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Negli anni si è assistito ad un procedimento evoluzionistico legato al tema dell’appartenenza di genere: quando la Convenzione di Ginevra fu creata, nel 1951, le persecuzioni c.d. gender-based non vennero considerate optando per un’impostazione neutrale; la nozione di rifugiato che ne risultò creò non pochi problemi alle richiedenti asilo che fuggivano da situazioni non immediatamente ricollegabili a quelle descritte all’interno della Convenzione per via della natura privata della violenza subita e, a causa di tale vuoto, molti reclamarono la necessità di aggiungere un sesto motivo di persecuzione alla Convenzione: il gender. Sebbene fondata, tale proposta sarebbe di difficile attuazione alla luce del complicato procedimento di modifica del contenuto convenzionale in un contesto di realtà politiche poco inclini a favorire un’espansione della protezione internazionale e flussi migratori in costante aumento, di conseguenza un’interpretazione estensiva della nozione di rifugiato sarebbe la soluzione più diretta per superare le difficoltà vissute dalle richiedenti asilo. Negli anni la comunità internazionale ha aumentato gli sforzi nella lotta contro la violenza di genere e nel 2003 sono state adottate dall’ACNUR le Guidelines for Prevention and Response, che sin dai primi capitoli sottolineano il collegamento tra la protezione dei rifugiati dalla violenza di genere e la tutela dei diritti umani:

«Human rights are universal, inalienable, indivisible, interconnected and interdependent. Every individual, without regard to race, colour, sex, language, religion, political or other opinion, national or social origin, property, birth or status, is entitled to the respect, protection, exercise and enjoyment of all the fundamental human rights and freedoms. States are obliged to ensure the equal enjoyment of all economic, social, cultural, civil and political rights for women and men, girls and

boys. Acts of sexual and gender-based violence violate a number of human rights principles enshrined in international human rights instruments»250.

Anche le ONG hanno lavorato in parallelo elaborando i propri piani programmatici di risposta e sviluppando aree di expertise in diversi settori, dall’assistenza psicologica all’emergenza di tipo sanitario, educativo e di empowerment femminile nelle diverse parti del mondo, lavoro questo portato avanti in coordinamento con la Women’s Refugee

Commission, che nel 2006 ha elaborato un rapporto indicante i principali

rischi corsi dalle donne rifugiate e sfollate con possibili soluzioni e risorse da impiegare. Nello stesso anno, sulla base di tali risultati, l’Executive Committee ha adottato le Conclusions on Women and Girls at

Risk con strategie dettagliate per prevenire violenze e individuare

risposte251 e nel 2008 è stato rilasciato l’Handbook for the Protection of

Women and Girls, ultimo risultato dell’attivismo dell’ACNUR in senso gender-sensitive, dove sono state riportate le considerazioni più recenti

sul tema partendo da alcuni presupposti:

«• women’s and girls’ rights are human rights;

• gender equality and the empowerment of women and girls are essential preconditions for development, peace, and security;

• violence against women and girls, whether in private or public life, is a grievous violation of human rights and a serious impediment to enjoyment of other rights;

• rape and other forms of violence against women and girls can constitute war crimes and crimes against humanity; and

250 UNHCR, Sexual and Gender-Based Violence Against Refugees, Returnees and

Internally Displaced Persons. Guidelines for Prevention and Response, maggio 2003,

http://www.refworld.org, p.8, reperibile on line

251 D.BUSCHER, Refugee Women: Twenty Years On, in Refugee Survey Quarterly. 2010, Vol.29 n. 2, p. 11

• women’s and girls’ enjoyment of specific rights, such as their rights to education, health or land and housing, require targeted action to ensure their realization on an equal basis to men and boys»252.

