25].

Con riguardo alla determinazione del contenuto del diritto (art.20 del Codice della Proprietà Industriale), che attribuisce al titolare l’uso

esclusivo del segno - vietando a terzi, salvo il suo consenso (art. 21),

l’adozione e l’uso esclusivo di esso o di altri segni in qualche modo ad esso riconducibile - occorre, quindi, procedere al giudizio di

confondibilità (art. 22 ) attraverso il quale, di norma, si tiene conto

dell’impressione d’assieme ricavabile dal raffronto tra un segno ed il ricordo dell’altro, non essendo necessario un esame contestuale dei due segni posti a raffronto, da parte di un consumatore di media attenzione e diligenza [17]. La questione è se, nel definire la sfera di rilevanza del marchio, si debba avere riguardo (in astratto) al contenuto della registrazione o assumono rilevanza (in concreto) elementi suggestivi estranei al marchio e dipendenti dall’uso effettivo del marchio stesso, anche al di là di ogni affinità tra i prodotti contraddistinti per la loro destinazione alla stessa clientela ed alla soddisfazione degli stessi bisogni.

Su questo punto assumono rilievo le caratteristiche del prodotto che il segno dovrebbe “garantire” [23]partendo dalle funzioni di garanzia svolte dal marchio stesso. In linea generale non ci si dovrebbe solo limitare alla sola prospettiva industrialistica in cui il consumatore si attende che la presenza di alcune caratteristiche peculiari del prodotto siano connotate solo da quel segno, e che, quindi, l’utilizzazione del segno medesimo su prodotti privi di queste caratteristiche risulti contraria alla funzione di garanzia e quindi illecita. E’ certamente vero che l’acquisizione fin dal momento del deposito di un diritto esclusivo agevola la percezione del segno in funzione distintiva della provenienza dei prodotti che l’imprenditore titolare può legittimamente commercializzare. Va però considerato il fatto che il segno possa identificare caratteristiche del prodotto del tutto indipendenti dalla percezione del consumatore, magari caratteristiche ignote a quest’ultimo o irrilevanti nella sua decisione di acquisto, o addirittura diverse da quelle attese. Quest’ultima prospettiva è perciò spesso implicitamente scartata a favore di una logica industrialistica. In altri termini il legislatore tenderebbe a garantire, nella disciplina dei segni, tutte e le sole informazioni su cui i consumatori fanno affidamento al momento di adottare una decisione di acquisto. La funzione di garanzia del marchio risulterebbe cioè completamente perduta in un sistema che tutelasse il segno solo in base ad una pura e semplice registrazione, e che continuasse a tutelarlo indefinitivamente e indipendentemente dalla sua concreta percezione da parte del consumatore in funzione distintiva.

Una conclusione del genere però è troppo semplicistica. Si tratta, infatti, di scelte non imposte da ipotetiche funzioni di garanzia che i segni dovrebbero svolgere presso i consumatori; piuttosto l’accoglimento di una o altra soluzione dipende dalla verifica delle intenzioni politiche sottostanti alla (eventuale) volontà dell’ordinamento di proteggere i segni distintivi ed agli obiettivi di armonizzazione a livello comunitario o internazionale. Tali aspetti si ampliano ulteriormente quando si vanno a considerare le indicazioni geografiche. A riprova di tutto ciò rilevanti indicazioni vengono dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, che ha l’ultima parola, in caso di impugnazione da parte di

qualsiasi soggetto deputato a farlo - dei provvedimenti della Commissione, Corte le cui sentenze vanno a normare punti delle leggi che necessitano di interpretazione.

Nel sistema dei marchi la funzione di garanzia tradizionale non si regge solo sulla presenza delle norme che subordinano la protezione alla effettiva percezione del segno nel suo significato distintivo da parte dei consumatori, ma anche sul mantenimento di questa percezione (uso del marchio entro cinque anni dalla registrazione, rinnovo della registrazione e volgarizzazione del marchio). I diritti nascenti dalla registrazione del marchio durano dieci anni dalla data dipresentazione della domanda [25]; la registrazione può essere rinnovata per periodidecennali per lo stesso marchio, con riguardo allo stesso genere diprodotti o servizi ovvero per una parte dei prodotti o dei servizi coperti dallaprecedente registrazione, purché la domanda sia presentata entro i dodici mesi precedenti alla scadenza deldecennio in corso, o nei sei mesi successivi al mese di scadenza.

La mancanza di capacità distintiva e dei requisiti di novità, liceità e non decettività comporta l’accertamento di nullità previsto dall’art. 24 del Codice della Proprietà Industriale.

