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L’articolo 1 della Convenzione fa riferimento al fatto che il richiedente abbia un timore ben fondato di essere perseguitato (“well founded fear of

being persecuted” o, nella versione francese “craignant avec raison d'être persécutée”), di conseguenza è da ritenere che tale timore debba

essere la causa per cui l’individuo abbia lasciato il proprio paese e che

99 F. LENZERINI, Asilo e Diritti umani: l’evoluzione dei diritto d’asilo nel diritto

l’onere di dimostrarlo alle autorità del paese in cui venga inoltrata la domanda d’asilo sia a carico del richiedente. La well founded fear deve essere presente anche una volta al di fuori dello Stato di provenienza, non essendo sufficiente il fatto che per tale timore il richiedente abbia abbandonato il paese100.

Introdotto su proposta del rappresentante del Regno Unito dal Comitato

ad hoc e successivamente inserito all’interno della Convenzione, il

timore è uno degli elementi chiave della definizione: deve essere qualificato dal fatto di essere ben fondato e va letto unitamente alla frase

“of being persecuted” per cui si fa riferimento a un individuo la cui

paura di essere perseguitato abbia un ragionevole grado di probabilità. Questa particolare espressione è coerente con l’obiettivo della Convenzione, ossia porre in capo ai paesi contraenti l’obbligo di assicurare protezione a soggetti entrati in contatto con la giurisdizione statale per impedirne il ritorno in luoghi dove siano a rischio di subire persecuzione o l’abbiano già sofferta in virtù delle ragioni enumerate nell’art. 1, par. A: per obbligare gli Stati a fornire tale protezione è necessario che il rischio sia sufficientemente elevato101.

Durante la sessione del Comitato vi fu un’intensa discussione sul significato da attribuire al termine e sul fatto di intenderlo in senso soggettivo ovvero oggettivo, dando maggior rilievo ai sentimenti provati dal richiedente o alla situazione oggettivamente riscontrabile nel paese di provenienza. Durante il 18º incontro del Comitato il rappresentante dello Stato di Israele, il signor Robinson, fece riferimento all’aspetto soggettivo del termine in riferimento agli ebrei che non avrebbero voluto far ritorno in Germania al termine del conflitto alla luce di quanto sofferto durante il nazismo.

100 F.LENZERINI, op. cit., pp. 234-235

101 A.ZIMMERMANN, C.MAHLER, Article 1 A para.2, in A.ZIMMERMANN (ed.) op. cit., pp. 336-337

«If the objective criteria of the first category were applied to such cases, an injustice would be committed. In point of fact, the reasons why some of the refugees did not return to their countries of origin were not objective but subjective. They were not being prevented from returning; in some cases they were even invited to return. But they no longer had the courage or the desire to do so. Thus, persons who had left Germany, not of their own accord, but for reasons outside their own desires, could not refer to persecutions which no longer existed. It was their horrifying memories which made it impossible for them to consider returning, German occupied countries offered other examples which justified the reluctance of some refugees to return to their countries of origin»102.

Poiché tale intervento era finalizzato a sottolineare una conseguenza della guerra e non a risolvere una questione interpretativa sul generale timore di subire persecuzioni non fu considerato rilevante ai fini della discussione e neanche i commenti finali al testo della Convenzione risultarono risolutivi in merito. Per superare il problema sono stati adottati nel tempo diversi approcci interpretativi in cui risultava prevalente l’approccio oggettivo o soggettivo, mentre in altri casi si è optato per una loro combinazione. Quest’ultima posizione è favorita da alcuni autori e corti nazionali come pure dall’ACNUR, che nel suo

Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status

ha sottolineato la natura soggettiva del termine “paura”:

«Since fear is subjective, the definition involves a subjective element in the person applying for recognition as a refugee. Determination of refugee status will therefore primarily require an evaluation of the

102 Ad Hoc Committee on Statelessness and Related Problems, First Session: Summary

Record of the Eighteenth Meeting Held at Lake Success, New York, 31 gennaio 1950,

applicant’s statements rather than a judgement on the situation prevailing in his country of origin»103.

Il fatto che il timore debba essere ben fondato secondo l’ACNUR mostra non solo la rilevanza dei sentimenti del ricorrente, ma anche quella della situazione da cui fugge, essendo entrambi gli aspetti decisivi per la pronuncia delle autorità competenti. L’Handbook fa riferimento a entrambi gli elementi per ottenere una valutazione efficace della domanda d’asilo, a cominciare dalla sfera soggettiva per la cui analisi è necessario considerare personalità e psicologia del ricorrente la cui credibilità dovrà essere valutata sulla base della sua storia familiare, sociale e personale104. Per quanto riguarda l’aspetto oggettivo occorre

tenere in considerazione il contesto in cui il ricorrente ha vissuto:

«A knowledge of conditions in the applicant’s country of origin –while not a primary objective – is an important element in assessing the applicant’s credibility. In general, the applicant’s fear should be considered well-founded if he can establish, to a reasonable degree, that his continued stay in his country of origin has become intolerable to him for the reasons stated in the definition, or would for the same reasons be intolerable if he returned there»105.

In conclusione, da una parte la concezione oggettiva indica una situazione in cui ragionevolmente si possa rilevare timore di subire una persecuzione, mentre a livello soggettivo si comprende la percezione dell’individuo rispetto alla situazione in cui si trovi. Si può affermare che l’approccio misto sia favorito a livello nazionale e possono essere portati

103 UNHCR, Handbook and Guidelines on Procedures and Criteria for Determining

Refugee Status under the 1951 Convention and the 1967 Protocol Relating to the Status of Refugees, December 2011, http://www.refworld.org, p. 11 par. 37, reperibile on line

104 UNHCR, Handbook and Guidelines on Procedures and Criteria, cit., par. 41 105 UNHCR, Handbook and Guidelines on Procedures and Criteria, cit., par. 42

diversi esempi di pronunce sull’argomento, a cominciare dalla Corte d’Appello americana che nel 2003 ha espresso il suo giudizio in merito:

«In order to demonstrate a well-founded fear of future persecution, a petitioner must satisfy both an objective and a subjective test. Under the subjective requirement, a petitioner must prove that his fear is genuine, while the objective component requires showing by `credible, direct and specific evidence' that this fear is reasonable»106.

Tuttavia, data la generale incertezza relativa all’esito della valutazione, va sottolineato come il risultato dipenda strettamente dall’analisi caso per caso effettuata dai giudici nazionali in base ai criteri vigenti nei diversi paesi.

Tale approccio è stato fortemente criticato da chi ritiene che considerare l’aspetto soggettivo del timore determini una riduzione della protezione. Si dia infatti il caso di un individuo particolarmente coraggioso o inconsapevole del reale pericolo cui incorrerebbe in caso di ritorno nel paese d’origine: il mancato timore soggettivo porterebbe a sottovalutare una situazione “oggettivamente” rischiosa. D’altra parte, escludere la sfera soggettiva non impedirebbe la valutazione degli aspetti propriamente personali del richiedente quali personalità, posizione nella società di provenienza, eventuale appartenenza ad un gruppo sociale particolare, situazione familiare e posizione politica; tali elementi influenzerebbero in ogni caso la decisione favorevole dei giudici nel riconoscimento dello status pur se gli elementi di oggettivo pericolo non siano incisivi, come nel caso in cui il richiedente sia a capo di un movimento d’opposizione particolarmente attivo sul territorio107.