L’Handbook ha affrontato tutti gli aspetti emersi sin dai primi anni di attivismo per ottenere un’estensione della nozione in senso gender-

sensitive, dalla protezione alla partecipazione, toccando anche il tema

della sensibilizzazione di uomini e ragazzi sui problemi di discriminazione di genere. La valutazione delle iniziative intraprese sul tema delle donne è di difficile attuazione, sono aumentati i programmi volti a favorirne la partecipazione in ambito di programmazione e staff e nelle richieste d’asilo, è stata data maggiore attenzione alle specifiche necessità delle richiedenti dal punto di vista dei documenti, sempre più concessi su base individuale e non familiare, come pure nelle misure organizzazione, accoglienza e interviste; tuttavia sono necessari ulteriori sforzi per raggiungere una completa implementazione delle indicazioni delle Guidelines e assicurare una totale garanzia di eguaglianza nell’ambito del procedimento di riconoscimento. Data la stretta connessione tra la tutela dei diritti umani e la protezione internazionale, accentuare gli sforzi verso una più estesa interpretazione del quadro normativo offerto dalla Convenzione di Ginevra è senz’altro da ritenere una valida attività per il prossimo futuro. Si tratta di un processo volto a fornire un’interpretazione gender-sensitive della nozione di rifugiato e in particolare dei grounds, attività tutt’ora in corso e, alla luce delle pronunce difformi elaborate da alcune corti nazionali, si presume che serva ancora del tempo per raggiungere una completa eguaglianza di genere sul tema del diritto d’asilo.

252 UNHCR, Handbook for the Protection of Women and Girls, 2008, p. 21 http:// www.unhcr.org, reperibile on line

CAPITOLO IV

LA CONVENZIONE DI ROMA DEL 1950 E LA PROTEZIONE PAR RICOCHET

4.1 Considerazioni preliminari

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU)253 è stata firmata a Roma il 4 novembre

1950 ed è entrata in vigore il 3 settembre dello stesso anno. Essa non contiene alcuna norma avente ad oggetto il diritto d’asilo o la tutela degli stranieri in caso di misure di allontanamento suscettibili di determinare persecuzione o gravi violazioni dei diritti fondamentali254 poiché la

Convenzione di Ginevra al tempo era ritenuta lo strumento più completo ed efficace in materia255. La differenza rispetto agli altri trattati sui diritti

umani è evidente: l’articolo 14 della Dichiarazione Universale, infatti, stabilisce che «[o]gni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni [...]»256, mentre l’art. 3, par. 1 della

Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti afferma che «[n]essuno Stato Parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura [...]»257.

Neppure i tentativi finalizzati a inserire una norma sul diritto d’asilo nel Secondo protocollo della CEDU ebbero successo; la proposta fu formulata dall’Assemblea parlamentare tramite la Raccomandazione n.

253 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, entrata in vigore il 3 settembre 1950 254 A.SACCUCCI Diritto di asilo e Convenzione europea dei diritti umani, in C.FAVILLI (a cura di), Procedure e garanzie del diritto d’asilo, Padova, 2011, p. 148

255 N.MOLE,C.MEREDITH, Asylum and the European Convention on Human Rights, Council of Europe Publishing, p. 8

256 Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata e proclamata il 10 dicembre 1948, art. 14

257 Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata il 10 dicembre 1948

293 del 26 settembre 1961, intitolata Right of asylum,258. Si richiedeva

l’inserimento nel Protocollo di un articolo riguardante il diritto d’asilo, richiamandosi alla Raccomandazione n. 234 del 1960 relativa alla conclusione del Secondo protocollo alla CEDU 259:

«1. Everyone has the tight to seek and to enjoy in the territories of High Contracting Parties asylum from persecution.

2. This right may not be invoked in the case of prosecutions genuinely arising from non-political offences.

3. No one seeking or enjoying asylum in accordance with paragraphs 1 and 2 of this Article shall, except for overriding reasons of national security or safeguarding of the population, be subjected to measures such as rejection at the frontier, return or expulsion which would result in compelling him to return to or remain in a territory if there is wellfounded fear of persecution endangering his life, physical integrity or liberty in that territory.