Diverso è l’accertamento di decadenza(art. 25), che può essere invocato oltre che nel caso di mancato uso anche a causa della cosiddetta

volgarizzazione, che si verifica quando un marchio, originariamente

dotato di capacità distintiva, sia divenuto denominazione generica di un prodotto [17]. Esistono numerosi esempi di “caduta” di un marchio in dominio pubblico, in quanto l’espressione utilizzata ha finito per diventare una denominazione corrente del prodotto, ad esempio il “sapone di Marsiglia” e “l’acqua di colonia”. Al contrario, può accadere che un segno originariamente privo di capacità distintiva, in seguito all’uso che ne sia stato fatto da parte del titolare ed all’evolversi del suo significato nel tempo e/o grazie a efficaci strategie di comunicazione, perda il proprio carattere di denominazione generica per acquisire, nella opinione pubblica, quello di segno distintivo della provenienza del prodotto da una data impresa (in questi casi si parla di:

marca di cioccolato Milka; l’iniziale marchio di colore “lilla” nella classe del cioccolato, grazie ad un’idonea campagna di comunicazione e marketing, oggi differenzia il cioccolato Milka da prodotti similari). Le questioni fin qui illustrate trovano numerosi riscontri, specie a livello europeo, nel caso del mercato alimentare [6], dove sono ampiamente presenti, ad esempio, i problemi della “volgarizzazione” del segno; dove si rilevano vari casi nei quali la grafia o il suono del segno possono non apparire diversi nelle differenti lingue dei Paesi dell’Unione; dove si rilevano criticità connesse all’apposizione ad un prodotto, da parte dell’imprenditore di uno Stato membro, di un segno “affine” a quello di cui già gode un analogo prodotto nel mercato europeo. Va inoltre analizzato, nell’ambito dei problemi in esame, il divieto di registrazione di un marchio d’impresa che indica l’indicazione d’origine del prodotto in riferimento alle ipotesi del marchio geografico. E va infine considerato che la disciplina della circolazione del marchio si presenta diversa a seconda che si tratti del segno di prodotti agricoli rispetto a quello dei prodotti industriali.

Procedendo con ordine, per quanto concerne la volgarizzazione, va in primo luogo rilevato che l’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale stigmatizza la distinzione tra marchio – che non può descrivere (ma può rappresentare) il prodotto - e denominazione merceologica. Nel mercato ogni prodotto è identificato dalla sua denominazione merceologica nonché dal nome specifico (il marchio) che il produttore gli ha dato per distinguerlo dagli altri prodotti. Quando, per l’uso che ne fa la gente, il marchio da nome specifico diventa in pratica il nome generico dell’intera categoria di prodotti la perdita di distintività del segno che ne consegue provoca la decadenza del diritto di utilizzarlo in via esclusiva. Esempi di volgarizzazione sono riportati in alcune sentenze della Corte di Giustizia, tra le quali può essere ricordata la sentenza C-371/02 del 29 aprile 2004 in cui il marchio “Bostongurka”, utilizzato per una conserva di cetrioli marinati, sia stato considerato dalla Corte stessa il nome comune di tutti i prodotti simili.

La registrazione di un vocabolo come marchio comunitario nella lingua di uno dei Paesi dell’Unione può “confondere” il consumatore di un altro

Paese, ad esempio nel caso l’espressione utilizzata appartenga al linguaggio comune o rappresenti in realtà una descrizione del prodotto, e non può essere registrata come marchio. In tal senso può essere ricordata la sentenza C-256/00 del 12 febbraio 2004 della Corte sul marchio “bio

mild” composto dai due termini bio e mild (che in olandese significa

delicato) al quale è stata negata la registrazione comunitaria poiché l’espressione complessiva assume un carattere descrittivo.

Va invece considerato nullo il marchio d’impresa che descrive l’origine del prodotto rappresentandone il luogo di produzione. Alla base di tale divieto vi è il fatto che la registrazione del segno geografico come marchio darebbe al suo titolare il diritto di utilizzare in modo esclusivo un nome che è invece patrimonio di tutti coloro che vivono e operano nel luogo esplicitato dal nome utilizzato.

L’ultima questione sulla quale è opportuno formulare qualche osservazione è quella della circolazione del marchio individuale, che si presenta diversa a seconda che si tratti di prodotti agricoli o di prodotti industriali. Per questi ultimi, ai sensi dell’art. 23 del Codice della Proprietà Industriale, è possibile considerare la circolazione del marchio anche senza l’azienda poiché è la tecnologia utilizzata (o se si vuol il

know how) ad essere l’elemento caratterizzante, che può essere ceduta

anche separatamente. I prodotti agricoli, oltre che dal know how sono caratterizzati anche dalla terra, cosicché difficilmente la circolazione del marchio di prodotti agricoli potrebbe verificarsi senza il trasferimento del terreno a cui quei prodotti sono collegati. La disciplina dei segni dei prodotti agricoli è dunque influenzata dal rilevo che la terra ha sulla produzione agricola, tanto da suggerire una specifica disciplina sui marchi costituiti da segni geografici.

E’ questa un’altra prova che le regole della qualità nell’agroalimentare presentano origine, contenuti, finalità, soggetti e sistemi di titolarità e di garanzia diversi da quelli propri di altri sistemi produttivi e di altre categorie di prodotti [3].