4. If a High Contracting Party rejects, returns or expels a person seeking or enjoying asylum in accordance with paragraphs 1 and 2 of this Article, it shall allow such person a reasonable period and the necessary facilities to obtain admission into another country» 260.

Il Comitato di esperti incaricato di analizzare la bozza presentata dall’Assemblea parlamentare nella raccomandazione n. 234 ritenne il problema tanto complesso da renderne impossibile una considerazione esaustiva nel breve periodo e il Protocollo fu adottato senza alcun riferimento al diritto d’asilo. Ad ogni modo, alcune garanzie in tema di espulsione degli stranieri sono ora espressamente presenti grazie ai Protocolli n. 4 e 7 della CEDU. Il Protocollo n. 4 del 1963 sancisce il

258 Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare n. 293 del 1961 sul diritto d’asilo 259 Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare n. 234 del 1960 sul Secondo Protocollo alla Convenzione sui diritti umani

divieto assoluto di espulsioni collettive, mentre il Protocollo n. 7 del 1984 contiene le regole procedurali riguardanti l’espulsione di stranieri regolarmente soggiornanti. Si tratta di garanzie che prescindono dalla valutazione dei rischi in cui potrebbe incorrere lo straniero espulso nel Paese di destinazione, tuttavia rappresentano un tentativo di fornire un quadro di garanzie agli stranieri rispetto ad alcuni aspetti essenziali del loro ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato ospitante.

La Corte europea dei diritti umani, come del resto in passato la Commissione europea dei diritti dell'uomo (istituita nel 1954 con funzione di filtro rispetto all'attività della Corte e abolita dal Protocollo n. 11 del 1994), ha sempre ribadito l’assenza del diritto d’asilo all’interno della CEDU e dei Protocolli e la sovranità degli Stati in merito al controllo dei propri confini, come dimostra la sentenza Vilvarajah e altri

c. Regno Unito:

«At the outset, the Court observes that Contracting States have the right, as a matter of well established international law and subject to their treaty obligations including Article 3 (art. 3), to control the entry, residence and expulsion of aliens [...]. Moreover, it must be noted that the right to political asylum is not contained in either the Convention or its Protocols. This is borne out by several recommendations of the Assembly of the Council of Europe on the right of asylum [...] as well as a subsequent resolution and declaration of the Committee of Ministers [...]»261.

Nel tempo, la Convenzione di Ginevra è rimasta uno strumento essenziale per garantire lo status di rifugiato a persone ricomprese dalla nozione di rifugiato presente all’art. 1, par. A, n. 2, tuttavia molti di coloro che avrebbero bisogno di ricevere protezione internazionale a causa di un serio rischio di subire gravi violazioni dei propri diritti fondamentali non rientrano in tale definizione262. Per tale ragione,

261 Sentenza della Corte europea dei diritti umani del 30 ottobre 1991, ricorsi no. 13163/87; 13164/87; 13165/87; 13447/87; 13448/87, Vilvarajah e altri c. Regno Unito 262 N.MOLE,C.MEREDITH, op. cit.,p. 10

nonostante l’assenza di norme riguardanti il diritto d’asilo, la giurisprudenza della Corte EDU ha determinato la creazione di un sistema di protezione parallelo a quello garantito dalla Convenzione di Ginevra. L’interpretazione «funzionalistica»263 della CEDU, il cui scopo

consiste nel proteggere diritti «non già teorici o illusori, ma concreti ed effettivi» 264, ha portato ad individuare una serie di limiti al potere statale

di allontanare gli stranieri versi paesi in cui rischierebbero di subire persecuzioni o gravi violazioni dei propri diritti fondamentali. L’indagine di questo capitolo sarà finalizzata a comprendere tale strumento e i limiti posti alla sovranità statale, con particolare attenzione alla giurisprudenza della Corte e le modalità di analisi del rischio vissuto dallo straniero soggetto a misure di allontanamento.

4.2 La protezione par ricochet e l’articolo 3 della Convenzione di